Danno da lesione della capacità lavorativa generica. É possibile un'autonoma valutazione del “danno della casalinga”?

Francesco Meiffret
16 Febbraio 2018

A seguito dell'accertamento di una grave invalidità permanente, la lesione della capacità lavorativa generica e la lesione della capacità lavorativa specifica di un soggetto non percettore di reddito deve essere provata da quest'ultimo o può essere considerata presunta sulla scorta della gravità dell'invalidità?
Massima

In tema di danni alla persona, l'invalidità di gravità tale da non consentire, per la sua entità (nella specie del 25%), la possibilità di attendere a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, non rientra nel c.d. danno biologico, ma costituisce un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance da valutarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c. Tale voce di danno non è in re ipsa, ma la sua prova può essere fornita mediante presunzioni.

Il risarcimento per lesione della capacità lavorativa specifica può essere riconosciuto non solo al danneggiato che, al momento del sinistro, già svolgeva un'attività, ma anche a soggetti che erano in procinto di entrare nel mondo di lavoro purché venga fornita la prova, anche tramite presunzioni, della specifica attività lavorativa che avrebbero svolto se non si fosse verificato l'evento.

Il caso

La ricorrente aveva presentato ricorso in Cassazione dopo che entrambi i gradi di merito avevano limitato il suo risarcimento al solo danno biologico derivante dall'invalidità permanente nella misura del 25%, senza accogliere le domande per il risarcimento per la lesione della capacità lavorativa specifica (LCLS) e generica (LCLG).

La Corte d'Appello aveva rilevato che la sola lesione dell'integrità psicofisica non comportava necessariamente la lesione della capacità lavorativa specifica e generica: la danneggiata, al momento del sinistro, non svolgeva alcuna attività lavorativa e non era stata fornita la prova che in futuro non avrebbe potuto svolgere la professione di geometra, quella che aveva scelto di intraprendere in base al suo corso di studi. La sola lesione dell'integrità psicofisica non comportava, inoltre, l'automatico riconoscimento della riduzione della possibilità di svolgere qualsiasi altra attività lavorativa. Non era stata fornita, infine, nemmeno la prova che l'invalidità avrebbe comportato una maggiore difficoltà nell'attendere alle mansioni di casalinga.

La tesi prospettata dalla ricorrente, invece, si basava sull'assunto che una volta riconosciuto, come nel suo caso, una grave invalidità fisica permanente la lesione della capacità lavorativa generica, il c.d. danno da casalinga e la lesione della capacità lavorativa specifica potevano essere accertate in via presuntiva dal giudice sulla base di un giudizio prognostico.

La questione

A seguito dell'accertamento di una grave invalidità permanente, la lesione della capacità lavorativa generica e la lesione della capacità lavorativa specifica di un soggetto non percettore di reddito deve essere provata da quest'ultimo o può essere considerata presunta sulla scorta della gravità dell'invalidità? Il cd “danno da casalinga” è una voce ulteriore rispetto alla lesione della capacità lavorativa generica?

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza rafforza un orientamento andato consolidatosi nell'ultimo periodo e, per questo motivo, il ricorso è stato accolto per manifesta fondatezza.

La Suprema Corte rileva che la menomazione dell'attitudine di un soggetto, non percettore di reddito al momento del sinistro, allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa che astrattamente potrebbe esercitare avuto riguardo all'età, alle condizioni fisiche e al percorso di studi compiuto, non costituisce una componente del danno biologico, ma è una voce di danno patrimoniale che deve essere risarcita in via equitativa (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 12 giugno 2015, n. 12211 con nota di DI MARZIO M., Contrordine! La perdita da lesione della capacità lavorativa generica si cumula al danno biologico e patrimoniale, in Ridare.it).

Il risarcimento da lesione da capacità lavorativa generica mira a compensare la perdita di concorrenzialità del soggetto sul mercato del lavoro. Se la ratio di tale voce di danno non è mai stata messa in dubbio, lo stesso non può dirsi per la sua collocazione all'interno di una delle due macro categorie di danno, patrimoniale o non patrimoniale.

L'orientamento prevalente, sino al 2013, era che la lesione della capacità lavorativa generica non fosse una voce di danno autonomamente risarcibile, bensì una lesione dell'integrità psicofisica del danneggiato che rientrava, quindi, nella liquidazione del danno biologico (cfr. ex plurimis, Cass. civ., sez. III, sent. 25 settembre 2014, n. 18161). Con la sentenza della Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2013, n. 908, per la prima volta veniva evidenziata la contraddizione logico giuridica nel ricomprendere nel danno non patrimoniale una voce di danno che si basava sulla diminuzione della capacità reddituale del soggetto a causa delle ridotte capacità lavorative.

La lesione della capacità lavorativa generica non è altro che una perdita di chance la quale, sulla base dell'orientamento consolidatosi dalla Cass. civ., sez. III, sent. 4 marzo 2004, n. 4400, costituisce un autonomo bene giuridico risarcibile. La definizione giuridica di perdita di chance consiste nel pregiudizio che scaturisce dall'impossibilità, a causa dell'evento lesivo, di raggiungere un obbiettivo la cui realizzazione è incerta.

Osservazioni

L'ordinanza in commento, seppur succintamente motivata tramite il richiamo a precedenti conformi, non è scevra di spunti di riflessione.

Dalla lettura delle motivazioni si evince che la Suprema Corte rinvia alla Corte d'Appello al fine della quantificazione del risarcimento non solo della lesione della capacità lavorativa generica, ma anche di quello della lesione della capacità lavorativa specifica. Il richiamo a specifici precedenti in merito alla lesione della capacità lavorativa specifica (Cass. civ., 23 agosto 2011, n. 17514; Cass. civ. 7 novembre 2005, n. 21497) lascia, quindi, presupporre che alla ricorrente debba essere riconosciuto detta voce di danno, nonostante, al momento del sinistro, risultasse inoccupata.

La Suprema Corte ha ritenuto provato che, senza il sinistro, la ricorrente avrebbe svolto la professione di geometra. Questa statuizione si basa sul fatto che la danneggiata non aveva potuto partecipare, a causa del sinistro, all'esame per l'abilitazione da geometri e neppure avrebbe potuto sostenerlo in futuro per via dei postumi invalidanti.

Rinviando la decisione nel merito alla Corte d'Appello in altra composizione, la Suprema Corte non affronta il problema di quali indici si debbano utilizzare per quantificare, in via presuntiva, il risarcimento del danno. In questo caso il giudicante non può basarsi sui redditi precedentemente percepiti nell'esercizio della professione, poiché questa non era ancora iniziata.

Dall'altra parte la Suprema Corte nulla dispone in merito alla specifica censura della ricorrente di non poter svolgere l'attività di casalinga.

È ormai costante l'orientamento in base al quale le mansioni svolte dalla casalinga siano suscettibili di valutazione economica e, quindi, la menomazione e la riduzione della possibilità di svolgerle siano risarcibili (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. III, sent. 24 aprile 2015, n. 8403).

In alcune pronunce è stato evidenziato che nella quantificazione del danno alla capacità lavorativa della casalinga, non deve essere esclusivamente valutato il valore economico delle prestazioni domestiche facendo, per ipotesi, un mero raffronto con le tabelle orarie retributive stabilite nel CCNL Colf-badanti, ma deve essere altresì considerato l'attività di coordinamento e gestione della vita familiare (Cass. civ., sez. III, sent. 11 dicembre 2000, n. 15580). Non meno rilevanti sono quelle pronunce della Suprema Corte nella quali ha acutamente rilevato un profilo di copertura costituzionale della tutela del lavoro della casalinga (Cass. civ., sez. III, sent. 3 marzo 2000, n. 4657). Quest'ultima esercita un ruolo che rientra nel campo di applicazione dell'art. 4 Cost., sia in relazione al comma 1, che evidenzia come il nostro ordinamento debba tutelare qualsiasi forma di lavoro, sia in relazione al comma 2, sul presupposto che la scelta di mettere a disposizione le proprie energie lavorative a favore della famiglia contribuisce al progresso materiale e sociale della società. Il medesimo orientamento evidenzia che l'art. 37 Cost. prevede che alla lavoratrice debba essere concessa la possibilità di svolgere la sua essenziale funzione familiare.

Non meno rilevanti sono quegli arresti che hanno evidenziato come non si debba prendere in considerazione, nella quantificazione del risarcimento, esclusivamente il beneficio che soggetti terzi traggono dallo svolgimento delle mansioni domestiche, ma si debba anche valutare l'utilità diretta che ricava colei (colui) che le esegue (Cass civ., sent. 3 marzo 2005, n. 4657). Questa importante precisazione è rilevante tanto nella quantificazione del danno della casalinga quanto in quella dei c.d “single” che, prima del sinistro, svolgevano in autonomia tutte quelle operazioni che vengono incluse nell'espressione gergale “faccende domestiche”.

Dal punto di vista processuale la casalinga (quindi anche il single), deve dimostrare che il sinistro le ha impedito o le ha reso più gravoso lo svolgimento del lavoro domestico. Detta prova può essere fornita anche tramite presunzioni qualora la lesione fisica sia di rilevante entità. Deve provare, inoltre, che, prima del sinistro, svolgeva autonomamente tali incombenze.

La Suprema Corte ha, forse, ritenuto non opportuno considerare questo ulteriore profilo di danno onde evitare una possibile duplicazione del risarcimento sotto il profilo della lesione della capacità lavorativa generica, che comporterebbe non una compensazione del danno subito, bensì un arricchimento. A parere di chi scrive, tale ulteriore fattispecie di danno avrebbe dovuto essere riconosciuta una volta accertato che dalle menomazioni riportate derivi l'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita, senza l'assistenza di un soggetto terzo. Il danno da casalinga (o da single) è un quid diverso dalla lesione delle potenzialità lavorative: il ristoro non compenserebbe i minori introiti lavorativi, bensì le maggiori spese che la danneggiata sarà costretta a sostenere per le necessità di tutti i giorni, quali fare la spesa, cucinare, fare le pulizie ecc.

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