Lavoro domestico: quantificazione del danno patrimoniale e calcolo del danno differenziale

07 Novembre 2017

Ai fini del riconoscimento del danno da perdita di capacità lavorativa specifica di casalinga è necessario fornire la prova delle nuove e maggiori spese sostenute e da sostenere in conseguenza del fatto che ha cagionato il danno?
Massima
Nelle ipotesi in cui la vittima di un sinistro fosse già sofferente per pregressa invalidità, il danno da liquidarsi deve corrispondere alla differenza tra il danno liquidabile sulla base dell'attuale invalidità detratto il danno liquidabile in relazione alla percentuale di invalidità pregressa e ciò in quanto alla maggiore percentuale di invalidità corrisponde progressivamente una maggiore sofferenza. Ai fini della riconoscibilità del danno patrimoniale da compromissione della capacità lavorativa specifica di casalinga non rileva la mancata prova delle spese aggiuntive per aiuti domestici, in quanto già la prova che la vittima sarà costretta a una maggiore usura o anticipata cessazione da tale attività fonda il diritto a ottenere il risarcimento del relativo danno patrimoniale.
Il caso

Un pedone viene travolto da un veicolo il cui conducente riconosce la propria esclusiva responsabilità, non concordando però sulla quantificazione dei danni di cui la vittima chiedeva il ristoro.

Il Giudice di prime cure, pur accogliendo le risultanze della CTU medico legale espletata sulla persona della danneggiata, effettuava una liquidazione in termini di danno biologico differenziale nonché di danno patrimoniale; tale liquidazione non veniva condivisa dalla vittima, la quale proponeva gravame avverso la decisione del Tribunale di Milano.

La Corte d'Appello di Milano, pertanto, viene chiamata a decidere sulla correttezza della decisione del Tribunale di Milano in relazione alla quantificazione del risarcimento riconosciuto a favore dell'appellante sia in termini di danno biologico differenziale, sia con riferimento al danno patrimoniale da compromissione della capacità lavorativa specifica di casalinga.

In particolare la danneggiata riteneva in primo luogo che il giudice di prime cure avesse erroneamente omesso di considerare, rispetto alla liquidazione del danno biologico “puro” di invalidità permanente, che dagli accertamenti della CTU fosse emerso un aggravamento dello stato di invalidità che già affliggeva la vittima così liquidando il danno sulla base di 15 punti percentuali di invalidità piuttosto che sulla base della differenza tra l'importo liquidabile per la percentuale di invalidità residuata dopo il sinistro oggetto del contendere detratto l'importo corrispondente al 18% di invalidità di cui l'odierna appellante era già portatrice.

L'appellante lamentava altresì che il Giudice di prime cure aveva errato nel non riconoscere il danno da compromissione della capacità lavorativa specifica di casalinga stante la mancata prova delle spese aggiuntive per aiuti domestici, così omettendo di dare il dovuto rilievo alla circostanza che la signora prima dell'evento lesivo provvedeva da sé stessa al disbrigo di tutte le faccende domestiche, mentre in sede di CTU medico legale veniva accertata la limitazione della capacità della danneggiata di attendere al lavoro domestico in misura del 20% e i parenti, dal momento del sinistro di causa, avevano dovuto sostituirsi alla danneggiata nel lavoro domestico della medesima.

La questione

Quando la vittima del sinistro soffriva già per un precedente trauma, qual è la corretta modalità di calcolato del danno differenziale?

Ai fini del riconoscimento del danno da perdita di capacità lavorativa specifica di casalinga è necessario fornire la prova delle nuove e maggiori spese sostenute e da sostenere in conseguenza del fatto che ha cagionato il danno?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'appello di Milano ha ritenuto parzialmente fondate le doglianze dell'appellante e, rispetto ai punti di gravame considerati condivisibili, ha così statuito:

a) il calcolo del danno differenziale

sul primo motivo di gravame la Corte d'Appello riteneva che effettivamente dalla CTU era emerso che la danneggiata fosse portatrice di un'invalidità del 18% pre-esistente al sinistro de quo, mentre in conseguenza dei fatti oggetto di causa veniva riscontrata un'invalidità del 33%; la corte territoriale confermava, pertanto, che al sinistro oggetto di causa fosse addebitabile un danno differenziale del 15% da intendersi come maggiore danno calcolabile con sistema differenziale dal 18esimo al 33esimo punto delle tabelle di riconversione economica del danno da rc. Concludeva, pertanto, la Corte d'Appello che il danno da liquidarsi non fosse quello riferibile al 15% di invalidità permanente, ma quello corrispondente alla differenza tra il danno liquidabile sulla base dell'attuale invalidità detratto il danno liquidabile in relazione alla percentuale di invalidità pregressa. Ritengono i giudici del gravame che alla maggiore percentuale di invalidità corrisponda progressivamente una maggiore sofferenza e difficoltà nella vita quotidiana e di relazione; circostanza ben tenuta presente nelle tabelle dell'Osservatorio della Giustizia Civile e che prevede un aumento progressivo del valore del punto di invalidità da utilizzare come coefficiente di liquidazione del danno in relazione all'aumento del grado di invalidità.

Le determinazioni della Corte d'Appello in punto “danno differenziale” trovano conforto in ampia e conforme giurisprudenza che è costante nell'interpretare così come descritto nella sentenza in commento le indicazioni fornite dall'Osservatorio della Giustizia Civile (Trib. Milano, sez. I sent. 23 agosto 2016; Trib. Taranto, sez. lav., sent. 27 ottobre 2016 n. 3488; Cass. civ., sez. III, sent. 12 giugno 2012 n. 9528; App. Torino, sez. III, sent. 6 luglio 2016 n. 1091).

Alla danneggiata, pertanto, la Corte d'Appello di Milano riconosceva un danno differenziale pari a € 104.350,00 cui poi va aggiunta la personalizzazione del 40% in considerazione delle circostanze già richiamate dal giudice di prime cure e conseguentemente liquidava un danno non patrimoniale per invalidità permanente pari a € 146.090,00, così riformando la sentenza di primo grado che sul punto aveva liquidato un importo pari a € 95.182,56.

b) il danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro specifico domestico

Un altro aspetto sul quale la Corte d'Appello ha ritenuto accoglibili le doglianze della parte appellante è quello che riguarda il mancato riconoscimento, da parte del giudice di prime cure, del risarcimento per la pur accertata diminuzione della capacità di lavoro specifico di casalinga; infatti, sebbene il Tribunale avesse accolto le conclusioni della CTU in base alla quale l'attuale aggravamento dell'invalidità pre-esistente conduce ad una diminuita capacità lavorativa specifica nell'ordine del 20%, negava poi il risarcimento ritenendo che non fosse provata alcuna spesa aggiuntiva per costi domestici. Orbene la Corte d'Appello si è qui discostata da quegli orientamenti giurisprudenziali che interpretano in senso tassativo e restrittivo l'onere probatorio legato alla liquidabilità del danno patrimoniale (Cass. civ., sent. n. 691/2012; Cass. civ., sez. III, sent. 14 marzo 2017 n. 6488) e, richiamando i precedenti orientamenti giurisprudenziali in base ai quali «colui che in conseguenza di una lesione della salute vede ridursi la propria capacità di lavoro domestico, patisce un danno patrimoniale futuro risarcibile, per la liquidazione del quale non è necessaria né la prova che dopo la guarigione l'attività lavorativa domestica si sia ridotta o sia cessata, né la prova che la vittima sia dovuta ricorrere all'ausilio di un collaboratore domestico» (Cass. civ., 29 gennaio 2010 n. 2062; Cass. civ., 23 febbraio 2006 n. 4020; Cass. civ., 8 agosto 2007, n. 17937), concludeva dichiarando che non rileva il fatto che l'appellante abbia o meno dimostrato di aver sopportato esborsi economici per far fronte alla sua limitata capacità di svolgere l'attività di casalinga prima svolta. Aderendo, quindi, all'orientamento giurisprudenziale maggioritario, la Corte d'Appello stabiliva che è sufficiente la prova (già fornita mediante le dichiarazioni testimoniali assunte in corso di causa) che prima del sinistro la vittima si occupava di tutte le attività domestiche e dopo il sinistro non è più stata in grado di attendervi come prima ed è stato necessario ricorrere al supporto di famigliari, oltre

la prova (risultante da CTU) che le lesioni riportate nel sinistro oggetto di causa hanno

c

inciso (per il 20%) sulla capacità di svolgere l'attività di casalinga. Risultando quindi provato il danno da compromissione della capacità della signora di svolgere l'attività di casalinga, esso danno va liquidato in misura pari al triplo della pensione sociale moltiplicato per il coefficiente previsto per l'età della danneggiata dalle tariffe per la costituzione di rendite vitalizie allegate al r.d. n. 1403/1922 e sul cui risultato va calcolato il 20% di riduzione della capacità lavorativa di casalinga.

Osservazioni

È sicuramente di grande utilità la spiegazione tecnica offerta dalla sentenza in commento su come vada calcolato esattamente il danno differenziale, onde evitare di ledere i diritti risarcitori della vittima che fosse già sofferente per una precedente invalidità. Si ritiene, infatti, che l'aspetto dell'aggravamento dello stato di salute della vittima di un incidente, che fosse già sofferente per una precedente lesione, sia particolarmente complesso e delicato perché incentrato sulla determinazione quantitativa del danno differenziale.

Ecco perché la Corte d'Appello in questa sentenza chiarisce che il danno differenziale (rilevato nella differenza tra l'invalidità percentuale stimata per il danno originato dal sinistro oggetto di causa e la sofferenza pregressa) è da intendersi come maggiore danno con ciò spiegando che il danno da liquidarsi non può essere calcolato sulla base della differenza tra i due punti percentuali in relazione al danno derivante dal sinistro de quo e quello pre-esistente, bensì sulla base della differenza tra l'importo liquidabile per il punto di invalidità rilevato in conseguenza del sinistro oggetto di causa e l'importo liquidabile per il punto percentuale imputabile alla precedente sofferenza monetizzato, però, all'età della vittima al momento del sinistro de quo. Ciò in quanto le tabelle dell'Osservatorio della Giustizia Civile hanno ben considerato l'aumento progressivo del valore del punto di invalidità da usare come coefficiente di liquidazione del danno posto che alla maggiore percentuale di invalidità corrisponde una maggiore sofferenza e difficoltà di recupero della vita quotidiana e di relazione.

La sentenza che qui si commenta ha esaminato in maniera altrettanto esaustiva la questione della risarcibilità e dell'onere probatorio in tema di perdita della capacità lavorativa specifica. È noto che con tale definizione si vuole indicare la capacità propria di un individuo a svolgere una specifica attività lavorativa ed è valutata dal medico legale in relazione alla capacità dell'individuo di estrinsecare determinate attività lavorative afferenti alla sua sfera attitudinale, in quanto coerenti con l'età del soggetto, con il sesso, il suo grado di istruzione e la sua esperienza lavorativa.

A tal fine è quanto mai necessario che la vittima di un sinistro in conseguenza del quale lamenti una diminuita capacità di lavoro specifico deduca in giudizio tutte le prove di cui è in possesso, così da fornire al CTU e al Giudice la possibilità di esaminare in concreto l'incidenza del danno biologico sulla vita del danneggiato rispetto a quelle specifiche attività svolte dal medesimo nella sua quotidianità, ivi compresa l'attività lavorativa.

Per quanto, tuttavia, vi sia una parte della giurisprudenza volta a far ricadere in capo alla vittima la tassatività dell'onere probatorio, è altresì vero che molti Giudici si sono discostati da tali interpretazioni restrittive, ritenendo invece (così come si legge nella decisione che qui si commenta), di poter operare una la liquidazione del danno patrimoniale da perdita di capacità di lavoro specifico domestico con la semplice prova presuntiva circa la mutata capacità di attendere a quelle specifiche attività che, prima del sinistro, la vittima poteva compiere e che, dopo aver subito il danno alla persona, non può più attendere da sola. Del resto, ritiene la Corte d'Appello di Milano, di cui si condivide il pensiero, non sarebbe equa una liquidazione del danno da perdita di lavoro specifico solo in favore di chi riesca a fornire la prova delle spese sostenute e sostenende in conseguenza della limitazione de quo, posto che una tale restrittiva interpretazione frusterebbe i diritti di chi abbia subito il medesimo danno, ma per insufficienza di risorse non abbia potuto sostenere le relative spese, ad esempio, di collaborazione domestica (Cass. civ., 29 gennaio 2010 n. 2062; Cass. civ., 23 febbraio 2006 n. 4020; Cass. civ., 8 agosto 2007, n. 17937).

Guida all'approfondimento

P.CENDON, Il risarcimento del danno non patrimoniale, Tomo I e II, Milano , p. 224 e ss.;

F.MANGILI, Medicina Legale e delle Assicurazioni, Milano, p. 159;

F.MEIFFRET, Il danno da lesione della capacità lavorativa specifica non costituisce un'automatica conseguenza del riconoscimento del danno biologico, in Ridare.it;

E.RONCHI, Gruppo Cinque: danno differenziale e capacità lavorativa, in Ridare.it;

F.VALERIO, Decesso di una casalinga: spetta ai conviventi il risarcimento del danno da perdita del lavoro domestico, in Ridare.it.

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