Il responsabile civile ed il suo assicuratore non sono litisconsorti necessari nel giudizio introdotto ex art. 149, d.lgs. n. 209/2005

Gianluca Cascella
05 Dicembre 2017

Risarcimento diretto ed inesistenza dell'obbligo di partecipazione del responsabile civile e del suo assicuratore al relativo giudizio.
Massima

Nell'ipotesi di azione per risarcimento danni proposta ai sensi dell'art. 149 del Codice delle Assicurazioni, il responsabile del danno non è da considerarsi litisconsorte necessario, in quanto la necessità di evocare in giudizio tale soggetto sussiste solo nella diversa ipotesi di azione diretta proposta dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore del responsabile civile, ai sensi dell'art. 144, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, in quanto la facoltà prevista dall'art. 149 del predetto Codice è concessa al danneggiato esclusivamente nei confronti dell'assicuratore del proprio veicolo.

Il caso

In primo grado Tizio, danneggiato in un sinistro stradale, agisce ex art. 149 nei confronti di Caio, assumendone la esclusiva responsabilità per l'accaduto, nonché contro ALFA Ass.ni, impresa assicuratrice del veicolo di esso danneggiato, azionando quindi la procedura di “risarcimento diretto”; Caio, a sua volta, si costituisce spiegando domanda riconvenzionale nei confronti di Tizio, imputando a quest'ultimo l'esclusiva responsabilità per la verificazione del predetto sinistro, dichiarando che, a sua volta, intendeva agire anch'egli ai sensi dell'art. 149 cod. ass., stavolta nei confronti di BETA Ass.ni, impresa assicuratrice dell'auto di sua proprietà, per cui esso Caio chiede ed ottiene la chiamata in causa di BETA Ass.ni, per esperire nei suoi confronti l'azione ex art. 149 d.lgs. n. 209/2005, che si costituisce difendendosi in rito e nel merito. A conclusione del giudizio, il giudice di pace, dopo aver singolarmente qualificato le azioni proposte da Tizio e Caio come azioni di natura extracontrattuale, condanna in solido CAIO e la sua impresa assicuratrice, BETA Ass.ni, al risarcimento dei danni in favore di TIZIO, nonostante il medesimo avesse, durante tutto il giudizio di primo grado, chiesto sempre e soltanto la condanna di ALFA Ass.ni, cioè della propria impresa assicuratrice, che propone appello deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda risarcitoria proposta da TIZIO.

La questione

Il caso descritto propone una peculiare questione, quella inerente la violazione, da parte del giudice di prime cure, dell'art. 149 del Codice delle Assicurazioni private, dedotta dalla BETA Ass.ni, per avere detto giudice erroneamente condannato anche detta Impresa al risarcimento del danno preteso da Tizio che, però, aveva agito, ai sensi della norma in questione, esclusivamente contro ALFA Ass.ni, la propria impresa assicuratrice, in forza della polizza in essere con la stessa, e Caio, preteso responsabile del sinistro, in ragione dell'estraneità di BETA Ass.ni a tale rapporto contrattuale, e del fatto che Tizio mai alcuna domanda aveva proposto nei confronti di tale impresa, neanche dopo che il responsabile del danno, Caio, ne aveva chiesto ed ottenuto l'evocazione in giudizio per avvalersi anch'egli dell'azione prevista dalla citata norma del d.lgs n. 209/2005, proponendo domanda riconvenzionale contro la propria impresa assicuratrice (anche se poi detta domanda era stata rigettata ed il predetto convenuto, conseguentemente, dichiarato esclusivo responsabile del sinistro in questione).

Le soluzioni giuridiche

La questione sollevata dall'impresa assicuratrice appellante viene ritenuta fondata dal Tribunale oplontino, secondo cui nel giudizio ex art. 149 cod. ass. non sono litisconsorti necessari né il responsabile civile né tantomeno l'impresa assicuratrice di quest'ultimo.

A fondamento della decisione di accoglimento dell'appello, pone innanzitutto il combinato disposto delle norme di cui agli artt. 149, commi 1 e 6 e 144, comma 3, del Codice delle Assicurazioni.

In particolare, il giudice rileva come, dalla prima di tali disposizioni, emerga con chiarezza che l'unico interlocutore del danneggiato, nella fase stragiudiziale, sia esclusivamente la propria impresa di assicurazione e che tale rapporto di sostanziale esclusività perduri anche nella fase giudiziale, in quanto unico legittimato passivo dell'azione ex art. 149 esperita dal danneggiato resta la sola impresa garante la r.c.a del veicolo del soggetto che propone la relativa azione.

Principio, questo, che per il giudice di appello trova conferma nella previsione contenuta nell'art. 144, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, a mente del quale la necessità del litisconsorzio nei confronti del danneggiante sussiste solo nel caso – evidentemente diverso – in cui il danneggiato abbia deciso di non avvalersi dell'azione ex art. 149, bensì di ricorrere all'azione risarcitoria per c.d. ordinaria, prevista dall'art. 144 del predetto Codice: ne consegue, per il Tribunale, che deve escludersi la necessarietà del litisconsorzio con il responsabile del danno nel caso in cui il danneggiato scelga, come suo piena facoltà, di esercitare l'azione risarcitoria la cui esperibilità l'art. 149 gli accorda nei confronti dell'impresa assicuratrice con cui ha stipulato la polizza assicurativa inerente il proprio veicolo.

Inoltre, per il giudice di appello, visto il silenzio del legislatore sul punto e la mancanza di un chiaro indirizzo ermeneutico da parte della giurisprudenza di legittimità, osta all'interpretazione che ne vorrebbe, invece, obbligatoria la partecipazione, una duplice considerazione.

Si tratta, nello specifico, da un lato, della considerazione che, per un verso, ove si ritenesse indispensabile la partecipazione del responsabile del danno al giudizio introdotto ex art. 149 cod. ass., si verrebbe ad ostacolare il raggiungimento dell'obiettivo, avuto di mira dal legislatore, di evitare che a detto giudizio partecipi anche l'assicuratore per la r.c. di tale ultimo soggetto, partecipazione che, invece, sarebbe inevitabile in quanto non potrebbe impedirsi al responsabile civile di effettuarne la chiamata in garanzia impropria; dall'altro, della considerazione per la quale vi è una duplice carenza di legittimazione per gli assicuratori dei veicoli coinvolti nel sinistro, in quanto quello del responsabile del danno difetta di legittimazione passiva ove il danneggiato si avvalga dell'azione di risarcimento diretta, mentre quello del danneggiato, per converso, difetta di legittimazione ad agire in rivalsa verso il danneggiante, potendo solo recuperare, tramite la c.d. stanza di compensazione, dall'assicuratore del danneggiante quanto versato al danneggiato.

Infine, quale conseguenza di tale rilievo, il giudice d'appello dichiara inammissibile, per difetto dell'indispensabile interesse, ex art. 100 c.p.c., l'ulteriore motivo di appello formulato da BETA Ass.ni volto a conseguire la riforma della prima decisione in punto accertamento della dinamica del sinistro, quale conseguenza del venir meno della qualità di appellante, a seguito dell'accoglimento del primo motivo di gravame.

Osservazioni

La sentenza qui commentata dimostra come il Codice delle Assicurazioni - e quindi indirettamente tutto il sistema della responsabilità civile automobilistica – nonostante sia entrato in vigore da ormai oltre un decennio, mostra ancora aspetti problematici ed irrisolti, come del resto più in generale la stessa responsabilità civile, la cui funzione, come è noto, è presa nella morsa del dualismo tra mero ripristino dello status quo ante (ovviamente per equivalente) e funzione (anche) sanzionatoria e deterrente.

E del resto, il sistema accolto dal Codice delle Assicurazioni si rivela essere una soluzione intermedia, quindi di compromesso, tra il sistema della responsabilità civile puro, accolto dalla l. n. 990/1969, e i sistemi, in uso in alcuni ordinamenti stranieri, definiti come no-fault; in questi ultimi l'elemento colpa, e quindi responsabilità, non viene proprio preso in considerazione, dato che sono previsti sistemi automatici di risarcimento, in cui il costo del risarcimento di un sinistro viene prestabilito a monte, così l'assicuratore è in grado di sapere prima quanto pagherà per un sinistro (come nel risarcimento diretto previsto dal predetto Codice) con preclusione, per il danneggiato, della possibilità di evocare in giudizio l'assicuratore per il ristoro dei danni (previsione invece non accolta dal predetto Codice) escludendosi anche l'obbligo, per il danneggiato, di provare il nesso causale tra il sinistro e l'altrui condotta di guida (come previsto per l'azione diretta del trasportato, dall'art. 141 cod. ass) per cui la soluzione scelta dal legislatore italiano con il Codice delle Assicurazioni, nello specifico con le azioni dirette, è un sistema parzialmente no-fault, in cui convivono elementi della responsabilità civile, con elementi invece tipici del sistema no-fault.

In tal modo, secondo alcuni, il legislatore ha cercato di conservare i più importanti aspetti della responsabilità civile tradizionale, come, da un lato, la finalità ed il riconoscimento di tutela anche a soggetti tradizionalmente esclusi dalla copertura, nei sistemi no-fault, come appunto pedoni e ciclisti (dato che detti soggetti, in ragione del fatto che nei predetti sistemi l'assicuratore indennizza solo il proprio assicurato, sono esclusi dalla tutela risarcitoria) e, dall'altro, la tipica funzione deterrente, volta cioè ad indurre gli automobilisti a tenere condotte di guida non pericolose per gli altri utenti della strada, con i benefici in termini di personalizzazione del servizio e di risparmio di costi, per le imprese non meno che per gli assicurati, quindi in termini di superiore efficienza, propri del sistema assicurativo no-fault (PARDOLESI R., Dal dire al fare: la disciplina dell'indennizzo diretto, in Danno e resp., 2007, n. 3, 277 e ss.); tuttavia, all'istituto del risarcimento diretto la dottrina non ha certo risparmiato le critiche, anche molto severe, affermandosi infatti come tale meccanismo sia l'ennesima manifestazione, da parte del legislatore, di condotte volte a penalizzare i cittadini con provvedimenti legislativi non certo a loro favore, oltre evidentemente incompleti ed anche sospetti di incostituzionalità, nello specifico per contrasto con l'art. 76 Cost., per essere il regolamento di attuazione del risarcimento diretto andato ben oltre i limiti che il Codice delle Assicurazioni aveva previsto per detta procedura (BONA M., Indennizzo diretto: una disciplina carente, incostituzionale e contro la riparazione integrale dei danni, in Corriere del merito, 2006, 1109 e ss.); va infine osservato come tutto il sistema della responsabilità civile (auto e non) verosimilmente appaia destinato ad un radicale ripensamento della sua funzione, a seguito di una recente – ed ormai notissima – decisione delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 5 luglio 2017 n. 16601) che, parafrasando (ma in senso opposto) quanto esattamente 10 anni orsono affermava la dottrina (OLIARI S., I danni punitivi bussano alla porta: la Cassazione non apre, in Nuov. giur. civ. comm., 2007, I, pp. 981 ss.) stavolta hanno aperto la porta, accogliendo i danni punitivi nel nostro ordinamento, riconoscendo alla responsabilità civile un'ulteriore quanto nuova funzione, sanzionatoria e di deterrence, in precedenza già tratteggiata nella nota decisione n. 1361 (Cass. civ., sez. III, n. 1361/2014) che, come è noto, aveva riconosciuto la risarcibilità del danno da morte immediata come danno in re ipsa; anche se, va detto, già in precedenza autorevole dottrina aveva affermato che il risarcimento dei danni, in particolare di quelli non patrimoniali, ben può svolgere una funzione anche sanzionatoria, oltre che compensativa (BUSNELLI D., Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Europa e diritto privato, 2009, 2, 219), ed anche chi scrive ha avuto occasione di rilevare che, tutto sommato, la sentenza Cass. civ., 19 gennaio 2007 n. 1183 (in Giur. it., 2008, 2, 395 e ss.), quella che aveva negato la compatibilità con l'ordine pubblico italiano dei punitive damages, in realtà non sembrava escludere a priori la possibilità di delibare una sentenza straniera che, per un verso, individui con chiarezza quali siano i danni riportati dal soggetto leso che con il riconoscimento dei danni punitivi si vanno a ristorare e, per altro verso, faccia dei predetti danni punitivi una quantificazione proporzionata al danno che detto soggetto abbia realmente riportato (CASCELLA G., Danno alla persona nella prospettiva europea, in Il danno alla persona, a cura di Cassano G., Milano, 2016, 447 e ss.). In sostanza, la Cassazione ha acceso, come afferma altra dottrina, il semaforo verde per il riconoscimento dei danni punitivi nel nostro ordinamento (CARRATO A., Danni punitivi: semaforo verde per il loro riconoscimento nell'ordinamento italiano, in Quotidiano giuridico, 7 luglio 2017); anche se, va detto, come ritiene altro studioso, per un verso l'affermazione del riconoscimento, da parte delle SS.UU., anche nel nostro ordinamento, dei danni punitivi, appare molto meno problematica di quanto potrebbe apparire a prima vista, dato che, si afferma testualmente “atteso che riconoscere l'efficacia di una sentenza straniera di condanna a punitive damages non comporta l'automatica introduzione nell'ordinamento italiano dei danni punitivi: la concessione dell'exequatur non muta, cioè, il fatto che l'efficacia della sentenza è rimasta all'interno del rapporto privatistico limitato alle parti nell'ambito di una controversia internazionale, con effetti solo incidentali nell'ordinamento italiano”(PENTA A., Compatibilità dei danni punitivi con l'ordine pubblico italiano: un falso problema? in Ridare.it) mentre, per altro verso, appare contraddittorio in quanto ammettere l'applicabilità dei danni punitivi, e quindi la loro funzione sanzionatoria, in presenza di lesioni ad un diritto indubbiamente di rilievo minore rispetto a quello che costituisce, indubitabilmente, il fondamentale e prioritario diritto inviolabile della persona, quello alla vita, allorquando invece, con la decisione n. 15350 del 22 luglio 2015 le stesse Sezioni Unite, pur in presenza di un illecito costituente reato, hanno escluso la risarcibilità del danno tanatologico, onde evitare di ammettere i danni punitivi nel nostro ordinamento non appare giustificabile (PENTA A., op. cit.): come dire, due pesi e due misure.

Ritornando alla decisione qui in commento, va detto che il tema esaminato dalla stessa appare di indubbio interesse, in quanto si pone come borderline tra le previsioni contenute nell'ormai abrogata l. 990/1969, ai sensi del cui art. 23 era indubitabile la necessarietà del responsabile del danno, e quelle recate dal Codice delle Assicurazioni, dalle quali invece il giudice oplontino ha tratto la conseguenza dell'inesistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con il responsabile civile nell'azione ex art. 149 Codice Ass.ni, vista la indubbia incidenza, sul contenzioso in essere negli uffici giudiziari della penisola, delle controversie di risarcimento danni da circolazione stradale e, all'interno di esse, di quelle in cui trova applicazione l'art. 149 cod. ass.; a maggiore ragione ove si consideri che, con una recente decisione, la giurisprudenza di legittimità ha non poco ampliato il perimetro applicativo dell'istituto, affermando che la procedura introdotta dall'art. 149 del cod. ass.(d. lgs. 7 settembre 2005 n. 209) è suscettibile di trovare applicazione anche allorquando la collisione sia avvenuta tra più di due veicoli, tranne il caso in cui la responsabilità per il verificarsi del sinistro sia ascrivibile anche ad un veicolo ulteriore rispetto a quello che il danneggiato ha evocato in giudizio come responsabile del sinistro (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2017, n. 3146, in Foro it., 2017, 4, I, 1251) decisione in relazione alla quale chi scrive ha già avuto modo di sostenere come essa appaia suscettibile di svolgere una sostanziale funzione di contrappeso rispetto agli effetti prodotti da Corte Cost. n. 180/2009, affermando “è verosimile ritenere che, estendendo le ipotesi in cui la procedura ex art. 149 C.Ass.ni può essere applicata, tale decisione possa riequilibrare la situazione determinatasi a seguito della sopra citata decisione della Corte Costituzionale, facendo recuperare al risarcimento diretto, almeno in parte, quegli spazi applicativi che il riconoscimento della sua facoltatività gli aveva, de facto, sottratto.” (CASCELLA G., Risarcimento diretto e pluralità di veicoli. La Cassazione estende il perimetro applicativo dell'istituto. Brevi osservazioni a margine di Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2017, n. 3146, in De Iustitia, 2017, 2, 16).

Orbene, l'estraneità al procedimento introdotto nelle forme del c.d. risarcimento diretto era già stata affermata dalla giurisprudenza, con lo statuire che “l'art. 149 C.d.A. prevede l'intervento dell'assicuratore del responsabile nella procedura di risarcimento diretto al solo fine di estromettere la compagnia del danneggiato” (Trib. Torino, sez. IV, 22 gennaio 2013, in banca dati Pluris-cedam.utetgiuridica.it); ancora, la giurisprudenza conferma in pieno che, se il danneggiato sceglie il risarcimento diretto, unico destinatario della sua domanda non potrà che essere la sua impresa di assicurazione, e non anche altri soggetti (Trib. Arezzo, 9 febbraio 2011, in Assicurazioni, 2012, 131), poiché l'effetto della scelta dell'azione ex art. 149 cod. ass., come affermato dalla dottrina, è ben descritto dal noto brocardo electa una via, non datur recursus ad alteram (HAZAN M., Idee, innovazioni, incostanze ed incoerenze: l'indennizzo diretto alla luce del recente orientamento della Consulta, in Danno e responsabilità, 2009, 12, 1161).

Non può comunque sottacersi, invero, come altra autorevole opinione dottrinale si ponga in contrapposizione con quella appena richiamata, con l'affermare che, sostanzialmente, è sulla scorta di un meccanismo di richiamo che deve ritenersi indispensabile, invece, la partecipazione al giudizio, quale litisconsorte necessario, del responsabile del danno, in quanto “L'art. 149, comma 6, cod. ass. non attribuisce infatti alla vittima una generica azione diretta nei confronti del proprio assicuratore, ma gli attribuisce «l'azione diretta di cui all'art. 145, comma 2 », cod. ass. Ci troviamo dunque dinanzi a una norma recettizia, che richiama integralmente un istituto previsto da altra disposizione, e quindi tutti i suoi ammennicoli e annessi. E poiché l'azione diretta prevista dall'art. 145, comma 2, cod. ass. esige l'integrazione del contraddittorio nei confronti del responsabile, quest'ultimo deve partecipare anche al giudizio promosso dalla vittima nei confronti del proprio assicuratore. Non si comprenderebbe, del resto, perché mai l'azione ex art. 149 cod. ass. condivida tutte le caratteristiche dell'azione diretta ex art. 145 cod. ass. (limite del massimale di polizza, inopponibilità delle eccezioni fondate sul contratto, condizioni di proponibilità), tranne una: la necessità di integrazione del contraddittorio” (ROSSETTI M., Le mille incertezze del risarcimento diretto, in Giustizia Civile, 2013, 10, 2233 e ss); del resto, anche la S.C. ha di recente sostenuto che, al contrario, in ogni azione per c.d. diretta, prevista dal Codice delle Assicurazioni – inclusa, quindi, la procedura ex art. 149 cod. ass.- sussiste la necessarietà del litisconsorzio con il responsabile del danno (Cass. civ., sez. VI, 20 settembre 2017, n. 21896, in Guida al Diritto, 2017, 41, 95).

Infine, se si tiene presente la indubbia natura contrattuale dell'azione ex art. 149 cod. ass., ed il fatto che essa ha ad oggetto (rectius, dovrebbe avere) un inadempimento da parte dell'assicuratore agli obblighi nascenti dalla polizza a carico dello stesso ed in favore dell'assicurato danneggiato (ad esempio, perché ha omesso di fornire al medesimo l'assistenza tecnica, solo per citarne uno) allora la non necessarietà del litisconsorzio con il responsabile del danno appare una corretta, quanto indiscutibile invero, conseguenza delle previsioni contenute nella norma innanzi richiamata.

Per quanto riguarda, invece, l'accertamento della responsabilità, ad esso anche all'interno del giudizio proposto dal danneggiato contro il solo suo assicuratore ben potrebbe procedersi con efficacia meramente endoprocessuale, ad esempio ex art. 34 c.p.c., oppure secondo le modalità attualmente previste dal codice di rito civile con riferimento alle ipotesi in cui, nelle procedure di pignoramento presso terzi, sorgano contestazioni – a seguito del tenore della dichiarazione del terzo pignorato- sull'esistenza e/o ammontare del credito vantato dal debitore principale nei confronti del c.d. debitor debitoris, in modo da non snaturare, da un lato, la natura contrattuale dell'azione ex art. 149 cod. ass., come avverrebbe invece con la previsione dell'obbligatoria partecipazione, al relativo giudizio, di un soggetto terzo, quale appunto il danneggiante, estraneo al rapporto contrattuale in questione e, dall'altro, di consentire comunque il regolare funzionamento del meccanismo della stanza di compensazione, su cui si incentra la convenzione CARD; anche la S.C., invero, pare confermare la fondatezza di quanto appena sostenuto, avendo di recente affermato, infatti, che non si è in presenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario nel caso in cui il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo (Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2017, n. 345, in Guida al Diritto, 2017, 16, 81).

Del resto, proprio il richiamato carattere (ovvero la natura contrattuale dell'azione ex art. 149 cod. ass.) ed il suo correlato rientrare nel perimetro applicativo dell'art. 1372 c.c., il cui comma 2, come è noto, sancisce il generale principio dell'inefficacia del contratto rispetto ai terzi – il che, per la giurisprudenza di legittimità, comporta che il vincolo negoziale produce i propri effetti solo nei confronti dei contraenti (Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2012, n 12781, in Giust. Civ., Mass, 2012, 7-8, 945) - costituisce l'elemento che fa apparire una forzatura del sistema l'affermata, da parte della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, n. 21896/2017) perfetta sovrapponibilità tra l'azione diretta ex art. 144 cod. ass. – che ha natura, non è superfluo ricordarlo, extracontrattuale - e quella ex art. 149 del medesimo codice, rendendo tale arresto non condivisibile, ed impedendo di poter ritenere che sussista il litisconsorzio necessario anche nel giudizio introdotto ai sensi dell'art. 149 d.lgs n. 209/2005.

Invece, con una soluzione del tipo di quella innanzi ipotizzata, si avrebbe comunque un accertamento della responsabilità in ordine all'accadimento dell'evento dannoso ed all'ascrivibilità della sua eziologia, utilizzabile dagli assicuratori per regolamentare i loro rapporti, collocandosi, quindi, la partecipazione del responsabile del danno nel giudizio incardinato con la procedura del c.d. risarcimento diretto nella diversa ipotesi del litisconsorzio facoltativo, ricostruzione che appare, allora, quella maggiormente coerente con il chiaro dettato normativo del sesto comma dell'art. 149 cod. ass.: soccorre, in proposito, il criterio della interpretazione letterale, o littera legis; invero, in applicazione del canone ermeneutico portato dall'antico e noto brocardo per il quale ubi lex voluit, dixit, ubi noluit, tacuit, cioè della interpretazione letterale, ed anche alla luce dell'ulteriore criterio ermeneutico, il c.d. criterio topografico o della sedes materiae, per il quale agli enunciati si deve dare la interpretazione che è suggerita dalla loro collocazione nel sistema del codice (per i quali, cfr. TARELLO G., L'interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu A., Messineo F. e Mengoni L., vol. I, tomo 2, Milano, Giuffrè, 1980, p. 350 e ss.) appare quella sopra prospettata la ricostruzione preferibile.

Il tutto, poi, senza trascurarsi di evidenziare che detta interpretazione rinviene un ulteriore sostegno ermeneutico anche dal punto di vista per c.d. funzionale, rivelandosi quella che appare maggiormente idonea al conseguimento dello scopo avuto di mira dal legislatore (come del resto ha correttamente rilevato il giudice oplontino): al riguardo, infatti, deve rammentarsi che la Cassazione, a più riprese, ha affermato come, in tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, che si rivela senza dubbio centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, ben può venire esaminato e riscontrato anche guardando ad ulteriori criteri ermeneutici, come ad esempio quello funzionale, che valorizza quella che viene definita come la ragione pratica del contratto, coerentemente con gli interessi che le parti hanno inteso perseguire stipulando il contratto (Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23701, in Giust. Civ., Mass., 2016),

In conclusione, appare ben argomentata e motivata la soluzione cui è pervenuto l'estensore della decisione qui in commento, nonostante, non lo si nega, i richiamati e diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, rispetto ai quali deve ritenersi che il tribunale campano abbia ritenuto che, in particolare questi ultimi, in quanto non promananti da decisioni emanate dalla S.C. nell'esercizio della sua istituzionale funzione nomofilattica, non potessero integrare quel, ritenuto invece indispensabile, intervento chiarificatore, idoneo a sciogliere la situazione di incertezza determinata dal silenzio legislativo sul punto.

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