Codice Civile art. 2053 - Rovina di edificio.InquadramentoLa responsabilità per danni da rovina di edificio, disciplinata dall'art. 2053 c.c., costituisce ipotesi di specie rispetto alla responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c. (sul punto la dottrina è unanime, come pure la giurisprudenza: v. p. es. Cass. n. 19975/2005, Danno e resp., 2006, 995, con nota di Laghezza, Responsabilità per rovina di edificio e uso anomalo del bene). E cioè, La responsabilità per rovina di edificio ex art. 2053 c.c. - il cui carattere di specialità rispetto a quella ex art. 2051 c.c. deriva dall'essere posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento in base al criterio formale del titolo, non essendo sufficiente il mero potere d'uso della res" - ha natura oggettiva e può essere esclusa solo dalla dimostrazione che i danni provocati dalla rovina non sono riconducibili a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, ancorché non imprevedibile ed inevitabile (Cass. III, n. 9694/2020). La norma, cioè, integra un'ipotesi particolare di danno da cose in custodia che impedisce l'applicazione dell'art. 2051 c.c. per il principio di specialità (Cass. n. 1002/2010). In entrambi i casi, ad un dipresso, è la cosa stessa a produrre il danno, non tanto la condotta colposa del custode (nel caso dell'art. 2051 c.c.) o del proprietario (nel caso dell'art. 2053 c.c.), che pure può esservi. Nell'ipotesi dell'art. 2051 c.c. si trova perciò tralaticiamente ribadito che il danno da cose in custodia è quello cagionato dal dinamismo connaturale del bene o dovuto all'insorgenza in esso di un patologico processo dannoso. Nell'ipotesi dell'art. 2053 c.c. si usa non dissimilmente ripetere che la responsabilità sussiste per i danni prodotti dall'azione dinamica dovuta alla disgregazione — questa la parola chiave — della cosa (Cass. n. 11053/2008). Rovina di edificio, insomma, è il crollo della cosa che, non ben costruita o abbandonata a se stessa, si disgrega ed implode su di sé. Qui occorre però subito una precisazione di ordine, per così dire, quantitativo. La nozione di rovina di edificio si è andata nel corso del tempo via via dilatando: alla fattispecie viene in assai numerose pronunce ricondotto non soltanto il crollo totale e parziale, ma anche la caduta o distacco di semplici accessori aventi finalità ornamentali come cartelli, insegne pubblicitarie e lampioni. E ciò da tempi ormai remoti, come per la caduta di una tegola (Cass. n. 1956/1952). In passato, invece, si diceva, in riferimento alla previgente disposizione dettata dall'art. 1155 c.c. del 1865, essere «evidente che l'art. 1155 non è applicabile, quando non trattasi di rovina di un edificio, ma della caduta di qualche materiale, come ad es. tegole, ardesie» (Pacifici-Mazzoni, 381). Nell'assetto giurisprudenziale, insomma, la linea di demarcazione tra l'ambito di operatività dell'art. 2051 c.c. (danni da cose in custodia) e dell'art. 2053 c.c. (rovina di edificio) va per questo aspetto progressivamente assottigliandosi. Natura della responsabilitàBuona parte della dottrina ritiene che anche l'art. 2053 c.c., come l'art. 2051 c.c., ponga un'ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa (Salvi, 1229; Franzoni, 636; e già De Cupis, 1971, 97). L'opinione prevalente in dottrina si fonda sulla considerazione che, alla luce del dato normativo, la responsabilità del proprietario scatta non soltanto se egli sia in colpa per non aver fatto quanto avrebbero consigliato diligenza, prudenza e perizia, ma anche qualora non abbia alcuna colpa del crollo, ove non sia stata fornita la prevista prova liberatoria. Un'antica dottrina fa l'esempio del crollo provocato da infiltrazioni provenienti dal sottosuolo che «non erano accertabili nemmeno in base alla più scrupolosa delle indagini» (De Cupis, 1959, 72): in simili frangenti non è evidentemente possibile formulare alcun addebito di colpa al proprietario, il quale tuttavia risponde per il fatto in sé considerato che la cosa di sua proprietà ha arrecato danni a terzi, e, dunque, sulla base del mero nesso di causalità. Secondo altri non si tratterebbe di responsabilità oggettiva, bensì di responsabilità per colpa, la quale verrebbe ravvisata nella omessa manutenzione della cosa propria da parte del proprietario (per tutti Comporti, 92). Soluzione, quest'ultima, probabilmente radicata nella tradizione formatasi nel vigore previgente art. 1155 c.c. del 1865, che poneva a carico del danneggiato l'onere di dimostrare che la rovina derivava da un vizio di costruzione o da un difetto di manutenzione. Non manca poi l'opinione secondo cui i due casi del vizio di costruzione e del difetto di manutenzione andrebbero tenuto separati: l'uno responsabilità oggettiva, l'altro presunzione di colpa (Bianca, 764). Le difformi opinioni della dottrina si riscontrano anche nella giurisprudenza. Mentre il danno da cose in custodia viene inquadrato dalla S.C. nell'ambito della responsabilità oggettiva, basata cioè sulla sola sussistenza del nesso di causalità, e non della presunzione di colpa (Cass. S.U., n. 12019/1991, e soprattutto Cass. n. 5031/1998, sulla cui scia si è collocata la giurisprudenza successiva: si rinvia in proposito al commento all'art. 2051 c.c.), il danno da rovina di edificio è qualificato dalla SC, secondo l'orientamento che parrebbe tuttora almeno numericamente prevalente, quantunque tendenzialmente recessivo, come ipotesi di colpa presunta (Cass. n. 2481/2009; Cass. n. 19975/2005; Cass. n. 5127/2004; Cass. n. 5767/1998; Cass. n. 6938/1988). La ragione, nell'ottica dei giudici, si può semplificare così: è vero che, in caso di rovina di edificio, il danno è prodotta dalla cosa, ma il proprietario risponde in definitiva per non aver fatto quanto doveva: perché — cioè — non ha posto rimedio al vizio di costruzione o non ha provveduto alla necessaria manutenzione. Ciò che viene sanzionato è quindi un comportamento colposo. Tende a manifestarsi, tuttavia, nella giurisprudenza più recente, la ricostruzione della responsabilità da rovina di edificio come responsabilità oggettiva (Cass. n. 3385/2005; Cass. n. 1002/2010), il che si inquadra in un complessivo atteggiamento oggettivista, già ampiamente manifestatosi con riguardo all'art. 2051 c.c., che, si può supporre, è motivato dall'intento di dar vita ad un assetto maggiormente protettivo nei riguardi del danneggiato. Le ragioni dell'inquadramento non sono tuttavia perfettamente esplicitate, giacché, ad esempio, nell'ultima pronuncia citata si legge soltanto che «si tratta di un'ipotesi... non di presunzione di colpa..., ma di presunzione di responsabilità (e quindi di responsabilità oggettiva)». Neppure sembra risolutiva l'affermazione secondo cui la responsabilità per danni ex art. 2053 c.c. ha natura oggettiva in quanto si fonda sul «mero rapporto di custodia e cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere sulla stessa» (Cass. n. 2248/2006): ed anzi, il richiamo alla nozione di custodia non è pertinente, giacché il criterio di imputazione previsto dalla norma è l'appartenenza dell'edificio ad un soggetto, ossia la proprietà, in contrapposizione alla situazione di fatto sulla base della quale si individua il presupposto per l'applicazione dell'articolo 2051 c.c. (Franzoni, 624; Salvi, 1230). La prova liberatoriaSul piano della formulazione letterale della norma, la prova liberatoria posta a carico del proprietario ha ad oggetto non il caso fortuito, parallelamente a quanto previsto dall'art. 2051 c.c., bensì la non riconducibilità della rovina «a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione». Ma, come tra breve si dirà, tale formulazione è fatta oggetto di una lettura ampia, sostanzialmente equiparata a quella affermatasi in riferimento all'art. 2051 c.c. Ciò detto, le posizioni dottrinali in tema di prova liberatoria riflettono il punto di vista adottato riguardo al problema della natura della responsabilità per rovina di edificio: e cioè, coloro i quali ne fanno un'ipotesi di responsabilità oggettiva, dunque fondata sulla sussistenza del mero nesso di causalità tra la cosa ed il danno, ritengono che la prova liberatoria debba avere ad oggetto la recisione del nesso di causalità, per effetto dell'intervento di un agente esterno da solo idoneo a provocare il danno (Franzoni, 633); coloro i quali riconducono la responsabilità di cui all'art. 2053 c.c. all'ambito della responsabilità per colpa, ritengono che la prova liberatoria debba mirare a dimostrare che il proprietario ha fatto quanto nelle sue possibilità per evitare il danno, alla stregua di un parametro di normale diligenza. L'atteggiamento della giurisprudenza, quantunque non perfettamente conseguente, è viceversa maggiormente uniforme. La diversa configurazione della responsabilità per danni da cose in custodia — responsabilità presunta secondo l'orientamento che si è detto sembrare prevalente, responsabilità oggettiva secondo l'orientamento più recente — dovrebbe avere logiche ricadute sull'aspetto fondamentale: quello della prova liberatoria. Una volta sostenuto che l'art. 2053 c.c. pone una presunzione di colpa, sarebbe cioè lecito attendersi che la giurisprudenza ammetta il proprietario a liberarsi della responsabilità mediante la prova di non essere stato in colpa e, dunque, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ma non è così. È difatti comunemente ritenuto dalla S.C. che la responsabilità del proprietario sia esclusa, oltre che dalla specifica prova normativamente prevista, anche e soltanto, più in generale, dalla prova del fortuito, ovvero di un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato (Cass. n. 19974/2005; Cass. n. 19975/2005; Cass. n. 12251/1998; Cass. n. 5663/1978). La responsabilità posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento dall'art. 2053 c.c., può dunque essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni cagionati dalla rovina dell'edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità. (Cass. n. 1002/2010; Cass. n. 11053/2008; Cass. n. 16231/2005). Benché la norma non ne faccia menzione, insomma, ai fini dell'esonero del proprietario dalla responsabilità è consentita anche la prova del caso fortuito, ovvero di un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, ivi compreso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Tale esimente, che, in quanto comune ad ogni forma di responsabilità assume portata generale, si pone sul medesimo piano ed in rapporto di alternatività con quella speciale prevista dall'art. 2051 c.c., potendo configurarsi il caso fortuito tanto in negativo, quale assenza del difetto di costruzione o manutenzione, quanto in positivo, quale evento imprevedibile ed inevitabile, dotato di una sua propria ed esclusiva autonomia causale (Cass. n. 16231/2005; Cass. n. 19974/2005; Cass. n. 12251/1997). Il fortuito, in particolare, può essere anche l'effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito (Cass. n. 6640/1998; Cass. n. 2737/1988). Il concorso di colpa del danneggiatoPosto che non sussiste incompatibilità tra la responsabilità oggettiva del proprietario di edificio per il danno causato dalla rovina (anche parziale) dello stesso ed il concorso del fatto colposo del danneggiato (ai fini della cui configurazione è sufficiente la mera colpa generica, non occorrendo necessariamente la violazione di un obbligo giuridico), nel caso in cui, a seguito di valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito, rimanga accertato che nella produzione dell'evento dannoso abbiano concorso le due cause, il suddetto giudice deve ridurre la misura del risarcimento, secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate (Cass. n. 1002/2010). L'«edificio»Si intende per «edificio» qualunque opera umana, artificiale o naturale, connessa al suolo anche in via provvisoria, nonché qualsiasi singola parte incorporata materialmente e stabilmente alla cosa principale, tale da costituirne parte integrante, indipendentemente dal materiale della costruzione, muratura, pietra, sassi (Franzoni, 629), sempre che si tratti di costruzione sporgente dal suolo, sicché la norma non è applicabile al crollo o ai cedimenti della pavimentazione stradale (Bussani, 587). Si ritiene altresì che l'«edificio» possa essere considerato tale in quanto dotato di una sua attuale funzionalità, sicché non è «edificio», per i fini dell'applicazione della norma in discorso, il rudere ormai ridotto a cumulo di macerie (Franzoni, 629). Il dato giurisprudenziale ha fatto applicazione della norma in fattispecie a volte opinabili, tanto più nell'attuale contesto, una volta che il danno da cose in custodia è stato ricostruito in termini di responsabilità oggettiva (se non altro, in giurisprudenza, dal versante della prova liberatoria), sicché il ricorso all'art. 2053 c.c. non sembra offrire al danneggiato maggiori strumenti di tutela di quanti non ne fornisca l'art. 2051 c.c.. Sono stati qualificati come «edificio o altra costruzione», per i fini dell'applicazione della norma in commento: i gradini di una scalinata, deterioratisi, su cui la danneggiata era caduta (Trib. L'Aquila, 24 ottobre 2011); un pontile (Trib. Milano 23 marzo 1968, in Arch. resp. civ., 1969, 933); la rete metallica di chiusura di un l'ingresso ad un cantiere (App. Roma 19 maggio 1958, in Giust. civ. Rep., 1959, Resp. civ., 376); il muro di contenimento eretto lungo una strada (Cass. n. 1406/1967) e parimenti il muro di contenimento tra fondi a dislivello (Cass. n. 3907/1977); la tribuna di uno stadio (App. Firenze 3 aprile 1963, in Resp. civ., 1963, 205); una canna fumaria (Trib. Nola 22 luglio 2010); un tabellone pubblicitario ancorato ad una costruzione (Pret. Taranto 15 marzo 1977, in Giur. it., 1978, I, 2, 296); una grata sconnessa posta sul marciapiede al servizio di un edificio, nella quale l'attrice era inciampata (Cass. n. 23939/2009); un cancello metallico di un albergo che era fuoriuscito dai binari ed aveva travolto un bambino (Cass. n. 2481/2009); una tubazione dell'acquedotto comunale (Cass. n. 11053/2008); una lastra di marmo, che costituiva il pavimento di un terrazzo su cui il danneggiato era saltato e che si era rotta, cosicché egli era precipitato (Cass. n. 1002/2010); un frammento di marmo staccatosi da un balcone al passaggio di un'asta che una ditta di installazioni stava issando dall'esterno dell'edificio (Trib. Milano 28 febbraio 2006). Si è inoltre già accennato all'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'art. 2053 c.c. per il fatto che nella nozione di «edificio» viene ricompreso qualsiasi manufatto, quantunque assessorio, purché incorporato nella costruzione. E così, ad esempio, le saracinesche incorporate in un edificio (Cass. n. 4064/1978), i vetri delle finestre (Trib. Roma 30 novembre 1967, in Giur. it., 1968, I, 2, 436; Trib. Roma 30 novembre 1970, in Resp civ., 1971, 654), i cornicioni (Cass. n. 2509/1970); le condutture idriche incorporate nell'edificio (Cass. n. 5868/1984; Cass. n. 12251/1997); le tegole Cass. 1956/1952); l'imposta di una finestra (Cass. n. 2975/1978). La «rovina»Il concetto di «rovina» è strettamente collegato a quello di «edificio», sicché l'identificazione dell'uno comporta una notevole influenza nella specificazione dell'altro. L'ampliamento della nozione di «edificio», di cui si è poc'anzi dato conto, si riflette pertanto sulla analoga dilatazione della nozione di «rovina», che viene intesa non solo nel crollo dell'intera costruzione dovuta ad una disgregazione delle sue strutture portanti, ma anche la caduta o il distacco di semplici accessori aventi finalità ornamentali come i cartelli, le insegne pubblicitarie, i lampioni (Franzoni, 630). Si pone correttamente in evidenza come in tal modo si sia enormemente ridotta la differenza tra la responsabilità per il danno da cose in custodia e la responsabilità per il danno da rovina di edifici, giacché si ammette il risarcimento ricorrendo indifferentemente all'una o all'altra figura (Franzoni, 631). In effetti anche la SC ripete che, in tema di responsabilità del proprietario per danni derivanti, ex art. 2053 c.c., da rovina dell'edificio, va considerata tale ogni disgregrazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati (Cass. n. 23939/2009; Cass. n. 7755/2007; Cass. n. 8876/1998). È «rovina», dunque, considerata in senso ampio, ogni disgregazione sia pur parziale dell'«edificio», inteso nel senso prima ricordato. Si giunge per questa via a soluzioni tecnicamente dubbie, come nel caso dell'applicazione della responsabilità per rovina di edificio in caso di rottura di tubazioni dell'impianto idrico (Cass. n. 5868/1984). Al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2053 c.c. si collocano i danni subiti dal proprietario per effetto della demolizione di una costruzione collocata in aderenza o in appoggio, dal momento che, in tal caso, il danno deriva non già dalla cosa, bensì dalla condotta dell'uomo nell'esercizio della menzionata attività (Cass. n. 5078/1986). Legittimazione passivaDei danni cagionati dalla rovina di edificio o di altra costruzione risponde il proprietario. Su tale premessa è stata sostenuta in dottrina la tesi secondo cui l'art. 2053 c.c. porrebbe a carico del proprietario un'obbligazione propter rem (Mazza, 67). Si è tuttavia obiettato che la responsabilità si ricollega alla proprietà dell'«edificio» al momento del sinistro, essendo indifferenti i trasferimenti della proprietà del bene successivamente intervenuti (Rovelli, 433), secondo quanto affermato anche dalla giurisprudenza della S.C. (Cass. n. 1924/1966), con ulteriore conseguenza che non è responsabile il promittente acquirente, non essendo proprietario fino al momento della conclusione del contratto definitivo, mentre lo è l'acquirente con patto di riservato dominio giacché su di lui gravano i rischi inerenti alla cosa dal momento della consegna ai sensi dell'art. 1523 c.c. (Franzoni 625, il quale richiama Geri, 294). In altre parole l'azione risarcitoria spiegata ai sensi dell'art. 2053 c.c. non è un'azione reale, ma un'azione evidentemente personale, di guisa che la legittimazione passiva al risarcimento del danno non si trasmette con il trasferimento della cosa: e dunque non si tratta di obbligazione propter rem. A differenza di quanto prevede l'art. 2054, comma 3, c.c., il quale equipara il proprietario, l'usufruttuario e l'acquirente con patto di riservato dominio, la norma in commento si riferisce, come si è visto, soltanto il proprietario, sicché si pone la questione se, in caso di «edificio» dato in usufrutto, essa debba essere applicata al nudo proprietario ovvero all'usufruttuario. La soluzione più coerente con la logica della responsabilità aquiliana, che favorisce il risarcimento mediante la previsione della solidarietà tra coimplicati, attraverso l'art. 2055 c.c., per un evidente fine di garanzia del danneggiato, sembra essere quella di ritenere la responsabilità solidale dell'uno e dell'altro, il secondo quale custode della cosa (Franzoni, 627). Allo stesso modo si ritiene debba essere trattata non soltanto la posizione dell'usuario e del titolare del diritto di abitazione (Franzoni, 628), ma anche quella del concedente in leasing, chiamato a rispondere in solido con l'utilizzatore, anch'egli quale custode della cosa. Secondo altro indirizzo risponderebbe in esclusiva l'usufruttuario, e non il nudo proprietario, giacché spetta a quest'ultimo la custodia della cosa ai sensi dell'art. 1004 c.c. (Pugliese, 475). Ma può gettarsi che tale costruzione è coerente con la costruzione della responsabilità per rovina di edificio quale responsabilità per colpa, mentre si è visto che essa è oggi prevalentemente intesa quale responsabilità oggettiva. Ovviamente, nell'ipotesi di «edificio» in comunione o condominio, risponderanno del danno tutti i comunisti o condomini, in proporzione delle singole quote di comproprietà (Geri, 291). Anche la pubblica amministrazione risponde ex art. 2053 c.c. qualora la rovina abbia interessato un edificio di sua proprietà (Geri, 299). Anche in giurisprudenza è stata affermata la responsabilità solidale tra usufruttuario e nudo proprietario ai sensi dell'art. 2055 c.c. da ripartirsi secondo le rispettive posizioni, l'uno quale custode, l'altro in quanto proprietario della cosa (Cass. n. 1533/1957). È stato anche chiarito che non è responsabile il promittente acquirente (Cass. n. 360/1965), e che, nel caso di sinistro verificatosi dopo la morte del proprietario e prima dell'accettazione dell'eredità da parte del chiamato, la successiva accettazione da parte sua, operando retroattivamente, comporta la responsabilità dell'erede per la già verificatasi rovina di edificio (Cass. n. 2987/1954). Parimenti la responsabilità del proprietario del proprietario permane anche nel caso in cui l'immobile sia stato successivamente al sinistro requisito o sottoposto a sequestro (Cass. n. 2401/1953). Anche per la SC la norma si applica alla pubblica amministrazione, senza che la responsabilità per rovina di edificio venga meno qualora essa, nell'esercizio di poteri discrezionali, abbia dismesso ogni sua ingerenza sul bene, dato che la tutela del diritto del terzo danneggiato non dipende in alcun modo dalla valutazione degli effetti dell'atto di concessione (Cass. n. 1638/1970). La responsabilità in caso di «edificio» concesso in locazioneQuanto alla responsabilità per danni da cose in custodia nel caso che la cosa sia stata concessa in locazione, è noto, in proposito, l'orientamento giurisprudenziale che distingue tra impianti conglobati nelle strutture murarie ed altri impianti. Il principio è che il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (come cornicioni, tetti, tubature idriche), su cui il conduttore non ha il potere-dovere di intervenire, è responsabile, in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed impianti (salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della situazione di pericolo). Con riguardo invece alle altre parti ed accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri (come i servizi dell'appartamento, ovvero, in riferimento al caso esaminato, le piante di un giardino), la responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni del citato art. 2051 c.c., grava soltanto sul conduttore medesimo (Cass. S.U., n. 12019/1991; Cass. n. 24737/2007). Come si vede, cioè, la responsabilità per i danni da cose in custodia ricade sul proprietario solo se il dinamismo proprio della cosa è sotto il suo controllo, mentre ricade sul conduttore nel caso contrario. Con riguardo al danno da rovina di edificio concesso in locazione a terzi, in linea generale si può dire che della rovina di edificio debba rispondere il proprietario anche se l'immobile è locato: la norma sul punto non lascia spazio ad interpretazioni diverse. La distinzione tra impianti conglobati nelle strutture murarie ed altri impianti non viene infatti in considerazione giacché «l'art. 2053 c.c., norma speciale, prevede la responsabilità del solo proprietario... anche laddove egli non utilizzi direttamente l'immobile» (Cass. n. 3385/2005). La norma dunque non si applica nei confronti del conduttore dell'immobile (Cass. n. 4155/1989), unico responsabile essendo il proprietario dell'edificio anche se questo è stato locato a terzi. Ed anzi, può bene accadere che il proprietario sia responsabile ex art. 2053 c.c. proprio nei confronti del conduttore, vittima della rovina dell'immobile locato. Si ammette talvolta, tuttavia, che il conduttore possa concorrere nella responsabilità del proprietario verso terzi, ai sensi dell'art. 2055 c.c., ad esempio per violazione dell'obbligo di avviso di cui all'art. 1577 c.c. (Cass. n. 1632/1973; Cass. n. 2422/2004). Ciò detto, resta evidente che la responsabilità in discorso in tanto possa essere predicata, in quanto ricorrano i caratteri della rovina di edificio, ovvero della rovina determinata dal processo di disgregazione interno della cosa, non già da accertati agenti che ab externo abbiano prodotto la rovina medesima. In quest'ultima ipotesi, ad esempio, rientra il caso non infrequente del crollo provocato dallo stesso danneggiato per effetto di uso improprio od imprudente del bene (v. Cass. n. 5127/2004: un tecnico salta su un solaio instabile per una verifica statica e non usa le dovute ed intuitive cautele, provocando il crollo del solaio; in Cass. n. 3385/2005, concernente il caso di un avvocato che entra nel bagno pericolante di un ufficio giudiziario nonostante un cartello di divieto di accesso e cade giù, è stato escluso il fortuito sulla considerazione che l'evento, ossia l'accesso del legale nonostante il divieto, non era imprevedibile). Se vi è la prova di una causalità alternativa, è provato il fortuito, e la responsabilità del proprietario è esclusa. Insomma, il positivo accertamento della derivazione eziologica della rovina, e di qui dei danni, dalla condotta del conduttore equivale all'esclusione che rovina e danni possano ascriversi ad un processo di interna disgregazione della cosa, e quindi a responsabilità del proprietario: scontata perciò l'inapplicabilità dell'art. 2053 c.c. Non può essere imputata alcuna responsabilità al proprietario dell'immobile, perciò, qualora il danno sia derivato da un bene aggiunto dal conduttore all'interno dell'immobile locato e qualora il danno sia conseguenza della cattiva manutenzione del conduttore medesimo proprio su quel bene, che al momento del contratto di locazione non esisteva e della quale istallazione la proprietaria non era a conoscenza (Trib. Roma 9 dicembre 2003, Giur. merito, 2004, 1681). In ogni caso, ove il proprietario debba rispondere, resta salvo il suo diritto di rivalersi nei confronti del conduttore che non lo abbia avvertito della situazione di pericolo (Cass. n. 1948/2003), senza, tuttavia, che il mancato avvertimento possa essere opposta dal proprietario ai terzi, i quali abbiano subito danni a causa dell'omessa manutenzione e riparazione dell'immobile locato, trattandosi di circostanza che rileva solo nell'ambito dei rapporti interni fra le parti del contratto di locazione (Cass. n. 5868/1984). FattispecieIn generale, in tema di responsabilità del proprietario per danni derivanti, ai sensi dell'art. 2053 c.c., da rovina dell'edificio, va considerata tale ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati. (Cass. n. 23939/2009, che ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicazione dell'art. 2053 c.c. sul presupposto che una grata sconnessa posta sul marciapiede al servizio di un edificio, nella quale l'attrice era inciampata, riportando lesioni, non costituisse elemento essenziale di quest'ultimo; nello stesso senso in precedenza Cass. n. 7755/2007). Costituisce così rovina di edificio la rottura dei tubi dell'impianto idrico – sanitario (Cass. n. 12251/1997). In virtù dell'art. 2053 c.c. — che integra un'ipotesi particolare di danno da cose in custodia ex art. 2051 c.c., con la conseguenza che per il principio di specialità, il suo configurarsi impedisce l'applicazione della stessa disposizione — sussiste la responsabilità del proprietario per il caso di danni provocati a terzi quale conseguenza della rovina dell'edificio, intendendosi come tale ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati; responsabilità dalla quale il proprietario dell'edificio può andare esente solo fornendo la prova che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (Cass. n. 8876/1998). L'art. 2053 c.c. pone a carico del proprietario di un edificio una responsabilità legale presunta, che può essere vinta, senza che si dia luogo necessariamente al concorso di responsabilità del proprietario dell'edificio, qualora si provi l'esistenza di un'altra causa dell'evento dannoso avente una efficienza causale del tutto autonoma ed esclusiva rispetto al vizio di costruzione o al difetto di manutenzione. (Cass. n. 5127/2004, che ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso ogni responsabilità del proprietario di un edificio in corso di intervento manutentivo, a fronte della caduta dal tetto del tecnico, incaricato della manutenzione, e quindi a conoscenza dello stato di precarietà in cui versava l'immobile, non avendo questi adottato le doverose ed essenziali precauzioni volte ad assicurare che l'ispezione che si apprestava a compiere si svolgesse in situazione non pericolosa). La responsabilità oggettiva, posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento per rovina di edificio (o di altra costruzione) ai sensi dell'art. 2053 c.c., può essere esclusa soltanto dalla dimostrazione che i danni causati dalla rovina dell'edificio non siano riconducibili a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma rilevante come caso fortuito, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenti i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 1002/2010). In particolare, tra i fattori esonerativi, oggetto della prova scagionante di cui è onerato il proprietario ai sensi dell'art. 2053 c.c., va annoverata anche la forza maggiore quale forza umana o della natura, improvvisa ed irresistibile, interruttiva del nesso eziologico o, a seconda della tesi che si adotti, imprevista ed imprevedibile usando dell'ordinaria diligenza, al ricorrere della quale il proprietario va mandato assolto da responsabilità per i danni cagionati (Trib. Busto Arsizio 20 gennaio 2010, iusexplorer.it). Nella giurisprudenza di merito è stato affermato che La responsabilità posta dall'art. 2053 c.c. a carico del proprietario per i danni cagionati dalla rovina di un edificio ha natura oggettiva, per colpa presunta, che può essere vinta solo dalla prova — gravante sullo stesso proprietario — che l'evento non è da attribuire a vizio di costruzione o difetto di manutenzione e cioè dalla ricorrenza del caso fortuito, della forza maggiore ovvero di altri fatti, posti in essere da un terzo o dallo stesso danneggiato, aventi un'efficienza causale del tutto autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo. Con la conseguenza che tali fatti non sono ravvisabili nell'attività svolta sull'immobile da altro soggetto per incarico di quest'ultimo, come nel caso di lavori in appalto; né tale responsabilità viene meno nell'ipotesi in cui l'immobile sia locato ad altri, conservando il proprietario la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia delle strutture murarie e degli impianti (App. Roma 21 ottobre 2009). La responsabilità oggettiva, posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento ex art. 2053 c.c., può essere esclusa solamente dalla dimostrazione che i danni cagionati dalla rovina dell'edificio non debbono ricondursi a vizi di costruzione o difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, anche se tale fatto esterno non presenta i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità. (Trib. Torino 30 giugno 1997, che ha escluso la responsabilità ex art. 2053 c.c. a carico dell'amministrazione che aveva la disponibilità materiale e giuridica del compendio demaniale all'epoca del sinistro in quanto si è ritenuto che il danno fosse addebitabile esclusivamente al fatto gravemente colposo della vittima). Premesso che, ai sensi dell'art. 2053 c.c. il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (Trib. Monza 19 agosto 2016), non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno da infiltrazioni per la mancata realizzazione di lavori quando l'attore non abbia dato la prova di detti danni (Trib. Salerno 12 gennaio 2016). A mente dell'art. 840, comma 1, c.c., il proprietario di un fondo risponde autonomamente e direttamente, in via generale ai sensi dell'art. 2043 c.c. e, nel caso di rovina di edificio o di altra costruzione, ai sensi dell'art. 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi a seguito di opere o di escavazioni nel proprio fondo, indipendentemente dalla responsabilità dell'appaltatore che abbia eseguito tali lavori (Cass. n. 22226/2006). Il proprietario è responsabile della rovina anche se l'immobile è sottoposto a procedura esecutiva. Nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare, il creditore ha diritto di espropriare i beni del debitore (art. 2910 c.c.) nello stato in cui si trovano, senza dover sopportare alcun onere economico per la previa esecuzione di opere volte a salvaguardare l'integrità dell'immobile o il suo valore di realizzo. Ciò anche quando il bene per le condizioni in cui si trova è fonte di pericolo per la pubblica o privata incolumità; posto che il pignoramento, pur determinando una limitazione delle facoltà di godimento e dei poteri di disposizione dell'immobile, non fa venir meno il diritto dominicale del proprietario, il quale, pertanto, deve ritenersi unico responsabile, ex art. 2053 c.c., per i danni cagionati a terzi a seguito della rovina del bene. Tale responsabilità permane, pur in ipotesi di sostituzione del custode nel corso del processo esecutivo, ex art. 559 c.p.c., almeno con riguardo alla conservazione ed alla manutenzione delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (Trib. Napoli 24 ottobre 2014). Con riguardo al rapporto tra l'art. 2053 e l'art. 2051 c.c., ed in riferimento al problema della responsabilità del conduttore, è stato detto che, in tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c., occorre la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla stessa, e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa; pertanto, il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da tali strutture e impianti. Grava, invece, sul solo conduttore la responsabilità, ai sensi dell'art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui il predetto acquista la disponibilità, con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi ad altri (Cass. n. 19657/2014). Ai fini della responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni da cose in custodia occorre la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla stessa, ovvero la sua disponibilità giuridica e materiale con il conseguente potere di intervento su di essa, cosicché mentre il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, è responsabile in via esclusiva ai sensi degli art. 2051 e 2053 c.c. dei danni arrecati a terzi da dette strutture e impianti, con riguardo invece alle altre parti e accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà e obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri, la responsabilità verso questi ultimi, secondo le previsioni dell'art. 2051 c.c., grava soltanto sul conduttore medesimo (Cass. n. 13881/2010). In caso di danni derivati a terzi dall'incendio sviluppatosi in un immobile condotto in locazione, la responsabilità per danno cagionato da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c. si configura a carico sia del proprietario che del conduttore allorché nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la causa autonoma del danno subito dal terzo è da ravvisare nella violazione, da parte dell'altro, dello specifico dovere di vigilanza diretto ad evitare lo sviluppo nell'immobile dell'agente dannoso; ne consegue che, ove sia rimasta ignota la causa dello sviluppo dell'incendio, la responsabilità civile per i danni conseguenti ridonda non a carico del terzo, bensì del proprietario e del conduttore, potendo la presunzione di responsabilità del custode essere superata solo con la prova del caso fortuito (Cass. n. 23945/2009). Il proprietario dell'immobile beato conservando la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, su cui il conduttore non ha il potere — dovere di intervenire, è responsabile, in via esclusiva, ai sensi degli art. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed impianti, salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della situazione di pericolo (Cass. n. 2422/2004; Cass. n. 11321/1996, la quale chiarisce che è fatta salva la rivalsa sul conduttore che abbia omesso di avvertirlo ex art. 1577 c.c.). Non può essere imputata alcuna responsabilità al proprietario dell'immobile, qualora il danno sia derivato da un bene aggiunto all'interno dell'immobile locato e qualora il danno sia conseguenza della cattiva manutenzione del conduttore proprio su quel bene, che al momento del contratto di locazione non esisteva e della quale istallazione la proprietaria non era a conoscenza (Trib. Roma 9 dicembre 2003). In materia di condominio di edifici, la legittimazione passiva nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dal cedimento di strutture condominiali spetta al condominio, in persona dell'amministratore quale rappresentante di tutti i condomini obbligati — e non già al singolo condomino che può essere chiamato in giudizio a titolo personale soltanto ove frapponga impedimenti all'esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino, ovvero allorché i danni derivino da difetto di conservazione o di manutenzione a lui imputabili in via esclusiva —, poiché la responsabilità delineata dall'art. 2053 c.c. si fonda sulla proprietà del bene, la cui rovina è cagione del danno, e va imputata a chi abbia la possibilità di ovviare ad un vizio di costruzione o di provvedere alla manutenzione del bene, ossia — per le strutture condominiali — al condominio (Cass. n. 18168/2014). D'altronde, il condominio, in qualità di custode delle parti comuni dell'edificio, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché la cosa non rechi pregiudizio ad alcuno e risponde ex art. 2051 o 2053 c.c. dei danni da questa cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (Trib. Messina 31 agosto 2006). A mente dell'art. 2053 c.c. sussiste una presunzione iuris tantum di responsabilità in capo al proprietario dell'immobile la cui rovina abbia cagionato danni a terzi. Tale presunzione di responsabilità, che costituisce un'applicazione particolare della responsabilità del custode disciplinata dall'art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e prescinde dall'accertamento della colpa in capo al proprietario del bene, che non può liberarsi assumendo la sussistenza della colpa in capo ad un terzo, esecutore o progettista delle opere. La responsabilità diretta del proprietario per i danni lamentati dal vicino sussiste anche sotto altro profilo ed è riconducibile ai principi in materia di condominio degli edifici quando il caso ricorra. A tal proposito va ricordato che in regime di condominio negli edifici, ciascun condomino è obbligato, propter rem, a non eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere arrecanti pregiudizio agli immobili di proprietà esclusiva di altri condomini, ovvero alle parti comuni dell'edificio concesse in uso, in forza di regolamento contrattuale, ad altro condominio, ed è, pertanto, responsabile dei danni conseguenti a dette opere, senza che possa assumere rilevanza l'affidamento delle stesse ad un appaltatore che le abbia, a sua volta, eseguite in regime di autonomia (Trib. Milano 29 settembre 2004). La responsabilità per rovina di edificio o concorre con il fatto colposo del danneggiato. Posto che non sussiste incompatibilità tra la responsabilità oggettiva del proprietario di edificio per il danno causato dalla rovina (anche parziale) dello stesso ed il concorso del fatto colposo del danneggiato (ai fini della cui configurazione è sufficiente la mera colpa generica, non occorrendo necessariamente la violazione di un obbligo giuridico), nel caso in cui, a seguito di valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito, rimanga accertato che nella produzione dell'evento dannoso abbiano concorso le due cause, il suddetto giudice deve ridurre la misura del risarcimento, secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate (Cass. n. 1002/2010). È ammissibile il concorso tra la colpa presunta del proprietario di immobili, ex art. 2053 c.c., e la colpa accertata in concreto del danneggiato, il quale con la propria condotta abbia agevolato od accelerato la rovina dell'immobile o di parte di esso (Cass. n. 5767/1998). Una peculiare interferenza è stata esaminata da un giudice di merito, il quale ha osservato che, qualora un soggetto, acquirente di un pacchetto turistico tutto compreso, durante la vacanza subisca un danno alla persona, precisamente venga investito da un pannello nella camera d'albergo, del danno risponde il tour operator. È chiaro che, trattandosi di evento avvenuto nella camera d'albergo — con modalità pacifiche —, non può qualificarsi estraneo alla fornitura delle prestazioni alberghiere inclusa indubitabilmente nel pacchetto. La fornitura alberghiera, infatti, include la prestazione di un alloggio la cui utilizzazione, ovviamente, non deve essere fonte di pericolo e tantomeno di pregiudizio per la salute di chi ne fruisce. Sotto questo aspetto, la prestazione dell'albergatore può compararsi analogicamente a quella del locatore di immobile, poiché vendendo il cosiddetto pacchetto tutto compreso, il tour operator ha assunto anche gli obblighi dell'albergatore, da adempiere tramite un terzo, per cui qualora il soggiorno nell'alloggio alberghiero sia stato fonte di lesione alla salute della controparte il tour operator incorre in inadempimento contrattuale, a meno che non si verifichi una delle fattispecie limitative della sua responsabilità (Trib. Bologna 7 giugno 2007). Quanto al caso in cui il proprietario sia assicurato per i danni cagionati dall'immobile, è stato affermato che, in caso di rovina di edificio i danneggiati, pur non avendo azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice del proprietario per ottenere il risarcimento, possono agire verso la stessa in via surrogatoria qualora deducano l'inerzia dell'assicurato nel far valere la propria polizza (Trib. Brindisi 17 novembre 2006). Dei danni provocati ad un ex conduttore, con contratto di locazione scaduto, il proprietario risponde avendo sempre il dovere di vigilare sulla efficienza del fabbricato. Pertanto, in caso di rovina di edificio causata dalla intrinseca fatiscenza di suoi elementi strutturali, non imputabili dunque in alcun modo a fatto o omissione della conduttrice, ininfluente è il fatto che il conduttore abbia proseguito nell'occupazione dell'immobile (Trib. Como 10 novembre 2006). Il danno provocato da un frammento di marmo staccatosi da un balcone al passaggio di un'asta che una ditta di installazioni stava issando dall'esterno stante la sua lunghezza, senza adeguate precauzioni, è da attribuire alla ditta stessa in concorso di colpa paritetico con il proprietario del balcone ex art. 2053 c.c., con rigetto della domanda di manleva che questo proponga nei confronti del condominio. Infatti i balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni dell'edificio ed appartengono ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco e muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini ed i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti, con la conseguenza che è onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono staccati i frammenti, citato per il risarcimento) al fine di esimersi da responsabilità, provare che il danno fu causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio appartenevano alle parti comuni di esso, circostanza non ricorrente nella fattispecie (Trib. Milano 28 febbraio 2006). Ai danni derivanti dal crollo di un immobile demaniale sito nell'area portuale e oggetto di concessione in uso si applica l'art. 2053 c.c. e l'autorità portuale, quale proprietaria, è responsabile del danno ed a essa incombe la prova dell'individuazione del caso fortuito o della forza maggiore o di altri fatti, posti in essere da terzi o dallo stesso danneggiato, che possano essere configurati quali cause dell'evento estranee alla sua sfera d'azione (Trib. Trieste 11 luglio 2002). Gli acquedotti di proprietà comunale, che comprendono anche i canali destinati allo scorrimento delle acque per l'irrigazione, sono soggetti, in base al combinato disposto degli artt. 822, secondo comma, e 824 cod. civ., al regime del demanio idrico, sicché, in caso di rovina dei relativi argini, è applicabile esclusivamente l'art. 2053 c.c. e non gli artt. 915, 916 e 917, che disciplinano le acque private (Cass. n. 10287/2015). Per le opere idrauliche di seconda categoria relative ai bacini idrografici interregionali, il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, all'art. 89, prevede, non un trasferimento, ma una delega di funzioni alle regioni interessate, che le esercitano sulla base di programmi, direttive ed istruzioni fissati e coordinati dallo Stato; dal che deriva che, in caso di danni da rovina di un'opera idraulica appartenente a detta categoria, per un verso persiste, ai sensi dell'art. 2053 c.c., la presunzione di responsabilità dello Stato, che conserva la proprietà della suddetta opera, e per l'altro concorre, in base alla stessa disposizione, la responsabilità della regione, accomunata per legge nell'obbligo di esercitare una diuturna vigilanza sull'opera e di compiere gli interventi manutentivi necessari per assicurare la solidità e la non pericolosità, per i terzi, della stessa, salvo che non sia provata l'ascrivibilità dell'evento a causa diversa dalla carenza manutentiva. (Cass. S.U.,, n. 15875/2001, concernente rottura dell'argine del fiume Bisenzio, appartenente al bacino idrografico del fiume Arno). Ai sensi degli artt. 2043 e 2053 c.c., risponde dei danni a terzi derivanti da fenomeni di inondazione o esondazione per difetto di manutenzione, l'ente regionale proprietario di opera idraulica, anche nel caso in cui la regione abbia provveduto ad affidare la manutenzione ad un altro ente locale (Trib. sup. acque 6 marzo 1996, n. 26). BibliografiaBianca, Diritto civile, V. La responsabilità, Milano, 1994; Bussani, La rovina dell'edificio, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Milano, 1988; Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965; De Cupis, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., 1971; De cupis, Il danno, Milano, 1954; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., 1993; Geri, La responsabilità civile da cose in custodia, animali e rovina di edificio, Milano, 1974; Mazza, Sulla rovina di edificio, in Giur. compl. cass. civ. 1951, II, 67; Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, IV, Firenze, 1908; Pugliese, Responsabilità per rovina di edificio in usufrutto, in Temi, 1957, 471; Rovelli, Le responsabilità civili e penali per gli incidenti della strada, I, Torino, 1974; Salvi, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1998. |