Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 32 - Pluralita' delle domande e conversione delle azioni

Roberto Chieppa

Pluralità delle domande e conversione delle azioni

 

1. E' sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV 1.

2. Il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali. Sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni.

Inquadramento

Prima dell'entrata in vigore del Codice la giurisprudenza aveva spesso limitato il cumulo di domande nel processo amministrativo, soprattutto in caso di assoggettamento delle varie domande a riti diversi.

L'art. 32 inverte tale tendenza e stabilisce la regola secondo cui il cumulo di domande nello stesso giudizio è sempre ammesso (anche in via incidentale), purché le domande siano connesse.

L'assoggettamento a riti diversi non costituisce più un limite al cumulo ma è espressamente disciplinato con la regola della prevalenza del rito ordinario, salvi il rito abbreviato e il rito in materia di appalti, che prevalgono.

Viene anche chiarito che il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali, senza essere vincolato dal nomen dato dalle parti e, sussistendone i presupposti, il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni.

Cumulo di domande

Come già detto, la giurisprudenza ha mostrato di essere restrittiva nei confronti dell'ammissibilità del cumulo di domande, specie se assoggettate a diversi riti.

Va ricordato che si parla di cumulo oggettivo in senso proprio nell'ipotesi di una pluralità di domande proposte con lo stesso atto introduttivo, come espressamente previsto dall' art. 104 c.p.c., ma spesso escluso dalla giurisprudenza amministrativa sulla base di considerazioni criticati dalla dottrina (v. per una ricostruzione della giurisprudenza maggioritaria, dei nuovi indirizzi estensivi in ordine all'ammissibilità di ricorsi cumulativi e delle tesi della dottrina: Caianiello, Diritto processuale amministrativo, 578).

Il rito ordinario era dominato dall'azione di annullamento e con difficoltà si ammetteva una contaminazione dei riti speciali con altre domande.

In sede di ottemperanza era sostanzialmente preclusa la domanda di risarcimento del danno (v. oltre e il commento all'art. 112); nel rito speciale del ricorso avverso il silenzio non si ammetteva né l'impugnazione con motivi aggiunti del provvedimento espresso sopravvenuto, né la proposizione della domanda risarcitoria (v. oltre e il commento agli artt. 31 e 117).

In questi casi, spesso il giudice amministrativo riteneva tali ulteriori domande inammissibili e neanche prendeva in considerazione la possibilità di convertire il rito.

Prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. n. 104/2010 (e, quindi, prima del 16 settembre 2010), nel silenzio del legislatore a proposito della conversione del rito nel processo amministrativo, era inammissibile l'introduzione con un medesimo rito di due domande soggette, ciascuna, a riti differenti. T.A.R. Lombardia, IV, 28 ottobre 2010 n. 7139.

La dottrina aveva evidenziato come, in mancanza di apposita regolamentazione nelle norme proprie del processo amministrativo, non vi fossero ragioni per non applicare l' art. 104 c.p.c., che appare essere del tutto compatibile con il processo amministrativo e quindi consentire la formulazione con unico ricorso di più domande anche fondate su titoli diversi (Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al Codice, 308).

Il Codice ha finalmente fatto cadere ogni ostacolo al cumulo delle domande e le parti possono introdurre nello stesso giudizio più domande, anche assoggettate a riti diversi, purché ovviamente vi sia un elemento di connessione.

La disciplina del cumulo delle domande contenuta nell'art. 32 ha in realtà carattere interpretativo perché giunge a conclusioni a cui si poteva arrivare in via interpretativa anche in precedenza ( Cons. St. III, n. 2054/2014).

Il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo che si applicherà il rito ordinario del processo di cognizione, ad eccezione delle controversie cui si applica il rito abbreviato o il rito speciale in materia di appalti, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti (il riferimento ai Capi I e II del Titolo V del Libro IV era un refuso, non corretto dal Governo dopo l'unificazione dei due capi e va inteso come richiamo al Titolo V di quel Libro, come poi modificato dal primo decreto correttivo).

Il principio della prevalenza del rito ordinario ha come unica deroga la presenza di domande assoggettate al Titolo V del Libro IV (artt. 119 e 120) e tale eccezione non può essere stesa ad altri casi con la conseguenza che in caso di cumulo di domande assoggettate al rito ordinario e al rito elettorale prevale il rito ordinario (Cons. St. III, n. 1328/2018, in una fattispecie in cui unitamente alla proclamazione del sindaco eletto erano stati impugnati alcuni atti adottati da quest’ultimo).

L' art. 32 del codice del processo amministrativo, che consente nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse, è applicabile ai ricorsi depositati dopo il 16 settembre 2010 e, comunque, a prescindere da tale elemento, anche ai ricorsi pendenti prima dell'entrata in vigore del Codice, in quanto, ai fini della valutazione dell'ammissibilità della domanda, deve farsi riferimento anche alle sopravvenienze fattuali e/o normative, nel senso di ritenere ammissibile anche una domanda non ammissibile al momento della sua proposizione. Nell'ipotesi in cui le domande soggette a riti diversi siano proposte non in via cumulativa ma l'una in via principale e l'altra subordinata, il disposto di cui all' art. 32 del codice del processo amministrativo va correttamente interpretato alla luce dei principi di ragionevolezza e di economia processuale (evincibile in riferimento al rito del silenzio anche dal disposto dell'art. 117 comma 6), nel senso che non debba farsi luogo alla conversione del rito camerale in rito ordinario ove il Giudice ritenga accoglibile la domanda principale soggetta come nella specie al rito camerale, non dovendosi in tale caso scrutinare la domanda subordinata soggetta al rito ordinario. T.A.R. Campania, IV, 17 novembre 2010 n. 12666.

Il principio, secondo cui il ricorso deve essere rivolto, a pena d'inammissibilità, contro un solo atto ovvero contro atti diversi, purché collegati, va inteso senza formalismi, in termini di ragionevolezza e, ora, anche in sintonia con la disposizione di cui all'art. 32 (in base al quale è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale e, se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV; inoltre, il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali e, sussistendone i presupposti, può sempre disporre la conversione delle azioni); pertanto, deve ritenersi ammissibile il ricorso cumulativo quando sussistano oggettivi elementi di connessione tra i diversi atti, ovvero ogni qual volta le domande cumulativamente avanzate si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale. T.A.R. Sardegna I, 14 gennaio 2011, n. 28.

Nel caso di proposizione nello stesso giudizio di un cumulo di domande connesse, la competenza a decidere si radica in capo al giudice territorialmente competente a conoscere della domanda principale ( Cons. St. III, n. 3236/2012).

Nel Codice vi sono una serie di disposizioni che disciplinano casi particolari del cumulo di domande, la cui ammissibilità è stata comunque generalizzata dall'articolo 32.

Segue. Cumulo tra domanda di ottemperanza e altre domande (annullamento e risarcimento del danno)

La questione del cumulo tra azione di ottemperanza e altre domande era stata esaminata dalla giurisprudenza in fattispecie relative alla proposizione di domande di risarcimento in giudizi di ottemperanza, in cui appunto vi era il cumulo dell'azione di esecuzione del giudicato con l'azione risarcitoria.

La circostanza che si tratta di due giudizi sottoposti a regole diverse è stata ritenuta in passato preclusiva con riguardo al cumulo tra azione impugnatoria e giudizio di ottemperanza. dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui non era consentito introdurre con un solo ricorso due distinti giudizi, l'uno di ottemperanza e l'altro ordinario di legittimità, trattandosi di giudizi che partono da presupposti diversi e soggiacciono a regole diverse (Cons. St. V, n. 367/1998, in un caso in cui è stato anche ritenuto non utile il richiamo all'istituto giurisprudenziale della conversione del ricorso per l'ottemperanza in ricorso ordinario, giacché esso postula che uno solo sia il ricorso con un ben definito petitum sostanziale ma, al tempo stesso, la mancanza dei presupposti di ammissibilità dello stesso, mancanza rimediabile con una diversa sua qualificazione giuridica, sussistendone le condizioni).

La tesi non appariva di per sé risolutiva avuto riguardo alla possibilità di rispettare per entrambe le domande, nella forma e nella sostanza, le disposizioni processuali di riferimento.

È noto che il principio di conservazione degli atti processuali, la cui applicazione potrebbe in ipotesi condurre alla conversione del ricorso in ottemperanza in ricorso ordinario limitatamente alla domanda risarcitoria, si attua in presenza di tutti i presupposti formali e sostanziali della fattispecie di riferimento (Cons. St. IV, n. 1615/1998).

Alcun ostacolo insormontabile era costituito dall'assoggettamento delle due domande a riti diversi.

Certamente, un ricorso cumulativo, quale quello descritto, non poteva essere proposto nelle forme del procedimento per l'esecuzione del giudicato, di cui agli artt. 90 e ss. del regolamento di procedura di cui al r.d. n. 642/1907, che non richiedono la necessaria notificazione del ricorso, ma la sola comunicazione da parte della Segretaria dell'ufficio giudiziario all'amministrazione competente. Si segnala che la giurisprudenza aveva comunque introdotto la prassi di invitare il ricorrente ad effettuare la notificazione con la conseguenza che di solito lo stesso ricorrente provvede alla notifica del ricorso ancor prima del deposito.

L'ulteriore differenza di regole tra giudizio di ottemperanza e giudizio cognitorio è costituita dalla trattazione del primo in camera di consiglio, con possibilità per una delle parti di chiedere la trattazione in udienza pubblica.

Anche in questo caso non si trattava di un ostacolo insormontabile, potendo comunque la domanda cognitoria essere trattata in udienza pubblica o a seguito di diretta fissazione del ricorso cumulativo, o dopo la decisione sulla istanza di esecuzione del giudicato, che poteva assumere priorità logica.

Peraltro, era stata rilevata la attenuata differenza tra trattazione in camera di consiglio o in udienza pubblica anche alla luce degli artt. 21 e 26 della l. n. 1034/1971, come modificati dagli artt. 3 e 9 della l. n. 205/2000.

La scelta legislativa di far svolgere, di regola, il giudizio di ottemperanza in camera di consiglio, anziché in pubblica udienza, si fonda sulla considerazione che mentre quello di legittimità è essenzialmente un giudizio di diritto, da compiere sulla base di un quadro normativo che già risulta dagli atti di causa e che deve essere comunque conosciuto dal giudice, quello di ottemperanza è essenzialmente un giudizio sul fatto, e pertanto può richiedere un colloquio informale fra il giudice e le parti in causa, al quale è più consona la camera di consiglio; tale scelta, tuttavia, non attenua in alcun modo le garanzie delle parti, sia perché la possibilità di un colloquio informale assegna alla trattazione in camera di consiglio un quid pluris rispetto alla trattazione in udienza, sia perché la presenza del pubblico al dibattimento è, di per sé sola, irrilevante ai fini della tutela giurisdizionale

In definitiva, un ricorso cumulativo contenente la domanda di esecuzione del giudicato e la domanda risarcitoria veniva ritenuto dalla dottrina ammissibile, non in quanto l'azione risarcitoria fosse ammissibile in sede di ottemperanza, ma in quanto era ammissibile il cumulo delle due domande a condizione che sussistessero i presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria (Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al Codice, 310).

Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello stesso Codice una concreta e speciale attuazione proprio con riferimento ai casi controversi, venuti in passato all'esame della giurisprudenza.

Nel giudizio di ottemperanza può essere proposta la connessa azione risarcitoria e, in tal caso, si applicava il rito ordinario (art. 112, comma 4); la specificazione dell'ammissibilità del cumulo è stata necessaria in considerazione della possibilità che il giudizio di ottemperanza si svolga in unico grado davanti al Consiglio di Stato e, pur non avendo il doppio grado del giudizio una copertura costituzionale, era necessaria una norma espressa per consentire la concentrazione delle azioni.

Inoltre, la applicazione del rito ordinario operava solo per le domande risarcitorie connesse, e non anche per la proposizione, in sede di ottemperanza, delle domande di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione (art. 112, comma 3).

A seguito dell'abrogazione del comma 4 dell'art. 112 il giudizio si svolge secondo il rito camerale, anche in caso di proposizione della domanda di risarcimento, non essendo stata inserita nel comma 3 la necessità di rispettare forme, modi e termini del processo ordinario; di conseguenza, al procedimento, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i termini del procedimento ordinario ridotti alla metà (T.A.R. Napoli (Campania) III  24 ottobre 2016 n. 4866).

Una domanda di ottemperanza può anche essere proposta unitamente ad una azione di annullamento e spesso tali domande si pongono tra loro in un rapporto di alternatività: vi può essere ad esempio la contemporanea proposizione nei confronti del medesimo provvedimento dell'azione di ottemperanza per violazione o elusione del giudicato, in unico grado davanti al Consiglio di Stato, e di impugnazione ordinaria davanti al Tar competente secondo le regole ordinarie ( Cons. St. IV, n. 1625/2014), così è del pari consentito devolvere nella medesima impugnativa un'azione di ottemperanza ed una di legittimità. In questa seconda ipotesi il giudice adito è chiamato innanzitutto a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all'ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell'azione amministrativa che non impinge nel giudicato, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori, ed in particolare disponendo, in caso di rigetto della domanda di nullità, la conversione dell'azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione ( Cons. St. VI, n. 3939/2015; Cons. St. V. n. 4604/2015). Nel caso, invece, in cui il giudice dell'ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'Amministrazione costituisce violazione ovvero elusione del giudicato, dichiarandone così la nullità, a tale dichiarazione non può che seguire l'improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse della seconda domanda di annullamento (Cons. St. IV, n. 5279/2013).

In caso di cumulo tra domanda di annullamento e domanda di ottemperanza deve essere seguito il rito della udienza pubblica; qualora ciò non accada la sentenza di primo grado è nulla ed il giudizio deve regredire in primo grado ex art. 105 c.p.a.; per far valere la nullità della sentenza è necessario tuttavia che venga proposto uno specifico mezzo di gravame ed ove ciò non accada il Consiglio di Stato deve giudicare previa conversione del rito (Cons. St. IV, n. 8446/2021).

Segue. Ricorso avverso il silenzio e azione di annullamento.

È stato ammesso che nel giudizio avverso il silenzio si possa impugnare con motivi aggiunti il provvedimento espresso sopravvenuto e, in questo caso, il processo prosegue con il rito previsto per il nuovo provvedimento (art. 117, comma 5) e che, nello stesso giudizio avverso il silenzio, posa essere proposta l'azione di risarcimento del danno e in questo caso il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria (art. 117, comma 6).

Nel processo amministrativo qualora vengano proposte in giudizio domande soggette a riti diversi (nell'ambito del rito del silenzio ai fini dell'esecuzione, ma anche rivolte a differenti e più complesse questioni di merito), ai sensi dell'art. 32 deve applicarsi il procedimento previsto dal rito ordinario e non può seguirsi il rito speciale in camera di consiglio in quanto l'art. 87, comma 1, impone, a pena di nullità, la trattazione del processo in udienza pubblica. T.A.R. Lazio (Roma) II, 16 maggio 2011, n. 4216.

Conversione delle azioni

L'articolo in commento chiarisce, inoltre, che spetta al giudice qualificare la domanda, al di là del nomen utilizzato dalle parti, essendo possibile anche la conversione delle azioni; ciò al fine di facilitare la concentrazione delle azioni o il passaggio da un'azione all'altra, avendo sempre riguardo al contenuto sostanziale delle stesse.

Ciò costituisce ulteriore conferma della eliminazione di ogni tipo di formalismo e della prevalenza che il giudice amministrativo deve dare alla sostanza delle domande, che vengono proposte dalle parti: il giudice qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali.

Ai sensi dell'art. 32 comma 2, il giudice amministrativo può procedere alla qualificazione dell'azione, indipendentemente dalla richiesta introdotta in giudizio. T.A.R. Sicilia Catania I, 28 febbraio 2011, n. 491.

Può accadere, inoltre, che rispetto ad una azione originariamente proposta circostanza sopravvenute o altri elementi ne rendono utile (per il ricorrente) la conversione e, in questo caso, il g.a. potrà sempre disporre la conversione delle azioni, fermo restando il rispetto dei termini e delle forme previste («sussistendone i presupposti»).

Attuazione di tale principio si trova nell'art. 34, comma 3, secondo cui quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se c'è interesse ai fini risarcitori.

In sostanza, in caso di tempestiva impugnazione di un provvedimento amministrativo, qualora — ad esempio — il provvedimento ha ormai esaurito i suoi effetti o non vi è più interesse alla rimozione dell'atto, il ricorrente può conservare interesse ad accertare l'illegittimità del provvedimento ai fini risarcitori e il giudice procederà a convertire l'azione di annullamento in azione di accertamento (a ulteriore conferma dell'ammissibilità di tale azione, benché non disciplinata dal Codice).

L'azione di accertamento può essere proposta anche in via cumulativa con l'azione di annullamento, posto che, ai sensi dell' art. 32, d.lgs. n. 104/2010 (in base al quale è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale e, se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai Capi I e II del Titolo V del Libro IV), è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. T.A.R. Sardegna I, 14 gennaio 2011, n. 27.

Altro esempio particolare di conversione ha riguardato un ricorso volto ad ottenere la retrocessione parziale ai sensi dell' art 47 del d.P.R.. n. 327/2001 di parte di un terreno oggetto di esproprio convertito, ai sensi dell'art. 32 in un ricorso sul silenzio dell'amministrazione di cui agli articoli 31 e 117 del codice medesimo, non avendo l'interessato alcun diritto alla retrocessione, ma unicamente il diritto a che l'Amministrazione si pronunci sulla domanda presentata (T.A.R. Abruzzo (Pescara) 1 dicembre 2010, n. 1253).

La conversione delle azioni può essere chiesta dalla parte e il giudice deve verificare se ne sussistono i presupposti; ma può essere anche disposta d'ufficio dal giudice nell'ambito dei propri poteri di qualificazione dell'azione e di individuazione dell'interesse del ricorrente.

La verifica della sussistenza dei presupposti per la conversione di un'azione deve riguardare anche la necessità di evitare che attraverso altre azioni sia eluso il termine decadenziale previsto per l'azione di annullamento; in astratto una azione di accertamento può essere convertita in una azione di annullamento, ma deve in modo categorico escludersi che tramite una azione di accertamento possano essere aggirati i termini di decadenza per la contestazione dei provvedimenti amministrativi; se il termine è decorso senza la proposizione di alcuna azione, alla decadenza non può porsi rimedio tramite la conversione di una diversa azione, comunque tardivamente esercitata.

Nel caso, esaminato sopra, in cui il giudice dell'ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'Amministrazione non costituisce violazione ovvero elusione del giudicato, rigettando la domanda di nullità, il giudice dispone la conversione dell'azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione a condizione che tale azione sia stata proposta non già entro il termine proprio dell'actio iudicati (dieci anni, ex art. 114 comma 1, cui rinvia il precedente art. 31 comma 4), bensì entro il termine di decadenza previsto dall'art. 41 per la corretta instaurazione del contraddittorio, il cui rispetto è reso necessario, oltre che dalla disciplina del giudizio impugnatorio, anche dall'espresso richiamo, da parte dell'art. 32 comma 2 che disciplina la conversione dell'azione, alla necessità di sussistenza dei presupposti, tra i quali va compreso il rispetto del termine decadenziale per la proposizione dell'azione (Cons. St. IV, n. 5279/2013).

Bibliografia

Berti, Connessione e giudizio amministrativo, Padova, 1970; Follieri, Qualificazione e conversione dell'azione alla prova del principio della domanda, in Dir. proc. amm. 2013, 177; Ramajoli, La connessione nel processo amministrativo, Milano, 2002.

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