RC auto: e se fallisce il proprietario del veicolo durante il giudizio risarcitorio?

Enrico Basso
31 Gennaio 2018

RC auto: se fallisce il proprietario del veicolo durante il giudizio risarcitorio? La domanda contro il fallito e il suo assicuratore diventa improseguibile avanti al giudice ordinario, a meno che…
Massima

Nell'ambito del giudizio risarcitorio promosso dal danneggiato nei confronti del responsabile e del suo assicuratore, il fallimento del primo in corso di causa comporta l'improseguibilità di qualsiasi domanda nei confronti di entrambi, salva l'ipotesi in cui lo stesso danneggiato, dopo aver riassunto il giudizio nei confronti dell'assicuratore e della curatela, non rinunci a ogni pretesa nei confronti del fallimento ovvero dichiari formalmente che la richiesta condanna nei confronti del fallito deve intendersi eseguibile solo nell'ipotesi in cui questi dovesse tornare in bonis.

Il caso

Tizio, proprietario e conducente di un motociclo, ha un incidente stradale con Caio, mentre questi si trova alla guida del furgone di Sempronio. Avendo subito dei danni, Tizio cita in giudizio Sempronio e la sua compagnia di assicurazioni Alfa, nonché il conducente Caio. Nel corso del giudizio di primo grado, Sempronio è dichiarato fallito; il giudizio si interrompe e viene poi riassunto -tale e quale- nei confronti di Alfa Assicurazioni, di Caio (conducente) e della curatela del fallimento di Sempronio (responsabile). Il Tribunale, riconosciuta la prevalente responsabilità di Caio e in parziale accoglimento della domanda attrice, condanna tutti i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno e alla refusione delle spese di lite. A questo punto, Tizio impugna la sentenza di primo grado per ottenere un risarcimento più ampio, rinunciando però alla domanda nei confronti della curatela, che resta contumace. La Corte d'appello dichiara la domanda improcedibile, nonostante la rinuncia alla domanda nei confronti del fallimento, ritenendo che -stante il litisconsorzio necessario tra responsabile del danno e assicuratore- non sia possibile procedere all'accertamento nei confronti della sola Alfa Assicurazioni e che, quindi, l'intera causa vada devoluta al tribunale fallimentare. Tizio ricorre allora in Cassazione, affidandosi a un solo motivo costituito dalla violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 95 l. fall. e art. 23 l. n. 990/1969 .

La questione

Si premette che, nella fattispecie in esame, risulta applicabile, ratione temporis, l'art. 23 l. n. 990/1969 (“Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti”), legge interamente abrogata dall'art. 354, comma 1, d. lgs. n. 209/2005. La norma citata prevedeva un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra assicuratore e responsabile del danno, nel caso in cui il danneggiato esercitasse l'azione diretta contro il primo a norma dell'art. 18 nel giudizio promosso contro l'assicuratore, a norma dell'articolo 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno»).Tuttavia, anche nel vigente Codice delle assicurazioni private esiste una disposizione di analogo tenore: l'art. 144, comma 3, prevede, infatti, che «nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno». La scomparsa del termine “deve” non significa che sia venuta meno l'ipotesi di litisconsorzio necessario: la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sul punto anche in tempi recenti (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord. 20 settembre 2017 n. 21896; Cass. civ., sez. III, sent. 22 novembre 2016 n. 23706), ribadendo la necessità che il responsabile del danno sia evocato in giudizio insieme all'assicuratore, affinché possa essergli opposto l'accertamento della condotta colposa, in vista dell'azione di regresso. Pertanto, i principi giuridici enunciati nell'ordinanza in commento paionoapplicabili anche nel vigente quadro normativo.

I) Chiarito questo aspetto, la prima questione affrontata dal Supremo Collegio verte sulla retta applicazione del principio, da tempo pacifico in giurisprudenza, secondo cui, nel sistema attualmente delineato dagli artt. 52 e 95 della legge fallimentare, ogni pretesa a contenuto patrimoniale svolta nei confronti di un soggetto fallito deve essere azionata -a pena di improcedibilità- attraverso il procedimento c.d. “endofallimentare” dell'accertamento del passivo (cfr. Cass. civ. Sez. Un., 6 luglio 1979, n. 3878; Cass. civ., Sez. Un., 10 dicembre 2004, n. 23077). Tale principio, inteso a presidiare la par condicio creditorum, oggi non subisce eccezioni nemmeno in presenza di azioni che comportino il necessario intervento di più litisconsorti: infatti, in esito alla riforma della legge fallimentare (che non prevede più l'opposizione allo stato passivo nelle forme dell'ordinario processo di cognizione), viene impedito il simultaneus processus nei confronti del fallito e dei litisconsorti, perché nell'attuale rito è sicuramente esclusa la presenza di parti estranee al fallimento in un procedimento che, comunque si voglia individuarne l'oggetto, non prevede pronunce di condanna, o anche solo di accertamento, destinate ad avere efficacia in ambito extra concorsuale nei confronti del litisconsorte in bonis (cfr. Cass. civ., sez. III, Sent. 26 giugno 2012 n. 10640; Cass. civ., sez. I, Sent. 5 agosto 2011 n. 17035).

II) Una seconda, interessante questione trattata dalla Cassazione nell'ordinanza in commento riguarda la necessità di coordinare il principio di improponibilità dell'azione di condanna contro la curatela in sede extrafallimentare(rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio) con il sistema delle impugnazioni e con la disciplina del giudicato. Nel caso di specie il danneggiato, dopo aver riassunto il giudizio di primo grado anche nei confronti della curatela, aveva ottenuto dal Tribunale la condanna di quest'ultima, in solido con gli altri convenuti, al risarcimento del danno patito da Tizio e solo successivamente, con la citazione in appello, aveva rinunciato alla domanda nei confronti del fallimento; talché pare legittimo il dubbio che una siffatta rinuncia non fosse tardiva, la stessa dovendo esser fatta, per spiegare effetto, sin dalla riassunzione del giudizio di primo grado.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto riguarda la prima questione, la giurisprudenza di legittimità è ormai propensaa ritenere che, qualora in corso di causa fallisca il responsabile del danno (i.e. il proprietario del veicolo il cui conducente abbia causato il sinistro), l'azione diretta divengaimprocedibile/improseguibile avanti al giudice ordinario e che il danneggiato si trovi di fronte a una scelta: proporre la domanda nei confronti del (solo) fallito mediante istanza di ammissione al passivo avanti al tribunale fallimentare, oriassumere il giudizio interrotto nei confronti dell'assicuratore e della curatela (pur sempre litisconsorte necessaria avanti al giudice ordinario), ma rinunciando a ogni pretesa nei confronti del fallimento -ovvero dichiarando formalmente che la richiesta di condanna nei confronti del fallito deve intendersi eseguibile solo nell'ipotesi in cui questi dovesse tornare in bonis.

Questa seconda opzione, si noti, è possibile in quanto la previsione dell'art. 52 non opera in rapporto alle azioni di mero accertamento (cfr. ord. 27756/2017) perché, non essendo questefinalizzate a una condanna della curatela,non son neppure idonee a incidere sulla massa e, in ultima analisi, a influire sulla par condicio creditorum:si trattadi azioni finalizzate soltanto a conseguire un accertamento della responsabilità opponibile al proprietario del mezzo, ove questi dovesse tornare in bonis (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 8 gennaio 2016 n. 128).

L'ordinanza in commento, sul punto, si allinea con un orientamento ormai consolidato (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2016, n. 128; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10640; Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2011, n. 17035), valorizzando la circostanza che l'appellante aveva espressamente dichiarato di rinunciare alla domanda nei confronti della curatela, con ciò dovendosi escludere la vis attractiva della procedura fallimentare, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello.

II) Per quanto riguarda la seconda questione trattata -cioè la necessitàdi coordinare il principio di improponibilità dell'azione di condanna contro la curatela in sede extrafallimentare conil sistema delle impugnazioni e la disciplina del giudicato- la Corte richiama, allineandosi, il precedente di Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2014, n. 1115, secondo cui «il vizio procedimentale, ove non dedotto come motivo di gravame, resta superato dall'intervenuto giudicato, senza che - in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione e in armonia con il principio della ragionevole durata del processo - possa ulteriormente dedursi nelle successive fasi del giudizio» (in senso conforme, v. Cass. civ., sez. I, 19 aprile 2002, n. 5725; nella giurisprudenza di merito, più recentemente,Trib. Padova, 26 luglio 2016).

Per buona sorte del danneggiato, infatti, nel caso di speciela curatela non si è costituita in appello,così rinunciando a eccepire la nullità del capo della sentenzache la condannava in solido con gli altri convenuti. Conseguentemente, tale statuizione, ancorché emessa da un giudice funzionalmente incompetente,è rimasta copertadal giudicato implicito e ciò ha precluso alla Corte d'appello la possibilità di rilevarne d'ufficiola nullità; quanto al resto, la domanda dell'appellante era assolutamente procedibile, attesa l'intervenuta rinuncia alla domanda di condanna della curatela (già inopinatamente accolta in primo grado).

Osservazioni

Potrebbe esser utile, a parere di chi scrive, interrogarsi sulle modalità con le quali il danneggiato, in sede di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela del responsabile fallito e del suo assicuratore, debba rinunciare alla domanda di condanna nei confronti della prima o dichiarare che la condanna nei confronti del fallito deve intendersi eseguibile solo nell'ipotesi in cui questi dovesse tornare in bonis. La rinuncia alla domanda verso il fallito non sembra porre problemi, rientrando senz'altro tra i poteri del difensore, a differenza della rinuncia all'intera azione cherichiede un mandato ad hoc (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2016, n. 128; Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2013, n. 28146).

Alcuni dubbi potrebbero sorgere, invece, su come l'attore in riassunzione possa validamente dichiarare che la condanna nei confronti del fallito debba intendersi eseguibile solo nell'ipotesi in cui questi dovesse tornare in bonis. Una simile dichiarazione non può che competere alla parte o a un suo procuratore speciale, esulando evidentemente dal mandato ad litem. Determinando la procedibilità della domanda, pare al sottoscritto che la stessa, debitamente sottoscritta dalla parte, possa trovare una corretta collocazione in calce all'atto di riassunzione, con l'accortezza di farne adeguata menzione anche nelle conclusioni rassegnate nell'atto e in quelle successive, che saranno precisate nel corso del giudizio e nei gradi successivi.

Tuttavia, in assenza di specifiche disposizioni normative o anche solo di una consolidata prassi giurisprudenziale, si ritiene doveroso evidenziare che l'interpretazione offerta sul punto è tutt'altro che certa; e, nell'invitare chi legge alla massima cautela, auspico che questo mio modesto intervento possa costituire l'occasione per aprire un confronto con i Colleghi e i Magistrati per far chiarezza a beneficio di tutti gli operatori giuridici.

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