Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 133 - Materie di giurisdizione esclusiva 1Materie di giurisdizione esclusiva1
1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: 1) risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo; 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni; 3) silenzio di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3, e provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività, di cui all'articolo 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 2412; 4) determinazione e corresponsione dell'indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo; 5) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato; 6) diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa 3; a-bis) le controversie relative all'applicazione dell'articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 2414; b) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche; c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità; d) le controversie concernenti l'esercizio del diritto a chiedere e ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali; e) le controversie: 1) relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative; 2) relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto; f) le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa; g) le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa; h) le controversie aventi ad oggetto i decreti di espropriazione per causa di pubblica utilità delle invenzioni industriali; i) le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico; l) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d'Italia, dagli Organismi di cui agli articoli 112-bis, 113 e 128-duodecies del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, [dalla Commissione nazionale per le società e la borsa,] dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e dalle altre Autorità istituite ai sensi della legge 14 novembre 1995, n. 481, dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dalla Commissione vigilanza fondi pensione, dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità della pubblica amministrazione, dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, comprese le controversie relative ai ricorsi avverso gli atti che applicano le sanzioni ai sensi dell'articolo 326 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 5; m) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di comunicazioni elettroniche, compresi quelli relativi all'imposizione di servitù, nonché i giudizi riguardanti l'assegnazione di diritti d'uso delle frequenze, la gara e le altre procedure di cui ai commi da 8 a 13 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, incluse le procedure di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75 6; n) le controversie relative alle sanzioni amministrative ed ai provvedimenti adottati dall'organismo di regolazione competente in materia di infrastrutture ferroviarie ai sensi dell'articolo 37 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188; o) le controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, [ivi comprese quelle inerenti l'energia da fonte nucleare,] i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti 7; p) le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell'articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225 del 1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati 8; q) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti anche contingibili ed urgenti, emanati dal Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica, di incolumità pubblica e di sicurezza urbana, di edilità e di polizia locale, d'igiene pubblica e dell'abitato; r) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto dell'esercizio d'industrie insalubri o pericolose; s) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in materia di danno all'ambiente, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, nonché quelle inerenti le ordinanze ministeriali di ripristino ambientale e di risarcimento del danno ambientale; t) le controversie relative all'applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari; u) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti in materia di passaporti; v) le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l'interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico; z) le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti. z-bis) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti i rapporti di impiego, adottati dall'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale di cui alla lettera h) del comma 2 dell'articolo 37 della legge 4 giugno 2010, n. 96 9. z-ter) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua istituita dall'articolo 10, comma 11, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 10; z-quater) le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 11 ; z-quinquies) le controversie relative all'esercizio dei poteri speciali inerenti alle attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni 12; z-sexies) le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di recupero di cui all'articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l'ha concesso13. z-septies) le controversie relative ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche.14 z-octies) le controversie relative alle procedure di risanamento e risoluzione delle controparti centrali di cui al regolamento (UE) 2021/2315. [1] Articolo inizialmente modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. 5 ottobre 2018, n. 115. Successivamente a norma del Comunicato del Ministero della Giustizia 6 dicembre 2018 (in Gazz. Uff. 6 dicembre 2018, n. 284), il predetto D.L. 115/2018 non è stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni. [2] Numero sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 1), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. [3] Numero modificato dall'articolo 52, comma 4, lettera e), del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33. [4] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 2), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. [5] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 3), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. La Corte Costituzionale, con sentenza 27 giugno 2012, n. 162 (in Gazz. Uff., 4 luglio, n. 27), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio - sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB). Successivamente, la presente lettera è stata nuovamente modificata dall'articolo 1, comma 1, lettera t), numero 1), del D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160. Da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza 15 aprile 2014, n. 94 (in Gazz.Uff., 23 aprile, n. 18), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della presente lettera, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, e alla competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - sede di Roma le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Banca d'Italia. [6] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 4), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. [7] Lettera modificata dall'articolo 5, comma 4, del D.L. 31 marzo 2011, n. 34. [8] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, lettera t), numero 2), del D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160 [9] Lettera aggiunta dall'articolo 2, comma 2, lettera b), del D:Lgs. 31 marzo 2011, n. 58. [10] Lettera aggiunta dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 5), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. [11] Lettera aggiunta dall'articolo 1, comma 1, lettera ll), numero 5), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195. [12] Lettera aggiunta dall'articolo 3, comma 7, del D.L. 15 marzo 2012, n. 21. [13] Lettera aggiunta dall'articolo 49, comma 2, della Legge 24 dicembre 2012, n. 234, come modificato dall'articolo 35, comma 3, della Legge 7 luglio 2016, n, 122. [14] Lettera aggiunta dall’articolo 1, comma 649, lettera b) della legge 30 dicembre 2018, n. 145. [15] Lettera aggiunta dall'articolo 22, comma 2, lettera b), del D.Lgs. 6 dicembre 2023, n. 224. InquadramentoLa giurisdizione del giudice amministrativo può estendersi anche ai diritti soggettivi in particolari materie indicate dalla legge. Si tratta di materia in cui l'intreccio tra posizioni giuridiche soggettive eterogenee (interesse legittimo e diritto soggettivo) è talmente inestricabile da rendere opportuno, in base al principio di effettività della tutele, la trattazione unitaria della materia. Il legislatore, quindi, ha attribuito al giudice amministrativo una cognizione piena in relazione ad una serie di materie che per la loro intrinseca natura implicano «un indecifrabile intreccio di diritti ed interessi legittimi tra le posizioni incise dall'espletamento delle relative potestà pubbliche», al fine di evitare «un complicato ed incerto concorso di azioni, dinanzi a diverse autorità giudiziarie» ( Cons. St.Ad. plen., n. 7/2016). L'elenco delle materie riservate alla giurisdizione dimostra, peraltro, che la giurisdizione esclusiva stia divenendo la parte più rilevante di giurisdizione del giudice amministrativo. Il tenore della norma in commento testimonia come, in realtà, il tradizionale criterio di riparto fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi vada riletto ed integrato alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale cristallizzati nelle storiche sentenze n. 204 del 6 luglio 2004 e n. 196 dell'11 maggio 2006, ed in particolare alla luce del principio – ivi affermato – della necessaria afferenza al potere autoritativo del contenzioso che il legislatore può legittimamente attribuire alla giurisdizione del g.a. La giurisdizione esclusiva e criterio di riparto della giurisdizioneIl criterio di riparto della giurisdizione, in linea generale, si fonda sulla posizione giuridica concretamente esistente (criterio del petitum sostanziale): laddove si faccia questione di un diritto soggettivo si radica la giurisdizione del g.o., laddove si faccia questione di un interesse legittimo sussiste quella del g.a. (si veda, amplius, art. 7). Tale criterio, tuttavia, incontra una rilevante deroga proprio con la previsione di particolari materie devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. Può dirsi, però, che il discrimine tra diritto soggettivo e interesse legittimo, già consacrato a livello costituzionale dall' art. 103, comma 1 Cost., è oggi recepito e specificato dall' art. 7, comma 1 c.p.a. nella parte in cui statuisce che «sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni». La Corte costituzionale, con le sentenze 204/2004 e 191/2006, ha chiarito che «l' art. 103, primo comma, della Costituzione non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare «particolari materie» nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi. Tali materie, tuttavia, devono essere «particolari» rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo; con la conseguenza che va escluso che sia la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia siano sufficienti a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo». In altri termini, la giurisprudenza costituzionale (e oggi il Codice del processo amministrativo, che ne ha recepito gli insegnamenti) ha fornito una declinazione dell' art. 103 Cost. per la quale l'elemento fondamentale della giurisdizione amministrativa – atto a definirne il perimetro entro limiti costituzionalmente legittimi – è l'esercizio da parte della P.A. di un potere pubblico autoritativo: intanto può aversi giurisdizione amministrativa se, ed in quanto, si faccia questione dell'esercizio o del mancato esercizio del potere amministrativo, riguardante provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Tale ricostruzione è coerente con la prospettiva che innanzi al g.a., anche nei casi di giurisdizione esclusiva, viene in rilievo, comunque, la coppia autorità-soggezione. Quando si discorre di giurisdizione amministrativo al tradizionale criterio di riparto fondato sula coppia diritto soggettivo interesse legittimo si sostituisce, quindi, quello relativo all'esistenza o meno di un potere autoritativo della P.A. In questo senso Cons. St.ad. plen., n. 7/2016, secondo cui è confermato che per radicare la giurisdizione amministrativa, di cui quella esclusiva è parte, opera «il necessario limite dell'esplicazione del potere pubblicistico per mezzo dell'adozione di un provvedimento amministrativo, secondo l'originaria e fondamentale statuizione della Corte costituzionale, con sentenza 6 luglio 2004, n. 204». La Corte cost., n. 140/2007 ha, peraltro, evidenziato che il giudizio amministrativo, nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, assicura la tutela di ogni diritto: e ciò non soltanto per effetto dell'esigenza, coerente con i princípi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, ma anche perché quel giudice è idoneo ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti, coinvolti nell'esercizio della funzione amministrativa. Né osta, precisa la Corte, alla validità costituzionale del «sistema» in esame la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi, “non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Peraltro, l'orientamento – espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione – circa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, e pertanto esso è coerente con la sentenza n. 191 del 2006, con la quale questa Corte ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la cognizione del risarcimento del danno conseguente a meri comportamenti della pubblica amministrazione”. La dottrina ha, peraltro, evidenziato che il c.p.a. non ha, riprodotto integralmente l'art. 103, perché prevede la giurisdizione esclusiva anche se in relazione ai soli diritti soggettivi. A tale risultato si giunge perché nel c.p.a. non è riprodotta l'espressione, contenuta, invece, nella Costituzione, secondo cui gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della p.a. degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La mancata riproduzione della congiunzione («anche») nel testo del c.p.a. comporta che la giurisdizione esclusiva può sussistere anche solo in relazione a diritti soggettivi, purché sussista un potere autoritativo da sindacare (Chieppa). La giurisdizione esclusiva dal r.d. 30 dicembre 2840/1923 al c.p.a.L'istituzione della giurisdizione esclusiva può farsi risalire al r.d. 30 dicembre 2840/1923 (art. 8) che rese promiscua la competenza della IV e V sezione del Consiglio di Stato e attribuì, in deroga ai tribunali ordinari, una giurisdizione esclusiva in alcune materie. Nella relazione al r.d. si legge che la giurisdizione esclusiva nasce dall'intimo intreccio tra diritti e interessi e si spiega perché in taluna determinata materia è così connaturato col diritto l'interesse pubblico, che è impossibile o assai difficile separare l'uno dall'altro, mentre l'interesse suddetto è così prevalente e assorbente da far scomparire o affievolire la portata effettiva della questione patrimoniale o di diritto privato. L' art. 29 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 previde espressamente le ipotesi di giurisdizione esclusiva. Erano, però, ipotesi molto limitate; la più importante era rappresentata dal pubblico impiego. Negli Studi in occasione del centenario del Consiglio di Stato nel 1932, Santi Romano, in qualità di Presidente del Consiglio di Stato, definì il r.d. del 1923, che aveva attribuito una serie di ipotesi alla giurisdizione esclusiva del g.a., una provvida riforma, che aveva avuto il risultato di stabilire e di unificare la giurisdizione in quei casi in cui il diritto è così «connaturato con l'interesse che è impossibile o estremamente difficile separarli [...]. Si è così creato un sistema originale che [...] ha conferito alla tutela degli interessi pubblici e privati una nuova maggiore efficacia». Questa tematica, già avvertiva Santi Romano, è quella in cui «convergono e si assommano i più ardui problemi del diritto amministrativo e del diritto processuale, in cui si tratta di delineare i rispettivi confini del potere esecutivo e del potere giudiziario, dell'interesse pubblico e dei legittimi interessi privati, della ragione giuridica e delle esigenze del c.d. merito amministrativo, delle facoltà discrezionali della pubblica amministrazione e dei loro limiti». «Taluna determinata materia» della Relazione citata al r.d. del 1923 divengono le particolari materie nel linguaggio utilizzato dall' art. 103 Cost. Si tratta, quindi, di un ininterrotto percorso che lega tutti gli interventi normativi sulla giurisdizione esclusiva e dimostra che il criterio delle particolari materie è un criterio qualitativo, rappresentato dalla compresenza di posizioni giuridiche soggettive eterogenee. La Carta Costituzionale, con gli artt. 103 e 113 Cost., disegna, quindi, un sistema giurisdizionale dualista, in cui la giurisdizione amministrativa si compone di giurisdizione di legittimità, esclusiva e di merito. Il c.p.a., con l'art. 7, comma 3, ha confermato la tradizionale ripartizione della giurisdizione amministrativa in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito. La prima definita generale, perché il giudice amministrativo ha una potere generale di giudicare le controversie tra p.a. e privato in cui la posizione giuridica soggettiva sottesa è l'interesse legittimo. La giurisdizione esclusiva e quella estesa al merito tradizionalmente sono di converso ipotesi speciali di giurisdizione amministrativa, ammesse solo laddove siano espressamente previste. Ipotesi eccezionali perché derogatorie dei principi generali. La giurisdizione esclusiva affida al giudice amministrativo il potere di tutelare anche i diritti soggettivi, così invadendo il potere giurisdizionale tradizionalmente affidato al giudice ordinario. La giurisdizione estesa al merito incrina la separazione dei poteri e consente al giudice amministrativo di sostituirsi alla p.a. Per tali motivi si tratta di ipotesi di giurisdizione che non possono essere estese oltre i tipi espressamente previsti dal legislatore. La giurisdizione esclusiva, però, rispetto a quella di merito, ha assunto oggi una valenza talmente di ampia portata da portare a dubitare che sia una mera eccezione al sistema. Basta passare in rassegna le ipotesi di giurisdizione esclusiva, raggruppate nell' art. 133 c.p.a., per comprendere che dietro l'elenco di materie c'è oggi il nuovo modo di essere della giurisdizione del giudice amministrativo. Sembra, infatti, evidente che il giudice amministrativo spesso giudichi anche i diritti soggettivi. Non è un caso che tale tipo di giurisdizione sia prevista nelle ipotesi qualitativamente e statisticamente più rilevanti (appalti pubblici, espropriazione, edilizia). Tale tendenza sembra riflettere l'invito di Santi Romano che aveva evidenziato come potesse essere utile un ulteriore intervento legislativo [...] per allargare il campo della giurisdizione esclusiva (SantiRomano, 26). Un autorevole studioso del diritto amministrativo (Caianiello, 87), più di un decennio fa, nel delineare i rapporti sussistenti tra giurisdizione generale di legittimità e giurisdizione esclusiva, aveva evidenziato che l'attributo generale apposto alla giurisdizione amministrativa può apparire ridondante, dato che le riforme stesse hanno esteso talmente tanto la giurisdizione esclusiva da farla divenire, dal punto di vista quantitativo, la parte principale della giurisdizione amministrativa. Lo stesso autore prospettava che, in seguito al ridimensionamento quantitativo della giurisdizione di legittimità, questa finirà con l'assumere un ruolo talmente marginale e residuale, per cui sembra preferibile definirla non più come generale di legittimità, bensì come giurisdizione di legittimità tout court. Per questi motivi, il dibattito giurisprudenziale si è acceso intorno ai limiti della giurisdizione esclusiva. I limiti interni ed esterni del giudice, investito in via esclusiva della questione, devono fare i conti con la peculiarità della giurisdizione esclusiva che assomma due tipi di giurisdizioni. Parte della dottrina ritiene che la giurisdizione esclusiva non sia un nuovo tipo di giurisdizione, altri, invece, sostengono che nelle materie di giurisdizione esclusiva la cognizione e la decisione demandata al giudice amministrativo abbiano ad oggetto le modalità con cui il potere è stato esercitato, come incidenti sulle posizioni, anche di diritto soggettivo, del privato. In questo quadro la giurisdizione esclusiva non sarebbe la mera sommatoria di due giurisdizioni eterogenee, l'una su interessi e l'altra su diritti, ma una «forma nuova di giurisdizione» (Cavallaro, 951). I comportamenti della P.A. tra tipicità e atipicità. RinvioDa una piana lettura dell'art. 7, comma 1, emerge che la giurisdizione amministrativa si estende ai comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio del potere amministrativo. I comportamenti della p.a. rappresentano una categoria eterogenea capace di contenere ipotesi molto diverse tra di loro, che possono intercettare tanto la giustizia ordinaria che quella amministrativa. Il comma 3, tuttavia, nel delineare la dimensione della giurisdizione generale di legittimità non richiama i comportamenti a differenza del comma 1. Si potrebbe sospettare che il legislatore abbia ritenuto compatibili i comportamenti solo con la giurisdizione esclusiva e non anche con la giurisdizione di legittimità. Tale lettura del dato normativo non può, tuttavia, essere condivisa perché i comportamenti, se collegati direttamente al potere pubblico, sono comunque, espressione di attività autoritativa di cui può (id est, deve) conoscere il giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità. Si pensi ai comportamenti attuativi di un provvedimento amministrativo o, ancora, a quei comportamenti che attuano doveri previsti dalla legge per i quali non è necessario emanare uno specifico provvedimento amministrativo. I comportamenti della P.A. possono essere, poi, suddivisi in comportamenti aventi valore provvedimentale e comportamenti non aventi valore provvedimentale. In relazione ai primi si individuano le forme di silenzio significativo. In relazione alla seconda ipotesi, alla luce dell'intensità del collegamento sussistente tra comportamento e provvedimento, è possibile operare una tripartizione distinguendo: i comportamenti non collegati al provvedimento; i comportamenti collegati mediatamente al provvedimento; i comportamenti collegati direttamente al provvedimento. Detta tripartizione emerge per l'appunto dal dettato dell' art. 7 c.p.a., il quale devolve alla giurisdizione del g.a. «le questioni riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere». Si veda, amplius, sul punto, l'art. 7. L'impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato innanzi alla Corte di Cassazione per motivi di legittimitàÈ tale il potere del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva che oggi si dubita della legittimità di un sistema che consenta l'impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato solo per motivi di giurisdizione. L' art. 111 ult. comma Cost. limita, infatti, il ricorso per Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato solo per motivi di giurisdizione, coerentemente con l'idea che la Corte di Cassazione, dal 1877, è giudice regolatore dei conflitti di giurisdizione, e che il Consiglio di Stato rappresenta l'organo giurisdizionale apicale nella giustizia amministrativa. L'argomento principe, per giustificare un siffatto sistema, è che la giurisdizione amministrativa, anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, esercita un sindacato in relazione ad una modalità di esercizio del potere, che intercetta anche il diritto soggettivo. Nonostante tale quadro normativo, si evidenzia che se il giudice amministrativo giudica i diritti soggettivi e, come vedremo dopo, anche i diritti fondamentali, non è possibile sottrarre la sentenza del Consiglio di Stato, in tali ipotesi, al ricorso per cassazione per violazione di legge. Questo perché il sindacato sulla legittimità della manifestazione di potere non è elemento indefettibile della giurisdizione amministrativa su diritti (Scoditti, 157). Nel caso dell'occupazione appropriativa, si sostiene, la presenza della dichiarazione di pubblica utilità vale a collegare il comportamento all'esercizio del potere, e dunque a fondare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma il riconoscimento della pretesa risarcitoria consegue all'accertamento della trasformazione irreversibile del fondo in assenza di decreto di esproprio nei termini previsti, senza che la fattispecie dedotta in giudizio implichi un sindacato sull'esercizio del potere. La dottrina ha evidenziato che è sufficiente, ai fini della giurisdizione del giudice amministrativo, nelle materie previste dalla legge, la riconducibilità del comportamento all'esercizio del potere; e l'illegittimità dell'esercizio del potere, come dimostra il caso della non tempestiva adozione del provvedimento di acquisizione, non è un tratto caratterizzante della fattispecie. Ciò che deve essere illegittimo, ai fini del riconoscimento della lesione del diritto, è il comportamento. Anche il Consiglio di Stato, si rileva, è giunto alle medesime conclusioni, quando distingue il piano del comportamento che, pur se illegittimo, resta riconducibile all'esercizio del potere pubblico, da quello della legittimità degli atti, che può anche non essere in discussione. In questi termini, si rievocano le azioni risarcitorie da ritardo che si collegano ad un comportamento e non ad un provvedimento amministrativo e che l' art. 133 c.p.a. devolve alla giurisdizione esclusiva del g.a. (Scoditti, 158). Il comportamento illegittimo è, quindi, la chiave di volta per comprendere l'esatta essenza della giurisdizione esclusiva e la compatibilità tra potere pubblico e diritto soggettivo. Ciò che rileva nella giurisdizione esclusiva quando si staglia un diritto soggettivo è un comportamento collegato mediatamente al potere pubblico; comportamento che, si precisa, non è espressione di potere pubblico in senso tecnico, perché il comportamento è per definizione atipico, rispetto ai provvedimenti che sono tipici perché devono essere tutti previsti dalla legge, in forza del principio di legalità. È questa limitazione dell'ambito del comportamento amministrativo che consente di configurare al suo cospetto una posizione di diritto soggettivo. L'atto amministrativo, la cui legittimità rilevi per ipotesi nella controversia sul comportamento, riveste perciò il medesimo ruolo che svolgerebbe nelle controversie su diritti in cui è dato al giudice ordinario il potere di disapplicazione (Scoditti, 158). Nel momento in cui la giustizia amministrativa adopera le tecniche di tutela del bene della vita consegnate dal diritto soggettivo non può non seguire le medesime vie della giurisdizione ordinaria, e dunque svolgere un sindacato di tipo incidentale sul potere. Se la fattispecie dedotta in giudizio è infatti relativa a diritti soggettivi, la legittimità dell'esercizio del potere resta questione pregiudiziale in senso tecnico (diversamente non avremmo diritti, ma interessi, ed il giudizio sarebbe impugnatorio). Ragioni di opportunità giustificano la concentrazione delle tutele, ma il mezzo tecnico rimane quello della giurisdizione su diritti. Di qui si sostiene la ricorribilità in Cassazione per violazione di legge delle sentenze del Consiglio di Stato che hanno pronunciato anche sui diritti (Scoditti, 158). Il percorso ermeneutico seguito trova riconoscimento nell' art. 111, comma 7, Cost. il quale prevede che il ricorso per la sezione «è sempre ammesso» e che ad esso si può «derogare» solo per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. L'ottavo comma che consente il ricorso in Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, si riferirebbe solo alle sentenze del giudice amministrativo rese in sede di giurisdizione generale di legittimità. Si precisa poi che visto che l'impugnazione ordinaria è consentita solo per motivi attinenti alla giurisdizione, secondo quanto prescritto dalla norma costituzionale ed attuato da quella del codice del processo amministrativo (art. 110), non dovrebbe naturalmente trovare applicazione l' art. 360 c.p.c., che ha equiparato i motivi proponibili con il ricorso straordinario a quelli ammessi per il ricorso ordinario. L'impugnabilità dovrebbe così restare negli stretti limiti della violazione di legge. È opportuno, si dice, che un'interpretazione della Costituzione, diversa da quella tradizionale, in materia di sindacato di legittimità sulle sentenze del giudice amministrativo che decidono su diritti, non venga fuori ex abrupto dalla Corte di cassazione. Dovrebbe trattarsi piuttosto di un «mutamento costituzionale materiale», quale risultato cui dovrebbe attendere l'intero complesso delle teorie e delle prassi interpretative (Scoditti, 159). Tale ricostruzione, pur se suggestiva, non convince, come precisa la giurisprudenza consolidata delle stesse sezioni unite. In prima battuta l'impianto costituzionale non consente questo esito, semplicemente perché l' art. 111, comma 8, Cost., non si riferisce solo alle sentenze del Consiglio di Stato rese in sede di giurisdizione generale di legittimità, ma a tutte le sentenze emesse dal supremo consesso amministrativo. Nessuna limitazione, infatti, emerge dalla norma costituzionale, né è possibile individuarla in via interpretativa. Del resto, non vi è nessuna «disarmonia» tra il settimo e l'ottavo comma dell'art. 111, perché in sequenza il legislatore introduce un principio (è sempre ammesso il ricorso straordinario per cassazione) e la deroga allo stesso (non è ammesso tale mezzo di impugnazione per le sentenze del Consiglio di Stato). Né può essere percorsa una diversa ricostruzione e distinguere inopinatamente tra tipi di giurisdizione (sempre che di tipi si tratti) all'interno dell'art. 111 ult. comma perché la giurisdizione esclusiva è conosciuta anche dalla Costituzione che espressamente la prevede. Sembra, quindi, che l'art. 111 non possa che riferirsi alla giurisdizione amministrativa nel suo complesso. Da ultimo, non può negarsi che la soluzione proposta, di sottoporre a ricorso per cassazione le sentenze del Consiglio di Stato al di là dei limiti dell'art. 111 ult. comma sarebbe foriera di notevoli incertezze applicative; frustrerebbe proprio quelle esigenze (di certezza) che la previsione della giurisdizione esclusiva vuole salvaguardare. Questo perché, come suggerisce la Corte Costituzionale (n. 204/2004), la giurisdizione esclusiva si giustifica in presenza di un intreccio tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Ne deriva, quindi, che non sarebbe possibile atomizzare e selezionare il sindacato del g.a., in sede di giurisdizione esclusiva, e distinguere il tipo di sindacato a seconda della situazione giuridica soggettiva di riferimento e consentire l'impugnazione in cassazione senza limiti quando il sindacato del g.a. ha ad oggetto diritti soggettivi e far riemerge gli altri limiti quando ha ad oggetto interessi legittimi. In relazione all'affermazione che i comportamenti sono per definizione atipici, si veda Cass.S.U.n. 2052/2016, già citata sub art. 7, che si pronuncia sulla sussistenza della giurisdizione in relazione ad una condotta della p.a. che ha provocato danni ai proprietari limitrofi delle zone interessate da un'espropriazione legittimamente espletata. Secondo le sezioni unite, il tratto costante è che tutti i comportamenti che si potevano tenere, anche quelli non scelti, in ogni caso, per il modo in cui il potere è normativamente previsto, risultavano oggettivamente, per le loro caratteristiche in relazione all'oggetto del potere, ad esso riconducibili, perché concernevano proprio tale oggetto come normativamente previsto. Vi sono, però, numerosi altri comportamenti che invece si rivelano soltanto funzionali al raggiungimento del risultato che l'esercizio del potere deve realizzare secondo la previsione normativa ed in relazione all'oggetto ch'essa prevede. Tali comportamenti sono in relazione con l'esercizio del potere non perché corrispondenti e dunque riconducibili a quanto oggettivamente la norma di previsione del potere prevede, bensì soltanto perché l'amministrazione o chi per essa li ha tenuti per raggiungere quel risultato, scegliendo di tenerli in un certo modo piuttosto che in un altro. Sono comportamenti che sono stati certamente funzionali a quel raggiungimento, ma non per le loro caratteristiche oggettive e, dunque, perché hanno rappresentato uno dei modi di realizzazione sul piano della realtà effettuale del potere per come descritto normativamente, bensì solo perché l'amministrazione li ha tenuti allo scopo di raggiungere il risultato dell'esercizio del potere asseritamente esercitato e normativamente descritto. Non si tratta di comportamenti che per le loro caratteristiche rivelino dunque l'esercizio del potere, ma di comportamenti che solo per il loro finalismo e, dunque, non secondo quanto prevedeva la norma di attribuzione del potere, si pongono in relazione con il suo esercizio. Sicché essi, di per sé, non si possono dire riconducibili a tale esercizio in quanto giustificato dalla norma di attribuzione del potere asseritamente invocata dall'amministrazione o da chi per essa riguardo al suo agire. I comportamenti riconducibili all'esercizio del potere sono dunque solo quelli che trovano oggettiva giustificazione in ciò che la previsione del potere al livello normativo stabiliva. Corte cost. 15 luglio 2016, n. 179: la giurisdizione esclusiva a parti invertiteL' art. 133 c.p.a. riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di «formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo...» (art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), e devolve allo stesso Giudice «le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio» ( art. 133, comma 1 lett. f), c.p.a.). Ciò comporta, però, che tanto la p.a. quanto il soggetto privato potrebbero ritenersi legittimati ad adire il giudice amministrativo per la realizzazione delle proprie pretese. Ci sarebbe, quindi, un giudizio amministrativo in cui è la P.A. ad adire il g.a. per chiedere tutela nei confronti del privato. Orbene, secondo quest'ottica si muove la giurisprudenza laddove concordemente riconosce, in riferimento alle cc.dd. «convenzioni urbanistiche», la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche quando la Pubblica Amministrazione assuma la veste di parte ricorrente ed il privato quella di parte resistente, dovendosi ammettere la tutela della p.a. nei confronti dei soggetti privati, in un giudizio c.d. «a parti invertite» ( T.A.R. Puglia (Bari) I, 6 marzo 2008, n. 521 e T.A.R. Veneto II, 13 luglio 2011, n. 1219). A tale riguardo assume, poi, valore decisivo l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Civile (ordinanza Cass.S.U., n. 1763/2002) che, nel regolare la giurisdizione in relazione ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso dal giudice ordinario per l'inadempimento, da parte del privato stipulante, di alcune obbligazioni previste in una convenzione di lottizzazione, ha avuto modo di affermare la «giurisdizione esclusiva del g.a.» – sia pure – «ai sensi degli artt. 16 l. n. 10 del 1977 ed 11, comma 5, l. n. 241 del 1990» (norme, poi, sostanzialmente recepite nelle corrispondenti disposizioni del c.p.a.), precisando che «Con indirizzo ormai consolidato questa Suprema Corte ritiene che, poiché la convenzione di lottizzazione conclusa dalla P.A. col privato interessato al rilascio di una concessione edilizia non assume valenza privatistica ed autonoma rispetto all'atto autoritativo di concessione, ma si inserisce nel procedimento amministrativo finalizzato al rilascio di essa, essendo imposto dalla P.A. come momento necessario di tale procedimento e condizionando l'adozione del provvedimento, la competenza giurisdizionale in ordine alla controversia relativa all'adempimento degli obblighi nascenti dalla convenzione di lottizzazione non può non appartenere allo stesso giudice che è competente a conoscere del provvedimento di concessione edilizia. E, poiché, ai sensi dell' art. 16 l. n. 10/1977, quest'ultima competenza è attribuita in via esclusiva al giudice amministrativo, lo stesso giudice è competente a conoscere in via esclusiva delle controversie relative all'adempimento della convenzione di lottizzazione (cfr. Cass. n. 6527/1994; attestano la continuità dell'indirizzo: Cass. n. 6687/1995; Cass. n. 1145/2000). Alla stessa, condivisa conclusione si perviene se si esamini la questione alla luce del disposto dell' art. 11, comma 5, l. n. 241/1990, che riserva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi conclusi, nel pubblico interesse, dalla p.a. con gli interessati, al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, ove previsto dalla legge, in sostituzione di questo, trattandosi di norma applicabile anche in relazione ad accordi conclusi prima della sua entrata in vigore (cfr. Cass.S.U., 29 agosto 1998; Cass.S.U., n. 8/1999). Non ha condiviso questa impostazione il T.A.R. Puglia Lecce (III, ordinanza 6 agosto 2015, n. 2609) secondo cui l'art. 133 c.p.a., comma 1 lett. a) n. 2 e comma 1 lett. f), sarebbe in contrasto con gli artt. 103 comma 1 e 133 comma 1 Cost. L' art. 103, comma 1, Cost., infatti, riserva al Consiglio di Stato ed agli altri organi di giustizia amministrativa la «giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi»; mentre l' art. 113, comma 1, Cost. testualmente afferma che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa». Le sopra riportate norme costituzionali, quindi, nella loro formulazione, inducono il T.A.R. a ritenere come la giurisdizione degli «organi di giustizia amministrativa», anche nelle controversie devolute in via esclusiva al giudice amministrativo, sia limitata alla tutela del privato nei confronti della P.A., parte necessariamente resistente, escludendo che la stessa P.A. possa assumere la veste di (parte) ricorrente. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 179/2016 ha ribadito la legittimità costituzionale del nostro sistema. Al riguardo, rileva che – sebbene gli artt. 103 e 113 Cost. siano formulati con riferimento alla tutela riconosciuta al privato nelle diverse giurisdizioni – da ciò non consegue che tali giurisdizioni siano esclusivamente attivabili dallo stesso privato, né che la giustizia amministrativa non possa essere attivata dalla pubblica amministrazione; tanto più ove si consideri che essa storicamente e istituzionalmente è finalizzata non solo alla tutela degli interessi legittimi (ed in caso di giurisdizione esclusiva degli stessi diritti), ma anche alla tutela dell'interesse pubblico, così come definito dalla legge. Per quanto riguarda, in particolare, l' art. 103 Cost., ai fini della compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla giurisdizione esclusiva, è necessario che siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di «blocchi di materie», ma di materie determinate; e che l'amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell'esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio ( Corte cost. n. 35/2010). In considerazione di tali principi, secondo la Corte costituzionale, il diritto vivente in tema di giurisdizione esclusiva sugli accordi procedimentali risulta pienamente coerente con questa ricostruzione sistematica e ne costituisce il ragionevole sviluppo. Infatti, in sede di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi edilizi, dei quali esse condizionano l'adozione e integrano il contenuto (si veda ex plurimis, Cass.S.U., ordinanza n. 584/2014 e Cons. St. IV, n. 7057/2009). In quanto inserite nell'ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti d'obbligo stipulati tra pubblica amministrazione e privati costituiscono, comunque, espressione di un potere discrezionale della stessa pubblica amministrazione e, quindi, sono connessi, ancorché in via indiretta o mediata, al potere pubblico. Risolutiva è la considerazione che l'ordinamento non conosce materie «a giurisdizione frazionata», in funzione della differente soggettività dei contendenti. Per elementari ragioni di coerenza e di parità di trattamento l'amministrazione può avvalersi della concentrazione delle tutele che è propria della giurisdizione esclusiva e, quindi, le deve essere riconosciuta la legittimazione attiva per convenire la parte privata avanti il giudice amministrativo. Giurisdizione esclusiva e diritti fondamentaliNel momento in cui si assume che il presupposto fondamentale ed indefettibile affinché possa radicarsi la giurisdizione del g.a. (tanto quella generale di legittimità quanto quella esclusiva) è l'esercizio da parte dell'autorità amministrativa di un potestà pubblicistica, occorre chiedersi se, ed entro quali limiti, possa stagliarsi la giurisdizione amministrativa a fronte di controversie in cui si faccia questione di diritti fondamentali dell'individuo. Si tratta di una controversa e risalente tematica su cui giurisprudenza e dottrina si interrogano da ormai più di un trentennio e che involge, più a fondo, la stessa questione – di natura ontologica – della comunicabilità tra potere pubblico e diritti fondamentali della persona. Segue. La teoria dei diritti resistenti a tutt'oltranzaIl punto di partenza ineludibile di questo percorso è rappresentato dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 9 marzo 1979, n. 1436. Con tale sentenza (avente ad oggetto una fattispecie in cui si faceva questione della lesione del diritto alla salute) la Corte di Cassazione enucleò la nota teorica dei c.d. diritti inaffievolibili; i giudici di Piazza Cavour, invero, sulla scorta degli approdi della coeva dottrina tedesca, teorizzarono l'esistenza di alcuni diritti soggettivi di rango costituzionale che si caratterizzerebbero per il loro peculiare modo di atteggiarsi di fronte ai poteri pubblici. In particolare, detti diritti sarebbero inaffievolibili, indegradabili, intangibili da parte dell'azione amministrativa, ancorché esercitata legittimamente dalle competenti autorità. L'assunto di fondo è che a fronte di tali «super-diritti» emerge una carenza di potere ovvero un difetto assoluto di attribuzione in capo alla pubblica amministrazione, la quale in nessun caso ed in alcun modo può pregiudicare un diritto fondamentale, per definizione intangibile, con la conseguente, inevitabile declaratoria di nullità del provvedimento lesivo. Ne discenderebbe, sotto il profilo del riparto di giurisdizione, che in tale ipotesi non potrebbe che radicarsi, in ossequio al tradizionale criterio del petitum sostanziale, la giurisdizione del g.o., e cioè del giudice dei diritti per antonomasia, rimanendo intatta la consistenza del diritto soggettivo vantato dal privato (Buscema, 7). Il carattere di assoluta intangibilità dei diritti fondamentali spiegherebbe i propri effetti non soltanto sul piano del riparto di giurisdizione, ma anche su quello delle tecniche di tutela. Ed invero, in siffatte ipotesi, il g.o. non soggiacerebbe alle limitazioni previste dagli artt. 4 e 5 L.A.C. (divieto di annullamento e revoca dei provvedimenti amministrativi) con riguardo alla diversa eventualità in cui venga in rilievo un agire provvedimentale (o comunque autoritativo) della p.a., con la conseguenza che sarebbero pienamente ammissibili pronunce di condanna dell'amministrazione ad un facerespecifico, così come pronunce che incidano – in senso derogativo agli artt. 4 e 5 L.A.C. – sulle determinazioni dell'amministrazione che, a questo punto, solo formalmente rivestirebbero carattere provvedimentale, attesa la carenza di potere in astratto ovvero il difetto assoluto di attribuzione dell'autorità amministrativa a fronte del diritto fondamentale. D'altra parte, dal momento che i diritti fondamentali traggono la loro legittimazione direttamente dalla Carta costituzionale, in ossequio al principio di gerarchia delle fonti, non sarebbe ammissibile teorizzarne una tutela depotenziata alla stregua degli ordinari limiti sanciti all'interno della L..A.C., in quanto trattasi di posizioni giuridiche soggettive contemplate da norme di rango superprimario e contraddistinte, quindi, da una forza attiva e passiva superiore rispetto alla predetta disciplina processuale (Buscema, 8). Le ragioni profonde della presa di posizione delle Sezioni Unite del 1979 vanno ricercate nelle concezioni relative all'intima natura dell'interesse legittimo dell'epoca. Era, ancora nel 1979, assolutamente generalizzata l'idea di fondo per cui gli interessi legittimi rappresentassero delle posizioni soggettive subordinate e secondarie rispetto al diritto soggettivo: si riteneva che solo quest'ultimo godesse di una tutela piena e incondizionata da parte dell'ordinamento, mentre agli interessi legittimi veniva riservata una tutela indiretta e parziale. D'altra parte, a tali concezioni faceva da pendant una giurisdizione amministrativa illo tempore strutturata alla stregua di un mero giudizio sull'atto e non già sul rapporto sottostante, con la conseguente carenza di una tutela cautelare atipica che andasse al di là della tradizionale sospensiva. Aggiungasi che fino alla storica pronuncia delle Cass.S.U., n. 500/1999, gli interessi legittimi venivano ritenuti non suscettivi di tutela risarcitoria. È evidente, quindi, come all'epoca (e fino almeno alla seconda metà degli anni Novanta dello scorso secolo) il giudizio amministrativo appariva oggettivamente inidoneo ad assicurare una tutela adeguata ed effettiva ai diritti fondamentali eventualmente pregiudicati dall'azione amministrativa, atteso che il g.a., de facto, non disponeva degli stessi poteri e dei medesimi strumenti a disposizione del g.o. Il contesto in cui matura l'arresto del 1979 è quindi di netta sfiducia nei confronti della giurisdizione amministrativa, ritenuta strutturalmente incapace di reagire efficacemente a fronte di lesioni dei diritti primari del cittadino di matrice costituzionale. In quest'ottica, non era quindi in alcun modo tollerabile che i diritti fondamentali dell'individuo, assurti al rango di valori essenziali dalla Carta Costituzionale, potessero degradare ad interesse legittimo per effetto dell'azione amministrativa. Segue. Corte cost. n. 140/2007 e la compatibilità della g.a. con i diritti fondamentaliLa problematica relativa alla pretesa inaffievolibilità dei diritti fondamentali si è inevitabilmente riverberata anche negli ambiti riservati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ed invero, se l'assunto preliminare che fonda la teorica della indegradabilità è, come visto, quello inerente alla pretesa – ontologica – incomunicabilità tra potere pubblico e diritto fondamentale, all'indomani degli arresti del 2004 e del 2006 con cui la Consulta ha affermato il principio della necessaria afferenza al potere autoritativo del contenzioso attribuito alla giurisdizione amministrativa (anche in sede esclusiva), era inevitabile che si ponesse all'attenzione degli interpreti la questione della legittimità costituzionale di quelle ipotesi di giurisdizione esclusiva del g.a. che comportano, o addirittura espressamente prevedono, la devoluzione al giudice naturale della funzione pubblica di controversie aventi ad oggetto la dedotta violazione di diritti fondamentali. Su tale questione ha avuto modo di pronunciarsi la Corte costituzionale con la sentenza n. 140 del 27 aprile 2007. Nella specie, il Tribunale di Civitavecchia aveva sollevato, con riferimento agli artt. 103 e 25 Cost., questione di legittimità costituzionale dell' art. 1 comma 552 l. 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nella parte in cui devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di energia elettrica di cui al d.l. n. 7/2002, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 55/2002, e le relative questioni risarcitorie. Secondo il giudice rimettente, la norma censurata poneva un criterio assolutamente indiscriminato di attribuzione della giurisdizione esclusiva, in quanto individuava il campo di azione di tale giurisdizione prescindendo del tutto dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte, ed adottava, quale criterio di riparto, il dato puramente oggettivo del coinvolgimento di un rilevante interesse pubblico, «senza che la P.A. abbia il potere di operare scelte che comportino il rischio concreto di compromettere la salute degli amministrati». Il punto nodale della questione sollevata concerneva, dunque, il carattere asseritamente indefinito della materia attribuita alla giurisdizione esclusiva dalla norma impugnata («procedure e provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica») con il conseguente rischio che, per tal via, si finisse per devolvere alla cognizione del g.a. anche controversie aventi ad oggetto la lesione del diritto alla salute dell'individuo, a fronte del quale, in tesi, la p.a. è radicalmente carente di potere, con la conseguente impossibilità, secondo l'insegnamento della sentenza n. 204/2004, del radicamento della giurisdizione amministrativa. La questione è stata rigettata, siccome infondata, dalla Consulta. Più precisamente, il Giudice delle Leggi ha evidenziato che: «la norma censurata, d'altronde, è conforme all'orientamento espresso nelle sentenze n. 204/2004 e, soprattutto, n. 191/2006 di questa Corte. Secondo tali pronunce, l' art. 103 Cost., pur non avendo conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, gli ha riconosciuto il potere di indicare «particolari materie» nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi. Deve trattarsi tuttavia, di materie determinate nelle quali la pubblica amministrazione agisce nell'esercizio del suo potere». In particolare: «nella fattispecie disciplinata dal censurato comma 552 dell' art. 1 della legge n. 311 del 2004 ricorrono tutti i presupposti che questa Corte ha ritenuto sufficienti a legittimare il riconoscimento di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo. L'oggetto delle controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari «procedure e provvedimenti», tipizzati dalla legge ( d.l. n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli impianti di generazione di energia elettrica). Né osta – va ribadito – alla validità costituzionale del «sistema» in esame la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, su cui pure insiste il rimettente, non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario – escludendone il giudice amministrativo– la tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Peraltro, l'orientamento – espresso dalle Sezioni unite della Corte di cassazione – circa la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui quello alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui venivano in considerazione meri comportamenti della pubblica amministrazione, e pertanto esso è coerente con la sentenza n. 191/2006, con la quale questa Corte ha escluso dalla giurisdizione esclusiva la cognizione del risarcimento del danno conseguente a meri comportamenti della pubblica amministrazione. Nel caso in esame, invece, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti «tipizzati» normativamente». La Corte Costituzionale, ha, quindi, concluso che: 1) ben può aversi legittimo esercizio di un potere autoritativo a fronte di un diritto fondamentale; 2) l'unico dato che effettivamente rileva ai fini della legittima devoluzione alla giurisdizione amministrativa di controversie involgenti diritti inviolabili è la presenza di una norma che fondi, disciplini e limiti l'interposizione del potere pubblico nei riguardi del diritto. Segue. Il Codice del processo amministrativo e l'espresso riconoscimento dei diritti fondamentaliLa posizione espressa dalla Consulta con la citata pronuncia è stata in numerose occasioni fatta propria e ribadita dalle stesse Sezioni Unite della Suprema Corte. In particolare, nella sentenza n. 27187 del 28 dicembre 2007, la Corte di Cassazione ha osservato: «successivamente al d.lgs. n. 80/1998, come modificato dalla l. n. 205/2000, non vi è invece ragione per denegare la cognizione dei Giudici amministrativi allorché, in materia di giurisdizione esclusiva, vi sia una controversia avente ad oggetto comportamenti materiali che siano effetto di atti della P.A. o espressione di poteri di questa e ledano diritti, anche se fondamentali e tutelati dalla costituzione, perché comunque resta ferma la cognizione giurisdizionale dei Giudici amministrativi, sulla base di quanto chiarito anche dalle sentenze della Corte cost. 28 aprile 2004 n. 204, 8 marzo 2006 n. 191, in rapporto alla lettura della parola «comportamenti», di cui al D.Lgs. sopra richiamato, art. 34, comma 1». Ed ancora: «in tale senso del resto è lo stesso dettato normativo della l. n. 205/2000, art. 3, che ha modificato la L. n. 1034 del 1971, art. 21, espressamente prevedendo una tutela cautelare nel corso del processo dinanzi ai giudici amministrativi, assimilabile a quella di cui all' art. 700 c.p.c., per la quale, quando il ricorrente alleghi un pregiudizio grave e irreparabile per l'esecuzione dell'atto amministrativo da lui impugnato, egli può chiedere l'emanazione di misure cautelari idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione del ricorso al T.A.R., che, sull'istanza di provvedimento urgente, si pronuncia con decreto in Camera di consiglio. La norma aggiunge che «la concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la concessione o il diniego della misura cautelare attenga ad interessi essenziali della persona quali il diritto alla salute, all'integrità, dell'ambiente, ovvero ad altri beni di primario rilievo costituzionale», così evidenziando che anche il giudice amministrativo ha piena cognizione di essi, quando si verta in una controversia riservata alla sua giurisdizione esclusiva. Nel caso non è dubitabile che la causa eventuale di merito attiene all'uso o gestione del territorio regionale, tendendo ad inibire la collocazione su un'area sita nel comune di Serre dell'opera pubblica particolare costituita dalla discarica. Deve quindi ritenersi che la controversia è da qualificare «urbanistica» o edilizia ed è quindi regolata, sul piano della tutela giurisdizionale, dal citato d.lgs. n. 80 del 1998, art. 34, comma 1, come successivamente modificato. In tale materia, per la L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 7, come modificato dal d.lgs. n. 80 del 1998, art. 35, sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, «il tribunale amministrativo regionale... conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento dei danni, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica...» cui si è fatto espresso riferimento per la inibitoria in concreto disposta in via interinale e urgente dai Giudici ordinari nella concreta fattispecie, anche ai sensi dell' art. 2058 c.c.». Tale impostazione giurisprudenziale ha comportato, di fatto, il superamento della teoria dei diritti resistenti a tutt'oltranza. Il giudice amministrativo non è, infatti, più considerato un giudice incapace di somministrate una tutela effettiva ed efficace ai diritti di rango costituzionale. Il g.a. al contrario, è ormai (così come enunciato all' art. 1 c.p.a.), un giudice in tutto e per tutto in grado di assicurare «una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo»: ed invero tutte le tecniche di tutela sono oggi a disposizione della giustizia amministrativa, ivi inclusa quella risarcitoria ( art. 30 c.p.a.) ed ivi inclusa una tutela cautelare completamente atipica ed attivabile addirittura ante causam (artt. 55 ss.). Il g.a. può, inoltre, giovarsi di tutti i mezzi di prova elencati dall' art. 63 c.p.a., compresa la prova testimoniale (sia pure nei limiti di cui all'art. 63, comma 3), così come può disporre la C.T.U. ai sensi dell'art. 67. Sia dal punto di vista dei poteri istruttori, sia dal punto di vista delle tecniche di tutela attivabili, non vi è quindi ormai più alcun profilo in virtù del quale possa ritenersi il g.a. un giudice «limitato» rispetto al g.o. e dunque strutturalmente incapace di conoscere e di apprestare una degna tutela ai diritti fondamentali dell'individuo (ovviamente, con riguardo alle ipotesi in cui gli stessi si assumano lesi dalla P.A. nell'esercizio mediato o immediato delle proprie potestà autoritative). D'altronde, che la questione possa ormai dirsi definitivamente risolta nel senso del pieno riconoscimento della capacità del g.a. di conoscere controversie in cui si faccia questione di diritti fondamentali, e quindi, implicitamente, nel senso della piena comunicabilità tra questi ultimi e il potere pubblico, si desume dalle stesse espressione utilizzate nel Codice del processo amministrativo. Il riferimento obbligato è, in primis, all'art. 55 comma 2, alla cui stregua «qualora dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il collegio può disporre la prestazione di una cauzione, anche mediante fideiussione, cui subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare. La concessione o il diniego della misura cautelare non può essere subordinata a cauzione quando la domanda cautelare attenga a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale. Il provvedimento che impone la cauzione ne indica l'oggetto, il modo di prestarla e il termine entro cui la prestazione va eseguita»; e, in secondo luogo, all'art. 133 I comma lett. p), che introduce una peculiare materia di giurisdizione esclusiva nel cui ambito il legislatore espressamente e pacificamente contempla la possibilità che vengano devolute alla cognizione del g.a. anche controversie afferenti ad attribuzioni fondamentali dell'individuo: «le controversie aventi ad oggetto le ordinanze e i provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell' articolo 5, comma 1, della l. n. 225/1992, nonché gli atti, i provvedimenti e le ordinanze emanati ai sensi dell'articolo 5, commi 2 e 4 della medesima legge n. 225/1992 e le controversie comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati». Segue. La doppia anima del diritto alla salute: il progressivo superamento della teorica della indegradabilitàLa concezione dei diritti fondamentali come diritti resistenti a tutt'oltranza è andata incontro, negli anni, ad un progressivo ripensamento ad opera di dottrina e giurisprudenza. Tale percorso si è sviluppato, in particolar modo, con riguardo al diritto alla salute di cui all' art. 32 Cost., il quale ha rappresentato il terreno d'elezione su cui è germinata e si è evoluta la riflessione giurisprudenziale in tema di rapporto tra potere e libertà dell'individuo. Rileva la necessità di contemperare l'erogazione delle prestazioni sanitarie a titolo gratuito con ulteriori e distinti specifici interessi statuali (in primis di natura economica), in una dimensione teleologicamente orientata al perseguimento di un giusto equilibrio tra contrapposte esigenze pubbliche che ripeta la propria legittimità dal rispetto della scala valoriale fissata dalla Grundnorm repubblicana; con l'avvertenza, tuttavia, che detta opera di composizione di diversi interessi pubblici non può, in ogni caso, pregiudicare quel nucleo essenziale ed inderogabile del diritto alla salute rappresentato dal novero di prestazioni necessarie ai fini della tutela dell'integrità psicofisica dell'individuo. In quest'ottica si è peraltro osservato che è la stessa Costituzione a prevedere, in più punti, il necessario bilanciamento tra diritti fondamentali e altri interessi di pari rango, riconoscendo al legislatore ordinario – implicitamente o esplicitamente – la funzione di contemperare la tutela del singolo con quella dell'interesse pubblico, così aprendo la porta all'esercizio del potere autoritativo dell'Amministrazione che, «lungi dal regredire e scomparire in presenza dei diritti cd. inviolabili, si dispiega anche fino al punto di comprimere le posizioni dei singoli, con le medesime caratteristiche e i medesimi contenuti che possiede quando va a scontrarsi, limitandole, con posizioni soggettive non assunte – secondo l'orientamento qui criticato – al rango di diritti fondamentali» (Buscema, 9). Non vi è dunque alcuna differenza tra l'azione della p.a. quando interviene in materia di diritti fondamentali e quando lo fa in ambiti tradizionalmente considerati estranei agli stessi, con l'unico limite che, con riguardo ai primi, l'opera di bilanciamento, selezione e sintesi di interessi concorrenti può avvenire esclusivamente tra interessi di pari rango primario e, in ogni caso, la compressione di quello reputato soccombente nell'ipotesi specifica non può mai estendersi fino a pregiudicare il nucleo essenziale minimo del diritto resistente a tutt'oltranza. Le predette speculazioni, nel tempo, si sono – inevitabilmente – riverberate anche sul piano del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di riparto di giurisdizione a fronte di controversie tra l'amministrazione ed il cittadino aventi ad oggetto l'accesso e/o la fruizione di trattamenti sanitari, somministrazione di farmaci e percorsi terapeutici in genere. In particolare, al fine di individuare il giudice munito di giurisdizione occorre avere riguardo al versante del diritto alla salute che viene in rilievo nella specifica controversia, dovendosi verificare, più specificamente, se lo stesso venga in considerazione nella sua declinazione di libertà negativa ovvero positiva. Più precisamente, laddove si faccia questione del diritto dell'individuo a non sottoporsi a trattamenti sanitari per i quali non abbia validamente manifestato il proprio consenso, ci si troverà innanzi ad un diritto assolutamente intangibile, resistente a tutt'oltranza ad ogni forma di ingerenza dei pubblici poteri, la cui tutela, per l'effetto, non può che competere al giudice naturale dei diritti soggettivi Laddove, invece, si controverta in ordine al conseguimento di prestazioni sanitarie richieste dal cittadino e negate dalla p.a., il diritto alla salute non si staglia come resistente a tutt'oltranza, inaffievolibile, indegradabile, ecc., atteso che nella specie vengono in considerazione ulteriori interessi – anch'essi di rango costituzionale (ad esempio in tema di finanza pubblica) – a fronte dei quali l'autorità amministrativa è investita di un vero e proprio potere discrezionale di contemperamento, mediazione e sintesi rispetto al quale la posizione giuridica soggettiva vantata dal privato non può che assumere la consistenza di mero interesse legittimo. Di qui il radicamento della giurisdizione generale di legittimità. Tale ricostruzione è andata tuttavia incontro ad un correttivo da parte delle sezioni unite (Cass.S.U., n. 17461/2006): si è invero rilevato che, ferma restando la cognizione del g.o. con riferimento alla componente oppositiva del diritto alla salute, con riguardo alla componente pretensiva occorre distinguere le ipotesi in cui la pretesa avanzata dal privato avente ad oggetto l'erogazione di un determinato trattamento sanitario ovvero la somministrazione di uno specifico farmaco attenga a situazioni di pericolo di vita del privato, o comunque di esposizione dello stesso ad un inutile e perdurante stato di sofferenza conseguente al ritardo ovvero al diniego opposto dalla p.a. In tali ipotesi la posizione giuridica soggettiva vantata dal cittadino non potrà che assumere la consistenza di diritto soggettivo inaffievolibile, con il conseguente radicamento – anche a fronte della componente c.d. pretensiva del diritto alla salute – della giurisdizione del g.o., residuando la cognizione del g.a., in tal modo, soltanto con riferimento alle ipotesi in cui non ricorra un pregiudizio imminente ed irreparabile per il privato. Da quanto precede può, dunque, desumersi che la teorica della indegradabilità dei diritti fondamentali possa ritenersi superata, quantomeno con riferimento alle c.d. libertà positive. Segue. Cons. St. n. 4460/2014 e la lesione della libertà di autodeterminazione del paziente. Il caso EnglaroPunto di arrivo di tale percorso è rappresentato dalla sentenza n. 4460/2014 del Consiglio di Stato, che nega rilevanza alla teoria dei diritti inaffievolibili e indegradabili e riconosce la piena compatibilità dei diritti fondamentali con la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La sentenza fa propria l'impostazione che i diritti fondamentali del cittadino non vivono solo in una dimensione privata, legata al loro esercizio individuale, ma sono anche «pubblici», nella misura in cui costituiscono un «patrimonio collettivo» di valori da difendere e, in alcuni casi, da bilanciare. I diritti costituzionali sono per definizione oggetto di un bilanciamento. Le norme costituzionali sono caratterizzate dalla elevata indeterminatezza, trattandosi di disposizioni che hanno la funzione di esplicitare valori e principi di grande generalità e di notevole (potenziale) estensione applicativa. Si tratta, infatti, di principi che vengono enunciati con assolutezza, senza che sia effettuato alcun bilanciamento, opera (quella di bilanciamento) che, invece, viene affidata al legislatore o anche del giudice, che devono procedere al contemperamento tra opposti valori e principi che siano contemporaneamente coinvolti nella concreta situazione. In una Costituzione moderna sarebbe vano cercare «istituti che conciliassero opposte esigenze». «I valori, interessi, programmi in essa riposti sono dichiarati in termini assoluti e spesso generici, contrapposti gli uni agli altri, senza la possibilità di fissare preventivamente il punto della loro mediazione». In questo senso si colloca certamente l' art. 32 Cost., in cui il diritto alla salute non può subire tendenziali limitazioni, salvo trattamenti sanitari obbligatori per legge, ma va, comunque, sottoposto a bilanciamento con altri diritti costituzionalmente tutelati. Arbitro di questa opera di bilanciamento è il giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. Acclarato tale aspetto, secondo il Consiglio di Stato, non può dubitarsi della compatibilità della giurisdizione esclusiva con i diritti fondamentali. Nessun rilievo, sul punto, può avere una qualsivoglia considerazione sul formante di diritto soggettivo o sul rango costituzionale della posizione soggettiva dedotta, dal momento che, anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, ove si versi nelle materie riservate alla giurisdizione esclusiva, compete al giudice amministrativo, quale giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica, la cognizione delle relative controversie in ordine alla sussistenza dei diritti vantati ed al contemperamento degli stessi con l'interesse generale pubblico, sempre che la loro incisione sia dedotta come effetto di una manifestazione di volontà o di un comportamento materiale, espressione di poteri autoritativi, di cui si denunci la contrarietà alla legge. È possibile affermare, secondo il Consiglio di Stato, che vi sia giurisdizione esclusiva nel caso in cui l'attività della p.a. debba essere vagliata alla stregua delle norme che regolano l'attività o il servizio pubblico, per statuire la sua legittimità o meno a fronte di regole esistenti, indipendentemente dalla natura della situazione giuridica dedotta (diritto soggettivo o interesse legittimo), mentre si è invece fuori da tale ambito di giurisdizione esclusiva quando la pretesa del privato non assuma, come parametro di riferimento, l'ordinamento di settore – ad esempio, le regole del Servizio Sanitario – bensì quello generale, sostantivo e costituzionale, al fine di far prevalere un diritto soggettivo sui doveri e obblighi della p.a. In materia di giurisdizione esclusiva non rileva più, al fine del riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, anche se vengono in considerazione diritti costituzionalmente protetti e non suscettibili di affievolimento ad interessi legittimi, ma la distinzione tra comportamenti riconducibili all'esercizio di pubblici poteri e meri comportamenti, identificabili questi in tutte quelle situazioni in cui la p.a. non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun pubblico potere. I giudici di Palazzo Spada hanno, peraltro, evidenziato che un'eventuale pronuncia declinatoria della giurisdizione, in omaggio alla teoria dei cc.dd. diritti indegradabili, comporterebbe un effetto boomerang contro i titolari di questi diritti, che si troverebbero sprovvisti della tutela demolitoria, somministrata dal giudice amministrativo, proprio di fronte alle violazioni più gravi di diritti costituzionalmente rilevanti. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche il Consiglio di Stato ha ritenuto che «il giudice amministrativo, ai sensi dell' art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, nel testo risultante dalla pronuncia della Corte cost. n. 204 del 2004, abbia giurisdizione esclusiva, in materia di pubblici servizi, allorché l'amministrazione rifiuti la prestazione sanitaria richiesta dal privato mediante l'esercizio di un potere autoritativo». L'esercizio del pubblico potere non «degrada» la situazione giuridica soggettiva del privato, con una sorta di capitis deminutio, così come, per converso, la «forza» della situazione giuridica soggettiva non annulla l'esercizio del potere. Il nucleo sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva lesa, diritto soggettivo o interesse legittimo, resta il medesimo, sul piano dell'ordinamento generale, e non può essere inciso dall'esercizio del potere, se lo stesso ordinamento non riconosce all'Amministrazione, per un superiore fine pubblico, la potestà di conformarlo. Laddove l'Amministrazione vulneri tale situazione del privato con un mero comportamento materiale o con una mera inerzia, non legati in alcun modo, nemmeno mediato, all'esercizio di tale potere, tale situazione di diritto soggettivo rientra nella cognizione del giudice ordinario, al quale compete la tutela di tutti i rapporti tra il privato e l'Amministrazione nei quali quest'ultima non abbia assunto la veste di autorità, bensì abbia svolto un ruolo paritetico, a seconda dei casi, di contraente o di danneggiante o, comunque, di soggetto assimilabile a qualsivoglia parte di un normale rapporto giuridico iure privatorum. Quando invece l'Amministrazione pretenda di incidere sul rapporto mediante l'esercizio di un potere pubblicistico, la situazione del privato, che «dialoga» col potere e vi si contrappone, assume la configurazione dell'interesse legittimo, tutelabile avanti al giudice amministrativo. Il sostrato sostanziale della situazione giuridica soggettiva è sempre il medesimo e non è degradato dall'esercizio del potere né, per converso, potenziato dal ruolo di superdiritto o diritto inaffievolibile. In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, deve essere ribaltata la tradizionale prospettiva: "non bisogna osservare il diritto soggettivo per qualificare il potere della p.a., ma occorre verificare la connotazione del potere al fine di radicare o meno la giurisdizione del giudice amministrativo". Diverso è il modo con il quale l'ordinamento considera e tutela tale situazione, a seconda che essa debba misurarsi con un mero comportamento dell'Amministrazione o, invece, con un potere attribuito a questa dalla legge per il perseguimento di una determinata finalità di interesse pubblico. Il diritto alla salute ha natura ancipite ed è un diritto che ha una indubbia valenza privatistica, in quanto massima ed inviolabile espressione della personalità individuale, ma anche una innegabile connotazione pubblicistica, perché può e deve, se lo richiede la sua soddisfazione, trovare adeguata collocazione e necessaria attuazione all'interno del servizio sanitario, non potendo dimenticarsi che la salute, anche nella declinazione personalistica che è venuta ad assumere nel nostro ordinamento, è pur sempre, al contempo, diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività ( art. 32 Cost.) L'ordinamento disegna la medesima situazione secondo «geometrie variabili», pur nella garanzia di uno stesso «nucleo» irriducibile, e ciò perché esso, nella sua totalità e nella sua complessità, deve contemperare, su diversi e spesso interferenti livelli, molteplici esigenze e proteggere, in un difficile bilanciamento, gli interessi di diversi attori, pubblici e privati, sacrificando ora gli uni ora gli altri alla luce di difficili e molteplici valutazioni, anzitutto di rilievo e di impatto costituzionale. In questo quadro, pertanto, è il concreto esercizio del potere pubblico a connotare la correlativa situazione del privato e non viceversa. La pretesa natura di «diritto indegradabile» «non può rendere nullo, tamquam si non esset, l'esercizio del potere, perché il diritto indegradabile non ha uno statuto «ontologico», ma implica un giudizio di valore, un bilanciamento tra gli interessi in gioco, quello, pur fondamentale, fatto valere dal privato e quello tutelato dall'Amministrazione con l'esercizio del potere». Ne deriva, in tale ipotesi, che sussiste la giurisdizione esclusiva del g.a. Secondo il Consiglio di Stato, quindi, non può, dunque, l'Amministrazione sanitaria sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l'accettazione della morte da parte del consapevole paziente. L'interruzione del trattamento sanitario non è quindi soltanto, nell'ambito di un rapporto obbligatorio, preciso adempimento di un obbligo giuridico, quello di interrompere cure non volute in presenza di un espresso rifiuto del paziente, ma anche preciso adempimento di un più generale dovere solidaristico, che impone all'Amministrazione sanitaria di far cessare tale trattamento, senza cagionare sofferenza aggiuntiva al paziente, laddove egli non voglia più accettarlo, ma non sia tecnicamente in grado di farlo da sé. Non vi è dubbio, in tale prospettiva, che l'attuazione del diritto alla salute, proprio per la sua peculiare conformazione e anche nella sua forma di libertà negativa dalla cura, passa attraverso la necessaria intermediazione dell'attività prestata dall'Amministrazione sanitaria e, quindi, attraverso la doverosità di tale prestazione e il contenuto obbligatorio di questa, non essendo il paziente, anche quello capace di esprimere la sua volontà, in grado di soddisfarlo da sé, senza la obbligatoria collaborazione del Servizio Sanitario Nazionale, se si eccettuano quelle ipotesi in cui egli, per la semplicità tecnica dell'attività richiesta, è in grado di soddisfarla da sé. In capo all'Amministrazione sanitaria, dunque, sussiste un vero e proprio obbligo di facere, poiché solo mediante la prestazione della struttura sanitaria è possibile che il diritto del paziente, di fronte al rifiuto del singolo medico, trovi attuazione, né rileva che tale obbligo non sia espressamente affermato dal provvedimento giurisdizionale a carico dell'Amministrazione, poiché esso discende direttamente dalla natura e dall'oggetto del diritto riconosciuto al paziente alla luce dei principi costituzionali direttamente applicabili. Il rifiuto opposto dalla p.a., d'altro canto, si pone in contrasto anche con il principio di imparzialità ( art. 97 Cost.), poiché fa dipendere l'accettazione del malato in una struttura sanitaria, come ha correttamente rilevato il Tar, dal suo atteggiamento nei confronti della cura, dalla sua accettazione di un certo standard terapeutico, quasi sia la cura in sé e non il malato, singolarmente, il valore giuridico difeso e il precipuo fine del potere esercitato dall'Amministrazione. Il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza 21 giugno 2017 n. 3058, ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo anche in relazione alla conseguente domanda risarcitoria articolata in conseguenza dell'annullamento del provvedimento dell'amministrazione che ha leso il diritto fondamentale della salute. Giurisdizione esclusiva e servizi pubbliciLa tematica della compatibilità tra diritti fondamentali e giurisdizione esclusiva è emersa anche in relazione al servizio scolastico, sotto tre profili distinti: la libertà religiosa, la scelta degli insegnamenti all'interno del programma scolastico e la determinazione delle ore di studio per l'alunno disabile. Con riguardo al primo profilo la Corte di Cassazione, 10 luglio 2006, n. 15614, ha ritenuto che l' art. 33 d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall' art. 7 legge n. 205/2000 (oggi art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a.), nel testo risultante da Corte cost. n. 204/2006 (e con le puntualizzazioni contenute in Corte Cost. n. 191/2006) attribuisce, nella materia dei pubblici servizi, al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo (ovvero si avvale della facoltà riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo). Deriva, da quanto precede, pertanto, che è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto la contestazione della legittimità dell'affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, avvenuta – in mancanza di una espressa previsione di legge impositiva dell'obbligo – sulla base di provvedimenti dell'autorità scolastica conseguenti a scelte dell'amministrazione, perché la decisione di affissione del crocifisso nelle aule scolastiche riguarda l'esercizio di un potere autoritativo della p.a. nella gestione del servizio pubblico scolastico. Secondo la Corte, nel contesto esistente in questo momento storico – e nel rapporto che ne consegue tra il principio di laicità dello Stato, il potere organizzatorio dell'amministrazione scolastica e la posizione soggettiva dei singoli fruitori del servizio – certamente suscettibile di evoluzione sul piano legislativo in ragione delle sempre più pressanti esigenze di tutela delle minoranze religiose, etniche e culturali in un ordinamento ispirato ai valori della tolleranza, della solidarietà, della non discriminazione e del rispetto del pluralismo, appare condivisibile l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 556 del 2006, che in analoga controversia ha ritenuto la propria giurisdizione, come in ogni ipotesi in cui la vertenza abbia ad oggetto la contestazione della legittimità dell'esercizio del potere amministrativo, ossia quando l'atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l'annullamento. Sulla stessa linea di pensiero si colloca Cass. n 2656/2008, secondo cui sussiste la giurisdizione esclusiva del g.a. qualora la P.A. agisca esercitando il suo potere autoritativo, con la conseguenza che detto giudice è chiamato a statuire sulla domanda di carattere inibitorio consistente nel divieto di impartire lezioni di educazione sessuale agli alunni di una scuola e – ai sensi del successivo art. 35 dello stesso d.lgs. (oggi art. 30 c.p.a.) – su quella, proposta in via subordinata, di risarcimento del danno per l'ipotesi di avvenuta effettuazione di dette lezioni, investendo tali domande il potere dell'Amministrazione in ordine all'organizzazione ed alle modalità di prestazione del servizio scolastico in relazione all'inserimento dell'educazione scolastica nel programma. Secondo la Corte non esiste nell'ordinamento un principio o una norma che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente protetti, ma soprattutto non considera che il diritto fondamentale dei genitori di provvedere alla educazione ed alla formazione dei figli trova il necessario componimento con il principio di libertà dell'insegnamento dettato dall' art. 33 Cost. e con quello di obbligatorietà dell'istruzione inferiore affermato dall' art. 34 Cost. Il quadro costituzionale di riferimento dimostra, in relazione al processo formativo degli alunni della scuola pubblica, una esigenza di bilanciamento e coordinamento tra i diritti e doveri della famiglia e quelli della scuola. Secondo la Corte, quindi, è, pertanto, certamente ravvisabile un potere della amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell'approccio alla materia sessuale, ma anche nell'insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l'educazione civica, le scienze, e quindi ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli genitori. Su altro versante, invece, si colloca Cass.S.U., n. 25011/2014 che si interroga sulla sussistenza della giurisdizione esclusiva in relazione al diritto dell'alunno disabile di essere seguito da un docente specializzato, ovvero se vi sia ancora per la pubblica amministrazione-autorità spazio discrezionale per diversamente modulare gli interventi in favore della salvaguardia del diritto all'istruzione dello studente disabile. L'orientamento costante, fino a questa sentenza, aveva ritenuto spettanti al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto il servizio di sostegno scolastico con insegnanti specializzati in favore di minori portatori di handicap, posto che, tra le altre cose, tale servizio non costituisce oggetto di un contratto di utenza di diritto privato tra l'istituto scolastico e i genitori del minore, ma è previsto dalla legge e consegue direttamente dal provvedimento di ammissione alla scuola (Cass.S.U., n. 1144/2007; Cass.S.U., ord., n. 7103/2009). Le Sezioni unite propongono una rimeditazione di questo indirizzo, sottolineando l'importanza del diritto all'istruzione, oggetto – oggi – di tutela specifica sia in ambito europeo che internazionale (basti richiamare la Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Le stesse ricordano che l' art. 2 l. n. 67/2006 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazione) pone una fondamentale distinzione tra discriminazione diretta – che ricorre «quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga» – e discriminazione indiretta – che ricorre, invece, «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone»; e che il successivo art. 3 attribuisce al giudice ordinario le controversie sorte in caso di atti o comportamenti discriminatori, richiamando, a sua volta, il d.lgs. n. 150/2011. Le Sezioni Unite, richiamando un proprio precedente ( Cass.S.U., ord. n. 15614/2006), ritengono, quindi, sussistente la giurisdizione del g.o. con riguardo alla tutela del disabile nel servizio scolastico, perché il potere discrezionale trova un limite nel nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati. Si tratta di un limiti invalicabile sia per il giudice che per il legislatore. L'amministrazione, una volta individuato il piano educativo, è obbligata ad attuarlo ed è priva di un potere discrezionale. Tale soluzione non mette, però, in discussione la compatibilità tra giurisdizione esclusiva e diritti fondamentali, perché le stesse Sezioni Unite precisano che la natura fondamentale di tale diritto non è di per sé sufficiente a radicare la giurisdizione presso il giudice ordinario, anche perché non possono trascurarsi taluni elementi rilevanti, quali, per esempio, l' art. 133 c.p.a., il quale attribuisce, per converso, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a provvedimenti adottati dalla p.a. e dal gestore del pubblico servizio in un procedimento amministrativo; secondo, poi, la Corte i pubblici poteri autoritativi vengono sempre più spesso chiamati sia ad assolvere i compiti volti ad attuare i diritti costituzionalmente garantiti, che ad offrire a quest'ultimi una tutela sistemica. Converge su questa soluzione, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 7/2016, si pronuncia su una controversia avente ad oggetto l'impugnazione del Pei (piano educativo individualizzato) e non sulla condotta della p.a. posta a valle di questo. Secondo l'adunanza plenaria l'ampiezza della latitudine della giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di servizi pubblici, segnalata dal carattere generale delle espressioni lessicali utilizzate all' art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a. («relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione...in un procedimento amministrativo»), preclude qualsiasi esegesi riduttiva del perimetro della cognizione piena affidata al giudice amministrativa in materia di pubblici servizi (infatti non rinvenibile anche nella giurisprudenza più restrittiva delle Sezioni Unite), in difetto di qualsivoglia positiva ed esplicita eccezione che la autorizzi. L'Adunanza Plenaria riconosce definitivamente che la pacifica natura di diritto soggettivo della posizione soggettiva azionata (nel caso di specie il diritto all'istruzione del disabile), quand'anche qualificato come «fondamentale», non possa escludere la sussistenza della giurisdizione amministrativa, perché la profondità della capacità cognitiva del giudice amministrativa nelle materia dei servizi pubblici comprende anche la tutela dei diritti soggettivi, in ragione della natura esclusiva della giurisdizione codificata all' art. 133 c.p.a.; il carattere fondamentale del diritto non può, quindi, costituire un'eccezione innominata al perimetro della giurisdizione esclusiva. La cognizione e la tutela dei diritti fondamentali non è, quindi, estranea all'ambito della potestà giurisdizionale amministrativa, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica l'espletamento di poteri pubblicistici; questi possono essere preordinati sia alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali. In quest'ottica, quindi, l'adunanza plenaria dà atto del fatto che i diritti costituzionalmente rilevanti spesso non sono posti in una scala gerarchica definita, spettando all'interprete il corretto contemperamento. Tale esito interpretativo è, peraltro, ormai coerente con la tutela piena che il giudice amministrativo somministra a tutte le posizioni giuridiche soggettive e che rendono il sistema conforme ai precetti costituzionali di riferimento ( Corte cost., n. 140/2007), in assenza di una regola o principio generale che riservi in via esclusiva alla cognizione del giudice ordinario il sindacato sui diritti fondamentali. Né, per altro verso, i confini della giurisdizione esclusiva possono intendersi ristretti o ridimensionati, in ragione della natura vincolata o tecnica dell'esercizio della potestà oggetto del giudizio. Qualora, infatti, il diritto azionato postuli, per la sua completa realizzazione, l'espletamento di una potestà pubblica che si risolve nella verifica, sulla base di canoni medici o scientifici, dei presupposti per la sua attuazione, la potestà cognitoria del giudice amministrativo deve intendersi estesa anche allo scrutinio della correttezza del predetto apprezzamento, in quanto implicato dalla disamina della fondatezza della pretesa azionata in giudizio, seppur nei limiti del sindacato relativo alla discrezionalità tecnica. Ulteriori questioni in tema di giurisdizione esclusivaProblemi di riparto di giurisdizione si pongono in relazione a diverse altre fattispecie. Segue. Giurisdizione esclusiva e affidamento serbato sul provvedimento amministrativo favorevole ma illegittimo.Altro tema contrastato è rappresentato dalla individuazione della giurisdizione nel caso di richiesta di risarcimento dei danni da provvedimento amministrativo favorevole ma illegittimo, ritirato successivamente in autotutela o annullato dal g.a. in via giurisdizionale. Sulla relativa questione sono intervenute le SS.UU., che, in entrambi i casi, hanno riconosciuto la giurisdizione del g.o. Secondo le SS.UU. sussiste la giurisdizione del g.o. in relazione alla richiesta di risarcimento dei danni patiti da affidamento incolpevole sia che questo venga fatto valere a seguito di annullamento in sede giurisdizionale divenuto definitivo del provvedimento favorevole per il privato ( Cass. S.U.,n. 17586/2015), sia nell'ipotesi in cui il venir meno di tale provvedimento discenda da esercizio del potere di annullamento d'ufficio da parte della p.a. tramite un provvedimento di annullamento in autotutela, che, dopo essere stato emesso, si sia consolidato per mancata impugnazione oppure a seguito di rigetto del relativo ricorso in sede giurisdizionale del beneficiario (Cass. S.U., n. 6594/2011; Cass. S.U., n. 6595/2011; Cass. S.U., n. 6596/2011). In entrambe le ipotesi, a parer della Corte, sussiste un diritto soggettivo, scollegato dall'esercizio di un potere autoritativo. In particolare, il privato che chiede l'emissione di un provvedimento a lui favorevole domanda solo di ottenere un provvedimento che dia positiva soddisfazione a quell'interesse, sicché l'oggetto della situazione di interesse pretensivo non si può identificare nella postulazione a che si provveda legittimamente dall'Amministrazione. Se il provvedimento viene emesso a seguito di un agire dell'amministrazione illegittimo tale interesse è soddisfatto è lo è illegittimamente, cioè attraverso un modo di provvedere non legittimo. Tuttavia, dal punto di vista del privato che lo aveva chiesto, fino a che non sopravvenga il provvedimento giurisdizionale o di autotutela che, sul presupposto della sua illegittimità ne disponga la rimozione, tale ingiustizia è del tutto irrilevante in termini di efficacia lesiva e dunque il suo interesse legittimo non si può dire leso, di modo che non si può configurare alcun danno ingiusto alla stregua dell' art. 2043 c.c., cioè, si badi, la verificazione di alcuna situazione di danno evento integrativo dell'illecito a sensi di detta norma. Secondo le SS.UU., quindi, il danno non è ricollegabile al provvedimento amministrativo favorevole, perché il privato si è visto attribuire la situazione di vantaggio richiesta con l'invocazione del chiesto provvedimento positivo ed ha visto dunque riconosciuto e soddisfatto il suo interesse per come lo aveva prospettato e non si può dire che, per effetto dell'illegittimità del relativo riconoscimento, cioè per effetto dell'esercizio illegittimo del potere della p.a., egli abbia subito un danno ingiusto per lesione della sua situazione di interesse legittimo. Il provvedimento favorevole risulta emesso certamente in modo ingiusto, ma non dal punto di vista del privato che l'aveva richiesto, nei cui riguardi nessun danno evento si è dunque verificato e, pertanto, nessuna fattispecie di illecito si configura perché non v'è lesione della sua situazione giuridica soggettiva. Da ultimo Cass. S.U., ord., n. 15640/2017, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, nell'ambito di una controversia risarcitoria proposta da una società per i danni asseritamente patiti in conseguenza della mancata esecuzione di un contratto di appalto in seguito all'annullamento in sede giurisdizionale del procedimento di selezione del contraente, ha affermato che è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l'azione di risarcimento del danno proposta dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento ampliativo successivamente dichiarato illegittimo. Di recente le Sezioni Unite hanno ribadito che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento dei danni derivanti da una fattispecie complessa in cui l'emanazione di un provvedimento favorevole, che venga successivamente annullato in quanto illegittimo, si configura solo come uno dei presupposti dell'azione risarcitoria che si fonda altresì sulla capacità del provvedimento di determinare l'affidamento dell'interessato e la lesione del suo patrimonio che consegue a tale affidamento e alla sopravvenuta caducazione del provvedimento favorevole. La Cassazione ha, peraltro, precisato che anche in ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo permane la linea di discrimine tra azioni risarcitorie dipendenti dall'illegittimità dell'atto ed azioni risarcitorie dipendenti dall'affidamento derivato dal comportamento della pubblica amministrazione, rimanendo privo di rilievo che tale comportamento sia più o meno direttamente connesso all'esercizio dell'attività appartenente al settore di competenza esclusiva Nel caso le Sezioni Unite, specificando tali conclusioni, hanno precisato che, nel caso ad essa sottoposto, il soggetto leso non denuncia una lesione del suo interesse legittimo pretensivo, ma della sua integrità patrimoniale derivante dall'affidamento incolpevole sulla legittimità dell'attribuzione favorevole poi caducata. Ne discende, per un verso, che la situazione lesa è qualificabile come diritto soggettivo; e, per altro verso, che il comportamento lesivo non consiste nella sola illegittimità dell'agire dell'amministrazione ma nella violazione del principio generale del neminem laedere (Cass. S.U. 22435/2018). Si pongono in netto contrasto con l’orientamento delle sezioni unite tre pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenze 29 novembre 2021, n. 19, 20 e 21). In particolare, con la sentenza n. 19, ponendosi in linea con le sentenze del 5 settembre 2005, n. 6 e 4 maggio 2018, n. 5, l’Adunanza plenaria ribadisce che l’affidamento nella legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione e più in generale sulla correttezza del suo operato è riconosciuto come situazione giuridica soggettiva tutelabile attraverso il rimedio del risarcimento del danno. Nell’applicare le norme sull’evidenza pubblica, la P.A. è anche soggetta alle «norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune», e malgrado la legittimità dell’intervento in autotutela, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto il risarcimento per la lesione dell’affidamento maturato dall’aggiudicataria sulla conclusione del contratto, una volta che la sua offerta era stata selezionata in gara come la migliore ed era stato emesso a suo favore il provvedimento definitivo. Ciò in quanto le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi. L’affidamento, quindi, «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Cons. St. VI, n. 5011/2020). Pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata (e di cui sono applicazioni concrete, tra le altre, la “regola possesso vale titolo” ex art. 1153 c.c., l’acquisto dall’erede apparente di cui all’art. 534 c. c., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c. e l’acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 c.c.), l’affidamento è ormai considerato canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico, sia nel corso del procedimento amministrativo sia dopo che sia stato emanato il provvedimento conclusivo (in questi termini Cons. St. Ad. plen., n. 19/2021, punti 10 e 11). Del resto, l’art. 1, comma 2-bis, l. n. 241/1990, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), l. n. 120/2020 di conversione, con modificazioni, del d.l. n. 76/2020, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali», dispone che: «(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede». La disposizione ora richiamata ha positivizzato una regola di carattere generale dell’agire pubblicistico dell’amministrazione, che trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e che porta a compimento la concezione secondo cui il procedimento amministrativo - forma tipica di esercizio della funzione amministrativa - è il luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo. Per il migliore esercizio della discrezionalità amministrativa il procedimento necessita pertanto dell’apporto dei soggetti a vario titolo interessati, nelle forme previste dalla legge sul procedimento del 7 agosto 1990, n. 241. Concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata ed in ragione di ciò esso si rivolge all’amministrazione e ai soggetti che a vario titolo intervengono nel procedimento (ancora in termini Cons. St. Ad. plen., n. 19/2021, punto 12). A fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità. Inoltre la lesione dell’aspettativa può configurarsi non solo in caso di atto legittimo, come nella fattispecie decisa dall’Adunanza plenaria nelle sopra menzionate sentenze del 5 settembre 2005, n. 6, e del 4 maggio 2018, n. 5, ma anche nel caso di atto illegittimo, poi annullato in sede giurisdizionale. Anche in questa seconda ipotesi può infatti configurarsi per il soggetto beneficiario dell’atto per sé favorevole un’aspettativa alla stabilità del bene della vita con esso acquisito e che dunque può essere lesa dalla sua perdita conseguente all’annullamento in sede giurisdizionale (Cons. St. Ad. plen., n. 19/2021, punto 13). L’Adunanza plenaria ha, quindi affermato il seguente principio di diritto: «nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti all’esercizio del pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi». L’Adunanza plenaria n. 20, completando il discorso avviato dalla sentenza n. 19, riconosce, nelle sopra esposte ipotesi, sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo (la giurisdizione amministrativa è stata, in particolare, riconosciuta sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione sia in sede di giurisdizione generale di legittimità quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva di merito). L’affidamento si colloca, secondo i supremi giudici amministrativi, nella dicotomia diritti soggettivi – interessi legittimi e non rappresenta una posizione giudica soggettiva autonoma distinta dalle due, sole considerate dalla Costituzione, ma ad esse può alternativamente riferirsi. Sussiste la giurisdizione amministrativa quando l’affidamento abbia ad oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di un atto di esercizio di un potere pubblico, e soprattutto quando questo atto afferisca ad una materia di giurisdizione esclusiva. La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale - a un “mero comportamento” - ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo (Cons. St. Ad. plen., n. 20/2021, punti 8 e 9). L’Adunanza plenaria, richiamando gli storici principi dettati dalla Corte costituzionale (sentenze n. 204/2004, 191/2006 e 140/2017), ha precisato che anche quando il comportamento non si sia manifestato in atti amministrativi, nondimeno l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura, perché tale operato è riferibile dunque all’amministrazione che “agisce in veste di autorità” e si iscrive pertanto nella dinamica potere autoritativo - interesse legittimo, il cui giudice naturale è per Costituzione il giudice amministrativo (art. 103, comma 1). E ciò sia che si verta dell’interesse del soggetto leso dal provvedimento amministrativo, e come tale titolato a domandare il risarcimento del danno alternativamente o (come più spesso accade) cumulativamente all’annullamento del provvedimento lesivo, sia che si abbia riguardo all’interesse del soggetto invece beneficiato dal medesimo provvedimento. Anche quest’ultimo, infatti, vanta nei confronti dell’amministrazione un legittimo interesse alla sua conservazione, non solo rispetto all’azione giurisdizionale del ricorrente, ma anche rispetto al potere di autotutela dell’amministrazione stessa (punto 8). Rifiuta, dunque, l’Adunanza plenaria l’impostazione delle sezioni unite secondo cui quando il potere amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico ma è rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al giudice ordinario, perché quest’ultima è ipotizzabile solo a fronte di comportamenti “meri”, non riconducibili al pubblico potere, a fronte dei quali le contrapposte situazioni giuridiche dei privati hanno consistenza di diritto soggettivo. Conclude, quindi, l’Adunanza plenaria che “Non è pertanto possibile, nel definire il riparto di giurisdizione, circoscrivere la rilevanza dei doveri in esame al diritto comune, dal momento che gli stessi sono invece comuni al diritto civile e al diritto amministrativo, ovverosia ai rapporti paritetici di diritto soggettivo così come a quelli originati dall’esistenza e dall’esercizio in concreto del pubblico potere. A fronte del dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede possono pertanto sorgere aspettative, che per il privato istante si indirizzano all’utilità derivante dall’atto finale del procedimento, la cui frustrazione può essere per l’amministrazione fonte di responsabilità. In altri termini, la mancata osservanza del dovere di correttezza da parte dell’amministrazione in violazione del principio di affidamento può determinare una lesione della situazione soggettiva del privato che afferisce pur sempre all’esercizio del potere pubblico, si manifesti esso con un provvedimento tipico o con un comportamento pur sempre tenuto nell’esercizio di quel potere, e la cui natura quindi resta “qualificata” dall’inerenza al pubblico potere. Si tratta, quindi, di aspettative correlate ad «interessi legittimi (…) concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» ai sensi dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sopra citato, la cui lesione rimane devoluta al giudice amministrativo. Come infatti testualmente previsto dalla disposizione in parola, la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo non solo nel caso in cui il potere sia stato esercitato, ma anche nel caso contrario di mancato esercizio. Non è conseguentemente possibile scindere sul piano del riparto giurisdizionale le due ipotesi, che peraltro possono in astratto dare luogo a profili diversi di addebito sul piano diacronico (per il fatto ad esempio di avere esercitato il potere tardivamente e di averlo poi esercitato illegittimamente), la cui cognizione va concentrata presso un unico giudice, ovvero quello amministrativo, quale giudice naturale della funzione amministrativa”. L’Adunanza plenaria n. 21 ha, peraltro, chiarito che l’affidamento del concorrente, per essere rilevante, non deve essere inficiato da colpa, come si desume dall’art. 1338 c.c., che assoggetta a responsabilità precontrattuale la «parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte», ed in base al quale viene escluso il risarcimento se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative, poiché nessuna legittima aspettativa di positiva conclusione delle trattative può mai dirsi sorta (in questo senso, di recente: Cass. III, n. 10156/2916; Cass., sez. lav., ord. n. 2316/2020; Cass., sez. lav., n. 2327/2016). Ciò conduce sostanzialmente ad escludere l’esistenza dell’affidamento nel momento in cui vengo impugnato un provvedimento amministrativo. Il potere di annullamento d’ufficio della procedura di gara, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, opera in modo distinto rispetto alla revoca ai sensi dell’art. 21-quinquies della medesima legge sul procedimento amministrativo, perché interviene non già come rivalutazione dell’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto, secondo l’ampia definizione del potere di revoca data dalla disposizione da ultimo richiamata, ma per rimuovere un vizio di legittimità degli atti della procedura di gara. Se pertanto il motivo di illegittimità che ha determinato la stazione appaltante ad annullare in autotutela la gara è conoscibile dal concorrente, la responsabilità della prima deve escludersi (in questo senso: Cons. St. V, n. 3674/2016, che ha affermato al riguardo che «al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio patito dal privato a causa dell’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità dell’aggiudicazione, che il giudice deve verificare in concreto se il principio di diritto violato sia conosciuto o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocità dell’interpretazione della norma di azione e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità»). Precisa l’Adunanza plenaria che l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale. In questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cp.a. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio (punto 19). Segue. Giurisdizione esclusiva e indennizzo da occupazione provvedimentale, ai sensi dell' art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001Problemi di riparto di giurisdizione si sono posti in relazione alle occupazioni abusive di fondi privati realizzate dalla P.A. La previsione della giurisdizione esclusiva, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. g), in relazione alle controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità non ha sedato il dibattito in relazione alle forme di occupazioni realizzate dalla p.a. attraverso procedimenti espropriativi viziati. La questione è legata alla distinzione tra carenza di potere in astratto e in concreto e all'esistenza o meno di un collegamento con l'esercizio del potere pubblico. La giurisprudenza consolidata ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla carenza di potere (in astratto), quando, cioè, manchi qualunque collegamento del comportamento concretamente posto in essere con il potere amministrativo che, nella specie, si ritiene non esercitato. In questo senso si è precisato che l'occupazione di aree al di là dei confini segnati dal decreto di esproprio (c.d. sconfinamento) rappresenta non esercizio di pubblico potere, ma attività di puro fatto (c.d. occupazione usurpativa) posta in essere in carenza assoluta di potere, che integra un illecito comune a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo e non diverso da quello che potrebbe venire commesso da un privato che leda diritti dei terzi, onde l'azione risarcitoria del danno, che ne è conseguito, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Cons. St. IV, n. 1425/2017). E ancora, la devoluzione operata dal legislatore a favore della cognizione esclusiva (diritti soggettivi ed interessi legittimi) su comportamenti lesivi della P.A. in materia urbanistica-espropriativa è immune da dubbi di costituzionalità solo nella misura in cui tali comportamenti presentino un oggettivo criterio di collegamento con l'esercizio di una pubblica potestà (c.d. comportamenti amministrativi). Appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la cognizione dei «comportamenti» posti in essere in carenza di potere, ovvero in via di «mero fatto» (T.A.R. Puglia (Bari) I, 9 febbraio 2017, n. 119). La Corte di Cassazione ha, peraltro, ritenuto che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, istituita dall' art. 7, l. n. 205/2000, e ribadita dall'art. 133, comma 1, lett. g), le occupazioni illegittime preordinate all'espropriazione attuate in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto e alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano e tutte quelle in cui l'esercizio del potere si è manifestato con l'adozione della dichiarazione di pubblica utilità, pur se poi l'ingerenza nella proprietà privata e/o la sua utilizzazione, nonché la sua irreversibile trasformazione, sono avvenute senza alcun titolo che le consentiva, ovvero malgrado detto titolo sia stato annullato dalla stessa autorità amministrativa che lo aveva emesso oppure dal giudice amministrativo; appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la cognizione dei comportamenti posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto (Cass.S.U., n. 25044/2016). Contrasti, invece, permangono in relazione alla carenza di potere in concreto che si realizza quando il provvedimento amministrativo è affetto da vizi particolarmente rilevanti. Secondo la giurisprudenza amministrativa, la giurisdizione pertiene al giudice amministrativo, sussistendo, comunque, il legame con il potere autoritativo. Secondo la Corte di Cassazione, invece, la giurisdizione è del giudice ordinario, alla luce dei considerevoli vizi che affliggono il provvedimento amministrativo tali da non consentire di ricondurre l'atto alla categoria del provvedimento amministrativo. Espressione dell'orientamento della giurisprudenza amministrativa è Cons. St. IV, n. 4799/2016, secondo cui il decreto di esproprio, adottato oltre il termine della dichiarazione di pubblica utilità, non può considerarsi nullo per carenza di potere, ma illegittimo e, quindi, annullabile; il che trova conferma poi sul piano del diritto positivo, atteso che l' art. 21-septies, l. n. 241/1990, nell'introdurre in via generale la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia il solo difetto assoluto di attribuzione, che evoca la cd. «carenza in astratto del potere», cioè l'assenza in astratto di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo implicitamente rientrare nell'area dell'annullabilità i casi della cd. «carenza di potere in concreto», ossia del potere, pur astrattamente sussistente, esercitato senza i presupposti di legge». Nel medesimo senso si è posto anche la giurisprudenza consolidata dei Tar. In particolare, il T.A.R. Umbria I, 21 aprile 2015, n. 189, ha precisato che «Il decreto di esproprio, adottato oltre il termine della dichiarazione di pubblica utilità, non può considerarsi nullo per carenza di potere, ma illegittimo e, quindi, annullabile; il che trova conferma poi sul piano del diritto positivo, atteso che l' art. 21-septies, l. n. 241/1990, nell'introdurre in via generale la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha ricondotto a tale radicale patologia il solo difetto assoluto di attribuzione, che evoca la cd. «carenza in astratto del potere», cioè l'assenza in astratto di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo, con ciò facendo implicitamente rientrare nell'area dell'annullabilità i casi della cd. «carenza di potere in concreto», ossia del potere, pur astrattamente sussistente, esercitato senza i presupposti di legge»). Nello stesso senso si vedano T.A.R. Lazio (Roma) II-bis, 4 marzo 2015, n. 3710; T.A.R. Sicilia (Palermo) I, 28 febbraio 2013, n. 453. La Corte di Cassazione ha invece affermato la nullità per carenza di potere del decreto di esproprio tardivo ( Cass.S.U., n. 5744/2015). Nessun dubbio, invece, sussiste in relazione alla giurisdizione sull'occupazione provvedimentale che appartiene alla giurisdizione esclusiva del g.a., emergendo pacificamente l'esercizio di un potere autoritativo ampiamente discrezionale. Una questione su cui di recente il Consiglio di Stato si è diviso al suo interno è rappresentata dalla individuazione della giurisdizione in caso di liquidazione dell'indennizzo in conseguenza dell'adozione del provvedimento di occupazione previsto dall' art. 42-bisd.P.R. n. 327/2001. Il Consiglio di Stato, con sentenza del 19 ottobre 2015, n. 4777, ha ritenuto che il nuovo istituto dell'acquisizione sanante di cui all'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001, n. 327 – introdotto dall' art. 34, I comma 1, d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 111/2011 a seguito della declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega del previgente art. 43 – è qualificabile come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma. Ne deriva che il ristoro previsto dall'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001, n. 327 configura un indennizzo da atto lecito e le controversie inerenti alla sua quantificazione devono essere devolute alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 133 lett. g). La pronuncia si pone in aperto contrasto con altra sentenza del Cons. St. IV, n. 993/2014, che, con articolata e densa motivazione, ha evidenziato che, invece, appare maggiormente coerente con i principi costituzionali di ragionevole durata e di concentrazione e con gli ordinari criteri di riparto della giurisdizione, concludere nel senso che, al di là del nomen iuris attribuito dal legislatore del 42-bis, l'«indennizzo» costituisca nella sua eziologia un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della P.A., e che dunque, alle luce delle chiare affermazioni del Giudice delle leggi ( Corte cost. n. 204/2004 e Corte cost. n. 191/2006) sia del tutto compatibile con il dettato costituzionale la sua attribuzione al Giudice amministrativo in veste esclusiva, in attuazione della delega di cui all' art. 44 legge n. 69/2009. Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno definitivamente risolto la questione, affermando, in una fattispecie in cui la pretesa degli espropriati era limitata alla liquidazione del valore venale del suolo, che l'illecita o l'illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte dell'amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale articolo, per l'adozione — si noti: nell'ambito di un apposito procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa amministrazione (...) — del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto (...), con la conseguenza che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente promosso, attuato e concluso, l'«indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale», in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all'indennizzo medesimo natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l'ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di «determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa» sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario« ai sensi del d.P.R. n. 327/2001, art. 53, comma 2 e dell' art. 133, lett. g), u.p., c.p.a. (Cass.S.U., n. 22096/2015). Successivamente le sezioni unite sono giunte alla medesima soluzione in relazione ad una domanda estesa anche all'interesse del 5 % sul valore venale, da corrispondere «a titolo di risarcimento», come recita il comma 3, u.p., dell'art. 42-bis. Sorge perciò il dubbio se l'espressa indicazione di detto titolo nel testo della norma valga ad attribuire al corrispondente diritto dell'espropriato natura non più indennitaria, bensì propriamente risarcitoria, con conseguente ribaltamento delle precedenti conclusioni in punto di giurisdizione e attribuzione, quindi, della relativa controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133, lett. g), non operando più la salvezza prevista per le «indennità» dall'ultima parte di tale disposizione e al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53, comma 2. Secondo le sezioni unite, dalla lettura coordinata dei commi 1, 3 e 4 dell'art. 42-bis, sopra trascritti, emerge infatti che l'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell'immobile, menzionato al comma 3, non è che una voce del complessivo «indennizzo per il pregiudizio patrimoniale» previsto dal comma 1 e da liquidarsi, appunto, ai sensi del comma 3; il diritto al quale (nella sua integralità, comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo per il periodo di occupazione) sorge solo a seguito dell'adozione del provvedimento di espropriazione c.d. sanante, che deve peraltro contenerne la liquidazione e il versamento del quale all'espropriato condiziona sospensivamente lo stesso prodursi dell'effetto ablativo. Deve quindi concludersi che l'uso dell'espressione «a titolo risarcitorio» nel comma 3 dell'art. 42-bis, riferita all'interesse, sia una mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell'indennizzo, il quale essendo unitario non può che avere natura unitaria. Tale interpretazione, peraltro, è imposta anche dai principi di concentrazione ed effettività della tutela giurisdizionale, coerenti con gli artt. 24 e 111 Cost., con cui mal si concilierebbe l'onere dell'espropriato di richiedere davanti al giudice ordinario l'indennizzo per la perdita della proprietà e davanti al giudice amministrativo il «risarcimento» per l'occupazione dell'immobile, la quale costituisce peraltro non una mera eventualità, bensì un indefettibile presupposto della fattispecie espropriativa in questione. La Corte di cassazione ha, comunque, sollecitato un ripensamento del principio di diritto, già affermato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 15283 del 2016, secondo cui, in materia di espropriazione per pubblica utilità, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario non solo la controversia relativa alla determinazione e corresponsione dell'indennizzo nella fattispecie della c.d. "acquisizione sanante" del d.P.R. n. 327/2001, ex art. 42-bis, comma 3, prima parte, ma anche quella avente ad oggetto l'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, dovuto, ai sensi del comma 3, u.p., "a titolo di risarcimento del danno", sul criticato presupposto che, ad onta del tenore letterale della norma, esso costituisca solo "una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al precedente comma 1, secondo un'interpretazione imposta dalla necessità di salvaguardare il principio costituzionale di concentrazione della tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti ablatori". Si chiede, dunque, di "ripensare al principio" di cui al citato arresto, "in un quadro in cui le ragioni della giurisdizione e della concentrazione della cognizione, alle quali si connettano più spedite modalità di definizione della lite in un quadro di più agevole accesso a tutela, restino coerenti con l'assetto sostanziale della materia". Le sezioni unite sono, quindi, nuovamente intervenute sul dibattuto tema (Cass. S.U., n. 20691/2021), confermando l’impostazione delle sezioni unite n. 22096 del 2015, in quanto "il punto debole della teoria risarcitoria risiede nella circostanza che ricollega all'agire illecito dell'amministrazione anche il rimedio finale previsto dall'art. 42-bis, consistente nell'emanazione del provvedimento di acquisizione sanante, mostrando così di ritenere, correttamente, che ad essere rilevante non è il complessivo operato pregresso, contra jus, dell'amministrazione, bensì, a valle, il provvedimento di acquisizione sanante che sia stato emanato: se è legittimo quest'ultimo provvedimento, l'indennizzo liquidato non potrà che avere natura indennitaria, con conseguente radicamento della controversia sul quantum in capo al giudice ordinario". Precisano le sezioni unite che “laddove il privato decidesse di contestare la legittimità dell'atto in sé per l'insussistenza dei requisiti previsti dalla legge per procedere all'acquisizione c.d. sanante, egli ben potrebbe adire il giudice amministrativo per chiedere la restituzione del bene e/o il risarcimento del danno per l'occupazione senza titolo, che a quel punto dovrà essere valutata sotto un profilo tipicamente risarcitorio, non essendo coperta da alcuna procedura amministrativa legittima, neppure ex post con il procedimento di cui all'art. 42-bis”. In relazione al dato letterale della norma, evidenziano i giudici di legittimità, che il legislatore ha utilizzato termini imprecisi come già è accaduto in altre occasioni in cui ha utilizzato espressioni evocanti fattispecie risarcitorie o di "danno" in presenza di erogazioni di tipo indennitario: ad esempio, la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter, prevede il pagamento di somme "a titolo di risarcimento del danno", in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento non conforme ai criteri di cui all'art. 3 della Cedu (cfr. Cass. S.U., n. 11018/2018); alcune leggi di settore prevedono interventi economici di tipo indennitario a carico della pubblica amministrazione, pur qualificando la pretesa degli aventi diritti come volta ad ottenere il "risarcimento del danno" (cfr. Cass I, n. 7685/2005 e Cass. III, n. 14241/2004, in tema di danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica e da specie di animali protetti); la L. 15 giugno 2015, n. 81, art. 28, comma 2, "nei casi di trasformazione del contratto (di lavoro) a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato", prevede che "il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva" che "ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore"; della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, prevede una "equa riparazione" di tipo indennitario per chi ha subito "un danno patrimoniale o non patrimoniale", in caso di violazione del termine ragionevole del processo, ecc.. In definitiva, concludono le sezioni unite, dell'art. 42-bis, comma 1, T.U. del 2001, laddove dispone che "al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale", conferma che l'interesse del cinque per cento che la pubblica Amministrazione è tenuta a liquidare e corrispondere per la pregressa occupazione illegittima costituisce una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale, "il diritto al quale (nella sua integralità, comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo) sorge solo a seguito dell'adozione del provvedimento di espropriazione c.d. sanante" (Cons. St. II, n. 1087/2020). Segue. La giurisdizione esclusiva sui contratti pubblici: revisione dei prezzi, proroga del contratto, autotutela.L' art. 133,1 comma, lett. e), ricalca l'art. 244 del d.lgs. n. 163/2006, come modificato dal d.lgs. n. 53/2010, il quale riproponeva l' art. 6, comma 1, della l. n. 205/2000, secondo cui sussiste la giurisdizione esclusiva in relazione alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti ad evidenza pubblica. Il richiamo alle procedure di affidamento ha indotto la giurisprudenza a individuare nella stipula del contratto il vero e proprio spartiacque tra giurisdizioni. Tutta la fase precedente alla stipula del contratto è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre la parte successiva è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario. La prima fase, quindi, avente natura pubblicistica, è devoluta al g.a., la seconda fase, avente natura privatistica, è devoluta al g.o. In questo senso la giurisprudenza consolidata ha ritenuto che costituisce principiò generale che nelle procedure ad evidenza pubblica aventi ad oggetto l'affidamento di servizi pubblici, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula dei singoli contratti, mentre la giurisdizione spetta al giudice ordinario nella successiva fase contrattuale, concernente l'esecuzione del rapporto ( Cass.S.U., n. 27169/2007; Cass.S.U., 10443/2008; Cass.S.U., 19805/2008; Cass.S.U., 20596/2008; Cass.S.U., n. 391/2011, Cass. S.U., n. 12902/2013). La giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene difatti pienamente operativa nella fase aperta dalla stipula del contratto, nella quale si è entrati a seguito della conclusione — con l'aggiudicazione — di quella pubblicistica: questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, ha inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, infatti, i contraenti — p.a. e privato — si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi ed obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto ( Cass.S.U., n. 10705/2017). È proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l'altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dall' art. 1321 c.c. e segg.; e che perciò comprende non soltanto quella positiva sui requisiti ( art. 1325 c.c. e segg.) e gli effetti ( art. 1372 c.c., e segg.), ma anche l'intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute ( Cass.S.U., n. 27169/07; Cass.S.U., n. 29425/2008; Cass.S.U., n. 6068/2009; Cass.S.U., n. 21928/2008; Cass.S.U., n. 19805/2008; Cass.S.U., n. 10443/2008). Spettano, inoltre, in base ai criteri generali del riparto di giurisdizione, alla giurisdizione ordinaria solo quelle controversie sui profili in esame che abbiano contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di ipotesi generali, mentre restano nella giurisdizione amministrativa quelle che coinvolgano l'esercizio di poteri discrezionali inerenti all'accordo concluso. In linea con questa impostazione si è, quindi, ritenuto che in tema d'appalto di opera pubblica, la controversia relativa alla risoluzione del contratto per inadempimento dell'aggiudicatario, afferendo esclusivamente alla fase esecutiva del rapporto, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario ( Cass.S.U., n. 10705/2017, cit.). La giurisdizione esclusiva non opera in relazione a procedimenti di evidenza pubblica non imposti dalla legge, ma frutto di una libera scelta della p.a. che si è autovincolata in questo senso, perché non può una scelta di procedimentalizzare un'attività interferire sull'inderogabile regime del riparto di giurisdizione ( Cons. St. n. 6211/2011). In tali casi sussisterà la giurisdizione generale di legittimità. Residuano, inoltre, altre ipotesi in cui è dubbio il riparto di giurisdizione, specie in relazione a vicende che sembrano porsi a mezza via tra l'affidamento della gara e la stipula del contratto. Si è posto, in particolare, il problema con riguardo alla consegna anticipata dei lavori senza che sia stato formalmente stipulato un contratto di appalto. La giurisprudenza ha evidenziato che risolutivo al riguardo è interrogarsi sull'insorgenza o meno del vincolo contrattuale, utile a radicare posizioni paritetiche di diritto soggettivo devolute alla giurisdizione dell'A.G.O.: le controversie insorte in quella fase che si colloca tra l'aggiudicazione dell'appalto e la stipula del contratto, devono ritenersi attratte alla giurisdizione amministrativa: spetta, infatti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti e degli atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella fase successiva compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto (Cass.S.U., n. 2942572008), a nulla rilevando l'avvenuta consegna anticipata dei lavori ( Cons. St. V, n. 2254/2010). Sul punto, tuttavia, non vi è concordia di opinioni come è dimostrato da altra sentenza che ha statuito che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la risoluzione di un appalto di servizio rispetto al quale, nonostante la mancata stipulazione del contratto, possa assegnarsi prevalenza al dato, sostanziale, dell'intervenuto accordo tra le parti, quantomeno avuto riguardo alla accettazione, da parte dell'impresa, dell'offerta di consegna anticipata del servizio, peraltro espletato e, in parte, remunerato (T.A.R. Sicilia (Palermo) I, 13 giugno 2012, n. 1219). Sussiste, invece, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione alla revisione dei prezzi ai sensi dell'art. 133, lett. e), n. 2), estesa anche alla cognizione dei diritti soggettivi (T.A.R. Campania (Napoli) I, 28 marzo 2017, n. 1696). Si supera così la tradizionale distinzione devolutiva alla giurisdizione del giudice amministrativo delle controversie relative all'an debeatur della revisione prezzi e al giudice ordinario quelle relative al quantum. Tuttavia, la concentrazione dinanzi alla stessa autorità giurisdizionale di tutte le cause relative all'istituto della revisione dei prezzi, con conseguente potere del giudice amministrativo di conoscere della misura della revisione e di emettere condanna al pagamento delle relative somme, esplica i suoi effetti solo sul piano processuale, mentre, sul piano sostanziale, non ha di certo eliminato la distinzione tra le situazioni soggettive sottese al rapporto controverso (interesse legittimo, nella fase dell'an debeatur, diritto soggettivo relativamente al quantum). Sul punto si veda, T.A.R. Campania (Napoli) III, 30 gennaio 2017, n. 651). Anche qualora la controversia fra stazione appaltante e impresa aggiudicataria di appalto pubblico abbia ad oggetto meccanismi di adeguamento del canone d'appalto aventi fonte di rango normativo sono configurabili poteri dell'Amministrazione appaltante di apprezzamento discrezionale di carattere autoritativo, i quali costituiscono il necessario fondamento costituzionale della giurisdizione amministrativa; all'opposta conclusione deve invece pervenirsi laddove la clausola revisionale sia stata autonomamente pattuita dalle parti ed inserita nel contenuto del contratto d'appalto, perché le pretese da essa discendenti sorgono nell'ambito di una relazione bilaterale paritaria avente fonte nel vincolo negoziale e nella quale l'amministrazione è priva di poteri di supremazia speciale nei confronti del contraente privato; d'altra parte, la giurisdizione amministrativa esclusiva, avente per oggetto la revisione dei prezzi, riguarda tecnicamente i meccanismi di rideterminazione del quantum dovuto per le prestazioni rese dalle controparti sulla base del contratto, e non anche la domanda volta a far determinare in sede giurisdizionale se le prestazioni da effettuare vadano modificate in considerazioni di sopravvenienze, con i conseguenti conguagli ( Cons. St. V, n. 621/2016). In relazione alla proroga del contratto, sussiste la giurisdizione esclusiva in relazione al divieto di rinnovo tacito del contratto (art. 133, comma 1, lett. e, n. 2). Diversamente, invece, la controversia in tema di appalto pubblico avente ad oggetto l'annullamento della proroga del contratto, in precedenza disposta sulla base di una clausola contrattuale attributiva di tale facoltà, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, anche se nell'atto la Pubblica Amministrazione affermi di intervenire in regime di autotutela come conseguenza di una rinnovata valutazione della convenienza e degli interessi pubblici. Siffatta controversia, infatti, attiene alla cessazione del contratto con l'appaltatore (ovvero all'accertamento del diritto dell'appaltatore a proseguire il rapporto), avendo l'Amministrazione annullato un atto di esercizio di una facoltà che sorge dal contratto, incidendo su diritti soggettivi già perfezionati per effetto dell'accordo formatosi a seguito dell'iniziale decisione di disporre il rinnovo T.A.R. Sicilia (Catania) II, 16 dicembre 2016, n. 3272; Cass.S.U., n. 26792/2008). Altro problema, ancora irrisolto, ha riguardato la giurisdizione in relazione all'esercizio dei poteri di autotutela aventi ad oggetto l'aggiudicazione che incidono sul contratto già stipulato. In tali casi è necessario distinguere se la p.a. ha revocato l'aggiudicazione o se ha proceduto all'annullamento della stessa. L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha evidenziato che, intervenuta la stipulazione del contratto per l'affidamento dell'appalto di lavori pubblici, l'amministrazione non può esercitare il potere di revoca, dovendo operare con l'esercizio del diritto di recesso ( Cons. St.Ad. plen., n. 14/2014). Le sezioni unite hanno, però, evidenziato che rientrano, invece, nella giurisdizione del giudice amministrativo quelle controversie che incidono sull'esercizio dei poteri discrezional-valutativi della pubblica amministrazione nella scelta del contraente, dovendosi ritenere che dove c'è sindacato sull'esercizio di un «potere», c'è anche la giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cass.S.U., n. 2418/2011; Cass.S.U., n. 21928/2008; Cass.S.U., n. 22554/2014). Si è affermato, in proposito, che «in tema di appalti pubblici, l'annullamento in autotutela di un atto amministrativo prodromico alla stipulazione del contratto ha natura autoritativa e discrezionale, sicché il relativo vaglio di legittimità spetta al giudice amministrativo, la cui giurisdizione esclusiva si estende — con necessità di trattazione unitaria — alla conseguente domanda per la dichiarazione di inefficacia o nullità del contratto ( Cass.S.U., n. 2906/2010; Cass. S.U., n. 5291/2010). Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, invece, quando la domanda attenga alla fase esecutiva del rapporto contrattuale (nella specie, risoluzione per inadempimento) o quando la P.A., dietro lo schermo dell'annullamento in autotutela, intervenga direttamente sul contratto per vizi suoi propri, anziché sulle determinazioni prodromiche in sé considerate» (Cass.S.U., n. 9861/2015). Anche il Consiglio di Stato, con sentenza del 22 marzo 2017, n. 1310, ha evidenziato che deve riconoscersi alla p.a. anche dopo l'aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell'azione amministrativa, con conseguente inefficacia del contratto già stipulato. Tale soluzione, secondo il Consiglio di Stato, trova ora un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124/2015, anche nella previsione dell' art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell'affidamento di una pubblica commessa A fronte di tale dato normativo, si sono posti una serie di questioni, alcune anche irrisolte dalla giurisprudenza. In relazione alle concessioni di pubblici servizi, le sezioni unite hanno precisato che le controversie concernenti «indennità, canoni o altri corrispettivi» nei rapporti, qualificabili come concessione di pubblico servizio, tra le Asl e le case di cura o le strutture minori, quali laboratori o gabinetti specialistici, riservate alla giurisdizione del giudice ordinario sono sostanzialmente quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del servizio: contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio «obbligo-pretesa», senza che assuma rilievo un potere d'intervento riservato alla P.A. per la tutela d'interessi generali; mentre, se la controversia esula da tali limiti e coinvolge la verifica dell'azione autoritativa della P.A. sull'intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio «potere-interesse», restando conseguentemente attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo ( Cass.S.U., n. 22661/2006; Cass.S.U., n. 7861/2001). Invero appartiene alla giurisdizione del G.O. la controversia che abbia ad oggetto soltanto l'effettiva debenza dei corrispettivi in favore del concessionario, senza implicare la verifica dell'azione autoritativa della P.A., posto che, nell'attuale sistema sanitario, il pagamento delle prestazioni rese dai soggetti accreditati viene effettuato nell'ambito di appositi accordi contrattuali, ben potendo il giudice ordinario direttamente accertare e sindacare le singole voci costitutive del credito fatto valere dal privato (cfr., ex plurimis, Cass.S.U., ord. n. 22094/2015; e ancora: Cass.S.U., ord. n. 2294/2014; Cass. 10149/2012; Cass. ord. n. 1772/2011 e Cass. n. 1773/2011). Le Sezioni Unite hanno, peraltro, ribadito che, in ordine all'attività negoziale della Pubblica Amministrazione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione, ovvero non solo quelle che attengono all'adempimento del contratto, concernenti, dunque, l'interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle finalizzate ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità dell'atto di autonomia privata, siano esse inerenti o estranee, originarie o sopravvenute alla sua struttura e alla sua stipula; che altresì, vi si devono includere le controversie derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte nonché i casi di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o di sussistenza di vizi che ne affliggano singoli atti, accertabili incidentalmente dal giudice ordinario, cui le parti possono rivolgersi senza necessità del previo annullamento da parte del giudice amministrativo ( Cass.S.U., n. 581/2014). Ne consegue, secondo le sezioni unite, che le domande proposte da un soggetto accreditato con un'azienda sanitaria locale, volte ad ottenere, previa declaratoria di nullità dei contratti tra essi intercorsi, la remunerazione, ex art. 2041 c.c., di tutte le prestazioni dal primo «medio tempore» erogate in luogo del Servizio Sanitario Nazionale, nonché il recupero dello sconto del 20 per cento trattenuto dall'azienda sul tetto di spesa contrattualizzata, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, investendo una situazione di diritto soggettivo perfetto che non coinvolge provvedimenti autoritativi con profili di discrezionalità, né essendo ravvisabili nel procedimento di accertamento del «quantum» elementi di discrezionalità amministrativa implicanti valutazione comparativa degli interessi pubblici e di quelli privati, ma, esclusivamente, parametri normativi predeterminati di cui si contesta la corretta applicazione (Cass.S.U., n. 22233/2016). Segue. La giurisdizione esclusiva sulle convenzioni urbanistiche e sul relativo atto di transazioneLa sussistenza della giurisdizione esclusiva in relazione alla materia dell'urbanistica (art. 133, 1 comma, lett. f) ha suscitato in giurisprudenza un dibattito in relazione al riparto di giurisdizione con riguardo alle convenzioni urbanistiche e, più in particolare, in relazione all'atto di transazione, emendativo della convenzione originaria. Sul punto sono intervenute le sezioni unite della Corte di Cassazione, secondo cui la convenzione urbanistica volta a disciplinare, col concorso del privato proprietario dell'area, una delle possibili modalità di realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie per dare al territorio interessato la conformazione prevista dagli strumenti urbanistici, dev'essere assimilata ad un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo; in relazione al quale l'art. 133, comma 1, n. 2), contempla la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le liti riguardanti sia la formazione, sia la conclusione, sia l'esecuzione di tale accordo; giurisdizione che, secondo le sezioni unite, non viene meno neppure in ipotesi di successivo atto di transazione, emendativo della convenzione originaria, intercorso tra il comune e la parte privata, stante la stretta correlazione reciproca, oggettiva e soggettiva ( Cass. S.U., n. 19914/2016; Cass. S.U., n. 9151/2009; Cass. S.U., n. 24009/2007). Su altro versante le sezioni unite hanno precisato che le convenzioni e gli atti d'obbligo, eventualmente stipulati fra la P.A. e gli aspiranti all'ottenimento di un provvedimento amministrativo di tipo ampliativo, qualora siano imposti come momento necessario del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio del detto provvedimento, non hanno specifica autonomia come fonte negoziale di regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, ma hanno “carattere integrativo” del provvedimento amministrativo medesimo; pertanto, le controversie ad esse relative, risolvendosi in controversie attinenti allo stesso provvedimento amministrativo, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Rientra, in particolare, nella giurisdizione esclusiva del G.A. una azione proposta da privati nei confronti di un Comune con la quale è stata chiesta la dichiarazione di nullità e, comunque, di inefficacia dell'atto col quale erano state cedute unilateralmente e gratuitamente al detto Comune – in esecuzione di un accordo con il Comune stesso – alcune aree su cui lo strumento urbanistico locale prevedeva la costruzione di una via pubblica ed ha contestato non solo la validità e l'efficacia dell'atto di cessione prima menzionato, ma anche la legittimità della delibera con la quale il Consiglio comunale aveva disposto l'acquisizione al patrimonio del Comune del suolo ceduto e della stessa autorizzazione rilasciata per la realizzazione della strada; in tal caso, infatti, si è in presenza di una controversia che ha ad oggetto non solo la validità di un atto posto in essere in esecuzione di un accordo da qualificare come integrativo di provvedimento amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a., ma anche la validità di ulteriori provvedimenti amministrativi attinenti alla materia urbanistica ed edilizia e concernenti l'uso del territorio, ai sensi art. 133, comma 1, lett. f) c.p.a. (Cass. S.U. – 8046/2018). Giurisdizione esclusiva e atti di pianificazione. Altro problema di riparto di giurisdizione si è posto in relazione ad una controversia di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali avanzata da un gruppo di cittadini contro un Comune a seguito dell'intollerabilità/illegittimità e pericolosità per la salute delle immissioni acustiche ed atmosferiche derivate dai soggetti che promossero la causa nonché all'immobile di loro proprietà a seguito dell'esecuzione dei lavori di potenziamento di una strada. In detta fattispecie il Tribunale di Milano declinò la giurisdizione, a favore del Giudice Amministrativo, mentre la Corte di Appello ha ritenuto la propria giurisdizione poiché la causa del danno non erano le opere pubbliche, ma gli effetti generati dalla loro esecuzione, che avevano aumentato il traffico veicolare, con lesione dei diritti soggettivi alla salute, all'integrità personale e alla proprietà immobiliare. Il Comune convenuto ricorreva, quindi, in Cassazione per far valere il difetto di giurisdizione. La Suprema Corte, con la sentenza 7 settembre 2016, n. 17674, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del G.O. a favore del G.A. sulla base delle seguenti argomentazioni. Il Comune, nel suo motivo di ricorso inerente alla giurisdizione, ha affermato che le pretese risarcitorie degli asseriti danneggiati si ricollegano all'esercizio dell'attività amministrativa urbanistica, estrinsecazione del potere autoritativo della P.A., ed in particolare della disciplina pianificatoria del territorio e pertanto, la giurisdizione appartiene al G.A. che può anche risarcire il danno ingiusto anche per lesione di diritti soggettivi fondamentali conseguenti all'esercizio del potere pubblico in quanto giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica, anche se non è chiesta la tutela demolitoria dell'atto amministrativo che si pretende illegittimo. La Corte, seguendo la prospettazione del Comune, ha affermato che, ove la lesione dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione sia dedotta come effetto della modalità di esercizio della funzione pubblica, le relative controversie sono riservate alla giurisdizione del G.A. Secondo le sezioni unite nel caso di atti e comportamenti in violazione di norme che regolano il procedimento e la programmazione, pianificazione e organizzazione del territorio, come disciplinato dall' art. 34, commi 1 e 2, d.lgs. n. 80/1998 (come modificato dall' art. 7 della legge n. 205/2000) in cui rientrano anche le modalità di regolamentazione del traffico viario e di predisposizione delle infrastrutture imposte dalla legge, caratterizzate da ambiti di discrezionalità, nell'interesse dell'intera collettività nazionale, è attribuita al g.a. la giurisdizione delle relative controversie. In tale caso, la giurisdizione su tali diritti (il diritto alla salute, compromesso dalla condotta di immissioni e il conseguente diritto al risarcimento del relativo danno), deve essere svolta nell'ambito della giurisdizione esclusiva del g.a., poiché tale diritti sono direttamente incisi dal potere autoritativo della P.A. di cui si contestano le scelte, ed il contemperamento o limitazione di essi con l'interesse generale all'ambiente salubre. Segue. Giurisdizione esclusiva e pubblico impiegoAi sensi dell' art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, la giurisdizione amministrativa sussiste soltanto con riguardo alle «controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, per le controversie relative ai rapporti di lavoro di cui all' articolo 3 del d.lgs. n. 165/2001, ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi. Per tutte le restanti controversie sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, come previsto dai primi tre commi del citato art. 63. Questo apparentemente semplice criterio di riparto di giurisdizione ha, però, comportato numerosi dubbi interpretativi. La giurisprudenza ha evidenziato che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nel caso di proposizione di domanda di risarcimento danni proposta per tardività dell'assunzione, la relativa domanda, commisurata alle differenze tra le retribuzioni perdute per la mancata assunzione e l'aliunde perceptum, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Va, infatti, applicato il criterio del petitum sostanziale e, dunque, l'oggetto della controversia non è una situazione nascente da un rapporto di impiego in atto, ma si fonda sulla assenza della tempestiva costituzione, restando in tal modo estraneo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo già esistente in materia di pubblico impiego (Cons. St. VI, n. 730/2017). Anche la Corte di Cassazione ha evidenziato che sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al risarcimento del danno patrimoniale da tardiva assunzione, già estranee alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per l'assenza di un rapporto di lavoro precostituito, ove la stessa sia avvenuta tramite contratto, seguito all'annullamento di un precedente provvedimento amministrativo, successivo al 30 giugno 1998, posto che la lesione del diritto azionato si è consumata con la conclusione di quel contratto, momento cui occorre fare riferimento per l'individuazione della giurisdizione, considerato il discrimine temporale di cui all' art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001 ( Cass.S.U., n. 8687/2017). La domanda di riconoscimento del diritto alla maggiore retribuzione, per lo svolgimento di mansioni superiori a quelle proprie della qualifica di appartenenza, configura tipico esercizio di azione di accertamento nell'ambito della giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, per cui la proposizione del relativo ricorso è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, termine la cui decorrenza inizia dalla scadenza del primo rateo di stipendio (cfr., Cons. St., IV, n. 449/2017). In relazione al rapporto di lavoro del docente, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che le relative controversie rientrino pacificamente nella giurisdizione del giudice ordinario, fatta eccezione per le procedure concorsuali, e quale che sia il tipo di atto che viene adottato. Non vi è luogo a distinguere tra atti autoritativi — discrezionali e atti paritetici, atteso che l'avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico implica, nella ratio che presiede a questo sistema, che gli atti di gestione del rapporto di impiego siano configurati come atti di natura non autoritativa, anche quando la P.A. adotta valutazioni di natura organizzativa. Difatti, anche in materia di mobilità interna ed esterna dei lavoratori pubblici nell'ambito della medesima posizione funzionale, diretta ovvero mediata da una procedura selettiva, e anche con precipuo riguardo ai trasferimenti del personale docente, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di mere modificazioni soggettive concretanti atti di gestione di rapporti di lavoro mediante cessione con continuità di contenuto dei relativi contratti tra le Amministrazioni di provenienza e quelle di destinazione, e non di costituzione di nuovi rapporti di lavoro mediante concorso, in relazione alla quale emerge la giurisdizione residuale del giudice amministrativo, ex art. 63 comma 4, d.lgs. n. 165/2001. Nemmeno la presenza di atti asseritamente macro-organizzatori può rappresentare una deroga alla giurisdizione del giudice ordinario, restando gli anzidetti atti macro-organizzatori suscettibili di disapplicazione da parte di quest'ultimo, in quanto presupposti a quelli di gestione del rapporto di lavoro e direttamente lesivi. T.A.R. Valle d'Aosta, I, n. 8/2017 Con riguardo alla mobilità esterna, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto la mobilità esterna (relativa al trasferimento del dipendente pubblico tra enti del medesimo comparto o tra enti di comparti diversi), configurandosi essa come cessione del contratto di lavoro che si verifica nel corso di un rapporto già instaurato e non determina la costituzione di un nuovo rapporto di pubblico impiego o una nuova assunzione, ma comporta solo la modificazione soggettiva del rapporto di lavori già in atto (Cons. St. V, n. 1683/2017). Con riguardo al conferimento degli incarichi dirigenziali, è attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla procedura di interpello per il conferimento di incarichi dirigenziali generali priva di natura concorsuale — sebbene aperta a soggetti esterni — in difetto della previsione di una commissione esaminatrice, della formazione di una griglia di punteggi riferita ai titoli prescritti e della formazione di una graduatoria finale di merito, sicché la valutazione comparativa dei candidati è di carattere discrezionale ( Cass.S.U., n. 8799/2017). Nello stesso senso, la controversia relativa al diritto al mantenimento di una qualifica dirigenziale revocata per assoluta ed insanabile nullità della procedura concorsuale bandita è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti, ai sensi dell' art. 63, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, atteso che il provvedimento di revoca di tale qualifica costituisce un atto di natura privatistica, di micro organizzazione attinente alla gestione del rapporto di lavoro già instaurato tra il dipendente e la P.A., in quanto, con l'approvazione della graduatoria concorsuale, si esaurisce l'ambito riservato al procedimento amministrativo ed all'attività autoritativa dell'amministrazione e subentra una fase in cui i comportamenti dell'amministrazione vanno ricondotti all'ambito privatistico, espressione del potere negoziale della P.A. nella veste di datrice di lavoro, mentre nel patrimonio dell'interessato si consolida una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, nella quale rientrano tutti gli atti successivi alla stipulazione del contratto di lavoro, compresi quelli volti a disporne l'annullamento unilaterale o la caducazione automatica. (Cass.S.U., n. 7483/2017). In relazione agli incarichi previsti dall' art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, giungendo ad un'interpretazione estensiva del concetto di «assunzione». In altri termini, il rilievo che l' art. 63 comma 4 dello stesso d.lgs. n. 165/2001 riservi al giudice amministrativo «...le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni...» non implica che non debbano essere ricondotte alla giurisdizione generale amministrativa di legittimità anche tutte le procedure selettive orientate alla costituzione di rapporti di lavoro autonomo, id est di rapporti di collaborazione, rispetto alle quali la posizione dei candidati, in ordine allo svolgimento e regolarità delle procedure, non può che configurarsi come di (mero ed esclusivo) interesse legittimo. In funzione della natura e della struttura della procedura e della valutazione di discrezionalità tecnica affidata alla commissione non può revocarsi in dubbio che essa non si discosti dalle ordinarie procedure amministrative di selezione del personale, a nulla rilevando che sia finalizzata non già alla costituzione di un rapporto di impiego pubblico a tempo indeterminato sebbene al conferimento di un incarico di collaborazione riconducibile allo schema delineato dall' art. 7 comma 5, del d.lgs. n. 165/2001. Nello stesso senso si è collocata la Corte di Cassazione la quale ha evidenziato che «Il concetto di «assunzione» di dipendenti della p.a., ex art. 63, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, va interpretato estensivamente, con equiparazione, per ragioni di ordine sistematico e teleologico, dell'assunzione di lavoratori subordinati e di quella di lavoratori parasubordinati cui vengano attribuiti incarichi volti a realizzare identiche finalità sicché appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia relativa ad una procedura concorsuale volta al conferimento di incarichi ex art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165 cit., assegnati ad esperti, mediante contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa, per far fronte alle medesime esigenze cui ordinariamente sono preordinati i lavoratori subordinati della p.a.» ( Cass. n. 13531/2016). Con riguardo ai concorsi interni, l'orientamento consolidato ritiene che nel lavoro pubblico contrattualizzato, per procedure concorsuali di assunzione ascritte al diritto pubblico e all'attività autoritativa dell'amministrazione, alla stregua dell' art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si intendano soltanto quelle preordinate alla costituzioneex novodei rapporti di lavoro, essendo tali tutte le procedure aperte a candidati esterni, ancorché vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici e, inoltre, le sole procedure concorsuali c.d. «interne» che siano bandite allo scopo di consentire l'inquadramento di dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, profilandosi, in tal caso, una novazione oggettiva dei rapporti di lavoro, sicché solamente le controversie concernenti gli atti di tali procedimenti concorsuali rientrano nella giurisdizione del Giudice amministrativo, ai sensi dell' art. 63, comma 4 del d.lgs. n. 165/2001, mentre sussiste, invece, la giurisdizione del Giudice ordinario riguardo alle controversie concernenti concorsi per soli interni, che, a differenza delle precedenti, comportino il passaggio da una qualifica ad un'altra, ma nell'ambito della medesima area funzionale — per la cui definizione occorre rivolgersi alla classificazione del contratto collettivo applicabile al rapporto — nonché riguardo alle controversie concernenti procedure selettive bandite per il conferimento di incarichi temporanei e, quindi, non finalizzate all'accesso — definitivo — in aree funzionali o categorie più elevate (T.A.R. Emilia-Romagna (Bologna) I, n. 26/2017). Nello stesso senso, si è collocato il Consiglio di Stato, secondo cui il passaggio di area funzionale determina una novazione del rapporto di lavoro del dipendente pubblico e, quindi, secondo l'insegnamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, una nuova « assunzione ». La relativa procedura selettiva prodromica può allora essere considerata, anche quando è riservata agli interni, come una procedura concorsuale finalizzata all'assunzione, e non come un mero atto di gestione, di natura privatistica, del rapporto di lavoro (come avviene, invece, quando il concorso interno non determini il mutamento di area, ma solo di posizione economica all'interno dell'area di appartenenza). I principi appena richiamati, tuttavia, se pure valgono a riconoscere natura pubblicistica ai concorsi interni finalizzati al passaggio di area (radicando sugli stessi la giurisdizione amministrativa) non sono però sufficienti a colmare il divario che esiste tra una procedura concorsuale chiusa all'esterno e il concorso pubblico. Quest'ultimo, per definizione, richiede che anche gli esterni abbiano la possibilità di partecipare. Da qui la preclusione derivante dall'art. 24 l. n. 150/2009 che richiede per le nuove assunzioni il concorso pubblico ( Cons. St. VI, n. 2836/2016). In relazione al potere di scorrimento della graduatoria, la giurisprudenza distingue tradizionalmente la posizione del soggetto utilmente collocato in graduatoria che va valere il diritto all'assunzione, in relazione al quale sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, da quello che contesta la scelta dell'amministrazione di non aver proceduto allo scorrimento della graduatoria, ma di aver indetto un nuovo concorso, in relazione alla quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. In questo senso le sezioni unite hanno precisato che la cognizione della domanda, avanzata dal candidato utilmente collocato nella graduatoria finale e riguardante la pretesa allo «scorrimento» della graduatoria del concorso espletato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, facendosi valere, al di fuori dell'ambito della procedura concorsuale, il diritto all'assunzione. Ove, invece, la pretesa al riconoscimento del suddetto diritto sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento che, per coprire i posti resisi vacanti, indice una diversa procedura (nella specie, quella del concorso interno), anziché avvalersi delle scorrimento della graduatoria di altro precedente concorso, si è in presenza d'una contestazione che investe l'esercizio del potere dell'amministrazione, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, tutelabile innanzi al giudice amministrativo ai sensi dell' art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 (nel caso di specie, avendo il ricorrente censurato la scelta dell'ente pubblico territoriale di coprire il posto di vice comandante del corpo di polizia urbana non mediante «scorrimento» della graduatoria del precedente concorso, bensì con altra procedura, è stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario (Cass.S.U., n. 26272/2016). Indicativa in tale senso è anche la sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna (Parma) I, 24 febbraio 2017, n. 75, secondo cui, in materia di controversie relative a procedure concorsuali nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, appartiene alla giurisdizione del Giudice ordinario la cognizione della domanda, avanzata dal candidato utilmente collocato nella graduatoria finale, riguardante la pretesa al riconoscimento del diritto allo «scorrimento» della graduatoria del concorso espletato, posto che in tal caso si fa valere, al di fuori dell'ambito della procedura concorsuale, il «diritto all'assunzione»; ove, invece, la pretesa al riconoscimento del suddetto diritto sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di una nuova procedura concorsuale, la contestazione investe l'esercizio del potere dell'Amministrazione di merito, a cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, la cui tutela spetta al giudice amministrativo ai sensi dell'art. 63 comma 4 T.U. 30 marzo 2001, n. 165 (nella fattispecie, la ricorrente, utilmente collocata in graduatoria, era stata dichiarata decaduta dalla stessa per non avere riscontrato l'invito ad accettare l'assunzione nel termine dato, e faceva valere il proprio diritto all'assunzione per non avere avuto notizia, in tempo utile, della comunicazione con la quale la si invitava ad esprimere l'accettazione. Il Collegio, giudicando la vicenda al di fuori della procedura concorsuale, ormai definita, e non comportante esercizio di potere discrezionale, bensì mera attività paritetica, negoziale, nell'ambito della quale si contrapponevano posizioni di diritto soggettivo, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione). Più articolata la pronuncia del T.A.R. Emilia-Romagna (Bologna) I, 13 gennaio 2017, n. 26 secondo cui la giurisdizione nel cui àmbito rientra la pretesa al riconoscimento del diritto allo «scorrimento» della graduatoria dei candidati risultati « idonei » in un pubblico concorso già espletato è questione che va risolta in base ad una attenta analisi, caso per caso, sia della tipologia di pubblica selezione indetta dall'Amministrazione sia della tipologia di rapporto di lavoro che sarà instaurato nei confronti dei vincitori di tali selezioni, sicché, da una parte, nell'ipotesi di controversia concernente il c.d. « scorrimento della graduatoria », presupponendo questo necessariamente una decisione dell'Amministrazione di coprire il posto — donde l'obbligo di servirsi della graduatoria entro il termine di efficacia della stessa e la preclusione all'Amministrazione di bandire una nuova procedura concorsuale ove decida di reclutare nuovo personale per le stesse figure professionali di cui alla precedente graduatoria ancora valida — la controversia dovrà essere devoluta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, dall'altra, nella diversa ipotesi in cui tale obbligo di assunzione dei candidati non vincitori non sussiste, e ciò sia nel caso in cui, pur esistendo vacanza dei suddetti posti in organico, l'Amministrazione non intenda indire nuovi bandi di concorso per coprire tali posti — restando inoltre escluso che la volontà dell'Amministrazione di coprire i posti possa desumersi dall'indizione di un nuovo bando concorsuale, poi annullato — sia qualora l'Amministrazione proceda ad assunzioni di diversa tipologia rispetto a quelle di cui alla graduatoria pendente, quali sono certamente quelle di assunzione di personale a termine, o anche quelle procedure selettive tramite le quali la P.A. intende conferire incarichi dirigenziali a carattere temporaneo, la controversia dovrà essere devoluta alla giurisdizione del Giudice ordinario; in definitiva, solo allorquando la controversia ha per oggetto il controllo giudiziale sulla legittimità della scelta discrezionale operata dell'Amministrazione, la situazione giuridica dedotta in giudizio appartiene alla categoria degli interessi legittimi, la cui tutela è demandata al Giudice amministrativo cui spetta il controllo del potere amministrativo ai sensi dell' art. 103 Cost., poiché in tale ipotesi, la controversia non riguarda il « diritto all'assunzione » ma, appunto, la legittimità della suddetta scelta discrezionale di indire un nuovo bando di concorso. In relazione, invece, alla controversia sul diritto all'assunzione del lavoratore socialmente utile (e figure assimilabili) mediante scorrimento della graduatoria della lista di collocamento istituita ai sensi dell' art. 35 d.lgs. n. 165/2001 sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (Cass.S.U., n. 4229/2017). Segue. Giurisdizione sull'elettorato attivoLa giurisdizione amministrativa in relazione al contenzioso elettorale è prevista dagli artt. 126,129 e 130 c.p.a. Tali disposizioni assegnano al giudice amministrativo la giurisdizione sulle controversie che riguardano le sole «operazioni elettorali», ossia la regolarità delle forme procedimentali di svolgimento delle elezioni, alle quali fanno capo nei singoli posizioni che hanno la consistenza dell'interesse legittimo, non del diritto soggettivo. Secondo le sezioni unite, benché tali operazioni non si esauriscano nelle attività di votazione, ma si estendano al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni regionali e comprendano tutti gli atti del complesso procedimento, dall'emanazione dei comizi elettorali sino alla proclamazione degli eletti, resta tuttavia attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie nelle quali si fanno valere posizioni di diritto soggettivo, quali quelle che si riconnettono al diritto di elettorato attivo o che concernono ineleggibilità, decadenze e incompatibilità. In materia di contenzioso elettorale l'ambito della giurisdizione amministrativa «non è affatto un sistema di giurisdizione esclusiva, che possa includere posizioni di diritto pieno», il che è confermato dall'«elencazione (tassativa) contenuta nell' art. 133 c.p.a., che individua per l'appunto le materie di giurisdizione esclusiva e non comprende quella elettorale». Una attribuzione al giudice amministrativo, in quest'ambito, della giurisdizione su diritti, e diritti fondamentali, proprio «in quanto derogatoria del criterio di riparto costituzionalmente delineato dall' art. 103 Cost., comma 1», avrebbe richiesto una legge, «nel rispetto della riserva ivi contenuta... oltre che dei principi e dei limiti fissati dalla sentenza costituzionale n. 204 del 2004» (Corte cost., n. 259/2009): legge che non può «essere individuata nella generale e generica locuzione dell'art. 126 invocato a fondamento del ricorso per regolamento» (Cass.S.U., n. 21262/2016). Anche l'adunanza plenaria ha chiarito che, con riguardo alla disciplina di cui al previgente l. n. 1034/1971, art. 6, la (allora) prevista competenza dei tribunali amministrativi regionali a «decidere sui ricorsi concernenti controversie in materie di operazioni per le elezioni dei consigli comunali, provinciali e regionali» si caratterizzava per la pertinenza delle operazioni «a situazioni giuridiche soggettive che hanno la consistenza del mero interesse legittimo», e si è conseguentemente escluso che alla giurisdizione amministrativa in tali controversie potesse «riconoscersi carattere esclusivo», costituendo essa, piuttosto, «una applicazione dei criteri generali di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo». Si tratta di un esito condiviso ed applicato dai giudici amministrativi, i quali — ribadita la spettanza al giudice ordinario delle «questioni che vertono su diritti soggettivi perfetti» — hanno riconosciuto ricadenti nel loro perimetro giurisdizionale «tutte le decisioni relative all'annullamento degli atti amministrativi attinenti alle operazioni elettorali, nell'ambito delle quali sono ricomprese anche le deliberazioni dei competenti uffici elettorali in ordine all'ammissione o ricusazione dei candidati e dei relativi simboli» ( Cons. St.Ad. Plen., n. 10/2005). Giurisdizione esclusiva, concessioni, contributi e sovvenzioniCon orientamento consolidato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere attuato distinguendo la fase procedimentale di valutazione della domanda di concessione – nella quale la legge, salvo il caso in cui riconosca direttamente il contributo o la sovvenzione, attribuisce alla P.A. il potere di riconoscere il beneficio, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati in relazione all'interesse primario, apprezzando discrezionalmente l'an, il quid ed il quomododell'erogazione, e al richiedente la posizione di interesse legittimo – da quella successiva alla concessione del contributo, in cui il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione. Sussiste, in particolare, la giurisdizione del giudice ordinario per una controversia relativa a contributi pubblici nel caso in cui il privato destinatario dei contributi si dolga del fatto che, una volta concesso il contributo in conto capitale di un certo importo per l'incentivazione della sua attività imprenditoriale – il soggetto attuatore del Patto territoriale abbia proceduto ad una riduzione del finanziamento stesso in rapporto a spese ritenute non ammissibili a causa della non pertinenza (di alcune) delle opere realizzate rispetto al programma di investimento; infatti, nel caso di procedimento per la concessione e l'erogazione di finanziamenti e sovvenzioni a favore delle attività produttive nelle aree depresse del Paese (2), la riduzione del finanziamento per spese non ammissibili si esprime in atti nei quali la P.A. non esercita discrezionalità alcuna, dovendosi soltanto uniformare ai principi vincolanti della normativa vigente (Cass. S.U. n. 8049/2018). In relazione al contenzioso in materia sanitaria e alla fissazione dei tetti di spesa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno evidenziato che le controversie relative al pagamento di crediti per prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate, anche nei casi in cui sia necessario accertare profili inerenti la legittimità del potere di determinazione dei tetti di spesa, sono soggette alla giurisdizione del giudice ordinario. Nel caso le Sezioni Unite per un verso hanno escluso che incida sul riparto di giurisdizione la circostanza che sia necessario accertare la legittimità di provvedimenti amministrativi (nella specie sui tetti di spesa e le conseguenti regressioni tariffarie) adottati nell'ambito del rapporto scaturito dalla originaria convenzione di accreditamento, la cui efficacia sia stata eccepita in via di eccezione dalla amministrazione resistente quale fatto impeditivo o modificativo della pretesa creditoria; per altro verso chiariscono che in tali casi è altresì precluso al giudice ordinario l'esercizio del potere di disapplicazione dei provvedimenti incidenti sulla determinazione dei corrispettivi, dovendo egli limitarsi alla verifica della conformità o meno del comportamento posto in essere dall'amministrazione in relazione al contenuto dispositivo dei provvedimenti contestati che restano tuttavia impugnabili davanti al giudice amministrativo (Cass. S.U. 28053/2018). Viceversa il giudice ordinario non può essere adito con una domanda che postuli la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi previo annullamento dell'eventuale deliberazione autoritativa della p.a. che abbia inciso in qualche modo sulla loro relativa debenza. Poiché la giurisdizione si determina dalla domanda, sebbene secondo il criterio del c.d. petitum sostanziale, la stessa soluzione si giustifica nel caso in cui con la domanda si chieda la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi postulando l'accertamento incidentale dell'invalidità della suddetta deliberazione in quanto incidente sulla loro determinazione e ciò per la ragione che, quando si prospetti con la domanda giudiziale un determinato modo di essere di un rapporto pregiudicante, qual è una deliberazione di quel genere, la domanda, pur se il petitum formale immediato non concerna tale accertamento, deve ritenersi comprensiva di esso, giacché l'art. 34 c. p.c. concepisce la possibilità di un accertamento incidentale del rapporto pregiudicante (qual è quello concretatosi nella deliberazione incidente) come possibile solo se la contestazione sul suo modo di essere sia prospettata dal convenuto, mentre se esso sia prospettato come contestato dallo stesso attore il relativo accertamento è oggetto della domanda giudiziale. In questo caso il giudice ordinario deve ritenersi investito di una domanda di accertamento della illegittimità della deliberazione e, quindi, secondo il criterio del petitum sostanziale, di una domanda di annullamento di essa e deve su tale domanda declinare la giurisdizione, trattenendo la sola domanda di condanna alle indennità, canoni o corrispettivi (salvo poi sospendere il giudizio ex art. 295 c. p.c. su di essa in attesa della definizione di quello rimesso aIl 'a .g .a .). Giurisdizione esclusiva e Decreto Legge 28 settembre 2018, n. 109 convertito con modifiche dalla Legge di conversione n. 16 novembre 2018, n. 130Il Decreto legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito con modifiche dalla legge di conversione n. 16 novembre 2018, n. 130, ha previsto, all'art. 10, rubricato “Norme in materia di giustizia amministrativa e di difesa erariale”, che tutte le controversie relative agli atti adottati dal Commissario straordinario relative alle attivita' per la demolizione, la rimozione, lo smaltimento e il conferimento in discarica dei materiali di risulta, nonche' per la progettazione, l'affidamento e la ricostruzione dell'infrastruttura e il ripristino del connesso sistema viario conseguente al crollo di un tratto del viadotto Polcevera dell'autostrada A10, nel Comune di Genova, noto come ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, nonché i conseguenti rapporti giuridici anteriori al momento di stipula dei contratti che derivano da detti atti, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e alla competenza funzionale inderogabile del tribunale amministrativo regionale della Liguria”. Tale norma, dunque, come già accaduto per l'azione di classe, prevista dall'art. 1, comma 7, d.lgs. 198/2009, amplia le ipotesi di giurisdizione esclusiva, al di fuori dell'elenco previsto dall'art. 133 che, quindi, perde, ancora un volta, la caratteristica di norma omnicomprensiva sulla giurisdizione esclusiva. Legge n. 145/2018 in tema di regolare svolgimento delle competizioni sportive
In considerazione della straordinaria necessità e urgenza di introdurre strumenti finalizzati a migliorare l'efficienza e la funzionalità della giustizia amministrativa, nonché della difesa del Comitato olimpico nazionale italiano davanti alla giurisdizione amministrativa, anche in relazione all'esigenza di assicurare un veloce e agevole raccordo con l'impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni sportive concernenti l'ammissione od esclusione dalle competizioni o dai campionati delle società o associazioni sportive professionistiche, con immediato effetto per il regolare svolgimento dei campionati in corso, è stato approvato il d.l. n. 115/2018 (in G.U. n. 233 del 6 ottobre 2018; in vigore dal 7 ottobre 2018). La norma, rubricata “Disposizioni urgenti in materia di giustizia amministrativa, di difesa erariale e per il regolare svolgimento delle competizioni sportive”, ha integrato direttamente il c.p.a. e, in particolare, all'articolo 133, comma 1, dopo la lettera z-sexies) ha introdotto la lettera «z-septies, che prevede la giurisdizione esclusiva del g.a. in relazione alle controversie relative ai provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Il citato decreto legge non è però stato convertito in legge nel termine di sessanta giorni (vedi il Comunicato del Ministero della Giustizia pubblicato nella G.U. n. 284 del 6 dicembre 2018). Successivamente con l'articolo 1, comma 649, lettera b) della legge 30 dicembre 2018, n. 145, è stata reintrodotta la citata disposizione con formula sostanzialmente immutata rispetto a quella prevista nel sopra menzionato decreto legge poi non convertito. Tale norma interviene in relazione ad un contesto ordinamentale complesso e intricato che già la giurisprudenza amministrativa aveva provato a definire. In particolare, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6010 del 14 novembre 2011, aveva precisato che l'art. 2 del d.l. 220/2003, secondo l'interpretazione resa dalla sentenza della Corte Costituzionale 11 febbraio 2011, n. 49, "prevede tre forme di tutela: 1) una prima forma, limitata ai rapporti di carattere patrimoniale tra le società sportive, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati), demandata alla cognizione del giudice ordinario; 2) una seconda, relativa ad alcune delle questioni aventi ad oggetto le materie di cui all'art. 2, non apprestata da organi dello Stato ma da organismi interni all'ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste, secondo uno schema proprio della cosiddetta "giustizia associativa"; 3) una terza, tendenzialmente residuale e devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra le società, le associazioni sportive, gli atleti (e i tesserati) - demandati al giudice ordinario -, per altro verso non rientra tra le materie che, ai sensi dell'art. 2, d.l. n. 220 del 2003, sono riservate all'esclusiva cognizione degli organi della giustizia sportiva. Quanto alla terza ipotesi presa in considerazione, va osservato che, secondo la originaria versione del decreto legge n. 220 del 2003, fra le fattispecie che, essendo inserite al comma 1 dell'art. 2, potevano considerarsi sottratte alla cognizione del giudice statale, erano incluse, tra le altre, le questioni relative alla organizzazione e allo svolgimento delle attività agonistiche ed alla ammissione ad esse di squadre ed atleti. Come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza 11 febbraio 2011, n. 49, la circostanza che, in sede di conversione del decreto legge, il legislatore abbia espunto le lettere c) e d) del comma 1 dell'art. 2, ove erano indicate le summenzionate fattispecie, induce a ritenere che si sia inteso ricondurle nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Invero, la sottrazione dell'originario testo normativo si spiega se si considera che la possibilità, o meno, di essere ammessi a svolgere attività agonistica - disputando le gare ed i campionati organizzati dalle Federazioni sportive facenti capo al CONI - non è una situazione certo irrilevante per l'ordinamento giuridico generale e, come tale, non meritevole di tutela da parte di questo. Si tratta di una questione riguardante l'organizzazione stessa delle manifestazioni sportive, con immediata e diretta incidenza su contrapposti fondamentali diritti di libertà, oltre che di posizioni soggettive di sicuro rilievo patrimoniale. Alle stesse conclusioni è, peraltro, giunto di recente anche il T.A.R. Lazio, sede di Roma, che ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle controversie nella quali viene in contestazione l'ammissione della società ricorrente al campionato di serie superiore (T.A.R. Roma, (Lazio) I, 5 dicembre 2016, n.12153). BibliografiaBuscema, Potestà amministrativa e tutela dei diritti fondamentali all'interno delle aule giudiziarie: profili sostanziali e di giurisdizione con particolare riguardo al diritto alla salute, in Giurcost.org, 2012; Caianiello, Diritto processuale amministrativo, Torino, 2003; Cavallaro, La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tra rapporti di diritto pubblico e rapporti di diritto privato: brevi riflessioni a margine dei recenti orientamenti della Corte costituzionale, in Dir. proc. amm. 2010; Saitta, Contratti pubblici e riparto di giurisdizione: problemi aperti, in Lexitalia, 5/2016; Santi Romano, Studi in occasione del centenario del Consiglio di Stato, 1932; Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Torino, 2017; Sinisi, Il riparto di giurisdizione in material di contratti pubblici: la persistenza di alcuni nodi problematici alla luce della più recente giurisprudenza, in Del Gatto, Dinelli, Fares, Mari, Sinisi, Problematiche del riparto di giurisdizione dopo il codice del processo amministrativo, Napoli, 2013; Scoditti, Ricorribilità in Cassazione per violazione di legge delle sentenze del Consiglio di Stato su diritti soggettivi: una questione aperta, in Foro it. 2014, V, 157 ss.; Viola, Una giurisdizione «a macchia di leopardo» sui comportamenti materiali della P.A.?, in Lexitalia n. 6/2017. |