Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 92 - Termini per le impugnazioni

Roberto Chieppa

Termini per le impugnazioni

 

1. Salvo quanto diversamente previsto da speciali disposizioni di legge, le impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza.

2. Per i casi di revocazione previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'articolo 395 del codice di procedura civile e di opposizione di terzo di cui all'articolo 108, comma 2, il termine di cui al comma 1 decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 del medesimo articolo 395.

3. In difetto della notificazione della sentenza, l'appello, la revocazione di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 del codice di procedura civile e il ricorso per cassazione devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.

4. La disposizione di cui al comma 3 non si applica quando la parte che non si è costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità del ricorso o della sua notificazione.

5. Fermo quanto previsto dall'articolo 16, comma 3, l'ordinanza cautelare che, in modo implicito o esplicito, ha deciso anche sulla competenza è appellabile ai sensi dell'articolo 62. Non costituiscono decisione implicita sulla competenza le ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'articolo 36, comma 1, né quelle che disattendono l'istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza. La sentenza che, in modo implicito o esplicito, ha pronunciato sulla competenza insieme col merito è appellabile nei modi ordinari e nei termini di cui ai commi 1, 3 e 4.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Notificazione impugnazioni 60 giorni dalla notificazione della sentenza
6 mesi dalla pubblicazione della sentenza
Casi di revocazione previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell'articolo 395 del codice di procedura civile e di opposizione di terzo di cui all'articolo 108, comma 2 60 giorni dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 del medesimo articolo 395

Inquadramento

L'art. 92 disciplina i termini delle impugnazioni e stabilisce per la proposizione delle impugnazioni un termine breve di sessanta giorni decorrente dalla notificazione della sentenza in luogo di quello di trenta giorni previsto dal codice di procedura civile per appello, revocazione e opposizione di terzo revocatoria.

In assenza di notificazione della sentenza il termine lungo di impugnazione è stabilito in sei mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza in conformità all' art. 327 c.p.c. come modificato dall' art. 46, comma 17, l. n. 69 del 2009.

Il termine c.d. breve delle impugnazioni

Il termine breve delle impugnazioni decorre in caso di notificazione della sentenza ed è di sessanta giorni.

Il termine breve di sessanta giorni (salvo le ipotesi in cui esso è espressamente stabilito in un entità minore: ad es., venti giorni nel caso previsto dall'art. 131. e cinque giorni nel caso previsto dall'art. 132) decorre dalla notificazione della sentenza, per tale intendendosi quella compiuta dall'ufficiale giudiziario ad istanza di parte. È stato sottolineato che il dato rilevante non è tanto l'intervento dell'ufficiale giudiziario, quanto il fatto che ciò avvenga ad istanza di parte. La decorrenza del termine breve, infatti, deriva da una precisa scelta della parte. Quindi, mentre da un lato non determinano la decorrenza del termine breve le varie forme di comunicazione effettuate dalla cancelleria, dall'altro è idonea in tale direzione la notificazione effettuata dal legale abilitato ai sensi della l. 21 gennaio 1994 n. 53 (Luiso, 892).

Nel processo amministrativo il termine breve di impugnazione decorre dalla notificazione della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 92 comma 1, e dunque (in virtù del rinvio esterno contenuto nell'art. 39 comma 2 dello stesso codice) dal compimento delle formalità prescritte dall' art. 285 c.p.c., secondo cui la notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione, si fa a istanza di parte a norma dell' art. 170 c.p.c. con sentenza munita di visto di conformità all'originale da parte del segretario ( art. 7 disp. att. c.p.a. nonché art. 153 disp. att. c.p.c.) (Cons. amm. reg. Sicilia, n. 589/2015).

Secondo un orientamento la notificazione dell'appello principale equivale alla notificazione della sentenza e fa decorrere il termine breve di sessanta giorni, anche in assenza di una rituale notificazione della sentenza (Cons. St. VI n. 5782/2009, che richiama Cons. St. IV, n. 3818/2000, secondo cui la proposizione di un primo appello contro una sentenza non notificata, equivalendo alla conoscenza legale della sentenza stessa da parte dell'appellante, fa decorrere il termine breve per l'eventuale ulteriore impugnazione).Seguendo lo stesso ragionamento, anche la notificazione del ricorso per la revocazione di una sentenza di appello equivale (sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione (Cass. S.U., n. 32114/2019).

In tema di impugnazioni, vige la regola dell'unitarietà del termine dell'impugnazione, che determina che la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l'inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell'impugnazione contro tutte le altre parti; tale regola trova applicazione soltanto nelle ipotesi di cause inscindibili (o tra loro comunque dipendenti), ovvero in quella in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si tratti di cause scindibili o, comunque, tra loro indipendenti, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio. In tali ipotesi, il termine per l'impugnazione non è unico, ma decorre dalla data delle singole notificazioni della sentenza a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l'unica sentenza, mentre per le altre parti si applica la norma dell'impugnabilità nel termine di cui all' art. 327 c.p.c. (Cass. n. 2557/2010).

Con la riforma del processo civile attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (entrata in vigore il 28 febbraio 2023) è stato modificato l'art. 326 c.p.c. con la previsione che la notificazione della sentenza ai fini dell'impugnazione si perfeziona, sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione, nel momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario, senza scindere soggettivamente quindi gli effetti della notificazione; tale disposizione deve ritenersi applicabile al processo amministrativo, non essendo da questi normata tale ipotesi e applicandosi quindi il rinvio di cui all'art. 39, comma 2, c.p.a.

Allorché la notifica dell'appello non abbia avuto buon esito, a causa del decesso del procuratore dell'appellato sopravvenuto nel corso del termine per l'impugnazione, non decorre il termine breve e l'appello è da considerarsi tempestivo se notificato nel termine ordinario di un anno dalla pubblicazione della sentenza (Cons. St. IV, n. 5897/2001)Secondo il Cons. giust. amm. reg. Sicilia n. 692/2022, in applicazione dell' art. 328, commi 1 e 3, c.p.c., la morte della parte dopo la pubblicazione della sentenza e durante il termine per impugnarla è causa di interruzione del termine breve di impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c.

In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall' art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. S.U., n. 14594/2016).

Il termine c.d. lungo delle impugnazioni

Il termine c.d. lungo delle impugnazioni è quello che decorre dalla pubblicazione della sentenza in assenza di notificazione della stessa.

L'utilizzo del termine “in difetto” da parte dell'art. 92 c. 3 c.p.a. in luogo del termine “indipendentemente” (usato dall'art. 327 c. 1 c.p.c.) non comporta una totale ed ontologica revisione della disciplina dei termini, che è inspirata a dare certezza al giudicato ed ai suoi effetti. Infatti, sul piano squisitamente lessicale tra il termine “indipendentemente” (art. 327 c. 1 c.p.c.) ed il termine “in difetto” (art. 92, c. 3 c.p.a.) intercorre il tipico rapporto tra genus e species. Utilizzando il termine “indipendentemente” (genus) si ipotizza che la notifica della sentenza potrebbe esserci come non esserci. Con il termine “in difetto” (species) si considera solo l'ipotesi in cui la notifica non vi sia. Pertanto, il termine lungo rimane perentorio, insuperabile e sottratto alla volontà ed alle scelte processuali delle parti, non potendo quindi aggiungersi un ulteriore termine breve al termine lungo, per il solo fatto, del tutto eventuale, che la sentenza sia stata notificata a ridosso dello scadere del termine lungo (Cons. giust. amm. reg. Sicilia, n. 639/2020).

Tale termine era in origine di un anno ed è stato ridotto a sei mesi a seguito della modifica all' art. 327 c.p.c., ad opera dell' art. 46, comma 17, l. n. 69/2009.

L'art. 92 ha confermato tale riduzione.

La modifica apportata al c.p.c. si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (3 luglio 2009) ai sensi dell' art. 58, comma 1, della stessa l. n. 69/2009.

Il Codice ha previsto una diversa disposizione transitoria, secondo cui «Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo continuano a trovare applicazione le norme previgenti» (art. 2 Norme transitorie). Tale disposizione prevede, quindi, l'ultrattività della disciplina previgente, ivi compreso il termine lungo di un anno per proporre ricorso per cassazione, esclusivamente per i termini che sono in corso alla data della sua entrata in vigore, senza che possa invocarsi l'art. 327 c.p.c., come modificato dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, essendo esclusivamente applicabili le norme di settore che regolano le impugnazioni delle sentenze del giudice amministrativo. Di conseguenza, non assume rilievo la circostanza che il giudizio davanti al Tar sia stato proposto prima della data in vigore del c.p.a., ovvero anteriormente al 16 settembre 2010  (Cass. S.U., n. 11575/2018; Cass. S.U., n. 26255/2018; Cass. S.U. n. 15499/2019).

Deve ritenersi che il termine lungo di sei mesi si applichi in caso di impugnazione di una sentenza non notificata, pubblicata dopo l'entrata in vigore del c.p.a. (16 settembre 2010); per le sentenze pubblicate prima dell'entrata in vigore del c.p.a. il termine di sei mesi si applica solo nel caso in cui il giudizio di primo grado sia stato instaurato a partire dal 4 luglio 2009.

Il c.d. termine lungo non si applica quando la parte che non si è costituita in giudizio dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità del ricorso o della sua notificazione.

Si tratta dei casi in cui si è avuta una violazione (non sanata) del contraddittorio nel corso del processo a quo, e ovviamente la sentenza non è stata notificata ai sensi dell'art. 92, comma 1: se la sentenza è notificata, il vizio del contraddittorio deve essere fatto valere proponendo l'impugnazione nel termine breve. L'ipotesi prevista dell'art. 92, comma quarto, fa riferimento alla nullità del ricorso o della sua notificazione, ma è meramente esemplificativa, in quanto si riferisce alla più frequente evenienza di quella che costituisce la vera fattispecie della norma, che è, come si è già detto, una violazione non sanata del principio del contraddittorio. Pertanto la disposizione si applica non solo alle violazioni iniziali del contraddittorio — quelle indicate dalla norma – ma anche a quelle successive: ad es., perché il vizio in questione si è prodotto in occasione della riassunzione del processo (Luiso, 893).

Era stata rimessa alla Adunanza plenaria la questione su come vada scomputato, dal termine lungo di impugnazione che si calcola a mesi, il periodo feriale dal 1° al 31 agosto che cada nel mezzo del termine lungo, ossia dopo che quest'ultimo è iniziato a decorrere, e in particolare se sia corretto continuare a seguire il criterio, elaborato dalla Corte di cassazione quando il periodo feriale durava 46 giorni, secondo cui il termine lungo va calcolato includendo fittiziamente e provvisoriamente il periodo feriale, e poi sommando al termine così calcolato ulteriori 31 giorni (criterio che somma il termine a mesi computato ex nominatione dierum e il periodo feriale computato ex numeratione dierum), o se debba seguirsi il diverso criterio, adottato dalla Corte di cassazione e dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per il computo del termine lungo di impugnazione che inizia a decorrere durante il periodo feriale, che consiste nel “saltare” il periodo feriale (Cons. giust. amm.  Sicilia, ord. n. 429/2022).  La Adunanza plenaria ha ribadito la prima tradizionale tesi, affermando che qualora il termine lungo di impugnazione abbia cominciato a decorrere prima del periodo feriale, al termine di impugnazione, calcolato a mesi, ai sensi degli articoli 155, secondo comma, c.p.c. e 2963, quarto comma, c.c. (per cui il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall'effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale coincidente con la data di pubblicazione della sentenza), va alla fine aggiunto, realizzandosi così un prolungamento di tale termine nella misura corrispondente, il periodo di 31 giorni di sospensione previsto dalla l. n. 742 del 1969, come ribadito dall'art. 54, comma 2, del c.p.a., computato ex numeratione dierum ai sensi dell'art. 155, primo comma, c.p.c. (Cons. St., Ad. plen, n. 11/2022).

Esaminando un ulteriore aspetto della questione il Consiglio di Stato ha anche precisato che la differenza terminologica utilizzata dall'art. 327 c.p.c. (le impugnazioni ordinarie “non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza”) rispetto all'art. 92, comma 3, c.p.a. (“gli atti di impugnazione ordinaria “devono essere notificati entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.”) non può condurre a diverse interpretazioni tra le due norme con la conseguenza che il termine va a scadere dopo l'intero decorso dei sei mesi ( Cons. St. VII, n. 1119/2023 ).

La morte della parte dopo la pubblicazione della sentenza e durante il termine per impugnarla è causa di proroga di tre mesi del termine lungo di impugnazione, solo se la morte si verifica dopo il decorso della prima metà del termine lungo di impugnazione ossia dal quarto al sesto mese del termine lungo di sei mesi (Cons. giust. amm. reg. Sicilia n. 692/2022).

Segue. Decorrenza del termine c.d. lungo delle impugnazioni

Ai sensi dell' art. 133 c.p.c.la pubblicazione della sentenza avviene mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata e quindi il dies a quo per il termine lungo di impugnazione va individuato in base all'attestazione, da parte del cancelliere, dell'avvenuto deposito in cancelleria in una certa data.

Quando sull'originale di una sentenza figuri una doppia attestazione da parte del cancelliere, il quale dà atto che essa è stata depositata in una certa data e pubblicata in una data successiva, la giurisprudenza aveva affermato che ai fini del computo del c.d. termine lungo per l'impugnazione di cui all' art. 327 c.p.c. occorre fare riferimento alla data di deposito e non a quella di pubblicazione, in quanto è solo la prima che integra la fattispecie di cui all' art. 133 c.p.c., mentre la successiva pubblicazione si collega ad attività che il cancelliere è obbligato a compiere per la tenuta dei registri di cancelleria o per gli avvisi alle parti dell'avvenuto deposito (Cass. n. 7240/2011).

Tuttavia, la Corte Costituzionale, pur dichiarando infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, primo e secondo comma, e 327, primo comma, del codice di procedura civile, ha affermato che per costituire «dies a quo» del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima. In caso di ritardato adempimento delle operazioni previste dall' art. 133 c.p.c., attestato dalla diversa data di pubblicazione, il ricorso all'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile va inteso come doveroso riconoscimento d'ufficio di uno stato di fatto «contra legem» che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione, riducendone i relativi termini (Corte cost., n. 3/2015).

Successivamente, le Sezioni Unite hanno precisato che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo e conseguente possibilità per gli interessati di venirne a conoscenza e richiederne copia autentica: da tale momento la sentenza «esiste» a tutti gli effetti e comincia a decorrere il cosiddetto termine lungo per la sua impugnazione. Nel caso in cui risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l'apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell'impugnazione proposta deve accertare — attraverso un'istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all' art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione — il momento di decorrenza del termine d'impugnazione, perciò il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportante l'inserimento di essa nell'elenco cronologico delle sentenze e l'attribuzione del relativo numero identificativo (Cass. S.U., n. 18569/2016).

La data di pubblicazione è attestata dal cancelliere (Cass. n. 11745/1997), la quale fa fede sino a querela di falso, trattandosi di un atto pubblico (Cass. n. 9622/2009).

Mezzi di impugnazione e nullità della sentenza

L' art. 161 c.p.c. prevede che la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.

Le nullità si convertono, quindi, in motivi di impugnazione.

Il principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione è funzionale a garantire la stabilità della decisione, impedendo che la nullità della sentenza possa essere dedotta in giudizi diversi da quello conclusosi con la sua pronuncia (Balena, 283).

Nel c.p.a. non vi è alcuna disposizione analoga all' art. 161, comma primo, c.p.c.: ma non vi è dubbio che il principio contenuto in tale disposizione trova applicazione anche al processo amministrativo. La nullità della sentenza, dunque, deve essere fatta valere attraverso i mezzi di impugnazione, nei modi e nei termini previsti per ciascuno di essi (Luiso, 894. il quale sottolinea anche come la giurisprudenza abbia utilizzato la revocazione per far valere errores in procedendo relativi al giudizio di appello, altrimenti privi di mezzo di impugnazione).

Ad esempio, è stato affermato che sussiste l'errore di fatto previsto quale requisito-presupposto dell'eccezionale rimedio revocatorio dall' art. 395 n. 4 c.p.c. (e art. 36 l. n. 1034/1971), quando si verifichino gravi carenze procedimentali-processuali che abbiano determinato l'effetto di compromettere l'esercizio compiuto del diritto di difesa; la mancata irregolare comunicazione al difensore regolarmente costituito della data dell'udienza di trattazione dell'appello, impedendo l'effettivo esercizio delle varie modalità di difesa (presentazione di documenti, memorie, partecipazione alla stessa udienza di trattazione, ecc.) costituisce l'integrazione dell'errore di fatto (erronea percezione del giudice circa la irregolare costituzione del contraddittorio), idoneo al positivo esperimento del rimedio revocatorio (Cons. St. VI, n. 811/2005).

I termini per le impugnazioni straordinarie

Il c.d. termine lungo per le impugnazioni opera solo per le impugnazioni ordinarie (appello, ricorso per cassazione, revocazione di cui all'art. 395, nn. 4 e 5) e non invece per le impugnazioni straordinarie (revocazione di cui all'art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6, opposizione di terzo), i cui termini prescindono dalla notificazione della sentenza e sono sempre brevi.

L'art. 92, comma 2, detta la disciplina del termine delle impugnazioni straordinarie, stabilendo che per i casi di revocazione previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 del primo comma dell' articolo 395 del codice di procedura civile e di opposizione di terzo di cui all'articolo 108, comma 2, il termine di cui al comma 1 decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 del medesimo articolo 395.

Si rinvia al commento agli artt. 106 e 108.

Appellabilità, competenza e ordinanze cautelari

L'ultimo comma dell'art. 92 prevede che sia appellabile l'ordinanza cautelare che, in modo implicito o esplicito, ha deciso anche sulla competenza e che non costituiscono decisione implicita sulla competenza le ordinanze istruttorie o interlocutorie di cui all'articolo 36, comma 1, né quelle che disattendono l'istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza, aggiungendo che la sentenza che, in modo implicito o esplicito, ha pronunciato sulla competenza insieme col merito è appellabile nei modi ordinari e nei termini di cui ai commi 1, 3 e 4.

Si tratta di una disposizione che non ha niente a che vedere con la parte generale delle impugnazioni (Lipari. 710).

Si rinvia al commento dell'art. 15.

Il principio di consumazione dell’impugnazione

L'art. 358 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo preclude la riproponibilità dell'appello, se dichiarato inammissibile o improcedibile, anche se non sono decorsi i termini per la sua “proposizione”.

Se ne desume a contrario la possibilità di proporre un secondo appello finché il primo non è dichiarato inammissibile o improcedibile, se non sono decorsi i termini di proposizione. Presupposto di detta possibilità di proposizione di un secondo appello, è non solo che non vi sia già una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del primo appello, ma anche che non siano decorsi i termini della sua proposizione. Per “proposizione” dell'appello deve intendersi, nel giudizio amministrativo, sia la notificazione che il deposito dell'appello, perché solo il deposito determina la litispendenza (Cons. giust. Amm. Reg. Sic., n. 1039/2022).

Bibliografia

Balena, Elementi di diritto processuale civile, I, Bari, 2007, 283; Lipari, Impugnazioni in generale, in Quaranta - Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011; Luiso, Impugnazioni in generale, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 889.

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