Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 13 - Competenza territoriale inderogabile

Maurizio Santise

Competenza territoriale inderogabile

 

1. Sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni è inderogabilmente competente il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione territoriale esse hanno sede. Il tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all'ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede.

2. Per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio.

3. Negli altri casi è inderogabilmente competente, per gli atti statali, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma e, per gli atti dei soggetti pubblici a carattere ultra regionale, il tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il soggetto.

4. La competenza di cui al presente articolo e all'articolo 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari 1.

4-bis. La competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l'interesse a ricorrere attrae a sé anche quella relativa agli atti presupposti dallo stesso provvedimento tranne che si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza 2.

Inquadramento

La competenza è la porzione di potere che ogni giudice esercita nei confronti dei giudici appartenenti alla stessa giurisdizione. Dovrebbe, quindi, rappresentare un presupposto meno rilevante della giurisdizione, che necessariamente presuppone. L'art. 13, tuttavia, ha introdotto il generale principio di inderogabilità della competenza, segnando così una netta differenza con la competenza territoriale del giudice civile che, in linea di massima, è derogabile, come emerge dall' art. 38 c.p.c.; inoltre, la norma avvicina in modo evidente le questioni di competenza alle questioni di giurisdizione. Non rientrano nelle questioni di competenza la ripartizione delle controversie tra Tar con sede nel capoluogo e sezione staccata (art. 47), salvo i casi previsti dall'art. 14, che prevede una competenza funzionale inderogabile.

Come per la giurisdizione, la determinazione dell'ambito della competenza è coperta dalla riserva di legge di cui all' art. 113, comma 3 Cost.

Le norme sulla competenza stabiliscono la distribuzione delle controversie tra Consiglio di Stato, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia e T.A.R. che avviene sulla base dei seguenti criteri: il grado, il territorio e la materia.

I criteri per determinare la competenza

L'introduzione del c.p.a. ha comportato l'adozione di due criteri a carattere alternativo per determinare la competenza del Tar.

Il primo criterio, che apre l'art. 13, è quello della sede delle pubbliche amministrazioni. La norma prevede che «sulle controversie» riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti è competente il Tar nella cui circoscrizione le stesse hanno sede. A questo criterio, il c.p.a. ha affiancato quello della sede del Tar in cui si producono gli effetti diretti dei provvedimenti, atti, accordi o comportamenti. Si tratta, quindi, di criteri alternativi. L'elencazione degli atti o comportamenti riconducibili alla p.a. riprende quella dell' art. 7 c.p.a in tema di giurisdizione e dimostra la nuova struttura del giudizio amministrativo non più incentrato solo sul provvedimento amministrativo e sulla tutela caducatoria.

A differenza del processo civile, che conosce tre criteri di attribuzione della competenza (per materia, per valore e per territorio), il processo amministrativo fa riferimento, in generale, a due soli criteri: la competenza territoriale e quella funzionale, entrambi espressamente definiti “inderogabili”, pur residuando un’ulteriore ipotesi di competenza per materia, articolata territorialmente, disciplinata tra le ipotesi di competenza territoriale, inerente alle controversie riguardanti pubblici dipendenti (art. 13, comma 2, c.p.a.), le quali sono attribuite inderogabilmente al Tar nella cui circoscrizione vi è la sede di servizio.

Cons. St., Ad. plen. n. 13/2021: il rapporto tra i due criteri di competenza territoriale previsti dall'art. 13, comma 1, c.p.a. segue, dunque, una logica di complementarietà e di reciproca integrazione: il criterio principale è quello della sede dell'autorità che ha adottato l'atto impugnato, ma nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell'ambito territoriale di un Tribunale periferico, il criterio della sede cede il passo a quello dell'efficacia spaziale. La conclusione si evince dalla parola «comunque» inserita nel secondo periodo della norma richiamata, atta ad indicare che si deve avere riguardo, per individuare il Tribunale amministrativo regionale competente per territorio, in primo luogo all'efficacia dell'atto: se questa è limitata ad una determinata Regione, sarà competente il Tribunale competente per tale Regione. Naturalmente, se il criterio della sede e quello dell'efficacia spaziale dell'atto impugnato finiscano per coincidere, la controversia si radica nella competenza territoriale dello stesso Tar.

La ratio sottesa al criterio dell’efficacia dell’atto è quella di radicare la competenza del Tribunale Amministrativo Regionale più vicino al ricorrente, quando gli effetti lesivi dell’atto siano limitati ad un ristretto ambito territoriale nel quale egli si trova, anche se l’autorità emanante, centrale o periferica, abbia sede altrove.

In questo modo si attua il decentramento della competenza territoriale ex art. 125 Cost., secondo una logica di prossimità.

Soltanto, quindi, per gli atti emanati da un’Autorità periferica aventi efficacia non limitata ad un preciso ambito territoriale (e, dunque, aventi efficacia ultraregionale, intesa come non limitabile alla circoscrizione di una singola Regione) riprenderà vigore il criterio della sede dell’Autorità emanante per individuare il Tribunale competente, al pari degli atti statali non limitabili territorialmente quoad effectum, così come esplicita l’art. 13, comma 3, c.p.a.

Sul punto si veda, in tema di interdittive antimafia: Cons. St., Ad. plen., 33/2012; Cons. St., Ad. ple, n. 34/2012; Cons. St., 4/2013; Cons. St., n. 9/2014.

Come ha precisato Cons. St., Ad. pl. n. 13/2021 la ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia, previsto dall’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a., è indubbiamente quella di temperare il c.d. criterio della sede, radicando, secondo un più generale principio di prossimità, che costituisce corollario del principio di difesa ex art. 24 Cost., e secondo una logica di decentramento della giurisdizione amministrativa, che è accolto dal Legislatore costituzionale all’art. 125 Cost., la competenza territoriale del Tribunale “periferico” in ordine ad atti emanati da amministrazioni aventi sede in una circoscrizione di un Tribunale, ma esplicanti effetti diretti limitati alla circoscrizione territoriale di un altro Tribunale.

In relazione ad un pubblico concorso è stata ritenuta dirimente, ai fini della determinazione della competenza, non tanto la circostanza che la procedura sia o meno bandita a livello nazionale, quanto la concreta efficacia territoriale della graduatoria; qualora i suoi effetti siano limitati ad una specifica regione, la competenza territoriale si radica in capo al Tar della regione medesima ai sensi dell'art. 13 comma 1, secondo periodo (T.A.R. Campania (Napoli) IV, 6 febbraio 2017, n. 723).

Fissa, invece, una gerarchia tra fori altra parte della giurisprudenza, secondo cui la regola generale del foro della sede dell'Autorità emanante prevale sulle regole speciali del foro del luogo in cui l'atto produce i suoi effetti e del foro della sede di servizio dell'impiegato ricorrente quando l'atto, e quindi il ricorso, interessa una molteplicità di soggetti sparsi su tutto il territorio nazionale (T.A.R. Molise I, 19 dicembre 2016, n. 527; Cons. St. IV, ord. n. 5493/2012; Cons. St. IV, ord. n. 321/2012).

Più di recente il Consiglio di Stato ha precisato che nel processo amministrativo, in tema di competenza territoriale inderogabile, il criterio principale è quello della sede dell'organo che ha emanato l'atto, e tale criterio può essere sostituito da quello inerente gli effetti diretti dell'atto solo quando tali effetti si esplichino esclusivamente in un ambito territoriale delimitato (cfr., Cons. St. III, n. 574/2016).

L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che in materia di “Competenza territoriale inderogabile” dei tribunali amministrativi regionali, i commi 1 e 2 dell'art. 13, nel delineare — congiuntamente al successivo comma 3, dedicato agli atti ad efficacia ultra-regionale — i rapporti tra il criterio della sede e quello dell'efficacia spaziale secondo una logica di complementarietà e di reciproca integrazione, hanno inteso chiarire che il criterio ordinario rappresentato dalla sede dell'autorità amministrativa cui fa capo l'esercizio del potere oggetto della controversia, cede il passo a quello dell'efficacia spaziale nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell'ambito territoriale di un tribunale periferico. In tal caso la competenza spetta, quindi, al tribunale nella cui circoscrizione tali effetti si verificano anche nell'ipotesi in cui l'atto sia stato adottato da un organo centrale dell'amministrazione statale, da un ente ultra regionale ovvero da un organo periferico dello Stato che abbia sede nell'ambito della circoscrizione di altro tribunale territoriale ( Cons. St.Ad. plen., n. 4/2013).

Ai fini della competenza territoriale vanno considerati solo gli effetti diretti e immediati dell'atto, mentre non assumono rilievo gli effetti mediati e indiretti eventualmente derivanti dalla connessione con atti non oggetto di specifico gravame, al pari dell'efficacia eventualmente ultraregionale degli atti impugnati ( Cons. St.Ad. plen., n. 4/2013).

Il comma 3 dell'art. 13 rafforza l'inderogabilità della competenza, prevedendo che il Tar Lazio sia il giudice di primo grado in relazione all'impugnazione degli atti statali, mentre, in relazione agli atti a carattere ultraregionale, il Tar competente è quello nella cui circoscrizione ha sede il loro autore.

In questo senso la giurisprudenza, secondo cui l'impugnativa proposta avverso atti e provvedimenti di amministrazioni statali centrali aventi efficacia territorialmente non limitata risulta idonea a radicare la competenza territoriale del Tar Lazio (sede di Roma), ai sensi dell'art. 13, comma 3, c. proc. amm., e tale conclusione si impone anche qualora gli atti degli organi centrali dello Stato siano impugnati quali atti presupposti (T.A.R. Piemonte I, 14 maggio 2011, n. 485). In relazione agli atti presupposti si veda, tuttavia, il paragrafo successivo.

Per pubbliche amministrazioni, come già rilevato sub art. 7 c.p.a., devono intendersi anche le figure di soggetti ad esse equiparate.

L'inderogabilità della competenza si riflette anche in ordine alle misure cautelari, come emerge dal comma 4 che espressamente precisa che la competenza è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari. Si tratta di una norma tesa a evitare il forum shopping e che è coerente con il comma 7 dell'art. 11, secondo cui le misure cautelari disposte dal giudice privo di giurisdizione perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. In quest'ottica si colloca anche l'art. 55, ultimo comma che espressamente prevede che il giudice adito può disporre misure cautelari solo se ritiene sussistente la propria competenza.

La giurisprudenza ha da subito recepito il principio dell'inderogabilità della competenza anche in ordine alle misure cautelari: «a seguito della entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, la competenza territoriale in primo grado è divenuta inderogabile, anche per quanto riguarda le misure cautelari» (ex plurimis, T.A.R. Piemonte I, 14 maggio 2011, n. 485).

La dottrina si è interrogata sulla coerenza del comma I in cui sono richiamati due criteri inderogabili di competenza a carattere alternativo. Alcuni autori (Fracanzani, 251), nel tentativo di sciogliere l'apparente contraddittorietà della norma, hanno evidenziato che in realtà la sede di un'amministrazione coincide con la sua competenza territoriale che, a sua volta, ha ampiezza infra-regionale. Gli effetti diretti del provvedimento, quindi, non possono che svilupparsi all'interno della sfera di competenza dell'ente, cioè della sua sede.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, già citata, con sentenza n. 13/2021, ha, in particolare, chiarito che la ratio sottesa al c.d. criterio dell’efficacia previsto dall’art. 13, comma 1, cod. proc. amm., secondo periodo, è quella di temperare il criterio della sede secondo un più generale principio di prossimità e secondo una logica di decentramento, radicandosi così la competenza del T.a.r. “periferico” su atti che benché siano emanati da amministrazioni aventi sede in una diversa circoscrizione di Tribunale o da un’autorità centrale, esplichino effetti diretti limitati alla circoscrizione del Tribunale periferico. Alla stessa stregua è stata individuata nel T.a.r. “periferico” la competenza nel caso di impugnazione di un atto emesso da un’autorità statale localizzata, ancorché l’atto esplichi la sua efficacia non limitatamente al territorio di quella regione.

Su queste basi ermeneutiche, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto la competenza del T.a.r. periferico e non del T.a.r. per il Lazio in relazione al decreto di inammissibilità dell’istanza finalizzata ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana perché emanato da autorità periferica dello Stato e ha effetti diretti limitati al solo ambitoterritoriale in cui ha sede il Tribunale.

Secondo l’Adunanza plenaria la valutazione compiuta dalla prefettura nel caso di specie non incide sulla pretesa sostanziale dello straniero e, dunque, sul suo status, ma solo sul profilo preliminare, inerente alla regolarità della domanda, con la conseguenza che al relativo provvedimento di inammissibilità non può connettersi un’efficacia erga omnes, e quindi ultraregionale, propria, invece, di un provvedimento che, entrando nel merito, presuppone un giudizio circa la spettanza del bene della vita, peraltro riconoscibile, nel caso di specie, solo dall’autorità centrale.

Il provvedimento di inammissibilità non è, quindi, un atto di diniego della cittadinanza, ma un atto di un organo periferico che si inserisce nell’iter amministrativo, determinandone l’arresto e, come tale, non è un atto idoneo ad incidere sullo status del soggetto interessato con efficacia erga omnes.

Conseguentemente, nel caso di specie, il criterio per la determinazione della competenza, riguardato anche sotto il profilo dell’efficacia dell’atto, è quello stabilito dall’art. 13, comma 1, c.p.a. (c.d. criterio della sede), ai sensi del quale è competente il Tribunale nella cui circoscrizione territoriale ha sede l’organo statale periferico emanante, in conformità al precedente orientamento seguito da questo Consiglio di Stato.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 15 del 2021 ha, in altra occasione, evidenziato che l’effetto diretto consiste nella capacità della norma di creare diritti ed obblighi direttamente e utilmente in capo a singoli soggetti, mentre è di mero riflesso, o indiretto, quando si tratta di sole ripercussioni, senza necessaria certezza dell’effetto stesso. La norma (art. 13, comma 2) si riferisce agli effetti tipici che la legge riconduce al potere, come configurato dalla norma. È quindi necessario individuare gli effetti tipici diretti nell’ambito delle conseguenze giuridiche dell’azione amministrativa, estrapolandoli dalla pluralità di effetti indiretti, contestuali o riflessi che da quell’azione possono del pari derivare.

Specialmente negli atti plurimi, la valutazione degli effetti diretti territorialmente limitati è possibile se e in quanto questi sono scindibili e contestati per la parte che determina la lesione della posizione del ricorrente.

L’Adunanza plenaria ha, quindi, stabilito che una graduatoria concorsuale costituisce un atto plurimo e gli eventuali avanzamenti nella parte riservata della graduatoria medesima, che preveda un’aliquota riservata di posti destinati ai possessori dell’attestato di bilinguismo di cui all’art. 4 d.P.R. n. 752/1976, costituiscono effetti diretti limitati al solo territorio della provincia di riferimento (nella specie si trattava di quella autonoma di Bolzano) e non sono quindi idonei a radicare la competenza del T.a.r. per il Lazio, comportando la competenza esclusiva del T.r.g.a. – sezione autonoma della provincia di Bolzano.

Per quanto riguarda l'individuazione del foro competente nei giudizi di accertamento si è posto il problema del criterio da applicare, non rinvenendosi un immediato parametro nel c.p.a.

Si è proposto di applicare i principi generali del c.p.c. e, quindi, in relazione alle domande di accertamento dei diritti soggettivi di carattere patrimoniale che trovano titolo in un rapporto contrattuale e in relazione a domande di condanna al pagamento di somme di danaro deferibili alla giurisdizione esclusiva del g.a., si è ritenuto di applicare in via analogica l' art. 20 c.p.c. secondo cui il giudice competente per le cause relative a diritti di obbligazione è quello del luogo ove è sorta o si deve eseguire l'obbligazione dedotta in giudizio, salva per le amministrazione statali l'applicabilità dell' art. 25 c.p.c.

La giurisprudenza non ha sempre seguito questa impostazione. Nel caso di azione fondata su un diritto soggettivo non preceduta da azione di annullamento (o di accertamento di illegittimità), operano gli specifici criteri di riparto delineati per il giudizio amministrativo e non quelli del c.p.c., in quanto il sistema di ripartizione degli affari contenziosi allora delineato dagli art. 2 e 3 l. n. 1034/1971 – l. T.A.R., ancorché modellato sulle controversie aventi ad oggetto un atto amministrativo lesivo di interessi legittimi, si presenta completo ed autonomo e, quindi, tale da non richiedere alcuna integrazione «ab externo» mercè le norme e i principi del diritto processuale comune, dovendosi piuttosto adattare, con le necessarie cautele esegetiche, le surrichiamate previsioni alle liti sui diritti soggettivi (nella specie, di credito) rientranti nelle materie di giurisdizione esclusiva devolute al giudice amministrativo; ciò che ha condotto ad affermare che il diritto processuale amministrativo non conosce fori alternativi (del tipo di quelli previsti dall' art. 20 c.p.c.), di guisa che, almeno nelle intenzioni del legislatore, ad ogni controversia dovrebbe corrispondere uno ed un solo Tribunale. Quest'ultima conclusione — pur se con i dubbi ingenerati dalla rilevata assenza di disposizioni specifiche e dalla positivizzazione del principio del rinvio esterno (alle disposizioni del c.p.c. in quanto compatibili o espressive di principi generali) — appare tuttora condivisibile, benché ne sia stato all'epoca escluso l'eccessivo rigore alla luce del bilanciamento costituto dall'ampia derogabilità della competenza territoriale. Infatti, se per un verso il sistema della competenza territoriale non risulta immutato in maniera radicale dal cod. proc. amm. quanto ai criteri di riparto (non già in riferimento all'inderogabilità della competenza), per altro verso, oggi l'art. 13 comma 1, fa espresso riferimento alle controversie riguardanti, oltre che provvedimenti e atti, anche «accordi o comportamenti delle p.a.» (T.A.R. Lazio (Roma) III, 3 novembre 2014, n. 10973).

In relazione alle domande risarcitorie conseguenziali ad un giudizio di annullamento del provvedimento è stata affermata la competenza del giudice di fronte al quale è stato impugnato il provvedimento amministrativo, anche se la domanda risarcitoria è stata proposta con un autonomo e successivo ricorso proposto dopo la conclusione del giudizio di impugnazione ( Cons. St.Ad. plen., n. 10/2004).

Segue. Pubblici dipendenti

Il comma 2 prevede poi — per le controversie riguardanti pubblici dipendenti — che è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio. Tale criterio è quello generalmente accolto dal c.p.c. in tema di rapporti di lavoro (art. 413, comma 2) ed è posto a favore del lavoratore: non è, infatti, la sede legale dell'ente il criterio di riferimento, ma la sede dove il lavoratore svolge le sue mansioni che è normalmente il luogo in cui questo ha anche il maggior contatto possibile con il luogo della controversia.

In questo senso si è evidenziato che, ai sensi dell' art. 13 comma 2, c.p.a., per le controversie riguardanti i pubblici dipendenti, è inderogabilmente competente il Tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio dello stesso dipendente (T.A.R. Campania (Napoli) VII, 16 marzo 2017, n. 1504).

È stato chiarito che il provvedimento di esclusione da un concorso pubblico ha una forza espansiva su tutto il territorio nazionale, incidendo in modo diretto non solo sul candidato escluso, ma anche sul numero degli aspiranti all'ammissione al predetto concorso; conseguentemente, competente a conoscere dell'impugnazione dell'esclusione è il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede a Roma (Cons. St. IV, 30 aprile 2003, n. 2206).

Inoltre, la graduatoria dei promossi conclusiva del procedimento di scrutinio per merito comparativo nell'ambito di un ruolo nazionale costituisce un provvedimento collettivo, che coinvolge inscindibilmente una pluralità di impiegati in servizio presso uffici dislocati nelle diverse circoscrizioni dei Tribunali aministrativi regionali; pertanto, nel caso di impugnativa della detta graduatoria, ai fini della determinazione della competenza territoriale del T.a.r. al quale — in difetto di concorde designazione delle parti in causa — deve ritenersi devoluta la cognizione della controversia, non trova applicazione la regola del foro della sede in servizio del dipendente a cui siano diretti individualmente gli effetti dell'atto impugnato, ma opera il principio generale di cui all' art. 3, comma 3, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, con la conseguenza che la controversia è di competenza del T.a.r. per il Lazio (Cons. St. IV, n. 683/2002).

La giurisprudenza si è poi occupata della cognizione del ricorso proposto nei confronti dell'annullamento di un provvedimento di trasferimento, o assegnazione, di un pubblico dipendente, precisando che appartiene alla competenza del Tribunale amministrativo regionale ove lo stesso prestava servizio al momento dell'emanazione del provvedimento impugnato; «detto orientamento appare vieppiù attuale alla stregua del rafforzamento —ad opera delle disposizioni del c.p.a.- del regime di inderogabilità assoluta della competenza territoriale, che postula quale antecedente logico (direttamente connesso al principio costituzionale del «giudice naturale precostituito per legge») che la individuazione del giudice competente non può dipendere dall'iniziativa di una parte e che uno — ed uno soltanto — è il giudice incaricato a conoscere di una certa controversia; il contrario intendimento, ove accolto, metterebbe in crisi tali principi, atteso che il favor per il prestatore di lavoro non può spingersi sino a rimettere a quest'ultimo la scelta del giudice da adire, e tale distonica conseguenza si invererebbe laddove non si stabilisse un momento certo di determinazione del criterio determinativo della competenza, che non può che coincidere con il luogo ove il dipendente prestava servizio al momento dell'emanazione del provvedimento impugnato» (Cons. St. IV, n. 1581/2017).

Cons. St. VI, n. 3294/2010 ha, invece, precisato che la controversia inerente il silenzio rifiuto serbato al dipendente dall'amministrazione di appartenenza su istanza di accesso a documenti relativi al procedimento di trasferimento della sede di servizio, non investe il via diretta e immediata il rapporto di impiego, ma si collega all'esercizio dell'autonomo diritto di accesso a documenti amministrativi secondo la disciplina dettata dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990; pertanto, ai fini della determinazione della competenza territoriale trova applicazione l'ordinario criterio di cui all' art. 2, n. 1), della l. n. 1034 /1971 (ora art. 13 c.p.a.), che assume a riferimento la sede nell'ambito della circoscrizione del TAR dell'organo periferico dello Stato che ha emanato l'atto, e non quello della sede di servizio del pubblico dipendente.

È stato poi chiarito che in materia di competenza territoriale dei tribunali amministrativi regionali la regola generale del foro della sede dell'autorità emanante prevale sulle regole speciali del foro della sede di servizio dell'impiegato ricorrente e del foro del luogo in cui l'atto produce i suoi effetti, ogni volta che all'impugnazione di un atto applicativo individuale o ad efficacia territorialmente limitata venga connessa l'impugnazione di un atto generale, emesso da un'autorità centrale e avente efficacia per tutto il territorio nazionale (Cons. St. IV, n. 1022/2006).

Segue. Ulteriore casistica

Con riguardo al conferimento della cittadinanza italiana la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che alla stessa si ricollega una capacità giuridica speciale che consente allo straniero di godere dei diritti civili attribuiti al cittadino e che non ha efficacia territorialmente limitata, con conseguente competenza del Tar Lazio per il giudizio avverso il diniego di conferimento (Cons. St. VI, n. 3676/2006).

Sul punto, si veda la già citata pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 13/2021 che ha riconosciuto la competenza territoriale del Tribunale “periferico” in relazione al decreto di inammissibilità dell’istanza finalizzata ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana in quanto emanato da autorità periferica dello Stato e ha effetti diretti limitati al solo ambito territoriale in cui ha sede il Tribunale.

È stato evidenziato che sussiste la competenza territoriale del TAR Lazio nella controversia avente ad oggetto l'irrogazione di una sanzione (nella specie, la riduzione di trasferimenti di risorse erariali) al Comune inadempiente agli obblighi derivanti dal c.d. patto di stabilità interno ex art. 7 d.lgs 6 settembre 2011, n. 149, in quanto le ricadute, pur estremamente rilevanti, che tali atti hanno nei confronti del Comune non esauriscono gli “effetti diretti” che essi producono, ai fini della determinazione della competenza territoriale ex art. 13, comma 1. Infatti non può sottacersi che le predette sanzioni costituiscono parte di una manovra finanziaria unitaria, le cui ripercussioni sulla finanza pubblica statale non possono in alcun modo qualificarsi quali effetti indiretti non rilevanti ai fini suindicati(cfr., Cons. St. Ad. plen., n. 6/2011).

Ai sensi dell' art. 3, comma 2, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, la competenza a conoscere dell'impugnazione del provvedimento di approvazione di un contratto d'area di cui al comma 203 lett. f) l. 23 dicembre 1996 n. 662, appartiene al Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione il predetto contratto d'area è destinato a produrre effetti (Cons. St. IV, n. 4337/2002).

Il ricorso contro una convenzione intercorsa tra amministrazioni aventi sede in regioni diverse, e che produca effetti non localizzabili in una sola regione, va proposto davanti al T.a.r. nella cui circoscrizione produca gli effetti prevalenti (Cons. St. V, n. 8/1994).

È competente il T.a.r. per il Lazio in ordine alla impugnazione proposta avverso il decreto di esclusione dagli esami di abilitazione alla professione di psicologo, in quanto come l'abilitazione all'esercizio di una attività professionale è produttiva di effetti sull'intero territorio nazionale, altrettanto deve ritenersi per ciò che riguarda l'esclusione degli esami di stato indetti per il conseguimento dell'abilitazione (Cons. St. IV, n. 352/1994).

Ai sensi dell' art. 143 lett. a), r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, rientrano nella cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche, con la conseguenza che la giurisdizione di detto Tribunale, quale giudice amministrativo speciale, sussiste limitatamente alle controversie che concernono l'utilizzazione diretta e immediata delle acque; pertanto, vanno devolute alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative agli atti del procedimento formativo della volontà dell'ente pubblico per la scelta dei soggetti esecutori di lavori per la realizzazione di opere concernenti le acque stesse, concernendo solo in via mediata ed indiretta il regime delle acque pubbliche (Cons. St. V, n. 5442/2006).

Spetta al Tar per il Lazio la competenza a pronunciare sul ricorso proposto contro il provvedimento dell'AIMA contenente l'elenco dei produttori italiani delle c.d. quote latte, trattandosi di provvedimento avente efficacia nell'intero territorio nazionale (Cons. St. VI, n. 640/1999).

La deroga alla competenza per ragioni di connessione: l'impugnazione degli atti presupposti

L' art. 1, lett. a) d.lgs. n. 160/2012 ha introdotto il comma 4-bis che prevede la possibilità di derogare ai criteri di determinazione della competenza in omaggio ai principi di economicità, concentrazione e, quindi, di effettività della tutela.

Qualora, infatti, si impugni un provvedimento che presuppone un altro provvedimento a monte, la competenza per l'impugnazione di quest'ultimo spetta al giudice del provvedimento principale (quello che si colloca a valle). In questo modo per l'impugnazione dei provvedimenti presupposti si realizza una deroga alla competenza per ragioni di connessione, che normalmente non è consentita, perché le norme sulla competenza sono inderogabili. Questo criterio di attrazione del provvedimento a monte sul provvedimento a valle, non opera qualora gli atti presupposti siano atti normativi o generali, perché, in tal caso, restano fermi gli ordinari criteri di competenza e, quindi, si applica il comma 1 già visto, o se l'atto è emesso da soggetti pubblici a carattere ultraregionale, il Tar nella cui circoscrizione ha sede il soggetto. Per gli atti statali sarà, quindi, competente sempre il Tar Lazio.

Esigenze di concentrazione delle tutele giustificano, peraltro, anche l'art. 42, comma 4, il quale prevede che la cognizione del ricorso incidentale è attribuita a quella del ricorso principale, sempre che la domanda introdotta con il ricorso incidentale non sia devoluta alla competenza del Tar Lazio, sede di Roma, o alla competenza funzionale dello stesso ai sensi dell' art. 14 c.p.a., nel qual caso la competenza è attratta da quest'ultimo.

In questo senso, si è sostenuto che ai sensi dell' art. 13 comma 4-bis c.p.a, sussiste la competenza territoriale del Tar Lazio, con sede in Roma, nella controversia avente ad oggetto, quali atti presupposti, provvedimenti adottati da un'Autorità centrale dello Stato con effetti estesi all'intero territorio nazionale (T.A.R. Piemonte II, 10 novembre 2016, n. 1403).

L'adunanza plenaria, per esigenze di certezza, ha, peraltro, chiarito che è irrilevante che l'impugnativa sia svolta in via subordinata ed eventuale ad una determinata interpretazione, giacché la medesima impugnativa determina comunque una situazione di inscindibilità processuale (cfr., Cons. St.Ad. plen.n. 6/2011).

Il principio secondo cui la competenza del Tar del luogo dell'efficacia dell'atto o della sede di servizio dell'impiegato cede nei confronti di quella del Tar del Lazio (sede di Roma) ogni volta che all'impugnazione di atti applicativi individuali, aventi efficacia limitata sotto il profilo personale o quello territoriale, venga connessa, strumentalmente, l'impugnazione di un atto presupposto di carattere generale (regolamento, circolare, ordinanza ecc.) destinato a valere senza limiti personali o territoriali, non opera nel caso in cui viene impugnato non un atto « generale » bensì atto « plurimo », vale a dire un atto nel quale si trovano occasionalmente riuniti provvedimenti che avrebbero potuto assumere anche la veste di atti separati per ciascun interessato, quale il decreto ministeriale di promozione di impiegati aventi sede nell'intero territorio nazionale (Cons. St. IV, n. 588/1994).

Ad esempio è stato ritenuto che il decreto di nomina dei componenti delle Commissioni tributarie regionali e provinciali costituisce atto plurimo, pertanto trova applicazione la competenza dei T.a.r. territoriali (Cons. St. IV, n. 263/1997).

Diversamente, invece, il decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 21 settembre 1984 (c.d. decreto Galasso), che ha imposto il vincolo paesaggistico a tutti i territori ricadenti in fasce territoriali, non è atto plurimo, ma atto generale con pluralità di destinatari; pertanto l'impugnazione di tale decreto rientra nella competenza del T.a.r. per il Lazio (Cons. St. VI, 20 giugno 1998).

Segue. La litispendenza

Il c.p.a. nulla dice in relazione alla litispendenza che si ha quando più cause identiche pendono davanti a giudici diversi.

In tale ipotesi la dottrina ha ritenuto di applicare in via analogica il disposto dell' art. 39, comma 1, c.p.c. che adotta il criterio della prevenzione, secondo cui la competenza spetta al giudice adito per primo (Police, 137).

Raccoglie questo suggerimento anche la giurisprudenza amministrativa, secondo cui nel processo amministrativo, in assenza di una specifica disciplina sulla litispendenza, ma ponendosi comunque la medesima esigenza di evitare decisioni contrastanti sulla medesima res litigiosa, oltre che di duplicare inutilmente l'attività giurisdizionale, si applicano, in virtù del rinvio esterno operato dall' art. 39 comma 1, c.p.a., le regole del processo civile. In sede di interpretazione di dette norme, la sussistenza di una situazione di litispendenza va verificata al momento in cui il giudice emette la propria pronuncia (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, 12 maggio 2016, n. 164).

Segue. La continenza

Con riguardo alla continenza tra giudizi, che si realizza quando un giudizio ha ambito applicativo più ampio di un altro tanto da poter distinguere tra giudizio contenente e giudizio contenuto, la giurisprudenza ha ritenuto di applicare in via analogica l' art. 39, comma 2, c.p.c.

In particolare, si è precisato che l' art. 39 comma 2, c.p.c. è applicabile al processo amministrativo, atteso che il possibile conflitto di giudicati viene evitato con il criterio della prevenzione, se la causa proposta per seconda appartiene per materia e per valore alla competenza dello stesso giudice innanzi al quale è pendente la prima. Pertanto, in ipotesi di continenza l'osservanza del criterio determinativo della competenza per territorio risulta recessiva rispetto all'esigenza di assicurare l'unicità del giudizio da parte del giudice previamente adito (cfr., T.A.R. Campania (Napoli) VII, 14 gennaio 2010, n. 123).

Segue. L'impugnazione delle informative prefettizie antimafia

La reale porta operativa del comma 4-bis è stata vagliata in relazione all'impugnazione delle circolari e delle informative prefettizie antimafia come atti presupposti.

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St. Ad. plen., n. 297/2013), in relazione all'impugnazione di un'informazione antimafia interdittiva, ha chiarito che l'art. 13 comma 4-bis va riferito esclusivamente all'ipotesi di impugnazione contestuale dell'atto presupposto di carattere pregiudiziale (con esclusione degli atti normativi o generali) e dell'atto consequenziale; di regola, tale ipotesi ricorre quando l'atto presupposto non sia immediatamente lesivo e dunque non sia autonomamente impugnabile (nella specie, è stato escluso che tale disposizione si applichi se l'atto presupposto è un'informazione antimafia interdittiva).

In particolare, l'atto applicativo, o consequenziale, rientrante nella competenza di un determinato T.A.R. sulla base degli ordinari criteri di cui all' art. 13 c.p.a., risulterà attratto per connessione in quella del T.A.R. competente, sulla base degli stessi criteri, per l'atto presupposto già fatto oggetto di impugnazione; ciò salva l'ipotesi in cui l'atto sopravvenuto nel corso del giudizio sul primo rientri in una delle tipologie di competenza funzionale, di cui all' art. 14 c.p.a., la cui particolare valenza comporta l'inapplicabilità ad esse delle regole di spostamento per ragioni di connessione (v. Cons. St.Ad. plen. , n. 23/2012).

L'Adunanza Plenaria ha poi chiarito che in fattispecie di sopravvenuta impugnazione dell'atto connesso (o, meglio, di introduzione nel processo pendente di una nuova e più ampia azione, connessa alla prima esercitata), si deve ritenere che la competenza relativa all'atto applicativo impugnato con motivi aggiunti venga attratta da quella relativa ai provvedimenti presupposti originariamente impugnati, valendo così a vanificare la competenza territoriale del Giudice in ordine al primo ordinariamente competente sulla base dei criteri, di cui all'art. 13.

Tale conclusione trova fondamento negli stessi principi che giustificano il comma 4-bis. I principi di economia dei giudizi e di razionalità del sistema processuale sono senz'altro applicabili nella misura in cui determinano un ragionevole coordinamento tra i principii recati dagli artt. 13 e 43 del codice del processo amministrativo, peraltro nel solco del generale favor che il nuovo codice accorda al simultaneus processus. La concentrazione dei processi, nell'alternativa tra diverse competenze per territorio, è tendenzialmente favorita a livello sistematico con l'attrazione alla causa principale, risulta evidente anche dal dato testuale dell' art. 42 c.p.a., il quale pure dispone, salvo che concorra un profilo di competenza funzionale, che la cognizione del ricorso incidentale è attribuita al giudice competente per quello principale.

Nel caso di contestuale impugnazione di un'informativa prefettizia interdittiva — che per l' art. 91 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 ha effetti inscindibili sull'intero territorio nazionale ed è immediatamente impugnabile — e dei conseguenti atti applicativi adottati dalla Stazione Appaltante, il giudice territorialmente competente è il Tar nella cui circoscrizione si trova la Prefettura che ha adottato l'informativa. Rileva, infatti, l'interesse del ricorrente all'annullamento dell'informativa e, dunque — ritenendo applicabile, ex art. 39, l'art. 31 c.p.c. che disciplina i rapporti di connessione tra causa principale e causa accessoria — si giunge a ritenere competente, in caso di contestuale impugnazione dell'informativa prefettizia e dell'atto applicativo, il giudice competente a conoscere della prima, con la conseguenza che prevale il criterio della competenza territoriale per il giudizio principale, rispetto a quello della competenza funzionale previsto dall' art. 119 c.p.a. per il giudizio accessorio riguardante l'impugnazione degli atti di gara d'appalto. Si realizza, quindi, una particolare forma di connessione per accessorietà in base alla quale, ai fini della determinazione del giudice competente, la causa principale (avente ad oggetto l'impugnativa prefettizia) attrae a sé quella accessoria (avente ad oggetto gli atti applicativi adottati dalla Stazione Appaltante), senza che a ciò siano di ostacolo le norme sulla competenza funzionale (T.A.R. Lazio (Roma) I, 23 novembre 2016, n. 11723).

Segue. L'impugnazione delle circolari

La questione dell'impugnabilità delle circolari come atti presupposti si pone solo in relazione a quel tipo di circolari che hanno una rilevanza esterna.

La giurisprudenza, infatti, ha evidenziato che le circolari aventi natura interpretativa non devono essere impugnate perché, non avendo rilevanza esterna, possono essere disapplicate dagli organi periferici dell'amministrazione o dallo stesso giudice amministrativo.

Diversamente, invece, si è ritenuto in relazione alle circolari che hanno una rilevanza esterna, perché non sono espressione di una mera attività interpretativa, ma incidono negativamente sulla legittimità dell'atto individuale; in tali casi devono essere impugnate contestualmente all'atto applicativo.

Per affermare la competenza del tribunale amministrativo centrale non è sufficiente la sussistenza di controversie in cui siano impugnate circolari adottate da organi centrali e destinate a produrre effetti su tutto il territorio nazionale, ma è necessario che queste abbiano contenuti direttamente precettivi o introducano direttive tali da imporre ai destinatari una obiettiva conformazione agli organi destinatari. Non sussiste tale competenza nel caso in cui oggetto di impugnativa è costituito dalla circolare del Ministero della giustizia che prescrive direttive alle commissioni d'esame per avvocato in ordine all'attività di valutazione, avendo la stessa mera natura informativa, costituendo tali commissioni organi superiorem non recognoscentes e forniti di completo potere di valutazione tecnica (Cons. St. IV, n. 6114/2000).

L'impugnazione di una circolare ministeriale priva di natura provvedimentale (ma avente contenuto meramente interpretativo) non dà origine a cognizione del Tar del Lazio, sede di Roma, ma rientra nella competenza territoriale del Tar locale presso il quale è ancorata la controversia relativa all'atto di applicazione (Cons. St. V, n. 1499/1996; Cons. St. VI, n. 1121/1988).

Venendo al conseguente profilo della competenza, qualora le circolari siano adottate dagli organi centrali dello Stato (nella specie, si trattava dei Monopoli di Stato) e, quindi, non siano limitate ad un ambito territoriale periferico, prima della riforma del 2012, l'adunanza plenaria ha applicato il disposto dell'art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 104/ 2010, ai sensi del quale, quando siano impugnati siffatti provvedimenti unitamente ad atti destinati ad avere efficacia in un determinato ambito territoriale, il ricorso resta in ogni caso attratto nella competenza del Tar per il Lazio (cfr., in termini, Cons. St.Ad. plen., n. 6/2011 e Cons. St.Ad. plen., 19/2011).

È stato, altresì, chiarito come a tal fine non rilevi la maggiore o minore importanza che l'impugnazione dell'atto dell'autorità centrale assume nell'economia generale del ricorso, trattandosi di questione che, attenendo al merito, non può essere delibata in sede di regolamento di competenza ( Cons. St.Ad. plen., n. 6/2011 cit.).

In tema di competenza territoriale dei Tribunali amministrativi regionali, le conseguenze sono diverse a seconda che il destinatario di un atto applicativo di una circolare si limiti a contestare la legittimità di quest'ultima senza farla oggetto di specifica impugnazione, ovvero impugni anche la circolare chiedendone espressamente l'annullamento; nella prima ipotesi, rimane ferma la competenza del Tribunale amministrativo regionale periferico competente in relazione all'atto applicativo, mentre nella seconda va ritenuto competente il Tar Lazio con sede in Roma ove si tratti di circolare di organo centrale dello Stato con efficacia territoriale non limitata (Cons.St. VI, n. 3169/2002; Cons. St. n. 6678/2002; Cons. St. IV, n. 703/1999).

L'ordine di esame delle questioni di giurisdizione e di competenza

Il tema dell'ordine di esame delle questioni che il giudice deve seguire, su cui si veda la già citata sentenza del Cons. St.Ad. plen., n. 5/2015, citata sub art. 9, ha interessato di recente anche la questione relativa all'ordine di esame delle questioni tra giurisdizione e competenza che rappresentano due accertamenti di carattere pregiudiziale rispetto a quello di merito.

L'orientamento tradizionale delle sezioni unite è che la questione di competenza, intesa quale «frazione o misura della giurisdizione», sta, sul piano logico-giuridico, in posizione successiva e conseguente a quella di giurisdizione e presuppone, quindi, che sia stata preventivamente risolta in senso affermativo tale ultima questione, cioè che sia divenuta certa e definitiva l'attribuzione al giudice ordinario della potestas judicandi in ordine alla controversia in atto (cfr., ex plurimis, le sentenze Cass.S.U., n. 22776/2012; Cass.S.U., n. 261/2003; Cass.S.U., n. 248/1999; Cass.S.U., n. 3328/ 1994).

Tale orientamento si fonda sul presupposto che «il problema della competenza, come frazione o misura della giurisdizione, sorge come questione logicamente successiva e conseguente da affrontare solo dopo che sia stato risolto affermativamente il quesito sulla giurisdizione, in quanto il problema della competenza presuppone che sia divenuto certa e definitiva l'attribuzione a decidere quella determinata controversia al giudice ordinario, in quanto appartenente a quest'ultimo e non al giudice amministrativo. In realtà, la questione della competenza comporta un problema di distribuzione o di ripartizione del potere di decidere tra i diversi giudici ordinari, sicché non può che porsi su di un piano ulteriore e logicamente successivo rispetto al problema di giurisdizione» (così la motivazione della sentenza n. 3328 del 1994 cit.).

Propone una rivisitazione di tale impostazione altro orientamento secondo cui la competenza riveste carattere prioritario, dato che l'accertamento della spettanza della giurisdizione non può che essere decisa dal giudice in astratto competente a conoscere della controversia, sulla base della prospettazione della domanda (Cass. n. 5434/2014).

Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno, invece, confermato l'impostazione tradizionale, in quanto la competenza è compresa nella giurisdizione e, inoltre, la garanzia del giudice naturale precostituito per legge ( art. 25 Cost.) «pertiene non soltanto alla «competenza in senso stretto» — come invece non infrequentemente si mostra di ritenere (pure nell'ordinanza di rimessione) — ma anche, e ancor prima, alla «giurisdizione» (o «competenza giurisdizionale») a conoscere una determinata controversia».

Quindi, secondo le sezioni unite, la pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza — in quanto fondata sulle norme costituzionali relative al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, comma 1), alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1), ai principi del «giusto processo» (art. 111, commi 1 e 2), alla attribuzione della giurisdizione a giudici ordinari, amministrativi e speciali ed al suo riparto tra questi secondo criteri predeterminati (art. 102, commi 1 e 2, art. 103, art. 6 disp. trans. e fin.) — può essere derogata soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come, ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale nell'instaurazione del «giusto processo», oppure della formazione del giudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione (Cass.S.U., n. 29/2016).

Bibliografia

Fracanzani, La competenza per territorio, materia e grado del giudice amministrativo. Il regolamento di competenza, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da Santaniello, XLII, Il nuovo diritto processuale amministrativo, Cirillo (a cura di), Padova, 2014; Police, La competenza, in Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2014; Origoni Della Croce, Precedenza delle questioni di giurisdizione rispetto a quella di competenza o della seconda rispetto alla prima?, in Riv. dir. civ. 1978, 697 ss.

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