Atti discriminatori: tutela giurisdizionale
15 Settembre 2014
L'art. 15 dello Statuto dei Lavoratori dispone la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a perseguire fini di discriminazione sindacale, politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso. Il successivo art. 16 vieta la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi analogo carattere discriminatorio. Quali sono le tutele giurisdizionali previste nel nostro ordinamento contro gli atti discriminatori?
Contro gli atti discriminatori sono previste particolari tutele giurisdizionali, concernenti il tentativo di conciliazione, l'onere della prova ed i poteri del giudice. Chi intende agire in giudizio per il riconoscimento della sussistenza di una discriminazione e non vuole avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, può promuovere un tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 410 c.p.c. (art. 4,, c. 2, D.Lgs. n. 215/2003 e art. 4, c. 3, D.Lgs. n. 216/2003). Il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio elementi di fatto, anche a carattere statistico, che rilevino in quanto gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuterà ai sensi dell'art. 2729, c. 1, c.c. (art. 4, c. 3, D.Lgs. n. 215/2003 e art. 4, c. 4, D.Lgs. n. 216/2003).
Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Inoltre, al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate (art. 4, c. 4, D.Lgs. n. 215/2003 e art. 4, c. 5, D.Lgs. n. 216/2003). I provvedimenti di accoglimento della domanda sono immediatamente esecutivi. |