Lavoratrice-madre: dimissioni indotte e giusta causa

06 Aprile 2017

Scaduto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, una lavoratrice-madre comunica al datore di lavoro, con meno di 15 dipendenti, la volontà di riprendere l'attività lavorativa. Questi, però, aveva ritenuto pretestuosa la gravidanza a rischio e, pertanto, le suggeriva di fruire del periodo di astensione facoltativa e, in secondo luogo, di accordarsi per la risoluzione consensuale del rapporto (il tutto documentato con registrazioni audio e messaggi). La lavoratrice si sente male e rimane a casa, in malattia. La condotta del datore può essere vista come discriminatoria o come ritorsiva? Può essere foriera di danni? Possono essere consigliate le dimissioni per giusta causa?

Scaduto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, una lavoratrice-madre comunica al datore di lavoro, con meno di 15 dipendenti, la volontà di riprendere l'attività lavorativa. Questi, però, aveva ritenuto pretestuosa la gravidanza a rischio e, pertanto, le suggeriva di fruire del periodo di astensione facoltativa e, in secondo luogo, di accordarsi per la risoluzione consensuale del rapporto (il tutto documentato con registrazioni audio e messaggi). La lavoratrice si sente male e rimane a casa, in malattia. La condotta del datore può essere vista come discriminatoria o come ritorsiva? Può essere foriera di danni? Possono essere consigliate le dimissioni per giusta causa?

In forza di quanto disposto nel D.Lgs. n. 151/2001, recte artt. 16 e 54, per la lavoratrice-madre è previsto un periodo di astensione obbligatoria dall'attività lavorativa, il quale può essere anticipato per gravidanza a rischio, nei limiti fissati nell'art. 17 del suddetto decreto. Il licenziamento durante il periodo di gestazione, e fino al compimento di un anno del bambino, è illegittimo, prevedendosi la tutela reale anche qualora il datore abbia un numero di dipendenti inferiore a 15, ex art. 9, D.Lgs. n. 23/2015. Le condotte descritte potrebbero giustificare le dimissioni ex art. 2119 c.c., avendo così diritto all'indennità di mancato preavviso e alla NASPI. Sussistenti i requisiti fissati dalla giurisprudenza, può configurarsi anche un caso di mobbing, per il quale è possibile richiedere un risarcimento del danno non patrimoniale. Consiglio di non protrarre la malattia oltre il periodo di comporto, in quanto fonderebbe un legittimo licenziamento. In merito: Cass. n. 11051/2015, n. 5749/2008, n. 799/2017.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.