Il caso fortuito nella circolazione stradale

Giovanni Gea
05 Febbraio 2018

Lo scoppio accidentale dello pneumatico di un veicolo con i requisiti del caso fortuito, ha effetti liberatori per l'esercente un'attività pericolosa anche laddove non dimostri di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Massima

Anche nell'ipotesi in cui l'esercente un'attività pericolosa, come l'organizzazione di un “giro turistico” per autocaravan, non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito e l'attitudine, da sola, a causare l'evento, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, producendo effetti liberatori.

Il caso

Un'Associazione di camperisti, organizzatrice di un “giro turistico” per autocaravan sulle strade sterrate dell'Islanda, conveniva in giudizio Tizio, incaricato dalla medesima Associazione di prestare assistenza meccanica durante il predetto tour, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali relativi all'esborso sostenuto per noleggiare un'autovettura in luogo del fuoristrada dello stesso Tizio, rimasto gravemente danneggiato a seguito di un incidente, a proprio dire, ascrivibile a sua esclusiva colpa.

Tizio si costituiva in giudizio chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda attorea ed, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni patrimoniali relativi all'esborso sostenuto per la riparazione del proprio fuoristrada rimasto gravemente danneggiato a seguito del predetto incidente ascrivibile, a proprio dire, a colpa dell'Associazione per omessa verifica del percorso di viaggio.

Il Tribunale di Gorizia respingeva la domanda attorea ed accoglieva, invece, la domanda riconvenzionale di Tizio mentre la Corte d'Appello di Trieste, adita dall'Associazione, accertato che il sinistro si era verificato a causa dello scoppio accidentale dello pneumatico del fuoristrada di Tizio che aveva interrotto il nesso causale tra l'evento e l'attività dell'Associazione, rigettava entrambe le domande compensando integralmente tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, Tizio ricorreva in Cassazione.

La questione

Nell'ambito della circolazione stradale e, parimenti, nell'esercizio di un'attività pericolosa, il caso fortuito, consistente in quell'avvenimento caratterizzato da autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità, che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto impedendogli di superare, in termini di umana capacità, l'evento dannoso, qualora rappresenti l'unica causa che lo abbia determinato, fa venir meno la presunzione di colpa stabilita dagli artt. 2050 e 2054 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, corregge la motivazione della sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui la stessa ha negato la natura pericolosa, ex art. 2050 c.c., dell'attività di organizzazione del “giro turistico” a mezzo di autocaravan poiché errata alla luce di quanto già precisato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015 n. 8620 (che riprendendo taluni argomenti già spesi dalla Corte di Cassazione con la sentenza Cass. civ., 24 gennaio 2000 n. 749, ha affermato che la circolazione dei veicoli costituisce un caso particolare di attività pericolosa, avendo il legislatore costruito la disciplina dell'art. 2054 c.c. come applicazione particolare della regola generale posta dal precedente art. 2050 c.c.)

Secondo la Corte di Cassazione, dunque, la Corte d'Appello avrebbe dovuto qualificare come pericolosa l'organizzazione del predetto “giro turistico” di autocaravan essendo volta alla realizzazione del concreto programma proprio della circolazione su strada di più veicoli con maggiore ingombro rispetto alle ordinarie autovetture ed in correlazione e coordinamento tra loro.

Così corretta la motivazione della sentenza impugnata, la Corte di Cassazione, respinge in ogni caso il ricorso di Tizio ribadendo, conformemente al proprio consolidato orientamento, il principio secondo cui per l'affermazione della responsabilità dell'esercente un'attività pericolosa è indispensabile che si accerti il nesso di causalità tra l'attività ed il danno patito dal danneggiato; a tal fine, deve ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto, e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento (Cass. civ., 22 luglio 2016 n. 15113).

Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'esercente un'attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito, cioè l'eccezionalità e l'oggettiva imprevedibilità, e sia idonea, da sola, a causare l'evento, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo (Cass. civ., 10 marzo 2006 n. 5254; Cass. civ., 13 marzo 2007 n. 5839; Cass. civ., 5 gennaio 2010 n. 25).

Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, la Corte d'Appello, dopo aver compiuto l'accertamento, riservato al giudice di merito, concernente il nesso eziologico e, quindi, la sussistenza stessa del caso fortuito, era correttamente giunta alla conclusione che il danno al veicolo fuoristrada di Tizio era stato provocato dallo scoppio accidentale di uno pneumatico, dovuto ad un impatto con una pietra presente sul tracciato stradale, evidenziante dunque l'insussistenza del nesso di causa tra l'omesso controllo del tracciato stradale da parte dell'organizzatore del “giro turistico” e l'evento dannoso, ascritto a fattore fortuito insorto improvvisamente e in modo imprevedibile.

In tal modo, il giudice d'appello aveva dunque correttamente fondato il proprio convincimento sulle risultanze di causa e, segnatamente, sugli esiti della prova testimoniale per cui la motivazione era da ritenersi tutt'altro che apparente e/o insanabilmente contraddittoria né, tantomeno, affetta dal vizio di omesso esame di un fatto storico decisivo.

Osservazioni

La Corte di Cassazione, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2015 n. 8620, secondo cui sia il veicolo, che la sua guida - non già singolarmente intesi, ma nella loro interazione - costituiscono i due elementi caratterizzanti la “pericolosità” della circolazione, sia essa statica o dinamica, in considerazione della prevedibilità del danno che ne può derivare a persone e cose) ha qualificato l'organizzazione del giro turistico de quo come attività pericolosa.

Non è, infatti, una novità l'orientamento secondo cui la disciplina dell'art. 2054 c.c. costituisca un'applicazione della regola generale posta dal precedente art. 2050 c.c., se si pone mente al fatto che la circolazione dei veicoli era già stata considerata dal Legislatore un caso particolare di attività pericolosa, come risulta espressamente affermato nella Relazione ministeriale al codice civile, laddove, nello spiegare il trattamento dettato per le attività pericolose (art. 2050 c.c.), era stato affermato che «il principio consacrato nell'art. 120 del testo unico delle disposizioni per la tutela delle strade e per la circolazione 8 dicembre 1933, n. 1740, riprodotto nell'art. 2054 c.c., è stato esteso a tutte le attività che possono creare pericolo per i terzi» (sub n. 795); successivamente, nell'illustrare l'art. 2054 c.c. (sub n. 796) era stato ribadito che, «dettata nell'art. 2050 c.c., la regola generale sopra esposta, di essa si fa applicazione nell'art. 2054 c.c., ove si regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli, già disciplinata nell'art. 120 C.d.S.».

In effetti, l'art. 120 C.d.S. del 1933 è stato sostanzialmente trasposto nell'art. 2054 c.c. e, nel contempo, se ne è ricavata una norma generale (l'art. 2050 c.c.), con la conseguenza che la circolazione dei veicoli concreta una species rispetto al genus delle attività pericolose, come è confermato dall'identità della prova liberatoria per il superamento della presunzione di responsabilità, prevista rispettivamente dall'art. 2050 c.c. (che richiede la dimostrazione di «avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno») e dall'art. 2054 c.c., comma 1, (che richiede la dimostrazione di «aver fatto tutto il possibile per evitare il danno»).

Per tale motivo, le Sezioni Unite ritengono di poter trarre, sulla scorta dell'inquadramento della responsabilità di cui all'art. 2054 c.c., come una sottospecie dell'art. 2050 c.c., e della correlativa individuazione della ratio legis, la conclusione della pericolosità della circolazione dei veicoli.

Del resto, il comma 4 dell'art. 2054 c.c. non è altro che l'espressione del rischio insito nella circolazione dei veicoli il quale prevede una responsabilità oggettiva superabile dalla prova dell'interruzione del collegamento causale dell'evento dannoso con la circolazione del veicolo, attraverso la dimostrazione dell'esistenza del caso fortuito (fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, abbia determinato il verificarsi del danno) ovvero dell'inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione (Cass. civ., 21 maggio 2014, n. 11270).

Venendo, quindi, al punto nodale della questione esaminata dal Supremo Collegio con la sentenza in commento, merita sottolineare come, nel nostro ordinamento, il caso fortuito è espressamente previsto nel codice penale con riferimento al nesso di causalità (artt. 45 e 40 c.p.).

I principi ivi esposti trovano applicazione nel diritto civile ove sono recepiti in diversi istituti, tra cui le obbligazioni extracontrattuali da fatto illecito, quando ricorrono quelle peculiarità che ne connotano il concetto (eventi naturali o fatti eccezionali di terzi o dello stesso danneggiato ai quali il singolo non può opporsi o superarli nel suo accadimento straordinario, al di là della normale prevedibilità ed evitabilità).

La Suprema Corte ha sottolineato che il caso fortuito, al pari della colpa del danneggiato o del terzo e della forza maggiore, qualora rappresenti l'unica causa che abbia determinato l'evento dannoso, fa venir meno la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2054 c.c. in tema di danni derivanti dalla circolazione e dall'art. 2050 c.c. in tema di danni derivanti dall'attività pericolosa.

Non si risponde, infatti, per colpa extracontrattuale, di un fatto non preveduto e che, secondo la comune esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure prevedibile.

Si aggiunge che le caratteristiche del caso fortuito devono essere consistenti ed avere il carattere rigoroso dell'eccezionalità, in quanto, comportando un'esimente di responsabilità che crea uno squilibrio con il diritto del danneggiato ad essere risarcito, vanno valutate con estrema prudenza: il giudice dovrà, quindi, sottoporre ciascuna fattispecie ad un esame approfondito, da effettuarsi caso per caso, ed il suo apprezzamento circa la prevedibilità e l'evitabilità, o meno, dell'evento, al fine di escludere o di ammettere il caso fortuito, è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass. civ., 6 giugno 2006, n. 13268).

Secondo la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, lo scoppio improvviso dello pneumatico di un veicolo, per poter operare come caso fortuito, non deve essere collegato alla colpa concorrente del conducente, ad esempio per l'usura della gomma medesima, perché in tal caso verrebbero meno la sua assoluta imprevedibilità ed inevitabilità (Cass. civ., 7 giugno 1983, n. 5447; Trib. Milano, 30 gennaio 1995).

Nondimeno, il rapido e non colpevole afflosciamento di un pneumatico determinato da una improvvisa foratura da chiodo integra gli estremi del caso fortuito, di cui all'art. 45 c.p., nel caso si verifichi un incidente per la repentina ed irresistibile deviazione del veicolo; infatti, attualmente tale ipotesi, seppur solo astrattamente prevedibile, può ritenersi in concreto non più prevedibile e certamente non evitabile al pari dell'improvviso malore del conducente e del colpo di sonno patologico (Cass. pen., sez. IV, sent. 7 giugno 1983 n. 5473).

Tuttavia, in senso contrario, si è affermato che ai fini della configurabilità del caso fortuito, di cui all'art. 45 c.p., il facile sgonfiamento di uno pneumatico usurato, a tal punto da rimanere privo di battistrada, e, quindi, più esposto a lacerazioni o forature non costituisce l'evento imprevedibile o imprevisto richiesto (Cass. pen., sez. IV, 2 maggio 1983, n. 3988; Cass. pen., sez. IV, 25 maggio 1983, n. 4766).

In conclusione, va affermato, dunque, che se lo scoppio dello pneumatico non è dovuto a cause provenienti dall'omessa manutenzione o vizi di costruzione ovvero da responsabilità dell'esercente un'attività pericolosa, come l'organizzazione di un giro turistico per autocaravan, per le condizioni del tracciato stradale, il danneggiato non potrà ottenere alcun risarcimento.

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