Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 80 - Prosecuzione o riassunzione del processo sospeso o interrottoProsecuzione o riassunzione del processo sospeso o interrotto 1. In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione. 2. Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione di udienza. 3. Se non avviene la prosecuzione ai sensi del comma 2, il processo deve essere riassunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione. 3-bis. In tutti i casi di sospensione e interruzione del giudizio il presidente può disporre istruttoria per accertare la persistenza delle ragioni che le hanno determinate e l'udienza è fissata d'ufficio trascorsi tre mesi dalla cessazione di tali ragioni 1. [1] Comma aggiunto dall'articolo 17, comma 7, lettera a), punto 4), del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113. Note operative
InquadramentoL'art. 80 disciplina le modalità con cui prosegue o viene riassunto un processo che è stato sospeso o interrotto. Per la prosecuzione del giudizio sospeso è necessaria una istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione. In caso di giudizio interrotto, se la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo non presenta nuova istanza di fissazione di udienza (e in questo caso il processo prosegue), il processo deve essere riassunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione. Per ridurre i casi di giudizi che, nella inerzia comunicativa delle parti, possono rimanere pendenti per molti anni in assenza di ragioni giustificative, è stata introdotta la possibilità per il presidente, in tutti i casi di sospensione e interruzione del giudizio, di disporre istruttoria per accertare la persistenza delle ragioni che le hanno determinate; in caso di accertamento della cessazione di tali ragioni l'udienza è fissata d'ufficio trascorsi tre mesi dalla cessazione (comma 3-bis, dell'art. 80, aggiunto dall'articolo 17, comma 7, lettera a) punto 4) del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, conv. con modif. in l. 6 agosto 2021, n. 113). Prosecuzione del processo sospesoIl giudizio sospeso prosegue a seguito della presentazione dell'istanza di fissazione di udienza, che deve avvenire entro novanta giorni dall'atto che fa venire meno la causa della sospensione. Secondo la tesi prevalente, la riassunzione del processo amministrativo a seguito di pronuncia della Corte costituzionale sulla questione sollevata incidentalmente avviene con la mera riproposizione dell'istanza di fissazione di udienza, tenuto conto che nel caso di sospensione del processo che, a differenza dell'interruzione, è fondata sull'esistenza o di una causa pregiudiziale o di una questione incidentale, o sull'accordo delle parti, la reviviscenza del rapporto processuale richiede un mero atto di impulso processuale ( Cons. St. IV, n. 610/1998; Cons. St.. VI, n. 1397/1996). Tale tesi è oggi confermata dal Codice, che stabilisce che in caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione. Secondo una precedente tesi il termine decorre dal giorno in cui avviene la comunicazione alla parte, ad opera della cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione, della pronuncia della Corte costituzionale che ha definito la questione di costituzionalità ad essa rimessa, poiché solo questa comunicazione determina la conoscenza concreta della pronunzia medesima, senza che assuma rilievo, all'indicato fine, il sistema di pubblicità legale, previsto per le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale ( Cass.S.U., n. 4394/1996). Ai sensi dell' art. 80 comma 1 c.p.a., in caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che ha fatto venire meno la causa della sospensione. Ai sensi dell' art. 119 comma 2, c.p.a., il termine è dimidiato. Il dies a quo per la decorrenza di tale termine non può essere individuato nella pubblicazione della sentenza del giudice delle leggi sulla G.U., per cui solo la comunicazione di detta sentenza, da parte della Cancelleria del giudice che ha disposto la sospensione, determinando la conoscenza concreta della pronuncia medesima, costituisce il dies a quo del termine semestrale di riassunzione del processo, sospeso per trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Infatti, solo nei casi in cui la sospensione del giudizio è avvenuta in considerazione del fatto che altro giudice ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, deve ritenersi che la pubblicazione della sentenza nella G.U. abbia valore di pubblicità legale, che produce la legale scienza, che si sostituisce alla scienza effettiva, ai fini della decorrenza dei termini ( T.A.R. Lazio (Roma) III 11 dicembre 2012 n. 10304). L' art. 80 c.p.a. ha inteso aderire al prevalente pur non pacifico orientamento invalso precedentemente all'entrata in vigore del c.p.a., secondo cui ai sensi degli artt. 297,303,367 c.p.c. e 24, l. n. 1034 del 1971, la riassunzione del processo a seguito di pronuncia della Corte costituzionale avviene senza necessità di apposito atto notificato di riassunzione, essendo sufficiente istanza di fissazione di udienza, la quale, in base al primo comma del citato art. 80 c.p.a., deve essere presentata entro novanta giorni non già dalla comunicazione da parte della Cancelleria della Corte costituzionale, bensì dalla comunicazione del Tar ( T.A.R. Puglia (Bari) I, 18 giugno 2012, n. 1196). Tale tesi è stata superata dal Consiglio di Stato, che ha affermato che in caso di c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza della questione di legittimità costituzionale di una norma, applicabile in tale procedimento, ma sollevata in una diversa causa, il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso è quello di 90 giorni innovativamente sancito dall' art. 80, comma 1, c.p.a. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo, che decorre dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte costituzionale che definisce il giudizio — integrando tale pubblicazione un idoneo sistema di pubblicità legale per la conoscenza delle sorti del processo costituzionale — e non dalla notificazione operata dal soggetto interessato alle controparti a fini sollecitatori, in quanto tale meccanismo, rimesso alla mera volontà delle parti, non è compatibile con il principio di ragionevole durata del processo essendo suscettibile di provocare una quiescenza sine die del processo ( Cons. St.Ad. plen., n. 28/2014; T.A.R. Basilicata I 12 settembre 2016, n. 878; T.A.R. Puglia (Lecce) I, 22 dicembre 2015, n. 3674). L'istanza di fissazione dell'udienza di seguito alla sospensione del processo amministrativo, ai sensi dell' art. 80 c.p.a., deve essere presentata entro novanta giorni, ma detto termine, diversamente dalle analoghe ipotesi dell'interruzione o della sospensione del processo civile, non è previsto come perentorio. L'art. 80, comma 1, infatti, non prevede alcuna sanzione per l'omesso rispetto del termine ivi previsto (termine che, infatti, la predetta norma non definisce perentorio). Detta mancata indicazione del termine qual perentorio, tanto più a fronte di una contraria indicazione (di perentorietà, quindi) nel successivo terzo comma, milita per la ordinatorietà del termine contenuto nel comma 1. L'interpretazione sistematica della norma, appare univoca: se al primo comma si è omessa alcuna indicazione di perentorietà, ed ai successivi commi della medesima disposizione il Legislatore ha espressamente qualificato il termine ivi previsto come perentorio, non v'è altro approdo plausibile ed è appena il caso di puntualizzare che la regola è quella per cui i termini sono ordinatori, salva espressa indicazione della loro perentorietà, il che neppure sotto tale angolo prospettico depone per una «forzatura» del comma 1 nel senso di qualificare per via interpretativa perentorio il termine ivi indicato ( Cons. St. IV, n. 3985/2015, secondo cui tale interpretazione non corre il rischio di lasciare il processo in uno stato di incertezza sine die in quanto l'ordinamento processuale amministrativo prevede istituti quali la perenzione soggetti a stringenti termini, atti a determinare comunque la estinzione dei processi per i quali non venga posto in essere alcun atto di procedura). Atto di riassunzioneL'atto di riassunzione costituisce un mero atto di impulso processuale, volto a riattivare il giudizio che si trova in uno stato di quiescenza per determinati motivi. Ne segue che lo stesso non reca con sé la riproposizione della domanda originaria e lo stesso non soggiace alla disciplina degli atti introduttivi del giudizio di cui all'art. 40. Con riferimento alla prosecuzione del processo sospeso o interrotto, la dottrina ha ritenuto applicabili in via analogica le disposizioni dettate in materia dal codice di procedura civile, con la conseguenza che, una volta cessata la causa di sospensione, per la prosecuzione del processo non occorre un atto formale di riassunzione, ma è sufficiente una istanza di fissazione di udienza, da depositarsi entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venire meno la causa di sospensione (Menchini-Renzi, Briccarello, 738). Nel processo amministrativo l'atto di riassunzione trova la sua disciplina nell'art. 80 quale atto di impulso processuale e si distingue dall'atto di riproposizione — a seguito di translatio iudicii — che invece segue le regole generali del processo in cui la domanda è trasposta che richiedono l'indicazione specifica dei motivi di ricorso, i quali devono essere esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile all'identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale ( Cons. St. IV, n. 6442/2014, che esclude per entrambe le tipologie di atti l'applicabilità dell' art. 125 delle disp. att. del c.p.c., non essendo applicabile il rinvio esterno ex art. 39 c.p.a. posta la presenza nel c.p.a. di una specifica disciplina degli atti in questione). La norma richiede che l'atto di riassunzione sia notificato, entro 90 giorni, «a tutte le altri parti del giudizio», così prevedendo un contraddittorio che coinvolge non solo l'amministrazione resistente, ma anche le altre parti costituite (e i ricorrenti). La tempestività della riassunzione del giudizio seguita alla sua interruzione deve essere ricollegata al deposito dell’atto di riassunzione e non alla sua notifica con la conseguenza che la tempestività del deposito dell’atto di riassunzione consente di ritenere irrilevante il vizio da cui è affetta la notifica dell’atto stesso ai fini del rispetto del termine perentorio ex art. 80, comma 3, c.p.a. ed eventualmente di sanare tale vizio (Cons. St. VII, n. 4398/2023). Nel regime previgente, la giurisprudenza aveva ritenuto che, in base all' art. 24, comma 2, l. Tar l'atto di riassunzione e prosecuzione e contestuale istanza di prelievo deve essere notificato « a tutte le parti » e con tale espressione deve intendersi non solo la parte pubblica o i controinteressati, ma anche le altri parti ricorrenti se qualificate da una posizione autonoma e parallela di interesse sostanziale e processuale ed aventi ciascuna un distinto ed autonomo interesse alla rimozione degli atti impugnati ( Cons. St. VI, n. 4919/2008) In dottrina si è rilevato che la norma non prevede un termine per il deposito dell'atto, successivo alla notifica. Nel silenzio della legge, conformemente alla precedente giurisprudenza di merito, si ritiene che valgano i termini per il deposito della documentazione (di cui all'art. 73 del Codice, ossia 40 giorni prima dell'udienza), trattandosi di atto che sostanzialmente documenta la volontà della parte di proseguire il giudizio interrotto, Apicella, 624; Briccarello, 740). L'atto di riassunzione, in ragione della sua natura, e in ossequio al principio di tipicità dei mezzi di gravame, neanche astrattamente può essere qualificato come comprensivo di un mezzo di impugnazione e, non contenendo alcun tipo di censura avverso il decreto di estinzione del giudizio, non è idoneo a radicare uno specifico contraddittorio con le controparti sulla conformità o meno a legge del decreto presidenziale di estinzione, con conseguente vulnus al diritto di difesa delle stesse controparti (Cons. St., IV, n. 8112/2020, che di conseguenza ritiene che l'atto di riassunzione non può essere convertito – ai sensi dell'art. 32, comma 2, c.p.a. – in un atto di opposizione al collegio avverso il decreto di estinzione del giudizio). Prosecuzione o riassunzione del processo interrottoIl giudizio interrotto prosegue se è presentata istanza di fissazione di udienza a cura della parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo; altrimenti è necessaria la riassunzione. Il termine per la riassunzione del giudizio interrotto è stato fissato in novanta giorni, in conformità a quanto previsto dal codice di procedura civile; termine decorrente dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione. Ciò in conformità al principio per cui l'interruzione del giudizio è conseguenza automatica dell'evento al quale la legge collega tale effetto, con valore puramente dichiarativo della successiva pronuncia del giudice al riguardo, Tale termine ha natura perentoria In applicazione di detto principio è stato ritenuto che, in caso di morte di una delle parti costituite, il termine decorre non dal momento della dichiarazione in udienza dell'evento (né da quello dell'evento morte), ma dal momento in cui la parte ne ha avuto formale conoscenza, sussistendo prova della ufficiale conoscenza (ad es. tramite la comunicazione della segreteria della pronuncia di interruzione) ( Cons. St. V, n. 2713/2014; Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd. 29 aprile 2013, n. 42). Prima dell'entrata in vigore del codice, si è ritenuto che il termine, entro il quale deve essere riassunto il giudizio interrotto per la morte del difensore, anche in difetto della conoscenza legale dell'evento dalla parte che ne è colpita, inizia a decorrere dalla data in cui risulta che essa ne ha comunque avuto conoscenza effettiva (Cons. St.Ad. plen., n. 24/1983, secondo cui deceduto l'unico difensore di un comune, costituisce evento idoneo a far decorrere il termine semestrale entro il quale il processo deve essere riassunto a pena di estinzione la delibera consiliare (versata in atti) con la quale il comune stesso preso atto della morte del precedente legale statuisce di nominarne altro in sostituzione). Con la stessa pronuncia è stato ritenuto che, ancorché l' art. 24 l. 6 dicembre 1971, n. 1034 parli solo di riassunzione del processo, nessuna ragione di incompatibilità si oppone all'applicazione al processo amministrativo della prosecuzione volontaria prevista dal c.p.c. da parte del soggetto colpito dall'evento interruttivo e che tale prosecuzione avvenga anche mediante costituzione del nuovo difensore con procura rilasciata prima dell'udienza già fissata, e dalla quale le altre parti hanno pertanto avuto rituale notizia, dovendosi in tal caso la sola costituzione del nuovo difensore essere sufficiente ai fini della prosecuzione del processo mentre, ove l'udienza di discussione del ricorso non sia stata ancora fissata, il soggetto che intende proseguire il processo, oltre a costituirsi nel modo suindicato, dovrà richiedere la fissazione dell'udienza. In caso di morte del procuratore della parte costituita, il dies a quo del termine semestrale per la riassunzione del giudizio amministrativo decorre non già dal giorno della dichiarazione della morte, né da quando si è verificato l'evento interruttivo, ma dalla data in cui detto evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione, ossia da quando vi è prova della ufficiale conoscenza, tramite comunicazione della segreteria, dell'intervenuta pronuncia di interruzione ( Cons. St. IV, n. 9608/2010). A seguito della sentenza della Corte cost. 15 dicembre 1967 n. 139, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell' art. 305 c.p.c. nella parte in cui stabiliva che il termine per la riassunzione del giudizio, di cui all' art. 301 c.p.c. non decorresse dalla data in cui la parte avesse ricevuto legale conoscenza dell'evento interruttivo (con esclusione della equipollenza d'altra e diversa situazione di effettiva conoscenza), è illegittimo il provvedimento del giudice di primo grado che ha dichiarato l'estinzione del giudizio, senza il previo accertamento dell'avvenuta acquisizione della legale conoscenza della morte del procuratore costituito ( Cons. St. VI, n. 1126/2001; T.A.R. Lazio III, 29 ottobre 2004, n. 12058). Anche dopo l'entrata in vigore del Codice, è stato affermato che Il termine per la riassunzione decorre — in base sia all'art. 80, comma 3, c. proc. amm., che al previgente art. 24, comma 2, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 — non dal giorno in cui si è verificato l'evento interruttivo, o da quello della relativa dichiarazione in giudizio, ma da quando vi è prova della ufficiale conoscenza, tramite comunicazione della segreteria, dell'intervenuta pronuncia di interruzione, anche ove il legale della parte interessata fosse presente in udienza, all'atto della predetta dichiarazione ( Cons. St. VI, n. 4870/2014; Cons. St. V, n. 2713/2014). In considerazione del rilievo pubblicistico degli interessi in gioco, il giudizio amministrativo è improntato ad evidenti esigenze di celerità; pertanto l'avvenuta estinzione per mancata riassunzione nei termini di legge può essere rilevata d'ufficio, assumendo il connotato specialità la norma contenta nell' art. 24 comma 2 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, rispetto a quella contemplata dall' art. 307 comma 5 c.p.c. in base alla quale l'estinzione opera di diritto ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa (Cons. St. IV, n. 396/2002). La riassunzione del giudizio a seguito della sua interruzione per morte della parte va effettuata con atto notificato presso l'ultimo domicilio del defunto, luogo in cui ai sensi dell' art. 303, comma 2, c.p.c. (applicabile al processo amministrativo in virtù del richiamo operato dall' art. 24 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034) la notificazione dell'atto di riassunzione può essere fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi della parte defunta, entro l'anno dalla morte; per ultimo domicilio deve intendersi il domicilio effettivo del defunto e non quello eletto per il giudizio. È pertanto inammissibile la riassunzione effettuata con atto notificato impersonalmente e collettivamente presso il domicilio eletto. La riassunzione del giudizio a seguito della sua interruzione per morte della parte, ai sensi dell' art. 303, comma 2, c.p.c. (applicabile al processo amministrativo) è utilmente esperibile solo entro l'anno dalla morte della parte, fondandosi sulla presunzione che per il periodo di un anno dalla morte gli eredi facciano capo all'ultimo domicilio del de cuius per tutte le questioni inerenti alla successione, dispensando così il notificante da una ricerca specifica ed individuale degli eredi che non devono essere individuati nominativamente; dopo l'anno dalla morte, tuttavia, la riassunzione deve essere fatta singolarmente a ciascuno degli eredi, con consequenziale inesistenza della notifica fatta singolarmente e collettivamente, anziché singolarmente, inesistenza che non ammette la rinnovazione della notifica stessa ( Cons. St. IV, n. 1423/2005). Ricorso collettivo e riassunzioneIn caso di ricorso collettivo, a seguito della interruzione del giudizio per il decesso del legale del controinteressato, è ammissibile la riassunzione proposta da uno solo dei ricorrenti. In tal caso, il giudizio potrà proseguire nei confronti dell'unico ricorrente che ha riassunto, mentre rispetto agli altri è ravvisabile un evidente sopravvenuto difetto di interesse ( T.A.R. Puglia, (Bari), II, 1 luglio 2010, n. 2807). Analogamente, in caso di morte di alcuni dei ricorrenti, il giudice dichiarerà l'interruzione del processo limitatamente alla posizione dei ricorrenti deceduti e non con riferimento all'intero processo, in quanto l'interruzione del giudizio nella sua interezza per effetto di un evento del tutto estraneo alle altre parti costituirebbe una superfetazione dell'istituto dell'interruzione al di fuori di quanto previsto in ordine ad esso dall'ordinamento (T.A.R. Lazio (Latina) I, 13 aprile 2012, n. 296). In dottrina si distingue il caso del liticonsorzio facoltativo, in cui non è necessario che l'atto di riassunzione sia notificato agli altri ricorrenti, da quello in cui le posizioni sono inscindibilmente connesse, ipotesi in cui è necessaria la notifica a tutti i ricorrenti (Apicella, 624; De Nictolis, Proc. amm., 1379). Riassunzione e fallimentoIn caso di apertura del fallimento, si è richiamato il corrispondete indirizzo civilistico per cui «al fine del decorso del termine per la riassunzione non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore fallimentare dell'evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare» ( Cass. n. 5650/2013), con la conseguenza che per la riassunzione la conoscenza legale non può prescindere dagli atti processuali e il dies a quo del termine trimestrale coincide con l'avvenuta conoscenza della dichiarazione di fallimento nello specifico giudizio. Quindi, laddove il giudice dia atto, ai sensi dell' art. 43 della legge fallimentare, dell'interruzione del processo, la conoscenza legale può allora dirsi avvenuta nel corso dell'udienza pubblica (e a partire da tale data si computa il termine di 90 giorni) ( Cons. St. IV, n. 3534/2016; T.A.R. Sicilia (Palermo) I, 20 febbraio 2015, n. 503) Il giudice ha qualificato la costituzione della curatela fallimentare, avvenuta nel termine di 90 giorni dalla sentenza che ha dichiarato l'avvenuto fallimento della parte, quale atto di prosecuzione del giudizio, a condizione che la stessa presenti tutti gli elementi per l'identificazione del ricorso riassunto, sia notificata a tutte le parti originarie e contenga la domanda di fissazione di udienza. T.A.R. Campania (Salerno) II, 17 giugno 2015, n. 1383 (nella specie, la memoria di costituzione «fa proprie, espressamente aderendovi, il ricorso introduttivo e tutte le difese, deduzioni e conclusioni formulate dall'imprenditore edile in bonis e ne chiede l'integrale accoglimento», «previa nuova fissazione dell'udienza di discussione»). Effetti della mancata riassunzione o prosecuzioneQualora il giudizio non sia proseguito o riassunto nei termini indicati dalla norma in commento, lo stesso si estingue, ai sensi dell'art. 35, comma 2, lett. a) (al cui commento si rinvia). BibliografiaApicella, Artt. 79-80, in Lopilato-Quaranta, Il processo amministrativo, Milano, 2011, 623; Consolo, I regolamenti di competenza e di giurisdizione nel nuovo codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 808 ss.; Menchini, Eccezione di giurisdizione, regolamento preventivo e translatio: il codice di rito ed il nuovo codice della giustizia amministrativa, in Giur. it., 2011, 217 ss.; Menchini-Renzi, Sospensione e interruzione del processo, in Morbidelli (a cura), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 760 ss. |