Rovina e difetti di cose immobili: responsabilità contrattuale o extracontrattuale? Una voce fuori dal coro

Enrico Basso
13 Ottobre 2017

L'acquirente di un'unità immobiliare può esercitare l'azione disciplinata dall'art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore-venditore solo in relazione a danni causati da vizi e difetti dell'immobile acquistato.
Massima

L'acquirente di un'unità immobiliare può esercitare l'azione disciplinata dall'art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore-venditore solo in relazione a danni causati da vizi e difetti dell'immobile acquistato e non anche da vizi e difetti riscontrabili in altre unità immobiliari limitrofe realizzate dal medesimo costruttore.

Il caso

Tizio acquista un appartamento facente parte di un complesso realizzato dal costruttore Alfa Srl, ma, poco tempo dopo la consegna, iniziano a manifestarsi infiltrazioni di acqua dal soffitto.

Per verificare le cause delle infiltrazioni, Tizio propone ricorso per accertamento tecnico preventivo avanti al Giudice di Pace e, dalla relazione del perito d'ufficio, emerge che le infiltrazioni sono causate da vizi e difetti di costruzione presenti nel sovrastante appartamento di Mevio.

Tizio, allora, decide di chiedere il risarcimento dei danni subiti citando in giudizio Alfa Srl, ritenendola responsabile ai sensi dell'art. 1669 c.c.

Il Giudice di Pace di Rimini, con sentenza n. 752 del 25 agosto 2014, accoglie la domanda e condanna Alfa Srl al risarcimento dei danni, ma questa propone appello e il Tribunale di Rimini, con la sentenza in commento, riforma la sentenza del Giudice di Pace, rigettando la domanda risarcitoria di Tizio.

La questione

L'acquirente di un immobile può agire ai sensi dell'art. 1669 c.c. contro il venditore/costruttore, quando i vizi e i difetti di costruzione che hanno causato il danno si sono manifestati in un immobile limitrofo, costruito dallo stesso soggetto ma acquistato da un soggetto terzo?

Le soluzioni giuridiche

Si premette che, in questo breve commento, ci si limiterà ad affrontare il tema su cui il Tribunale di Rimini ha preso (ancorché in modo non molto esplicito) una posizione insolita e “controcorrente”: cioè quale sia la natura della responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili.

Orbene, l'art. 1669 c.c. stabilisce che «quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».

La norma, collocata nel capo VII (“dell'appalto”) del titolo III (“dei singoli contratti”) del libro IV (“delle obbligazioni”), lascerebbe supporre che il legislatore abbia inteso definire una specifica ipotesi di responsabilità contrattuale dell'appaltatore; tuttavia, la giurisprudenza - sia di legittimità che di merito – è sostanzialmente univoca, da diverso tempo, nel ritenere che la responsabilità per rovina e/o gravi difetti dell'opera ex art. 1669 c.c.rivesta natura extracontrattuale, in quanto preposta a garantire interessi di carattere generale e inderogabili che superano i confini dei rapporti negoziali inter partes, quali l'interesse generale alla stabilità e alla solidità delle costruzioni e quello all'incolumità e alla sicurezza dei cittadini. (cfr. ex multis Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2016, n. 4319; Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2008, n. 2313; Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1748; Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2002, n. 13158; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2002, n. 4622; Cass. civ., Sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13003). In questa prospettiva, l'art. 1669 c.c. verrebbe a delineare un fatto illecito nel quale il contratto d'appalto rileva solo come fatto giuridico/presupposto e non per la volontarietà degli effetti negoziali suoi propri (cfr. FRANZONI, Trattato della responsabilità civile – L'illecito, Milano 2004, p. 499).

Non è sempre stato così: alla fine degli anni '50, la Cassazione intravedeva nell'art. 1669 c.c. una causa mista, affermando che «la speciale responsabilità dell'appaltatore prevista dall'art. 1669 c.c., se, da un lato, ha carattere contrattuale perché ha per presupposto necessario un contratto, dall'altro ha scopi che trascendono i limiti del contratto e rispondono ad esigenze di interesse pubblico a tutela della incolumità personale dei cittadini» (Cass. civ., 25 febbraio 1959, n. 538). Successivamente, parte della giurisprudenza ha sviluppato questo concetto, arrivando coerentemente a concludere che doveva trattarsi di responsabilità extracontrattuale (es. Cass. civ., 18 agosto 1981, n. 4936; Cass. civ., 18 ottobre 1983, n. 6122), essendo l'illecito aquiliano -e non quello da inadempimento- lo strumento deputato al presidio delle situazioni giuridiche tutelate erga omnes. Nondimeno, si è assistito a pronunce contrastanti fino a tutti gli anni '80, non essendo mancate sentenze che hanno ravvisato nell'art. 1669 c.c. un'ipotesi di responsabilità contrattuale propria dell'appaltatore (es. Cass. civ., 3 dicembre 1981, n. 6406; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1948).

Per contro, la dottrina maggioritaria si è attestata su posizioni di segno contrario, ravvisando nell'art. 1669 c.c. una forma di responsabilità contrattuale, volta a proteggere l'interesse del committente/acquirente a che gli immobili vengano costruiti a regola d'arte e non siano soggetti a rovina (cfr. BOTTARELLI, la natura giuridica della responsabilità decennale dell'appaltatore ex art. 1669 c.c., in PLURIS, il quale cita, quali alfieri dell'orientamento dottrinario in questione, CAGNASSO, Appalto nel diritto privato, in Digesto comm., I, Torino, 1987, 174; CARULLO E IUDICA, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2009, 126; CATRICALÀ, La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, VII, Milano, 2005, 4892; CERVALE, La responsabilità dell'appaltatore, Milano, 1999, 212; CIANFLONE E GIOVANNINI, L'appalto di opere pubbliche, 11a ed., Milano, 2003, 1141; GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 2, 3a ed., Padova, 1999, 67; GIANNATTASIO, L'appalto, in Tratt. Cicu e Messineo, XXIV, 2, 2a ed., Milano, 1977, 226; LAPERTOSA, Responsabilità e garanzia nell'appalto privato, in Appalto pubblico e privato, problemi e giurisprudenza attuali, Padova, 1997, 41; MUSOLINO, La responsabilità nell'appalto immobiliare, in L'appalto pubblico e privato, III, Torino, 2002, 182 ss.; D. RUBINO, L'appalto, in Tratt. Vassalli, VII, 3, 4a ed., Torino, 1980, 582; RUBINO SAMMARTANO, Appalti di opere e contratti di servizi, Padova 1996, 453 e 458; SOLLAI, in Codice dell'appalto privato, a cura di Luminoso, Milano, 2010, 635636).

Varie le ragioni espresse dagli autori citati in favore della tesi contrattuale: la collocazione della norma nel titolo dedicato ai singoli contratti e non in quello relativo alla responsabilità da fatto illecito; il fatto che i confini posti all'efficacia della responsabilità decennale sembrerebbero contrastare con l'eventuale tutela di un interesse pubblico; la specifica previsione della legittimazione dell'avente causa del committente ad esperire l'azione ex art. 1669 c.c. (che costituirebbe un'eccezione alla regola generale secondo cui una responsabilità derivante da contratto riguarderebbe solamente le parti negoziali e della quale non vi sarebbe stato alcun bisogno, se si fosse trattato di responsabilità aquiliana).

Appaiono evidenti le conseguenze pratiche dell'adesione all'uno o all'altro orientamento, non solo in punto di prescrizione e onere della prova, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la legittimazione attiva e passiva.

Una ricostruzione dell'istituto in termini di responsabilità extracontrattuale implica necessariamente l'applicazione del principio generale del neminem laedere e, conseguentemente, l'estensione della legittimazione attiva, oltre che ai soggetti espressamente indicati dall'art. 1669 c.c. (committente e suoi aventi causa), anche a chiunque lamenti essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa (cfr. Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 2005, n. 1748). Sul fronte della legittimazione passiva, la tesi extracontrattuale determina la possibilità per il danneggiato di agire non solo nei confronti dell'appaltatore (unico responsabile indicato dall'art. 1669 c.c.), ma anche nei confronti del venditore dell'immobile, quando questi, come nel caso di specie, abbia costruito l'immobile sotto la propria responsabilità, assumendosi, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell'opera (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2238; Cass. civ. sez. II, 31 marzo 2006, n. 7634).

Viceversa, la tesi contrattuale consentirebbe l'esercizio dell'azione soltanto al committente e ai suoi aventi causa e soltanto nei confronti di chi possa essere qualificato come appaltatore in senso proprio.

Osservazioni

Il Tribunale di Rimini, pur non ritenendo del tutto attendibili le conclusioni raggiunte dal CTU in sede di ATP («le risultanze della espletata CTU non consentono di individuare le cause delle infiltrazioni da ultimo menzionate, essendosi l'ausiliare limitato a formulare ipotesi traenti origine da informazioni assunte senza l'osservanza delle prescrizioni in tema di prova testimoniale»), non sembra porre in dubbio, sulla scorta delle allegazioni dell'acquirente, che le «infiltrazioni siano state causate da difetti presenti in altro appartamento, soprastante all'unità immobiliare che qui interessa, di proprietà di altro soggetto».

Di conseguenza, affermando che «l'acquirente di una unità immobiliare può esercitare l'azione disciplinata dall'art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore-venditore solo in relazione a danni conseguenti a vizi e difetti presenti nell'immobile acquistato e non a danni causati da difetti riscontrabili in altre unità immobiliari, anche se realizzate dal medesimo costruttore», la sentenza in commento pare collocarsi sul solco della tesi contrattuale, sostenuta dalla giurisprudenza più datata e dalla dottrina. Infatti, come si è visto, in presenza di illecito aquiliano, anche l'acquirente di un immobile diverso da quello ove si sono manifestati i gravi difetti potrebbe agire contro il venditore costruttore, purché dimostri un adeguato nesso causale tra i difetti e il danno subito.

Tuttavia, chi scrive nutre alcune perplessità sulla consapevolezza del Tribunale di Rimini nell'operare questa scelta di campo: infatti, il Giudice estensore sembra dar per scontato che l'azione prevista dalla norma in commento sia esperibile anche nei confronti del costruttore venditore, ancorché siffatta estensione della legittimazione passiva sia compatibile soltanto con la ricostruzione della fattispecie in termini di illecito aquiliano.

Va detto, per onestà intellettuale, che certa dottrina, pur riconoscendo la natura extracontrattuale della responsabilità ex art. 1669 c.c., ne ha individuato un carattere distintivo, ad esempio rispetto all'art. 2053 c.c., proprio nel fatto che la legittimazione attiva spetterebbe solo al committente e ai suoi aventi causa e non al terzo estraneo (v. FRANZONI, cit., il quale rimanda a GERI, La responsabilità civile da cose in custodia, animali e rovina di edificio, Milano 1974). La tesi, però, non convince e, comunque, non sembra avere ispirato la sentenza in commento, che ci sembra destinata a restare isolata e assolutamente minoritaria.

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