L’avviamento quale oggetto del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
05 Ottobre 2017
Massima
In ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è suscettibile di distrazione l'avviamento commerciale dell'azienda se, contestualmente, non sia stata oggetto di disposizione anche l'azienda medesima o quanto meno i fattori aziendali in grado di generare l'avviamento; quest'ultimo, invece, può costituire in ogni caso oggetto autonomo della condotta di distruzione. Il caso
Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte all'imputato, titolare di una impresa individuale, era contestata una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere dissipato somme di denaro e beni, tra cui l'avviamento commerciale dell'impresa; quest'ultimo, in particolare, sarebbe stato distratto in favore di una società di capitali riconducibile soggettivamente allo stesso imputato anche tramite la distrazione di numerosi barattoli di vernice, di rapporti contrattuali con alcuni fornitori nonché di rapporti contrattuali con alcuni lavoratori dipendenti. La questione
Tra le questioni sottoposte all'attenzione della Corte di Cassazione quella che qui maggiormente interessa concerne dunque la nota problematica costituita dalla possibilità di ritenere che l'avviamento commerciale, il quale è definito in termini di modo di essere ovvero di qualità dell'azienda e non quale nuovo bene, ancorché immateriale, di essa, possa costituire ex se oggetto di distrazione. L'analisi prende le mosse dalle non certo infrequenti condotte di natura delittuosa commisurate non tanto dal valore dei singoli beni sottratti alla garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. - sì da quantificare il conseguente danno in termini per così dire statici- quanto finalizzate a depauperare codesta garanzia dell'intero compendio dei beni aziendali in una prospettiva di continuità imprenditoriale e perciò apprezzabili in termini per così dire dinamici. Ad un simile risultato si tende a giungere, solitamente, tramite la costituzione di un nuovo soggetto giuridico cui attribuire, nella sostanza a titolo gratuito, il menzionato compendio di beni aziendali proveniente dal dante causa (così come accade in ipotesi di stipulazione di contratti di cessione d'azienda a prezzo vile, simulato o comunque non corrisposto ovvero tramite la stipulazione di contratti di affitto d'azienda stipulati a canone vile, simulato o non corrisposto) all'evidente fine di proseguire l'attività imprenditoriale al netto delle passività già accumulate, le quali, con ogni probabilità, condurranno al fallimento il soggetto depauperato, ormai non più in grado di far fronte alle proprie obbligazioni. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione nella sentenza qui annotata coglie l'occasione per riassumere e chiarire il proprio orientamento in tema di distrazione dell'avviamento in particolare richiamando, condividendone in toto le conclusioni, quanto statuito da altra sentenza della stessa Corte che aveva esaustivamente approfondito i concetti della rilevanza economica dell'avviamento e della configurabilità della sua distrazione (Cass. Pen., 24 gennaio 2013, n. 3817, in Le Soc., 2013, 428, con nota di Bricchetti, Avviamento e oggetto materiale della bancarotta fraudolenta patrimoniale) e segnatamente osservando quanto segue: 1) l'avviamento commerciale, quale capacità di profitto di un'attività produttiva, ossia quell'attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l'utilizzazione isolata dei singoli elementi che la compongono e, dunque, quale mera qualità dell'azienda, non può costituire oggetto di distrazione indipendentemente dal bene cui è riferito, risultando inscindibile da quest'ultimo bene e non avendo carattere autonomo, pur essendo senza dubbio suscettibile di una propria valutazione economica. Tuttavia, ove l'azienda sia ceduta a fronte di una contropartita che non remuneri adeguatamente il suo avviamento, non v'è ragione per negare che quest'ultimo possa anche da solo rappresentare l'oggetto materiale della distrazione, atteso che la nozione di bene di cui all'art. 216 l. fall., si estende a tutti gli elementi del patrimonio dell'impresa; 2) quanto statuito in argomento da precedenti pronunce della Suprema Corte massimate in effetti in termini antitetici (Cass., 5 ottobre 1982, n. 8598, secondo cui “l'avviamento, i rapporti di lavoro e la tecnologia costituiscono beni economicamente apprezzabili e, come tali, possono essere oggetto di bancarotta per distrazione. Nel concetto di beni, agli effetti dell'art. 216 legge fall., rientrano infatti tutti gli elementi del patrimonio dell'imprenditore, compresi non soltanto i beni suscettibili di utilizzazione immediata, ma anche i beni strumentali e persino quelli futuri” nonché Cass. Pen., 22 marzo 2006, n. 9813, in Il Fall., 2006, 1380, con nota di Iacoviello, Contratti di prestazione professionale e di lavoro: suscettibilità di distrazione; in Cass. Pen., 2006, 3307, con nota di Bellina, Sull'avviamento quale oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta; in Giur. It., 2007, 2309 con nota di Mantovani, Oggetto materiale del reato di bancarotta patrimoniale e Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2008, 947 con nota di Chiaraviglio, Oggetto giuridico o oggetto materiale del delitto di bancarotta patrimoniale: il "problema" dell'avviamento, secondo cui “ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che oggetto di distrazione siano rapporti giuridicamente rilevanti ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l'avviamento commerciale di un'azienda”), darebbe luogo, in realtà, ad un contrasto interpretativo soltanto apparente giacché anche nel caso di specie risolto in occasione della prima pronuncia l'avviamento era stato ritenuto oggetto di distrazione in quanto erano stati ceduti senza adeguato corrispettivo i beni che lo incorporavano; 3) l'impossibilità di configurare una distrazione dell'avviamento prescindendo da atti di disposizione dell'azienda, peraltro, non ne esclude la vocazione a costituire altrimenti l'oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in specie proprio quale oggetto di distruzione e cioè di annullamento del valore economico della cosa, condotta questa cui tra l'altro è aliena, al contrario della distrazione, ogni idea di un vantaggio che il soggetto attivo rechi a sé o ad altri. In proposito si osserva come lo sviamento della clientela e la movimentazione del personale da una società all'altra possano in astratto considerarsi atti di disposizione del patrimonio sociale, dovendosi considerare i rapporti obbligatori sottostanti ai contratti di lavoro con i dipendenti e quelli di fornitura in favore dei clienti, né potendo dubitarsi che la cessione di tali rapporti comporti di fatto la cessione anche dall'avviamento aziendale, il quale necessita di adeguata ed autonoma retribuzione; ne deriva come le eventuali condotte dell'imprenditore tese ad indirizzare i clienti che si rivolgano alla sua azienda verso altra concorrente o ad istigare il personale alla risoluzione volontaria del rapporto di lavoro nella prospettiva di una riassunzione presso una società concorrente possano in concreto tradursi nella distruzione dell'avviamento.
Osservazioni
Le conclusioni appena riassunte cui è giunta la Suprema Corte appaiono condivisibili ed anche l'annullamento con rinvio della pronuncia impugnata proprio nella parte avente ad oggetto la contestazione della distrazione dell'avviamento appare cogliere nel segno. Tale condotta delittuosa, invero, si sarebbe sostanziata nella dissipazione dell'avviamento tramite la distrazione di numerosi barattoli di vernice, di rapporti contrattuali con alcuni fornitori nonché di rapporti contrattuali con alcuni lavoratori dipendenti, e la conseguente valutazione in termini di rilevanza penale di ciò è apparsa in parte erronea ed in parte non congruamente e sufficientemente motivata. Erronea in riferimento ai rapporti con i fornitori giacché essi costituiscono un debito per l'azienda per cui non possono essere considerati suscettibili di una condotta di carattere depauperativo da parte dell'imprenditore; non congruamente motivata in riferimento sia ai rapporti con i lavoratori dipendenti, evidenziandosi un difetto di elementi che potessero delineare azioni di istigazione del personale alla risoluzione volontaria del rapporto di lavoro nella prospettiva di una riassunzione presso la società di capitali riconducibile allo stesso imputato, sia in riferimento alla cessione dei barattoli di vernice, non essendo stato chiarito quale fosse il loro reale valore economico né se, in concreto, fossero stati trasferiti verso un qualche corrispettivo. Si è detto come le contestazioni mosse all'imputato discendano, in effetti, dalla insidiosa condotta di questi delineatasi quale tentativo di proseguire l'attività imprenditoriale, nell'ambito di una precisa contiguità aziendale, con diverso soggetto giuridico ed al precipuo, se non esclusivo, vantaggio di quest'ultimo. In proposito, nell'ipotesi in cui il soggetto depauperato fosse una società (diversamente da quanto accaduto nel caso di specie sottoposto all'analisi della sentenza qui annotata, ove si trattava di una impresa individuale), residuerebbe la necessità di valutare anche se simili accadimenti, ove concretamente tradottisi in azioni di sviamento della clientela e svuotamento dell'azienda, giungano a costituire, come ben possibile, causa del dissesto o del suo aggravamento sì da integrare quelle operazioni dolose atte a cagionare il fallimento della società di cui al reato di bancarotta societaria disciplinato dall'art. 223, comma 2 n. 2) l. fall., il quale non trova applicazione in ipotesi di fallimento dell'imprenditore individuale. Quest'ultima norma, infatti, è contenuta nel capo II del titolo VI della legge fallimentare rubricato “Reati commessi da persone diverse dal fallito” né rinvenendosi analoga disposizione nel precedente capo I rubricato “Reati commessi dal fallito”. |