Danno da perdita di chance di futura attività lavorativa

Alessandro Benni de Sena
01 Settembre 2017

Il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di "chance" ha l'onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.
Massima

In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance – che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione – ha l'onere di provare, benché solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

Quando le chances attengono alla futura attività lavorativa del soggetto danneggiato, il c.d. danno da perdita di chance si configura come danno patrimoniale futuro, diverso ed ulteriore rispetto al danno alla salute. Pertanto, la sola dimostrazione dell'esistenza dei postumi invalidanti non è sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri guadagni o di futuri maggiori guadagni, avendo il danneggiato l'onere di provare, anche presuntivamente, che il danno alla salute gli ha precluso l'accesso a situazioni di studio o di lavoro tali che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni.

Il caso

A seguito di un sinistro stradale una minore riporta, tra l'altro, un danno alla salute, consistente nella diminuzione delle facoltà intellettive superiori.

Agiva in giudizio, quindi, per vedere riconosciuto, oltre al danno patrimoniale e non patrimoniale, anche specificatamente il danno da perdita di chance, lamentando che la lesione, accertata tramite consulenza medico-legale, le avrebbe di fatto precluso la carriera universitaria e, dunque, l'inserimento in un determinato e specifico migliore ambito lavorativo.

Il Tribunale riconosceva l'esistenza di questo danno, ma sul punto la sentenza veniva riformata dalla Corte di Appello, che ha ricompreso il diverso danno esistenziale, mediante personalizzazione, nel danno non patrimoniale conseguente alle lesioni sofferte dalla minore.

La Suprema Corte ha confermato la decisione di secondo grado ed ha escluso la sussistenza di un danno da perdita di chance.

La questione

La questione è definire la natura del danno da perdita di chance di futuro guadagno, perché, avendo a mente la natura del danno, se ne comprende la differenza da altri danni, specie quello alla salute, evidenziandone così il conseguente diverso onere probatorio ed evitando il rischio di duplicazioni risarcitorie.

Le soluzioni giuridiche

Nel panorama giurisprudenziale il danno da perdita di chance può assumere contorni variegati, configurandosi, come danno patrimoniale, a sua volta ora in termini di danno emergente ora in termini di lucro cessante, oppure come danno non patrimoniale.

A fronte di una natura giuridica eterogenea, il danno da perdita di chance viene ricostruito:

a) come danno patrimoniale, in particolare come danno emergente, quale perdita dell'opportunità di conseguire un'utilità: Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2017, n. 9571; Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19604; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2012, n. 21245;

b) come danno patrimoniale in particolare come lucro cessante, non come utilità in se stessa, ma in quanto realizzata, identificandosi il danno nella perdita del risultato/bene sperato: Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2015, n. 7193; Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2013, n. 11548; Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2016, n. 17539; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22376; Cass. civ., sez. II, 13 luglio 2011, n. 15385.

Come vedremo, tuttavia, non manca giurisprudenza che fissa nettamente la diversità ontologica tra lucro cessante e perdita di chance;

c) conseguentemente muta l'onere probatorio in relazione ad una diversa ricostruzione degli elementi costitutivi dell'illecito: la chance come danno emergente è un bene già presente nel patrimonio del danneggiato, al quale spetterà, quindi, la prova della perdita/danno e non del nesso di causa.

Se intesa invece come lucro cessante, la chance è un criterio di accertamento del nesso di causa tra condotta lesiva ed evento inteso come mancata realizzazione del risultato.

Infatti, è stato osservato che la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perché in questo secondo caso l'accertamento è incentrato sul nesso causale, mentre nel primo oggetto dell'indagine è un particolare tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2012, n. 21245);

d) come danno non patrimoniale, di fronte alla lesione del diritto alla salute, in particolare nel caso di perdita di chance di sopravvivenza;

e) non da ultimo la perdita di chance trova applicazione in sede di responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale, potendo derivare rispettivamente sia dall'inadempimento dell'obbligazione, sia dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento.

A livello generale, la perdita di chance viene intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non essendo una mera aspettativa di fatto, bensì un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, quale perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile (per tutti, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2017, n. 6488). Non consiste, come detto, nel mancato raggiungimento di un risultato sperato, ma nella perdita della mera possibilità di un risultato finale,

Sul piano probatorio, è sufficiente dimostrare in via di calcolo probabilistico l'esistenza della chance, ovvero fornire la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2017, n. 9571).

Non si tratta, dunque, di un danno meramente ipotetico o eventuale (come se, invece, lo si collegasse al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto ed attuale, pertanto non va commisurato alla perdita del risultato, ma nella mera possibilità di conseguirlo. Come ricordato, questo deriva dal considerare tale danno come danno emergente e non come lucro cessante.

Tuttavia, non si manca di sovrapporre, talvolta, la perdita di chance al danno futuro (Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2016, n. 24295), di difficile quantificazione e comunque tecnicamente irrisarcibile, se considerato nella sua assoluta incertezza come mera eventualità di un conseguimento utile.

La sentenza annotata fa proprio l'orientamento maggioritario espresso dalla Cassazione: il danno da perdita di chance ha natura patrimoniale e non costituisce una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sè stante, col conseguente onere probatorio in capo al danneggiato di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita, di cui il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

La sentenza precisa, però, un'ulteriore circostanza: nel caso di perdita di possibilità lavorative future, il danno de quo si configura come danno patrimoniale futuro, con questo distinguendolo dal danno alla salute a carattere non patrimoniale. L'ulteriore conseguenza sul piano probatorio è che non è sufficiente dimostrare l'esistenza di postumi invalidanti per far desumere anche la perdita della possibilità di futuri guadagni o di futuri maggiori redditi, essendo il danneggiato onerato di provare che il danno alla salute gli ha precluso l'accesso a situazioni di studio o di lavoro che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni.

Osservazioni

La sentenza, come detto, considera la chance come un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onda la perdita della possibilità di conseguire il risultato utile (del quale risulti provata la sussistenza secondo i criterî indicati) configura una lesione all'integrità del patrimonio, la cui risarcibilità è, dunque, conseguenza diretta ed immediata del verificarsi di un danno attuale e concreto.

Detto diversamente, la sentenza si colloca nel solco dell'opinione maggioritaria secondo cui la perdita di chance configura un danno emergente e non un lucro cessante.

È interessante l'ulteriore qualificazione operata dalla Suprema Corte del danno de quo come danno patrimoniale futuro, sia pure per distinguerlo, come tale, dal danno alla salute.

Il passaggio induce a considerare il difficile inquadramento del rapporto tra perdita di chance, lucro cessante e danno futuro. Il lucro cessante è il mancato guadagno, già provocato dall'inadempimento o dall'illecito, nel senso che sarebbe stato conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta o la lesione non si fosse verificata; la prova della certezza del danno non riguarda il lucro in sé, ma i presupposti e i requisiti necessarî affinché esso si determini; il lucro cessante non è entrato nel patrimonio del danneggiato, ma vi entrerà nella forma di risarcimento e certezza del danno qui significa garanzia circa la sussistenza dei presupposti per la sua produzione in futuro (così, FRANZONI, La chance nella casistica recente, in Resp. civ., 2005, 7 s.). La perdita di chance è la perdita di una possibilità, già sorta nel patrimonio del soggetto, di conseguire un risultato utile; a differenza del lucro cessante non è possibile dimostrare che l'utilità sarebbe stata conseguita e neppure che sono certi i presupposti per conseguirla; sul piano causale la chance si qualifica come danno potenziale o eventuale, privo del carattere della certezza. Il danno futuro ha almeno tre significati, come conseguenze genericamente manifestatesi dopo il fatto lesivo, oppure come conseguenze prodottesi dopo il giudizio oppure come mero pericolo di danno; inteso come danno meramente eventuale è tecnicamente irrisarcibile, sia perché non costituisce una posizione soggettiva tutelata dall'ordinamento, sia perché è impossibile soddisfare l'onere di provare il danno stesso.

Proprio per tale ultima ragione si è fatta strada la figura della perdita di chance, per mitigare questa rigidità del sistema. Da una parte, il lucro cessante è diverso dalla perdita di chance (Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20630; Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2016, n. 17539), dall'altra la chance non è un danno futuro, quanto meno perché è una lesione attuale e riguarda la possibilità di conseguire un vantaggio.

Ecco perché si ripete che costituisce una lesione all'integrità del patrimonio e lo si configura come danno emergente. Tuttavia, tale inquadramento va considerato criticamente nella parte in cui sottende a collocare la chance nell'area del danno ingiusto, invece che in quella del danno risarcibile di cui all'art. 2043 c.c. (FRAZONI, op. cit., 5 s.). È chiaro che la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile deve sottendere alla lesione di un interesse protetto come danno ingiusto, ma questo è un dato diverso dalla perdita economica che si vuole eziologicamente riconoscere in capo alla vittima. Ogni perdita economica, compresa la chance, deve essere conseguenza della lesione di una situazione protetta, tuttavia perdita e lesione non possono essere sovrapposti e comunque la chance non può essere identificata nell'integrità del patrimonio.

È condivisibile la sentenza ove tiene distinto il danno da perdita di chance dal danno alla salute: la sola dimostrazione dell'esistenza dei postumi invalidanti non è sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri guadagni o di futuri maggiori guadagni. Il danneggiato ha, invece, l'onere di provare, anche presuntivamente, che il danno alla salute gli ha precluso l'accesso a situazioni di studio o di lavoro tali che, se realizzate, avrebbe fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni.

Leggendo la sentenza potrebbe residuare il dubbio della correttezza di tale impostazione, dato che emergerebbe il dato che la CTU medico-legale avrebbe accertato la diminuzione delle facoltà intellettive superiori della minore, con questo precludendole la carriera universitaria.

Infatti, la Suprema Corte annotata prosegue, ritenendo che la sentenza impugnata aveva considerato la valutazione medico-legale mediante la personalizzazione del danno biologico e mediante incremento del risarcimento tabellare, proprio in ragione dell'incidenza del danno sulle facoltà intellettive superiori della minore.

Per queste ragioni, osserva la Suprema Corte, il danneggiato aveva l'onere di indicare gli elementi di fatto (diversi dalla sola compromissione delle condizioni di salute) che, se provati anche per presunzione, avrebbero potuto indurre a ritenere sussistente la chance.

Il solo buon andamento scolastico della minore è privo di decisività.

Da ultimo la sentenza esclude che la perdita di chance possa essere ricondotta nel c.d. sconvolgimento esistenziale, che è un'altra perdita ed era già stata liquidata, mediante la personalizzazione del danno.

Nel caso di specie, trattandosi di minore, la chance di un miglior accesso al mondo del lavoro (e più remunerativo) può sembrare non così immediato come la perdita della chance di partecipare ad un concorso in atto. Tuttavia, astrattamente la Suprema Corte non lo esclude e non lo si può escludere. Il problema è quello probatorio.

Non dimentichiamo che il nostro codice prevede che i minori abbiano capacità, inclinazioni naturali ed ispirazioni (art. 147 c.c., con riguardo ai doveri dei genitori verso i figli, cui fa eco l'art. 315-bis c.c.). Se c'è un percorso sufficiente maturo, questo andrà provato.

Il rischio che la sentenza annotata ha evitato è quello della c.d. moltiplicazione di poste risarcitorie, a fronte di una voce di danno ancora dai contorni incerti, per cui, accanto alla lesione originaria costitutiva dell'obbligo al risarcimento per violazione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, si costituirebbe una lesione secondaria rappresentata dalla violazione dell'interesse a che la lesione originaria non abbia luogo. Il danno da perdita di chance non è un danno in re ipsa e non può essere riconosciuto automaticamente dalla lesione del diritto alla salute, configurandosi come danno conseguenza.

Con questo confermandosi che il problema della perdita chance va ricondotto non tanto all'ingiustizia del danno, ma alla risarcibilità del danno ex art. 2043 c.c.

Guida all'approfondimento

CHINDEMI D., Il danno da perdita di chance, Giuffrè, 2010;

FRANZONI M., La chance nella casistica recente, in Resp. civ., 2005, 5;

LANDINI S., Causalità giuridica e favor veritatis, in Riv. dir. civ., 2003, II, 417;

MALZANI F., La natura e la prova del danno da perdita di chance, in Danno e resp., 2007, 777;

OLIVA C., Perdita di chance: patrimonialità e criteri di quantificazione del relativo danno, in Resp. civ., 2012, 11;

PETRUZZI C., La liquidazione del danno in via equitativa: quando ed entro quali limiti?, in Danno e resp., 2016, 1095;

SUPPA M.P., Danno da perdita di chance ed onere probatorio, in Giur. it., 2003, 10;

TESCARO M., Il danno da perdita di chance, in Resp. civ., 2006, 6;

TESCARO M., Onere della prova e quantificazione del danno da perdita di chance, in Resp. civ., 2007, 2.

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