Il minore può validamente compiere atti giuridici non pregiudizievoli

15 Dicembre 2017

L'incapacità di agire derivante dalla minore età impedisce al soggetto anche di compiere atti giuridici in senso stretto, quali quelli vantaggiosi?
Massima

Il minore è capace di compiere e ricevere atti giuridici in senso stretto, e cioè gli atti non negoziali, qual è la messa in mora per il risarcimento danni ex art. 22 l. 24 dicembre 1969, n. 990, purché dagli stessi non gliene derivi pregiudizio.

Il caso

Una minore di età subisce un incidente stradale quale terzo trasportato e il padre, esercente la responsabilità genitoriale, chiede in giudizio il risarcimento del danno. I giudici di merito dichiarano il ricorso improcedibile perché la messa in mora per il risarcimento dei danni, ai sensi e nei termini di cui all'art. 22 l. 24 dicembre 1969, n. 990, era stata proposta dalla stessa minore, tramite un legale da lei incaricato. Secondo i giudici di merito un minore non può compiere atti giuridici se non nei casi espressamente previsti dalla legge (ad esempio il riconoscimento del figlio) e quindi non può validamente rivolgersi ad un legale per ottenere un risarcimento dei danni, previa messa in mora della controparte. Di conseguenza la domanda giudiziale è stata dichiarata improcedibile sul presupposto che mancasse una (valida) messa in mora ai sensi dell'art. 22 della legge 990/1969. La ragazza, nelle more divenuta maggiorenne, e il padre stesso propongono ricorso per cassazione, lamentando l'errore in diritto del primo giudice che ha ritenuto non valida la richiesta stragiudiziale di risarcimento danno che invece, in quanto integra un atto giuridico in senso stretto e, quindi, non un atto negoziale né una proposta transattiva, è valida anche se formulata da un legale in nome e per conto del danneggiato, pur minorenne.

La questione

La questione affrontata è se la incapacità di agire derivante dalla minore età impedisca al soggetto non solo di compiere negozi, quali la stipula di contratti, ma anche di compiere atti giuridici in senso stretto e segnatamente gli atti vantaggiosi.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza della Cassazione muove da una rigorosa distinzione tra negozio ed atto giuridico e rimarca che l'atto giuridico in senso stretto è quell'atto che costituisce il presupposto di determinati effetti giuridici ad esso ricollegati principalmente dalla legge e non direttamente imputabili all'atto di disposizione quale atto di autonomia privata; se l'effetto discende dalla legge, l'atto può essere compiuto anche da un minore perché non presuppone la capacità di agire, purché dall'atto medesimo non derivi al minore un pregiudizio, atteso che il regime della incapacità di agire è preordinato alla tutela del minore. Per questa ragione si devono considerare preclusi al minore gli atti che comportano la perdita di un diritto o l'assunzione di obblighi od oneri, ma non gli atti vantaggiosi.

Rese queste premesse la Corte osserva che la messa in mora dell'assicuratore richiesta dall'art. 22 l. 990/1969 è -per costante affermazione della giurisprudenza- un atto giuridico in senso stretto (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2008 n. 6284; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2000 n. 1444) e, trattandosi di un atto vantaggioso, può essere compito dallo stesso minore; per questa ragione il minore può anche conferire mandato ad un legale di presentare la richiesta di risarcimento danni. Si tratta infatti di un mandato di carattere sostanziale, avente ad oggetto il compimento di atto giuridico stragiudiziale in nome e per conto del mandante (cfr. Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2005, n. 12312; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1997, n. 5531) che non rientra tra quelli che devono essere compiuti necessariamente dai genitori o dal rappresentante legale del minore. Viceversa, è stato anche affermato che se il mandato è conferito dai genitori o dal rappresentante legale, gli atti compiuti dal procuratore estendono il loro effetto favorevole anche oltre il compimento della maggiore età (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2005 n. 12312).

Osservazioni

La legislazione nazionale conosce molti casi in cui il minore è ammesso ad esercitare personalmente i diritti di cui è titolare. All'età di riconoscimento della capacità lavorativa il minore può esercitare i diritti e le azioni relative (art. 2 c.c.); a sedici il minore può riconoscere un figlio (art. 250 c.c.); può chiedere al giudice la nomina di un curatore speciale per l'azione di disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.), o per l'impugnazione dell'avvenuto riconoscimento (art. 264 c.c.); può essere autorizzato a contrarre matrimonio (art. 84 c.c.).

Secondo la tesi sostenuta dai giudici di merito la cui sentenza è stata riformata dalla Cassazione, al di fuori di queste ipotesi al minore sarebbero preclusi tutti gli atti giuridici, secondo una interpretazione strettamente letterale dell'art. 2 c.c. che parla di "atti" e non di "negozi". La tesi è stata disattesa dalla Corte di legittimità, seguendo una lettura teleologica della norma, ed invero la dottrina da tempo sostiene che la capacità d'agire non è necessaria per gli atti non negoziali, che non arrecano pregiudizio e per rispondere dei fatti illeciti, bastando in questi casi la capacità di intendere e di volere (RESCIGNO, Capacità di agire, in Nuovissimo Dig. it., 1957, II)

Nella giurisprudenza non mancano esempi in cui è stata valorizzata la capacità di intendere e di volere del minore piuttosto che la capacità di agire, al fine di fargli conseguire un effetto vantaggioso. Significativa è la giurisprudenza formatasi in materia di possesso, ove si mette in evidenza che per gli atti giuridici volontari non inquadrabili come attività negoziale, qual è la titolarità del rapporto possessorio, è sufficiente la capacità naturale di agire, cioè la capacità di intendere e di volere della quale può essere dotato in concreto anche il minore di età, che di conseguenza può anche acquistare ed esercitare il possesso utile all'usucapione (Cfr. Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1986, n. 6878; Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1986, n. 4072; Trib. Roma 30 dicembre 2002)

Discorso a parte deve poi farsi per i diritti della personalità, per i quali titolarità ed esercizio tendono a coincidere, perché si esprimono soprattutto nelle scelte esistenziali e pertanto non possono essere astrattamente attribuiti al soggetto senza concedergli immediatamente anche la possibilità di esercitarli (GIORGIANNI, In tema di capacità dei minori di età, in Rass. dir. civ. 1987, 110).

Di conseguenza, in questa materia vi è la tendenza ad imporre forti limiti al potere di rappresentanza dei genitori, in particolare in tema di scelte sanitarie e religiose e lasciare spazio alla autodeterminazione del minore (Trib. Milano, 3 marzo 2010; Trib. Catania 12 marzo 2004). Tutte legislazioni moderne, in applicazione dei principi stabiliti dalla principali Convenzioni internazionali in materia di diritti del minore di età, in particolare la Convenzione ONU di New York sui diritti del fanciullo del 1989, mostrano un certo disfavore verso le limitazioni all'esercizio dei diritti della personalità anche quando le limitazioni hanno dichiarate finalità di protezione di soggetti ritenuti non in grado di valutare criticamente le scelte da adottare e le conseguenze che ne possono derivare per l'età immatura, o per altre condizioni di inferiorità psicofisica. Così, anche la legge italiana rimette talune scelte esclusivamente al minore, previa, in alcuni casi, la valutazione della sua maturità (ad esempio in tema di interruzione volontaria di gravidanza prevista dalla l. 194/1978). Inoltre la legislazione italiana distingue tra minore incapace in senso stretto e minore dotato di capacità di discernimento, condizione che è fissata presuntivamente all'età di anni dodici, il cui raggiungimento abilita il minore ad esercitare in prima persona taluni diritti fondamentali come quello di essere ascoltato dal giudice nel procedimento di separazione o divorzio dei genitori (Cass. civ., Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238).

Da qui al riconoscere la capacità di autodeterminazione anche in talune attività di carattere patrimoniale o aventi riflessi patrimoniali, il passo è breve: a parte la capacità di compiere gli atti di negozialità quotidiana (comprare un libro, un abito) la dottrina ha evidenziato come l'autonomia delle scelte, riconosciute al minore nel campo dei diritti fondamentali di libertà, deve essere accompagnata necessariamente dall'idoneità a compiere anche talune attività di carattere patrimoniale, almeno per quei contratti che costituiscono esercizio di corrispondenti diritti personali (Ruscello, Potestà genitoriale capacità dei figli minori: dalla soggezione all'autonomia, in Vita not., 2000, 73). Si fa strada così il riconoscimento di spazi di indipendenza anche in ambito patrimoniale, in ossequio appunto ad esigenze esistenziali del minore.

Anche la richiesta di risarcimento del danno può essere collegata all'esercizio di un diritto della personalità ed cioè il diritto alla integrità psico-fisica: altro è infatti chiedere la reintegrazione del patrimonio diminuito dal fatto illecito del terzo, altro è chiedere una compensazione per la lesione dei diritti della personalità, quale ad esempio la salute. Una conferma di questo indirizzo viene dalla legislazione penale che, al fine di garantire una piena tutela dei diritti dalle altrui illecite aggressioni, riconosce al minore che ha compiuto quattordici anni la capacità di proporre querela (art. 120 c.p.c.)

L'ordinanza in esame è pienamente esplicativa del principio sul quale è fondato l'art. 2 c.c. e cioè che la incapacità di agire è un meccanismo legale di tutela del minore: sarebbe quindi paradossale fare produrre alla norma, in concreto, l'effetto di una interdizione e cioè della esclusione del minore -capace di discernimento- dalla partecipazione alla vita sociale e dalle attività che possono produrre effetti giuridici favorevoli.

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