Claims made pura: clausola vessatoria per limitazione della responsabilità o pattuizione delimitativa dell’oggetto del contratto?

22 Gennaio 2018

La clausola claims made pura attraverso cui l'assicuratore si obbliga a coprire il rischio derivante dalle richieste risarcitorie pervenute durante il periodo di validità del negozio è una pattuizione di natura vessatoria poiché volta a limitare o escludere la responsabilità del debitore ovvero è diretta a circoscrivere e specificare l'oggetto del contratto?
Massima

Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola claims made pura che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che la richiesta risarcitoria intervenga entro il periodo di efficacia del contratto, prescindendo, pertanto, dal momento di verificazione del fatto illecito, non assume il carattere vessatorio in quanto la pattuizione non è diretta a limitare o ad escludere la responsabilità del debitore, ma a meglio descrivere l'oggetto del contratto e, nello specifico, ad individuare il rischio assicurato.

Il caso

Il notaio Tizio, aderendo alle condizioni di polizza assicurativa contratta dalla Federnotai con la società Alfa, stipulava un contratto di assicurazione professionale con la stessa attraverso il quale la compagnia assicuratrice, a fronte del pagamento di un premio, si obbligava a tenere indenne l'assicurato dalle richieste risarcitorie pervenute durante il periodo di validità del contratto. Il negozio garantiva pertanto la copertura di tutti i danni potenzialmente già in corso anche se causati da errori professionali commessi in data antecedente al perfezionamento dall'accordo ed escludeva quelli relativi a sinistri denunciati dopo la scadenza della polizza, seppur verificatesi durante la sua vigenza.

Il Tribunale di primo grado statuiva l'inefficacia della suddetta disposizione contrattuale (cd. clausola claims made pura) in quanto la natura vessatoria della stessa imponeva l'obbligo di un'approvazione specifica per iscritto, sottoscrizione non presente nel caso di specie.

La Corte d'Appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, dichiarava la validità della pattuizione in questione in quanto, essendo volta alla copertura dei danni derivanti esclusivamente dalle richieste risarcitorie avanzate durante l'efficacia del contratto di assicurazione, doveva essere inquadrata non già nella categoria delle clausole dirette a limitare o ad escludere la responsabilità del debitore ma fra quelle finalizzate a descrivere l'oggetto del contratto. Di conseguenza, negato il carattere vessatorio del patto, concludeva per escludere la necessità di specifica approvazione per iscritto.

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso principale in Cassazione il notaio Tizio lamentando violazione o falsa applicazione delle norme in punto di contratto di assicurazione e, in particolare, degli artt. 1322, 1341, 1903, 1914, 1917, 1952 c.c. poiché la Corte d'appello avrebbe violato il principio affermato dalla sentenza della Cass. civ. 15 marzo 2005 n. 5624 secondo cui «poiché limita la responsabilità a carico dell'assicuratore predisponente risolvendosi nella mancata copertura di rischi per i quali solitamente ci si assicura, la clausola cosiddetta claims made è vessatoria, sì che per la sua efficacia è necessaria la specifica sottoscrizione da parte dell'assicurato».

La questione

La questione in esame è la seguente: la clausola claims made pura attraverso cui l'assicuratore si obbliga a coprire il rischio derivante dalle richieste risarcitorie pervenute durante il periodo di validità del negozio, escludendo quelle avanzate successivamente alla scadenza del contratto anche se per fatti realizzati durante l'efficacia dello stesso, è una pattuizione di natura vessatoria poiché volta a limitare o escludere la responsabilità del debitore ovvero è diretta a circoscrivere e specificare l'oggetto del contratto?

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza della Corte di Cassazione in commento, confermando la decisone della Corte di Appello, contribuisce al consolidamento di quell'orientamento secondo cui le clausole claims made pure sono pattuizioni dirette a determinare l'oggetto dell'obbligazione generalmente meritevoli di tutela.

La predetta conclusione non è stata affatto pacifica in giurisprudenza fino alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 9140 del 6 maggio 2016; invero sulla questione si contrapponevano due orientamenti.

Secondo alcuni (ad esempio, il Tribunale di primo grado nella presente fattispecie), le clausole di cui sopra costituivano patti accessori di natura vessatoria volti a restringere o ad escludere, sotto il profilo quantitativo, spaziale o temporale, la responsabilità di uno dei contraenti. L'adesione a tale posizione, da un punto di vista logico, presuppone l'accertamento, da un lato, dell'intervenuta conclusione di un contratto avente un oggetto determinato e, dall'altro, del vantaggio per una parte di beneficiare di una limitazione di responsabilità rispetto a quella, di più ampia estensione, derivante da precetti normativi o da altre clausole generali. La disciplina giuridica applicabile prevede pertanto l'invalidità di tale clausola nei confronti del contraente aderente in assenza di una di lui specifica approvazione scritta.

Alla luce di una differente ricostruzione giuridica, un secondo orientamento reputava la pattuizione in questione delimitativa dell'oggetto poiché, precisando il rischio garantito, specificava l'effettiva estensione delle reciproche prestazioni dedotte in obbligazione. Tale linea di pensiero è stata condivisa dall'ordinanza della Suprema Corte in commento la quale, ritenendo la decisione appellata conforme all'ultimo arrivo della giurisprudenza di legittimità, ha espressamente considerato la clausola diretta a coprire tutte le richieste di risarcimento pervenute durante il periodo di validità del contratto attinente all'oggetto del contratto in quanto «garantisce la copertura di tutti i danni potenzialmente già in corso, anche se causati da errori professionali precedentemente commessi e non ancora conosciuti quanto alle conseguenze dal professionista». Ciò detto, la Cassazione ha compiuto un passo ulteriore asserendo che le clausole claims made pure sono tendenzialmente meritevoli di tutela poiché dirette a produrre effetti vantaggiosi e svantaggiosi per entrambe le parti contrattuali. Nel caso di specie, l'effetto svantaggioso per l'assicurato consisterebbe nella mancata copertura assicurativa per fatti illeciti verificatisi prima della scadenza del contratto la cui richiesta sia intervenuta dopo la scadenza stessa, mentre quello vantaggioso avrebbe ad oggetto la copertura assicurativa dei danni prodottisi prima della stipulazione del contratto la cui richiesta risarcitoria sia avvenuta durante la vigenza del medesimo.

La Corte di Cassazione ha quindi ritenuto corretto lo scrutinio di meritevolezza della clausola da parte della Corte di Appello.

Osservazioni

Preliminarmente è opportuno evidenziare che per oggetto del contratto si intende le prestazioni che le parti sono tenute a fare, a non fare, a dare o non dare alla luce del negozio stipulato, mentre per clausole limitative della responsabilità ci si riferisce alle pattuizioni volte a limitare o ad escludere le conseguenze della colpa o dell'inadempimento oppure che eliminano il rischio garantito. Alla luce della suddetta definizione, la pronuncia della Suprema Corte è certamente condivisibile in punto di qualificazione giuridica della clausola claims made pura.

Nel merito, si osserva che per esserci una limitazione di responsabilità è necessario che vi sia una responsabilità prevista più estesa da restringere: nel caso di specie si rileva che, effettuando “un giudizio controfattuale” e cioè eliminando dal negozio giuridico stipulato la clausola in questione, non si ottiene un'espansione della responsabilità del contraente proponente, così come dovrebbe accadere nel caso in cui si fosse in presenza di una clausola limitativa della responsabilità. Invero, siffatta eliminazione mentale genera un accordo all'interno del quale non è dato comprendere a quali prestazioni le parti si siano obbligate e dunque nullo per indeterminatezza dell'oggetto: si è perciò in presenza di clausola determinativa dell'oggetto del contratto.

Nello specifico, tale pattuizione individua esattamente cosa le parti si sono obbligate a fare: l'aderente pagare il premio ed il proponente tenere indenne l'assicurato dalle richieste risarcitorie pervenute durante il periodo di vigenza del contratto.

Non è di ostacolo alla ricostruzione di cui sopra il fatto che il comma 1 dell'art. 1917 c.c. individui uno schema contrattuale tipico in cui l'obbligo indennitario dell'assicuratore sorga in relazione a tutti i fatti accaduti durante la vigenza dell'assicurazione a prescindere dalla richiesta altrui. Infatti, l'art. 1932 c.c., escludendo l'inderogabilità della disposizione normativa suddetta, permette alle parti di disporre liberamente del contenuto del negozio giuridico da stipulare e consente, pertanto, la conclusione di contratti atipici, come è qualificabile quello contenente clausole claims made pure.

Alla luce di quanto detto, dunque, non si potrà discorrere di vessatorietà della clausola ma solo di meritevolezza del contratto ai sensi dell'art. 1322 c.c., imponendosi una valutazione comparativa ad esito positivo tra la libertà di iniziativa economica e l'utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana così come previsto dall'art. 41 Cost. Anche sotto questo aspetto l'ordinanza in commento è condivisibile poiché la Corte, ponderando gli effetti derivanti dall'intervenuto contratto, ha ritenuto l'inesistenza di squilibri significativi fra le obbligazioni contratte, di buchi di garanzia ovvero di comportamenti violativi di disposizioni fondamentali in quanto le prestazioni concordate hanno comportano vantaggi e svantaggi reciproci e bilanciati. A tale considerazione si deve aggiungere che, anche qualora vi fosse stato uno squilibrio contrattuale astrattamente non meritevole di tutela, ritenere sic et simpliciter la nullità del relativo contratto per mancanza del requisito essenziale della causa non è così scontato. Infatti, è ipotizzabile il perfezionamento di una pluralità di contratti che se valutati individualmente sarebbero nulli per causa non meritevole di tutela ma che, invece, considerati complessivamente danno vita al fenomeno del collegamento negoziale la cui causa concreta supera il vaglio di meritevolezza. Tale accertamento dovrà essere compiuto dal giudice di merito nel limite (ovviamente) delle allegazioni di parte.

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