La responsabilità del Comune per difetto di manutenzione della strada pubblica

Ivan Dimitri Calaprice
30 Settembre 2015

La qualificazione in termini “extracontrattuali” della responsabilità del Comune per una caduta causata da una insidiosa conformazione morfologica del marciapiede impone a carico dell'attore l'assolvimento dell'onere della prova, non sussistendo, per questo tipo di responsabilità, alcuna inversione alla regola di cui all'art. 2697 c.c..
Massima

La qualificazione in termini “extracontrattuali” della responsabilità del Comune per una caduta causata da una insidiosa conformazione morfologica del marciapiede impone a carico dell'attore l'assolvimento dell'onere della prova, non sussistendo, per questo tipo di responsabilità, alcuna inversione alla regola di cui all'art. 2697 c.c..

Il caso

La pronuncia del Tribunale campano riguarda il caso di una donna che assume la responsabilità extracontrattuale del Comune per le lesioni riportate all'esito di una rovinosa caduta durante lo svolgimento di attività ginniche.

Nel caso di specie l'attrice aveva dichiarato di aver subito una frattura praticando jogging nelle prime ore del mattino mentre attraversava un marciapiede scosceso.

Il Comune, costituitosi, aveva eccepito la non riferibilità ad esso di alcuna responsabilità in ragione dello svolgimento di lavori da parte di una ATI (Associazione temporanea di imprese) fra due soggetti privati e rilevato altresì che, nella strutturazione della propria domanda, l'attrice aveva infranto la regola di ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. e non aveva inoltre provato la non prevedibilità e la non evitabilità del pericolo.

Il Giudice monocratico rigetta la pretesa attorea ed àncora la propria decisione proprio sul primo di tali rilievi, corroborandolo di talune considerazioni in ordine alla diligenza probatoria dimostrata dalla danneggiata nonché da alcune valutazioni circa la non contestabilità di un pericolo visibile e l'(in)opportunità dell'esercizio della pratica sportiva in parola secondo le modalità che erano state descritte in atti.

La questione

La pronuncia in commento costituisce utile spunto per una riflessione generale sui temi che essa affronta, riconducibili, essenzialmente, dunque,

  1. alla qualificazione della responsabilità civile del Comune per la manutenzione di area pubblica;
  2. alla ripartizione degli oneri probatori nel giudizio di responsabilità in parola.

In funzione, infatti, della opzione qualificatoria prescelta, varia il regime probatorio di rilievo e, dunque, di converso, l'esito della valutazione prognostica circa la fondatezza della domanda.

Le soluzioni giuridiche

Nel motivare il rigetto della domanda il Giudice scrive, anzitutto «Preliminarmente occorre evidenziare che nel proprio atto di citazione l'attrice faceva chiaramente ed espressamente riferimento ad una responsabilità ex art. 2043 c.c.».

L'argomento tecnico cui il Giudice beneventano allude, precisando (con ben due avverbi) la non equivocabilità della impostazione giuridica della difesa attorea, è evidente.

La questione della responsabilità in parola sconta, infatti, una “diversità di trattamento” connessa alla scelta tassonomica adottata “a monte”.

Ed infatti, da un lato rileva un risalente orientamento del Giudice di Legittimità teso a certificarne il carattere extracontrattuale (ex multis: Cass., n. 1571/2004 e Cass., n. 22592/2004) e dall'altro uno di segno diverso, assai più recente, che fa leva, invece, sul tratto oggettivo di essa e dunque sul portato dell'art. 2051 c.c. (ex multis: Cass., n. 15383/2006; Cass., n. 8229/2010; Cass., n. 9546/2010; Cass., n. 1106/2011; Cass., n. 22528/2014; Cass., n. 3793/2014; Cass., n. 286/2015; Cass., n. 295/2015).

Così, nell'ottica di dover stabilire la riferibilità di un danno alla caduta su un'area non ben manutenuta, potrebbe in astratto rilevare – distintamente e alternativamente– sia la configurazione di un fatto doloso o colposo e di un danno ingiusto, sia la avvenuta violazione di un obbligo di custodia, tuttavia arginato dal limite dalla prova del caso fortuito.

Non è un caso, quindi, che il Giudice abbia sottolineato, in prima battuta, l' intensità con cui la difesa attorea ha inteso ricondurre la vicenda al primo dei due paradigmi.

Ovvero «chiaramente ed espressamente».

Il motivo è infatti chiaro: la soluzione della connotazione aquiliana della responsabilità del Comune avrebbe dovuto coerentemente implicare un'attività volta a descrivere il dolo o la colpa del Comune con l'obiettivo ultimo di descrivere la fattispecie generatrice del proprio diritto al risarcimento del danno.

Sicché, a fronte di una ben circostanziata e provata contestazione, il Comune avrebbe - di converso - potuto adeguatamente dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità che l'attore con l'ordinaria diligenza avrebbe potuto prevedere o percepire un'anomalia stradale o l'impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (Cass., n. 8692/2009; Cass., n. 15383/2006).

Così, però, nel caso di specie, non è accaduto, posto che il Giudice stigmatizza l'inesistenza del necessario corredo probatorio dichiarando assorbita ogni altra questione (e fra queste il pur rilevante tema della compatibilità delle lesioni riportate rispetto alla dinamica dell'evento descritto).

La ratio di questa scelta del Giudice si comprende meglio alla luce di altro principio consacratosi presso la Suprema Corte, ovvero quello per cui l'insidia stradale non è un vero e proprio concetto giuridico ma un mero stato di fatto che integra, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, una situazione di pericolo occulto (Cass., n. 15375/2011).

Come qualificare, dunque, secondo tali canoni un marciapiede dichiaratamente ed evidentemente scosceso?

In tale contesto, dunque, il Giudice non poteva che muovere dall'accertamento della sussistenza di tutti gli elementi previsti dall'art. 2043 c.c. sicché l'effettiva prevedibilità/percepibilità dell'anomalia stradale con l'ordinaria diligenza è valsa ad escluderne l'emersione sul piano giuridico.

La scelta dell'attrice si è rivelata, perciò, decisamente “infelice”.

Essa, infatti, pur avendo incasellato nei ridetti termini la responsabilità del Comune - così prediligendo una nomenclatura che Piazza Cavour si sta progressivamente orientando ad archiviare - non ha, a detta del Giudice, correttamente adempiuto il proprio onere probatorio.

Gli argomenti a sostegno sono interessanti.

In primis: la sentenza fa riferimento al fatto che la documentazione fotografica allegata e i testi escussi abbiano attestato le cattive condizioni del marciapiede.

Da tale emergenza probatoria, tuttavia, viene fatto discendere un argomento a sfavore.

I dissesti – si legge nella sentenza– erano «ben visibili ad occhio nudo» e tanto più se si considera che erano le ore 6.20 del mattino di luglio con «piena visibilità» e uno «scarso affollamento della strada».

L'attrice, quindi, non poteva ragionevolmente sostenere di non aver visto lo stato del suolo ma, anzi, risolvendosi ad attraversarlo, ha dato prova di non aver assunto un «comportamento consono» ai luoghi.

A ciò – scrive il Giudice – deve aggiungersi la considerazione della «non più giovane età» della attrice stessa e dunque – ab implicito – l'ontologica sconsideratezza dell'esercizio di un'attività sportiva su una superficie contraddistinta da irregolarità morfologiche.

La conseguenza pratica di queste osservazioni è evidente: il Giudice – preso atto della inidoneità delle fotografie e delle dichiarazioni dei testi a configurare una condotta (attiva o omissiva / dolosa o colposa) illecita dell'ente pubblico – muove da una chiave di lettura antitetica, giacché legge - proprio nella consapevole imprudenza della attrice - il reale evento generatore del danno.

L'itinerario argomentativo è intuibile: emergendo solo l' obiettiva avventatezza della condotta di chi – pur nella constatata impercorribilità di un'area – si sia comunque risolto ad attraversarla, non può ritenersi adeguatamente esperita la prova di una responsabilità extracontrattuale superabile.

Aggiungasi che, come detto, di recente Piazza Cavour ha radicalmente optato per la descrizione di questa forma di responsabilità solo in chiave “oggettiva”.

Significativa – in tal senso – la ricostruzione svolta nel testo di Cass., n. 22528/2014 allorché si legge che «la presunzione di responsabilità di danni alle cose si applica, ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, quando la custodia del bene, intesa quale potere di fatto sulla cosa legittimamente e doverosamente esercitato, sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto delle circostanze, della natura limitata del tratto di strada vigilato. La presunzione in tali circostanze resta superata dalla prova del caso fortuito».

Ove la qualificazione giuridica fosse stata di tal tenore, dunque, la vittima dell'illecito avrebbe dovuto offrire la prova del fatto, del pregiudizio, del nesso causale e della posizione qualificata di custode del Comune in relazione a quel tratto di marciapiede.

Ma – sembra voler dire il Giudice sottolineando la scelta della attrice – la linea adottata è stata ben altra e la strutturazione degli argomenti extracontrattuali non è stata affatto coerente.

Va dato atto, infine, di una recentissima posizione “mediana” che non esclude anche la percorribilità di una terza via, ovvero quella del contemperamento della tesi della esclusività della responsabilità oggettiva con quella della subalternità della responsabilità aquiliana.

Ci si riferisce, in particolare, alla visione dell'ultim'ora di Cass., n. 12802/2015 secondo cui «Ove non sia applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c., per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene demaniale, l'ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall'utente, secondo la regola generale dettata dall'art. 2043 c.c., che non prevede alcuna limitazione della responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di insidia o trabocchetto».

Dal che deriva, tuttavia, un'obiettiva confusione circa la natura di questa responsabilità nonché la legittimazione delle ubbie di chi oscillasse fra le due azioni.

Osservazioni

Il quadro che emerge all'esito della lettura di questa pronuncia è comunque chiaro.

Ove si optasse per l'argomento della tesi della natura aquiliana della responsabilità del Comune per difetto di manutenzione della strada pubblica ci si dovrebbe premurare, anzitutto, di dare senso e solidità alla regola architrave del nostro ordinamento processuale, ovvero l'art. 2697 c.c., all'uopo non esimendosi anche da un'accurata indagine circa la non prevedibilità o percepibilità dell'anomalia stradale generatrice del danno.

In tale ottica, ben dovrebbe considerarsi – tuttavia – che tale linea argomentativa va sensibilmente erodendosi a seguito delle recenti indicazioni degli Ermellini che hanno inteso ricondurre i profili di responsabilità dell'ente pubblico entro il diverso solco delle presunzioni ex art 2051 c.c., solco inopinabilmente implicato da un regime probatorio differente.

In questo contesto, il recentissimo affacciarsi di soluzioni salvifiche della opzione del c.d. doppio binario rende comunque più che auspicabile un intervento delle Sezioni Unite che chiarisca – in termini definitivi - i perimetri della responsabilità in parola e se, dunque, la “tesi oggettivista” possa vantare o meno un secco primato valoriale rispetto a quella aquiliana.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.