Rilevanza della condotta del terzo trasportato ex art. 1227, comma 1 c.c.

Ludovico Berti
03 Ottobre 2017

Quando la condotta colposa del terzo trasportato assume rilevanza ai sensi del comma 1 dell'art. 1227 c.c.? La circostanza che il trasportato abbia concorso a causare il sinistro non può comportare, per ciò solo, l'esclusione di responsabilità dei conducenti coinvolti.
Massima

La circostanza che il trasportato abbia concorso a causare il sinistro non può comportare, per ciò solo, l'esclusione di responsabilità dei conducenti coinvolti (oltreché dei proprietari dei relativi mezzi), ove non risulti esclusa qualunque loro condotta colposa, sì da poter imputare il danno alla sola responsabilità del trasportato.

Parzialmente conforme a: Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2017 n. 1295

Il caso

Un trasportato su di un ciclomotore omologato per il trasporto di una sola persona agisce in giudizio per ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito di un sinistro. I giudici di merito hanno rigettato la sua domanda ritenendo che la presenza irregolare sul ciclomotore avesse inciso in modo determinante sul sinistro, così da assorbire ogni altra responsabilità ai sensi del comma 2 dell'art. 1227 c.c. Il danneggiato ha promosso ricorso per cassazione adducendo che l'infrazione del divieto di trasportare un passeggero sul ciclomotore non può dar luogo a responsabilità civile, esclusiva o concorrente, nel caso in cui l'infrazione medesima non sia stata determinante nella causazione dell'evento ex art. 1227, comma 1, c.c.

La questione

Quando la condotta colposa del trasportato assume rilevanza ai sensi del comma 1 dell'art. 1227 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha imputato alla presenza irregolare del trasportato sul mezzo, la causa esclusiva dell'evento di danno, senza valutare il peso delle condotte dei conducenti, chiarendo come si debba procedere nell'accertamento della responsabilità del sinistro in ipotesi di trasporto di persone.

La Cassazione precisa che in primo luogo si deve far riferimento alla presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c. nei confronti dei conducenti/proprietari e solo laddove venga escluso ogni loro coinvolgimento nella eziologia dell'evento, è possibile imputare la responsabilità, in via esclusiva, al trasportato che, con la sua condotta, abbia concretamente determinato l'evento.

Laddove invece, la messa in circolazione del veicolo in condizioni di insicurezza sia ricollegabile all'azione o omissione non solo del conducente (che non ha controllato che la circolazione avvenga in conformità delle norme sulla di prudenza e sicurezza) ma anche del trasportato (che ha accettato il conseguente rischio), si verifica un'ipotesi di cooperazione colposa nella causazione dell'evento sicché il risarcimento dovrà essere liquidato in proporzione alla gravità delle rispettive colpe.

La decisione in commento, aderisce all'orientamento del tutto pacifico della Cassazione, secondo il quale si ritiene che sussista una cooperazione attiva fra conducente e trasportato ogni qual volta si accerti l'apporto causale della presenza a bordo di quest'ultimo nella determinazione dell'evento. Di tal ché, quando la presenza del trasportato abbia determinato una maggiore instabilità del mezzo omologato per una sola persona, influendo in tal modo nella determinazione del sinistro, assume rilevanza di antecedente causale dell'evento con conseguente diminuzione o esclusione del danno da questo patito (Cass. civ., 13 maggio 2011, n. 10526; Cass. civ., 22 maggio 2006, n. 11947; Cass. civ., 8 aprile 2010, n. 8366).

Si deve quindi escludere che la scelta imprudente di farsi trasportare su di un ciclomotore non omologato per il trasporto di più persone, sia di per sé idonea a rappresentare la causa esclusiva dell'evento di danno, senza che vengano indagate anche le condotte dei conducenti dei mezzi coinvolti e soprattutto quella del conducente del mezzo sul quale era trasportato.

La Suprema Corte, ponendosi in linea con un precedente specifico (Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2005, n. 27010), in sentenza parzialmente difforme aveva rigettato il ricorso proposto dagli eredi di un trasportato deceduto in conseguenza di un sinistro stradale. Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi avevano accolto le domande e condannato il responsabile conducente dell'altro veicolo all'integrale risarcimento, nonostante fosse emerso che il conducente dell'auto in cui sedeva il trasportato versasse in stato di ebbrezza alcolica. Parte soccombente era dunque ricorsa in cassazione adducendo che l'accettazione del rischio da parte del trasportato, consapevole dello stato di alterazione del suo conducente, rappresenterebbe una condotta in nesso causale con il danno, che giustificherebbe una diminuzione del risarcimento ai sensi del comma 1 dell'art. 1227 c.c. (Cass. civ., n. 1295/2017). La Suprema Corte aveva ribadito che la mera accettazione del rischio di essere trasportato su di un veicolo condotto da un soggetto in stato di ebrezza, non è idonea di per sé a rappresentare una cooperazione attiva nella determinazione dell'evento ex art. 1227, comma 1, c.c., non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell'evento dannoso, poiché la mera accettazione di tale rischio non è un antecedente senza il quale l'evento o il conseguente danno non si sarebbero verificati.

La S.C. ha inoltre spiegato come il principio di cooperazione colposa nella determinazione dell'evento non possa riferirsi al caso concreto in cui la responsabilità del sinistro è stata imputata in via esclusiva al conducente del veicolo antagonista, dovendosi di tal ché escludere che la condotta colposa del conducente che guidava in stato di ebrezza e del suo trasportato che ha accettato il conseguente rischio, abbiano cooperato nella determinazione del sinistro mettendo in circolazione un veicolo in condizioni di insicurezza.

E tale logico assunto, che impone che la condotta del trasportato abbia contribuito a determinare l'evento di danno, non può essere superato ritenendo, come ha fatto il ricorrente, che la condotta imprudente del trasportato sia un antecedente causale non dell'evento ma del danno, perché in tal modo si prescinderebbe dall'accertamento del suo presupposto, ovvero l'evento dannoso poiché, consolidata giurisprudenza della S.C. (Cass. civ., n. 240/2001; Cass. civ., n. 5511/2003; Cass. civ., n. 13242/2007; Cass. civ., n. 23426/2014) ritiene che, affinché la condotta del danneggiato integri la fattispecie prevista dal primo comma dell'art. 1227 c.c., occorre che costituisca una colposa cooperazione attiva per la realizzazione del fatto dannoso, mentre può essere rilevante ai sensi del secondo comma solo quando aggravi un danno già esistente, sicché collegare direttamente la condotta al danno è errato poiché in tal modo viene “saltato” l'accertamento della sua influenza rispetto all'evento che è il necessario presupposto per poter passare all'accertamento del quantum.

Tale pacifico principio è stato recentemente disapplicato da un'altra decisione (Cass. civ., n. 11698/2014) in cui la S.C. ha ritenuto rilevante ai sensi del primo comma dell'art. 1227 c.c. non soltanto la cooperazione attiva del trasportato nella determinazione dell'evento di danno ma anche la mera esposizione volontaria ad un rischio anormale, gratuito e dovuto ad una scelta voluttuaria e gravemente imprudente, poiché anche se l'evento senza la condotta colposa del trasportato si sarebbe comunque verificato, l'accettazione del rischio si pone comunque come antecedente causale del danno perché se, ad esempio, il trasportato non fosse salito su quell'auto accettando il grave rischio di partecipare ad una gara clandestina, l'evento dannoso dallo stesso subito non si sarebbe verificato.

Ma tale unica decisione, non solo si pone in netto contrasto con l'orientamento giurisprudenziale del tutto pacifico ma viene anche criticata dalla decisione in commento che, riportando ordine nella materia, chiarisce come ai fini del primo comma dell'art. 1227 c.c. è necessario che l'accertamento non sia svincolato dall'indagine sulla rilevanza della condotta nella determinazione dell'evento, non potendosi ritenere sufficiente, a tal fine, una condotta di per sé gravemente rischiosa.

Difatti se una tale condotta può costituire un antecedente secondo la teoria condizionalistica non può comunque essere considerata come causa giuridicamente rilevante poiché, a tal fine, è pur sempre necessario che abbia “concorso a cagionare il danno

Osservazioni

Ciò che emerge dalla decisione in commento e dai richiamati precedenti giurisprudenziali è che la mera condotta colposa – infrazione di norme o imprudenza – del trasportato non può comportare, automaticamente, l'imputabilità dell'evento in capo allo stesso e la conseguente esclusione/riduzione del suo risarcimento, essendo necessario, a tal fine, accertare la sua rilevanza causale esclusiva o in termini di cooperazione materiale attiva, nella determinazione dell'evento dannoso.

Occorre quindi che la condotta attiva od omissiva del trasportato abbia materialmente cooperato, ponendosi quale antecedente causale, alla determinazione dell'evento dannoso, risultando altrimenti del tutto irrilevante ai fini dell'attribuzione della responsabilità dell'evento o delle sue conseguenze dannose.

La rilevanza della condotta del trasportato nella determinazione dell'evento dannoso ai sensi del comma 1 dell'art. 1227 c.c. deve essere quindi valutata con riferimento all'evento di danno che da essa è scaturito e non può essere valutata come diretto antecedente del danno in concreto verificatosi poiché solo dopo che si è risolto il giudizio di imputazione è possibile accertare se il danneggiato abbia concorso con una sua condotta negligente ad aumentare le conseguenze lesive dell'evento.

In sostanza ciò che viene implicitamente sottolineato è che l'accertamento della causalità materiale costituisce logico presupposto per poter passare ad accertare la causalità giuridica volta, appunto, a selezionare l'area dei danni risarcibili. Sono quindi due gli accertamenti causali da svolgere: il primo è quello di imputazione dell'evento (legame tra condotta ed evento) ed il secondo è quello di delimitazione del risarcimento (legame tra evento e danno) e tale divisione deve essere rispettata non potendosi saltare il passaggio logico necessario relativo alla valutazione della rilevanza causale della condotta colposa nella determinazione del sinistro dal quale sono poi scaturiti i conseguenti danni.

Precisa la S.C. che, se si ammettesse che il trasportato nell'accettare un rischio, ancorché elevato, ponga automaticamente in atto un antecedente causale dell'evento, senza valutarne l'effettivo e concreto apporto causale, si configurerebbe un'ipotesi di responsabilità di tipo oggettivo che condurrebbe a soluzioni quanto meno opinabili se si pensa che il trasportato, per il solo fatto di aver accettato il rischio, sarebbe responsabile del danno che ha subito anche nell'ipotesi in cui il suo conducente sia esente da qualsivoglia responsabilità e, quindi, a parte la scelta imprudente, la sua condotta non abbia per nulla inciso sulla causazione del sinistro.

Altro aspetto meritevole di annotazione è che, con la prima decisione in commento, la S.C. sembra aver avvallato, seppur in un breve inciso, l'orientamento della giurisprudenza di merito, che conferisce rilevanza all'evidenza esteriore dello stato di alterazione, ritenendo che ove il trasportato avesse potuto accorgersi delle capacità alterate del suo conducente e nonostante ciò abbia comunque accettato il rischio di essere da questo condotto, allora vi sarebbe un concorso nella determinazione dell'evento dannoso che, con l'accettazione consapevole del rischio, sarebbe dovuto anche alla sua improvvida scelta (Trib. Milano, 10 aprile 2009, n. 4972; Trib. Monza, 6 settembre 2000).

Secondo tale orientamento, fino ad ora sostenuto solo dai giudici di merito, è necessario accertare, caso per caso, se lo stato di alterazione fosse evidente e quindi percepibile da parte del trasportato perché, in caso contrario, non si potrebbe parlare di accettazione del rischio e nessuna responsabilità potrebbe essergli imputata.

Ed infatti, in un caso in cui dalle prove orali era emerso che il conducente, il cui stato di ebbrezza alcolica era stato successivamente accertato con gli idonei strumenti, appariva comunque in buone condizioni psicofisiche non destando alcun sospetto di aver assunto bevande alcoliche, è stato negato il concorso colposo del suo trasportato per mancanza del requisito dell'apparenza evidente (Trib. Poggio Mirteto, sez. II, 9 gennaio 2008, n. 306, in Il merito 2008, 9, 36).

La sentenza in commento, motiva ancor più l'irrilevanza della mera accettazione del rischio ad assurgere ad antecedente causale dell'evento di danno, perché il ricorrente non avrebbe dimostrato la consapevolezza da parte del trasportato del superamento del tasso alcolico consentito che indica come prova necessaria per qualificare come colposa la condotta del trasportato.

È necessario quindi che il trasportato, per evitare di essere ritenuto corresponsabile dell'evento cagionato dal suo conducente in stato di ebrezza, e per ciò subire una riduzione del risarcimento, dimostri, non potendosi limitare ad una mera allegazione, che non era possibile percepire che il conducente versasse in stato di alterazione perché non mostrava evidenti segni idonei a rilevare esteriormente la sue inficiate capacità, poiché laddove invece emerga il contrario, l'accettazione consapevole del conseguente rischio potrebbe essere valutata come antecedente dell'evento di danno.

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