Legge - 19/10/2017 - n. 155 art. 7 - Procedura di liquidazione giudizialeProcedura di liquidazione giudiziale
1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, per la disciplina delle procedure di liquidazione giudiziale, il Governo si attiene ai principi e criteri direttivi di cui al presente articolo. 2. Il Governo adotta misure dirette a rendere più efficace la funzione del curatore: a) integrando la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure; b) definendo i poteri di accertamento e di accesso a pubbliche amministrazioni e a banche di dati, per assicurare l'effettività dell'apprensione dell'attivo, anche responsabilizzando il debitore; c) specificando il contenuto minimo del programma di liquidazione; d) chiarendo l'ambito dei poteri giudiziali di cui all'articolo 108, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in ipotesi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita; e) attribuendo al curatore, previa acquisizione delle prescritte autorizzazioni, i poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione, assicurando un'adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società nonché idonei strumenti di tutela, in sede concorsuale, degli stessi e dei terzi interessati. 3. Al fine di semplificare la gestione delle procedure meno complesse, le funzioni del comitato dei creditori possono essere sostituite con forme di consultazione telematica del ceto creditorio, anche nelle modalità del silenzio-assenso. 4. La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a: a) escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1; b) far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria, a ritroso, dal deposito della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando il disposto dell'articolo 69-bis, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. 5. Ai fini dell'esercizio delle azioni di responsabilità, il Governo prevede la legittimazione del curatore a promuovere o a proseguire: a) per le società di capitali e per le società cooperative, l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile, l'azione prevista dall'articolo 2476, settimo comma, del codice civile, le azioni di responsabilità previste dall'articolo 2497 del codice civile e le altre analoghe azioni di responsabilità contemplate da singole disposizioni di legge; b) l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali prevista dall'articolo 2394 del codice civile, in caso di violazione delle regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima; c) per le società di persone, l'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore cui non sia stata personalmente estesa la procedura di liquidazione giudiziale. 6. La disciplina dei rapporti giuridici pendenti è integrata: a) limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura; b) prevedendo lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguano con il consenso della controparte; c) dettando un'autonoma regolamentazione del contratto preliminare, anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire. 7. La disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato è coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo. 8. Il sistema di accertamento del passivo è improntato a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, adottando misure dirette a: a) agevolare la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi, anche non residenti nel territorio nazionale, restringendo l'ammissibilità delle domande tardive; b) introdurre preclusioni attenuate già nella fase monocratica; c) prevedere forme semplificate per le domande di minor valore o complessità; d) assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari; e) attrarre nella sede concorsuale l'accertamento di ogni credito opposto in compensazione ai sensi dell'articolo 56 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; f) chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca; g) adeguare i criteri civilistici di computo degli interessi alle modalità di liquidazione dell'attivo di cui al comma 9. 9. L'obiettivo della massima trasparenza ed efficienza delle operazioni di liquidazione dell'attivo della procedura è perseguito: a) introducendo sistemi informativi e di vigilanza della gestione liquidatoria, caratterizzati da trasparenza, pubblicità e obblighi di rendicontazione; b) garantendo la competitività delle operazioni di liquidazione nell'ambito del mercato unitario telematico nazionale delle vendite, caratterizzato: 1) dalla presenza di un ente che certifichi la ragionevole probabilità di soddisfazione dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura aderente al sistema; 2) dalla presenza di un operatore del sistema di regolamento e di compensazione; 3) dal riconoscimento, ai creditori che ne facciano richiesta, di un titolo che li abiliti a partecipare alle vendite dei beni in misura proporzionale alla probabilità di soddisfazione del loro credito, certificata dall'ente di cui al numero 1); 4) dalla presenza di uno o più fondi per la gestione dei beni invenduti; c) introducendo misure volte a garantire all'insolvente i diritti di informazione, accesso e partecipazione, prevedendo che, fatte salve le eventuali limitazioni motivatamente e specificamente fissate dal giudice delegato, all'insolvente medesimo sia assicurata l'informazione sull'andamento della procedura e che lo stesso abbia diritto di accesso agli atti della procedura non coperti da segreto, con possibilità di prenderne visione e di estrarne copia. 10. Al fine di accelerare la chiusura della procedura di cui al presente articolo, sono adottate misure dirette a: a) affidare la fase di riparto al curatore, fatta salva la facoltà degli interessati di proporre opposizione, ricorrendo al giudice; b) integrare la disciplina della chiusura della procedura in pendenza di procedimenti giudiziari, specificando che essa concerne tutti i processi nei quali è parte il curatore, comprese le azioni per l'esercizio dei diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale e dalle procedure esecutive, nonché le azioni cautelari ed esecutive finalizzate ad ottenere l'attuazione delle decisioni favorevoli conseguite dalla liquidazione giudiziale; prevedere in particolare che il curatore conservi la legittimazione esclusiva in relazione ai predetti procedimenti e che, con il decreto di chiusura in pendenza di procedimenti giudiziari, il tribunale disponga sulle modalità del rendiconto e del riparto supplementare nonché sulla determinazione del supplemento di compenso eventualmente spettante al curatore in caso di realizzazione di ulteriore attivo; prevedere che al curatore sia consentito di mantenere aperta la partita IVA anche dopo la chiusura della liquidazione giudiziale in pendenza di procedimenti giudiziari; c) prevedere che, alla chiusura della procedura relativa a società di capitali, nei casi di cui ai numeri 1) e 2) del primo comma dell'articolo 118 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il curatore convochi l'assemblea ordinaria dei soci per le deliberazioni necessarie ai fini della ripresa dell'attività o della sua cessazione, ovvero per la trattazione di argomenti sollecitati, con richiesta scritta, da un numero di soci che rappresenti una percentuale significativa del capitale sociale; d) disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l'attivo. InquadramentoIn data 11 ottobre 2017, è stata approvata dal Senato la legge delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza: l. n. 155 del 19 ottobre 2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 2017, n. 254. I principi e i criteri direttivi di cui si compone il testo normativo delineano un disegno abbastanza preciso dei cardini su cui è destinato ad articolarsi il nuovo diritto della crisi di impresa. Il carattere dettagliato del testo giustifica il tentativo di ricostruire, sin d'ora, un quadro di insieme in cui possa essere già ricompreso il diritto che verrà posto. Vorrei iniziare con il ribadire i limiti del diritto della crisi d'impresa, e quale avrebbe potuto essere la prospettiva della riforma. Più volte ho sostenuto che l'insufficienza di questo diritto, per come oggi si presenta, dipende soprattutto da alcune ragioni di fondo, trascurate nei vari tentativi di ammodernamento della legislazione di settore degli ultimi dieci anni. In primo luogo, va considerata la vetustà dell'impianto normativo del c.d. diritto comune. La legge fallimentare del 1942 (semplicemente novellata a più riprese, ma mai abrogata) risponde ad una impostazione risalente alla codificazione commerciale francese del 1807: di matrice statalista, caratterizzata da un pesante sospetto verso la figura del fallito; orientata esclusivamente all'affermazione di interessi pubblici e subordinatamente alla tutela dei creditori (specie dei creditori garantiti); scarsamente attenta alla conservazione dell'impresa. In questa ottica furono disciplinati nelle legislazioni storiche istituti quasi dovunque abbandonati, come il concordato preventivo e il fallimento. Ossia la procedura di stigmatizzazione dell'insolvenza dell'imprenditore (il fallimento) e la procedura in prevenzione della stessa e delle gravi conseguenze personali connesse (il concordato preventivo): istituti intrinsecamente inidonei a recare un diritto effettivamente nuovo. Parimenti, bisognerebbe seriamente considerare l'insuperata opinabilità del c.d. diritto amministrativo della crisi di impresa (liquidazioni coatta e soprattutto amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi): certamente preoccupato della salvaguardia dell'impresa, ma sottratto al controllo giudiziario e determinato non da logiche di mercato ma da preoccupazioni di natura amministrativa e politica (secondo una soluzione non riscontrabile negli ordinamenti di civiltà affine). Nemmeno dovrebbe sottovalutarsi l'inadeguatezza degli strumenti attualmente fruibili: concordato preventivo, fallimento, amministrazione straordinaria. È sufficiente riflettere che nessuna di queste procedure è stata effettivamente pensata per regolare strategie di corporate restructuring, bensì esclusivamente per la composizione della debitoria dell'imprenditore insolvente. Il perdurante pregiudizio verso il debitore è anche testimoniato dall'assenza – nonostante i recenti tentativi del legislatore – di efficaci strumenti di esdebitazione. Come pure dimostra il notevole insuccesso pratico della procedura di sovraindebitamento, in assenza di strumenti legislativi idonei a stabilire un confine netto tra dolo e sfortuna, c'è spazio esclusivamente per soluzioni di compromesso, che rendono difficilmente praticabile l'obiettivo dell'esdebitazione. Questo stato di cose impedisce di salvaguardare non soltanto la legittima aspettativa dei debitori onesti di avere una seconda occasione sul mercato; ma anche il fascio di interessi inglobati nel fenomeno della continuità aziendale. In primo luogo la salvaguardia dei posti di lavoro secondo compatibilità di mercato; inoltre, la tutela dalle ripercussioni della crisi aziendale di realtà come distretti, indotti e reti, in cui sono coinvolti i fornitori dell'impresa (privi di reale tutela nell'ordinamento italiano, dal che il fenomeno dei c.d. fallimenti a catena); infine, la tutela degli interessi dei finanziatori istituzionali secondo strategie non di mero recupero ma di sostegno a più solidi rapporti di credito (anche attraverso l'adozione di più efficaci protocolli di merito creditizio). Aspetto, quest'ultimo, fondamentale in sistemi incentrati sul finanziamento bancario alle imprese (tanto che in Francia è prevista al riguardo un'apposita procedura di insolvenza, mentre da noi vige esclusivamente la disciplina dell'art. 182 septies l.fall.). Si imporrebbe dunque un ripensamento generale delle strutture della decisione sulla crisi d'impresa (ancora stabilite in Italia secondo il criterio della semplice alternativa tra decisione del tribunale o della p.a. e decisione dei creditori). Potrebbe allora elaborarsi una riforma organica delle procedure concorsuali in linea con le soluzioni accolte nei paesi dell'Europa continentale: attraverso il modello della procedura unica aperta a esiti di ristrutturazione o in alternativa di liquidazione (operante in Germania dal 1996), oppure attraverso la pluralità di modelli di ristrutturazione e di liquidazione a seconda della gravità della crisi aziendale (operante in Francia, compiutamente, dal 2005). Con maggior precisione, può osservarsi che sarebbe opportuno disciplinare il fenomeno della insolvenza societaria. Mentre in altre esperienze, come quella inglese, la corporate insolvency costituisce oggetto di legislazione e studio appositi, il diritto italiano non conosce, se non per semplici norme di dettaglio o di rinvio, regole sull'insolvenza societaria. Questo fatto determina evidentemente gravi difficoltà di coordinamento tra diritto fallimentare e diritto societario. A risentirne sono le possibilità di superamento della crisi: giacché la continuità aziendale presuppone la prosecuzione dell'attività societaria in armonia con le peculiarità del diritto fallimentare e attraverso una precisa disciplina di raccordo (il c.d. diritto societario della crisi). Proseguendo su questa linea, sarebbe inoltre auspicabile considerare, per le crisi compatibili con la continuità aziendale, soluzioni operative in sistemi anglosassoni: come la figura dell'administration (istituto operante in Inghilterra), in cui l'obiettivo di corporate restructuring è perseguito secondo modelli di corporate governance: in breve, sostituendo all'organo amministrativo della società un amministratore giudiziario. Quanto a interventi di minor raggio, sarebbero da rimeditare in radice: il sistema revocatorio (eccessivamente ridimensionato, con grave danno per la distribuzione equa delle perdite nel ceto creditorio); il sistema dei finanziamenti all'impresa in crisi (oggetto di una disciplina alquanto disorganica); il sistema dell'esdebitazione delle persone fisiche (pregiudicato dalle inefficienze delle procedure di sovraindebitamento introdotte negli ultimi anni); il sistema dei reati fallimentari, corrispondente alla originaria struttura della legge fallimentare, ampiamente superata anche secondo la fisionomia attuale di quella legge. In funzione preventiva, dovrebbero poi essere introdotte norme sulla responsabilità degli amministratori per violazione di doveri gestori di ristrutturazione (e non semplicemente di doveri sulla conservazione dell'integrità patrimoniale). Sul curatore (anche riguardo alle azioni di responsabilità)L'art. 7, comma 2, incarica il Governo di adottare misure dirette a rendere più efficiente la funzione del curatore. In primo luogo si prevede di integrare la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure (lett. a)). La regola si inserisce nel solco del divieto di incaricare in procedure di stampo fallimentare professionisti già incaricati in procedura di matrice concordataria. Inoltre si stabilisce l'attribuzione al curatore di poteri di accertamento e di accesso a pubbliche amministrazioni e a banche dati per assicurare l'effettività dell'apprensione dell'attivo, anche responsabilizzando a tal fine il debitore (lett. b)). È poi disposto di specificare il contenuto minimo del programma di liquidazione (lett. c)). A tal riguardo, non può mancare di osservarsi che il principio risponde alla constatata inadeguatezza dei professionisti incaricati di curatele fallimentari di assolvere convenientemente al delicato compito di redigere il programma di liquidazione. Tant'è che diversi tribunali si sono preoccupati di stabilire il contenuto minimo del programma di liquidazione in circolari destinate ai propri curatori. Con questa direttiva è prevedibile che il contenuto di tali circolari si riversi nella nuova legge. Al legislatore delegato è poi affidato il compito di chiarire l'ambito dei poteri giudiziali di cui all'art. 108, comma 2, l.fall. per l'ipotesi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita (lett. d)). È infine attribuito al curatore, previa acquisizione delle prescritte autorizzazioni, il potere di compiere gli atti e le operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società previsti nel programma di liquidazione (lett. e)). L'art, 7, comma 5, in tema di azione di responsabilità, disciplinando la legittimazione del curatore a promuovere o proseguire dette azioni stabilisce - nei fatti - misure dirette a rendere (effettivamente) più efficiente questa funzione gestoria. La legittimazione è attribuita per le azioni di responsabilità relative a società di capitali e per le società cooperative (in particolare per l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali ai sensi dell'art. 2394 c.c.; per l'azione prevista dall'art. 2476, settimo comma, c.c.; per le azioni di responsabilità disciplinate dall'art. 2497 c.c. e per le altre analoghe azioni di responsabilità contemplate dalle singole disposizioni di legge) (lett. a)). La legittimazione è prevista anche per l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori sociali di cui all'art. 2394 c.c. in caso di violazione delle regole di separatezza tra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima (lett. b)). Lo stesso vale per le società di persone con riguardo all'azione sociale di responsabilità nei confronti del socio amministratore a cui non sia stata personalmente estesa la procedura di liquidazione giudiziale (lett. c)). L'innovazione è importante, in quanto consentirà una maggior recupero di risorse considerato l'attivismo dei curatori rispetto al relativo immobilismo degli altri legittimati ad agire (società, soci, creditori). A questa innovazione deve aggiungersi l'altra sulla legittimazione a promuovere azioni di inefficacia, di revocatoria, e di responsabilità in caso di gruppo di società caduto in insolvenza, di cui dirò a breve. Ma, in fin dei conti i principi e criteri direttivi sono tutti di portata contenuta e spesso - eccettuati quelli sulle azioni di responsabilità - di rilievo secondario. Può pertanto concludersi che la riforma organica non tocchi realmente la fondamentale figura del gestore della procedura. Ciò allo stesso modo di come si disinteressa del tribunale e del giudice delegato (se non per quanto concerne le regole sulla specializzazione già esposte in precedenza).
Sulle piccole liquidazioni (e sul comitato dei creditori)L'art. 7, comma 3, è dedicato alla semplificazione della gestione delle procedure meno complesse. L'obiettivo è affidato ad un principio sulla sostituzione delle funzioni del comitato dei creditori con forme di consultazione telematica del ceto creditorio (anche nella modalità del silenzio assenso). La qual cosa sostanzialmente coincide con il risultato di eliminare la voce dei creditori nei piccoli fallimenti. Innovazione che potrebbe avere qualche significato sistematico esponendosi nondimeno a critiche laddove le ragioni di efficienza e di speditezza della procedura si raggiungono sacrificando il diritto di partecipazione dei creditori attraverso l'azione dell'organo esponenziale. Se non fosse che non soltanto nelle procedure di minor rilevo economico, ma più in generale nella stragrande maggioranza dei casi i creditori si disinteressano della gestione (tanto che diviene difficile persino formare il comitato dei creditori, per mancanza di ‘volontari’). Bisognerebbe tuttavia considerare che il principio da un lato si mostra inopportuno nella misura in cui riduce gli spazi di operatività (e di rilevanza) dell’organo esponenziale dei creditori, a vantaggio di improbabili coinvolgimenti di tutti i creditori (che invece si disinteressano volentieri anche della gestione di procedure di notevole complessità); dall’altro, proprio per questo diffuso disinteresse, si rivela inutile nella pratica. Sulle garanzieL'art. 7, comma 4, si propone di potenziare la procedura di liquidazione giudiziale attraverso l'adozione di due misure. La prima misura consiste nell'escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari (prevedendosi in ogni caso che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo) (lett. a)). La novità, ancorché settoriale, non è di poco conto. Oggi l'avvio di una procedura concorsuale produce il divieto di iniziare e proseguire azioni esecutive individuali (art. 51 l.fall.; art. 168, comma 1, l.fall.; art. 18, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999; art. 10, comma 2, l. n. 3 del 2012). Pertanto, l'iniziativa del creditore in sede individuale è mortificata dall'apertura di una procedura collettiva. Un'importante eccezione è tradizionalmente data dal caso della esecuzione individuale avente ad oggetto un credito fondiario. In questo caso il creditore può proseguire l'azione esecutiva intrapresa anche successivamente alla apertura della procedura collettiva (cfr. art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993). Unico onere gravante in via aggiuntiva sul creditore è di sottoporre il proprio credito alla procedura di accertamento dei crediti concorsuali (art. 52, terzo comma, l.fall.). Con la riforma, il privilegio attribuito al creditore fondiario è destinato a venire meno del tutto. L'importanza della novità è però compromessa da un'altra scelta contenuta nella legge delega, sempre in tema di garanzie ma assunta in direzione contraria. Sembra infatti che il delegante non abbia preso in considerazione a tal fine anche i poteri di escursione normalmente pertinenti al titolare di garanzie finanziarie secondo quanto previsto nella legislazione in vigore: a partire dal d.lgs. n. 170 del 2004 fino alle regole sulle garanzie non possessorie di recente introdotta nel nostro ordinamento e pure disciplinate nella legge delega. Va infatti osservato sin d'ora (salvo quanto si aggiungerà più avanti nel capitolo sulle garanzie) che l'art. 11 della legge è dedicato alle garanzie non possessorie, e si compone di principi che ribadiscono sostanzialmente le regole già in vigore (cfr. art. 1 d.l. n. 59/2016, conv., con mod., in l. n. 119/2016). A tal riguardo è appena il caso di notare che è ribadita dall'art. 11, comma 1, lett. d) la prerogativa per il creditore di escutere stragiudiziale la garanzia anche in deroga al divieto di patto commissorio. Dunque, in materia di liquidazione giudiziale, la compressione dei poteri di escussione della garanzia eventualmente contenute in leggi speciali non si estende alle garanzie finanziarie e alle garanzie non possessorie che delle prime costituiscono una evidente evoluzione. La perplessità circa la razionalità del disegno di riforma si amplia considerando, in aggiunta, che queste garanzie sono affrancate non solo dalla procedura concorsuale, ma sono destinate a realizzarsi stragiudizialmente: perciò al di fuori da qualsiasi realtà processuale. Ma su questa contraddizione rinvio al cap. X, dedicato alle garanzie. Sul computo del periodo sospettoLa seconda misura per potenziare la procedura di liquidazione giudiziale è stabilita nell'art. 7, comma 4, lett. b), e consiste nel far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatorie a ritroso dal deposito della domanda di cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando il disposto dell'articolo 69 -bis l.fall. sul computo del termine a ritroso in caso di consecuzione di procedure (concordato preventivo, liquidazione giudiziale). Con questo direttiva finalmente il legislatore prende atto della inadeguatezza della soluzione accolta nella legge in vigore a partire dalla riforma del 2005 di far decorrere il periodo sospetto dalla data di dichiarazione del fallimento (fatta sempre salva l'eventualità della consecuzione delle procedure). Questa regola, in effetti, si pone a notevole distanza dalle soluzioni accolte in ordinamenti vicini, dove è costantemente affermato – a tutela della parità di trattamento dei creditori - il principio del decorso del termine dalla domanda o istanza di apertura della procedura concorsuale e non dal successivo provvedimento di accoglimento della stessa. Sui rapporti pendentiL'art. 7, comma 6, dispone l'integrazione della disciplina dei contratti in corso di esecuzione attraverso regole sulla limitazione della prededuzione da applicarsi in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, ivi compreso l'esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa ai soli crediti maturati nel corso della procedura (lett. a)). La direttiva incrementa il regime speciale per il rapporto contrattuale che prosegue nell'ambito della procedura concorsuale. L'alternativa, valida in via di principio, tra scioglimento del contratto in ragione della decisione del curatore e a causa dell'apertura della procedura concorsuale oppure prosecuzione del rapporto esecutivo secondo le regole del diritto civile insensibili alla procedura concorsuale (se non per la sostituzione all'originario contraente del curatore del suo fallimento) è superata dalla scelta di un regime speciale per il contratto che prosegue in costanza di procedura. È poi stabilito, alla lett. b), con regola generale lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguono con il consenso della controparte (la direttiva esprime un principio già acquisito al vecchio diritto fallimentare). È infine prevista, alla lett. c), un autonoma regolamentazione del contratto preliminare anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire. È facile supporre che l'intervento si limiterà al riassetto delle regole già presenti negli artt. 72 e 72 bis l.fall. in tema di contratto preliminare immobiliare. Sui rapporti di lavoroL’art. 7, comma 7, si occupa della disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato. Impone il coordinamento con la legislazione lavoristica per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità di insinuazione al passivo. La novità è importante perché affronta un problema vivo nella pratica. Resta il fatto che la tutela dei lavoratori è presa direttamente in considerazione solo nella procedura di liquidazione, mentre invece nel concordato preventivo non è riconosciuto alcuno spazio decisionale ai portatori di interessi appartenenti al mondo del lavoro subordinato; e ciò in quanto i lavoratori sono ancora guardati come semplici creditori. Se dunque va registrato un positivo passo in avanti verso la compiuta consapevolezza della complessa realtà dell'impresa, non deve mancarsi tuttavia di sottolineare la strada che resta da fare per giungere alla considerazione del lavoro subordinato come tale nelle procedure concorsuali. Sull’accertamento del passivoL’art. 7, comma 8, si occupa di riordinare il sistema di accertamento del passivo. Affinché sia assicurata una maggiore rapidità, snellezza e concentrazione della procedura, le misure da adottare concernono: i) il potenziamento del profilo telematico nella presentazione delle domande; ii) un più severo vaglio di ammissibilità circa la proposizione di domande tardive; iii) l'introduzione di preclusioni già nella fase monocratica; iv) la previsione di forme semplificate per le domande di minor valore o complessità; v) la stabilità delle decisioni sui diritti reali immobiliari ; vi) l’attrazione nella sede concorsuale dell'accertamento di ogni credito opposto in compensazione al fallimento; vi) il trattamento dei diritti vantati su beni del debitore che si sia costituito terzo datore di ipoteca; vii) l'adeguamento dei criteri civilistici di computo degli interessi alle modalità di liquidazione dell'attivo. Si tratta di disposizioni minute volte a realizzare una serie di ritocchi di natura più che altro processuale, nella speranza di favorire l'economia del procedimento di accertamento del passivo in ragione anche della importanza della istanza rivolta al giudice. Sulla liquidazione dell’attivoL’art. 7, comma 9, persegue l’obiettivo della massima trasparenza ed efficienza delle operazioni di liquidazione dell'attivo. Il fine è perseguito attraverso tre ordini di misure: in primo luogo attraverso l'introduzione di sistemi informativi e di vigilanza della gestione liquidatoria caratterizzati da trasparenza, pubblicità e obblighi di rendicontazione; in secondo luogo per mezzo di misure volte a garantire al debitore diritti di informazione, accesso e partecipazione; in terzo luogo garantendo la competitività delle operazioni di liquidazione nell'ambito del cosiddetto ‘mercato unitario telematico nazionale delle vendite’. Quest'ultimo deve essere caratterizzato: i) dalla presenza di un ente che certifichi la ragionevole probabilità di soddisfazione dei crediti insinuati al passivo di ciascuna procedura aderenti al sistema; inoltre, ii) dalla presenza di un operatore del sistema di regolamento e di compensazione; e infine iii) dal riconoscimento ai creditori che ne facciano richiesta di un titolo che li abiliti a partecipare alle vendite dei beni in misura proporzionale alla probabilità di soddisfazione del loro credito. Sul piano pratico, l'efficienza della procedura di liquidazione si gioca sul terreno della attività di ricostruzione e liquidazione del patrimonio debitore. In particolare, l’attività di liquidazione dei beni mobili ed immobili come può essere occasione di successo della procedura, così il più delle volte è (invece) causa di ritardi ed inefficienze. Ecco allora che l’idea del mercato unitario telematico nazionale potrebbe realizzare un grande passo avanti verso la soluzione del problema. Non meno importante è poi l'introduzione di sistemi informativi e di vigilanza sulla gestione liquidatoria volti a rendere fruibili le informazioni sullo stato delle attività e sulle decisioni assunte dai responsabili delle stesse. Sul piano strettamente giuridico l'innovazione più importante concerne le misure volte a garantire al debitore i diritti di informazione, accesso e partecipazione. È risalente la critica alla legge in vigore per la scarsa attenzione ai diritti del debitore. Egli è pur sempre il titolare del patrimonio esecutato, cosicché dovrebbe avere significative possibilità di partecipazione alla procedura. Proprio l'interesse del debitore alla miglior liquidazione dei propri beni potrebbe infatti incentivare la gestione oculata ed efficiente delle attività di liquidazione. Liquidazione e gruppiL'art. 3, comma 3, fissa principi nell'ipotesi di gestione unitaria della procedura di liquidazione riguardante un gruppo di società. Il legislatore delegato stabilità regole: sulla nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore ma di distinti comitati dei creditori per ciascuna società insolvente (lett. a)); sulla ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole società (lett. b)); sull'attribuzione al curatore, anche nei confronti di società non insolventi del gruppo, del potere di: i) azionare rimedi contro operazioni antecedenti l'accertamento dello stato di insolvenza e dirette a spostare risorse ad un'altra impresa del gruppo in danno dei creditori; ii) esercitare le azioni responsabilità di cui all'art. 2497 c.c.; iii) promuovere la denuncia di gravi irregolarità gestionali nei confronti degli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale; iv) nel caso in cui ravvisa l'insolvenza di società del gruppo non ancora assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale, segnalare tale circostanza agli organi di amministrazione e di controllo ovvero promuovere direttamente l'accertamento dello stato di insolvenza; sulla disciplina di eventuali proposte di concordato liquidatorio giudiziale in conformità a quanto disposto dall'art. 7, comma 10, lett. d) in tema di concordato di liquidazione (lett. d)). Considerata la natura unitaria dell'attività economica realizzata dal gruppo societario, appare del tutto ragionevole l'adeguamento delle liq uidazioni giudiziali, così come abbiamo visto accadere per il concordato preventivo al fenomeno del gruppo. Nella giurisprudenza di merito sono già state avviate da qualche tempo esperienze sulla gestione unitaria di fallimenti relativi a società appartenenti al gruppo. Per ciascun fallimento, anche se non dichiarato nella stessa udienza, sono nominati lo stesso giudice delegato e lo stesso curatore; sovente le varie procedure sono trattate parallelamente. Resta tuttavia intatta l'esigenza di stabilire regole apposite che valorizzino la realtà del gruppo nell'ambito di un'unica procedura in cui le diverse insolvenze societarie possano essere trattate in maniera coordinata. Il coordinamento è garantito dalla separazione delle masse attive e passive ed è presidiato dalla nomina di distinti comitati dei creditori: uno per ciascun ente collettivo in procedura. Allo stesso modo di quanto previsto per il concordato preventivo il legislatore delegato potrà disciplinare le proposte di concordato liquidatorio di gruppo, incentivandone la presentazione da parte di terzi, creditori e da parte di società del gruppo. La disciplina sarà organizzata, nei limiti della compatibilità, conformemente a quella prevista per il concordato preventivo di gruppo. Il profilo più rilevante dell'innovazione è però nelle misure volte ad attribuire al curatore la legittimazione a proporre azioni di conservazione della garanzia patrimoniale e di responsabilità per direzione e coordinamento (ai sensi dell'art. 2497 c.c.) nell'ambito del gruppo caduto in insolvenza e con riguardo alle operazioni poste in essere per spostare risorse dall'una all'altra di dette società. In questo ambito di rafforzati poteri del curatore spicca anche il potere di promuovere l'accertamento dello stato di insolvenza di altre imprese del gruppo, al momento non cadute in liquidazione. Sulla chiusura della liquidazioneL’art. 7, comma 10, assume l'obiettivo di accelerare le operazioni di chiusura della procedura di liquidazione. Sono posti quattro ordini di direttive. In primo luogo, sull’affidamento della fase di riparto al curatore (fatta salva la facoltà degli interessati di proporre opposizione al giudice) (lett. a)). La seconda categoria di misure concerne l'integrazione della disciplina della chiusura della procedura in pendenza di procedimenti giudiziari. Si prevede che essa concerna tutti i processi nei quali è parte il curatore (comprese le azioni per l'esercizio dei diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale e dalle procedure esecutive nonché le azioni cautelari ed esecutive finalizzate ad ottenere l’attuazione delle decisioni favorevoli conseguite dalla liquidazione giudiziale). Si stabilisce che il curatore conservi la legittimazione esclusiva in relazione a tali procedimenti e che con il decreto di chiusura in pendenza di essi il tribunale disponga sulle modalità del rendiconto e del riparto da realizzarsi in via supplementare in ragione della definizione di tali giudizi (lett. b)). Un ulteriore ordine di misure concerne l'ipotesi che il fallimento delle società si definisca per mancanza di passivo o per il soddisfacimento di tutti i crediti ammessi. In tali casi il curatore deve provvedere alla convocazione dell'assemblea dei soci per le deliberazioni in tema di ripresa dell'attività o di cessazione della stessa (lett. c)).
BibliografiaDi Marzio, La riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2017 |