Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 10 - Le parti 1 2 .

Salvatore Labruna
Ruggero Davide Labruna

Le parti12.

1. Sono parti nel processo dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado oltre al ricorrente, l'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, gli altri enti impositori, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che hanno emesso l'atto impugnato o non hanno emesso l'atto richiesto. Se l'ufficio e' un'articolazione dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuata con il regolamento di amministrazione di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e' parte l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso 3

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 55 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Articolo modificato dall'articolo 28, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 e successivamente sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera c), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Inquadramento.

Il comma unico dell'articolo in esame, al primo periodo, elenca specificamente tutti quei soggetti che possono divenire parti (legitimatio ad causam) del processo tributario, in particolare menzionando – oltre al «ricorrente» (attore processuale nel c.p.c.), parte privata promotrice della «vocatio iudicis» («vocatio in jus» nel c.p.c.) – gli uffici dell'Agenzia delle Entrate (che ha incorporato quella del Territorio ed Equitalia s.p.a., sostituita nelle funzioni di riscossione nazionale di cui all’art. 3, comma 1, d.l. n. 203/2005, conv. con modif., con l. 248/2005, dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione») e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, altri residuali enti impositori di tributi – come indicati nell'art. 2, comma 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992 – o emittenti degli atti di cui all'art. 19, stesso decreto, oggetto della giurisdizione tributaria, l'Agente della Riscossione ed infine i soggetti privati, titolari di munus pubblicum per essere stati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni. Tali parti pubbliche entrano nel processo tributario come «resistenti» [convenuti, nel c.p.c.] per aver autoritativamente emesso atti unilaterali nell'esercizio del proprio potere impo-esattivo-riscossivo – o anche per aver negato l'atto richiesto — dando luogo (edictio actionis) ad una controversia di impugnazione d'atto, propedeutica all'accesso al merito del sotteso rapporto d'imposta.

Al secondo periodo viene precisato che, nel caso in cui l'atto impugnato sia stato emesso – o non emesso, in caso di diniego – da un'articolazione interna dell'Agenzia delle Entrate, parte processuale sarà l'ufficio direttamente competente per il rapporto d'imposta dedotto in giudizio (es. la direzione provinciale competente per territorio).

La versione originaria dell'articolo come pubblicato in Gazzetta Ufficiale si limitava a prevedere in maniera più concisa che «Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto ovvero, se l'ufficio è un centro di servizio, l'ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso».

Successivamente l'art. 28, comma 2, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con modificazioni dalla l. 30 luglio 2010, n. 122) col secondo periodo ne ha modificato il disposto prevedendo che, per contrastare la micro-evasione diffusa derivante dall'inadempimento dell'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, le attività di accertamento automatizzate (eseguite mediante procedure informatiche di verifica intrinseca alla stessa dichiarazione presentata e controllo incrociato con le banche dati connesse all'Anagrafe tributaria) fossero attribuite ad apposite articolazioni dell'Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con relativo regolamento di amministrazione di cui all'art. 71, comma 3, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300; quest'ultimo verrà deliberato – su proposta del direttore dell'Agenzia – dal comitato di gestione e successivamente sottoposto al Ministro vigilante col fine precipuo di disciplinare l'organizzazione dell'Agenzia stessa, dettare le norme per la formazione professionale del personale, fissare le dotazioni organiche complessive e determinare le regole per l'accesso alla dirigenza.

Pertanto, l'articolo in vigore dal 31 maggio 2010 era stato così modificato: «Sono parti nel processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio del Ministero delle finanze o l'ente locale o il concessionario del servizio di riscossione che ha emanato l'atto impugnato o non ha emanato l'atto richiesto ovvero, se l'ufficio è un centro di servizio o altre articolazioni dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all'art. 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell'ambito della dotazione organica prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell'Agenzia, l'ufficio delle entrate del Ministero delle finanze al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso».

Infine, l'art. 9, comma 1, lettera c, del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ha sostituito l'art. 10 individuando in maniera più specifica i singoli soggetti che possono divenire parti pubbliche del processo, chiarendone denominazione e – in alcuni casi – base normativa; in particolare l'Agenzia delle Entrate, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (istituite dall'art. 63 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300), gli altri enti impositori, l'Agente della Riscossione e i soggetti iscritti all'albo per esercitare la liquidazione e l'accertamento dei tributi, nonché la riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni (previsto all'art. 53 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446), plasmando la norma nella sua attuale versione.

Parti nel processo tributario

Sono parti nel processo tributario, da un lato la parte privata intimata-ricorrente e dall'altro, la parte pubblica impositrice-resistente che ha emanato l'atto impugnato ovvero che non ha emanato l'atto richiesto.

La Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E del Ministero delle Finanze – sebbene di commento ad una versione della norma ormai superata – compie una prima analisi dell'articolo, chiarendo come con tale disposizione il legislatore fondamentalmente abbia inteso individuare i soggetti aventi la capacità di essere parte nel processo tributario.

In primo luogo la norma prende in considerazione il ricorrente, parte attiva del processo in quanto titolare dell'azione e promotore dell'impugnazione (legitimatio ad causam).

La Cass. VI, ord. n. 106/2015, pronunciandosi ancora in tema di corretta applicazione del previgente art. 35 d.P.R. n. 636/1972, ha riaffermato un orientamento che continua ad essere ricorrente anche nella recente giurisprudenza di legittimità tributaria (cfr., solo nei mesi immediatamente precedenti, le pronunce nn. 7321, 7662, 7950, 8817, 8825, 9130, 9150, 13141, 14421, 15670, 20051, 20444, 22265, 24080, 25077, 26836, 26855): il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito, perché indirizzato non solo alla demolizione –totale o parziale- dell'atto impugnato ma anche ad una eventuale conseguente pronuncia sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento emesso dall'amministrazione finanziaria, quantificando, ove occorra, la corretta misura della pretesa tributaria in contestazione, entro i limiti del petitum. In effetti, fin dalla sentenza Cass. n. 16171/2000, la giurisprudenza della Suprema Corte ha costantemente ritenuto quello tributario un processo di impugnazione-merito, intendendo con tale locuzione l'impugnazione dell'atto impositivo come preliminare «veicolo d'accesso» al successivo giudizio di merito, nella misura in cui tale fase di merito fosse stata oggetto di domanda, per il principio dispositivo di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato; la domanda di annullamento per vizi formali propri dell'atto impugnato è dirimente rispetto alla ulteriore cognizione di merito sul rapporto tributario sotteso e dà luogo ad una pronuncia caducatoria di annullamento di tipo costitutivo-demolitorio (priva di alcun obbligo di conformazione al giudicato). Infatti, senza voler affrontare la vetusta teoria —secondo alcuni autori già inconciliabile con la riforma del 1992, sebbene ancora richiamata da alcune pronunce (Cass. n. 7360/2011 e Cass. n. 20054/2006) — che vede l'accertamento come provocatio ad opponendum, sia ove si opinasse per un'obbligazione tributaria nascente dal provvedimento d'accertamento, al quale attribuire efficacia costitutiva, sia se, diversamente opinando, si facesse derivare dalla legge e l'accertamento tributario avesse efficacia dichiarativa, il regolamento sostitutivo giurisdizionale invocato non potrebbe comunque prescindere da un «veicolo d'accesso» non demolito dalla preliminare deliberazione; ciò perché la prospettazione che vede l'impugnazione-merito come foriera di un obbligo per il giudice di procedere sempre e comunque in via sostitutiva all'accertamento dell'obbligazione tributaria, sottende una impostazione del processo tributario di tipo inquisitorio, contraria a quella dispositiva inequivocabilmente fissata dall'art. 30, comma 1, lett. g), della legge delega 30 dicembre 1991, n. 413.

Vista la natura del contenzioso tributario quale processo di impugnazione-merito (e non di mera impugnazione-annullamento), il soggetto legittimato all'azione introduttiva del giudizio è la parte privata dell'obbligazione tributaria, ovvero il contribuente (inteso come soggetto attivo/passivo del rapporto d'imposta dedotto, diverso dalla parte pubblica), sia quando reagisce ad un atto emesso dall'ufficio sia quando agisce per ottenere giudiziariamente l'emissione di un atto richiesto (come rimborso/restituzione di crediti/versamenti indebiti oppure ottemperanza ad una sentenza di condanna a lui favorevole); mentre ricorrenti possono essere anche soggetti diversi dal contribuente (es. il notaio, per l'imposta principale di registro, insieme alla parte contraente ex Cass. n. 18493/2010; il destinatario della sanzione, diverso dall'obbligato per il tributo o l'avvocato antistatario/difensore distrattario, come titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la controparte), tali non possono mai essere gli enti impositori, che non hanno bisogno di ricorrere all'A.G. per l'esecuzione dei propri atti autoritativi (idonei ex se all'imposizione unilaterale di effetti giuridici, anche senza il consenso dei soggetti destinatari). Infatti, la parte pubblica esegue i propri atti impositivi, dotati di quella particolare forza giuridica, detta autoritatività (o autoritarietà od anche imperatività, come le sentenze giudiziarie) che è immanente nell'esercizio del potere impo-esattivo tributario, attribuito istituzionalmente.

Nel giudizio di ottemperanza, la legittimazione attiva è della "parte che vi ha interesse”, normalmente quella privata vittoriosa nel giudizio di cognizione con una pronuncia di condanna (nonché dei suoi eredi o aventi causa ai sensi dell'art. 2909 c.c.), accompagnata da una legittimazione sostitutiva riconosciuta ai suoi eventuali creditori che possono esperire un'azione surrogatoria qualora l'inerzia della parte privata vittoriosa, loro debitrice (nonché creditrice del fisco) possa avere riflessi negativi sulla garanzia, di cui all'art. 2740 c.c. L'art. 2900 c.c., infatti, prevede l'azione surrogatoria come mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, consentendo al creditore (surrogante) di sostituirsi al debitore (surrogato) nell'esercizio di diritti che quest'ultimo vanta verso terzi (debitor debitoris) ma che trascura al punto da far temere una insolvenza nei confronti del proprio creditore (surrogante). Il cessionario del credito i.v.a. (nella specie, mandatario irrevocabile all'incasso da titolare di credito i.v.a. a seguito di procedura esecutiva, proposta nei confronti di contribuente ed ufficio i.v.a.) che aveva partecipato al giudizio di merito da cui è derivata la pronuncia da ottemperare ha interesse e legittimazione a proporre il giudizio di ottemperanza (Cass. n. 1544/2002).

L'efficacia in senso stretto (attitudine a produrre gli effetti giuridici prefissati voluti) costituisce presupposto dell'esecutività (attitudine a porre in essere tutte le attività materiali necessarie alla concreta esecuzione del provvedimento, senza alcun intervento giudiziario) alla quale, ove espressamente prevista, si accompagna l'esecutorietà (attitudine all'esecuzione coattiva anche contro la volontà dell'esecutato; v. art. 49 d.P.R. n. 602/1973, che attribuisce all’Agente della riscossione l’iniziativa e la gestione dell’esecuzione forzata tributaria, svincolata dall’intervento dell’ufficiale giudiziario e del giudice dell’esecuzione). L'ente impositore procede motu proprio alla formazione del titolo esecutivo tributario (che può contenere anche il precetto nel c.d. atto impo-esattivo ex art. 29 d.l.  n. 78/2010, conv. con modif.,  in l. n. 122/2010 e modificato dall’art. 5 d.lgs. n. 159/2015, per gli accertamenti sulle Imposte sul Reddito, IRAP ed IVA) con le forme dell'esecuzione esattoriale; , nei casi diversi dagli atti impo-esattivi (la felice definizione è di C. Glendi) l’ente impositore procede mediante iscrizione a ruolo e successiva notifica della cartella di pagamento ex artt. 36-bis e/o 36-ter d.P.R. n. 600/1973 (controllo automatizzato e/o formale della dichiarazione sui redditi), ex art. 54-bis d.P.R. n. 633/1972 (controllo automatizzato della dichiarazione IVA), ex art. 1, c. 412, l. n. 311/2004 (liquidazione dell’imposta sui redditi a tassazione separata) ed ex art. 43, c. 1, d.P.R. n. 602/1973 (recupero di somme erroneamente rimborsate). Per la riscossione dei tributi locali ex art. 52, c. 6, d.lgs. n. 446/1997, procede con l'ingiunzione fiscale prevista dall’art. 2 r.d. n. 639/1910.

Si aggiunga che la configurazione impugnatoria di tale giudizio produce l'effetto naturale che l'intimato-ricorrente ne sia attore processuale, anche se resta convenuto sotto il profilo sostanziale, con tutte le ripercussioni che ne derivano, quale, in ordine all'onere della prova, quella che sarà necessariamente l'ente impositore che ha emanato l'atto impugnato – o non ha emanato quello richiesto — a dover provare i fatti costitutivi su cui si fonda la propria pretesa (Consolo e Glendi, 125).

Va ricordato che ai sensi dell'articolo 18, comma 2, lett. c), la parte resistente, attore sostanziale della controversia, deve essere sempre indicata nel ricorso, a pena di inammissibilità.

La novella introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156 ha aggiornato la obsoleta – già non più tassativa – definizione delle parti pubbliche, inserendo la locuzione: «gli altri enti impositori», ovviamente riferita a quelli competenti per i tributi indicati nell'art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992; di cui si controverte. Per gli atti autoritativi emessi dalle articolazioni dell'agenzia delle entrate — individuate con il regolamento di amministrazione di cui all'art. 71, d.lgs. n. 300/1999 — competenti su tutto o parte del territorio nazionale, viene precisato che la legitimatio ad causam è riconosciuta non all'ufficio che ha emesso l'atto ma all'ufficio titolare delle attribuzioni sul rapporto controverso. Ad esempio, ex art. 5, comma 10 stesso regolamento: «I centri operativi svolgono in via esclusiva attività specialistiche e a carattere seriale in ordine alle quali ragioni di economia di scala ed esigenze di maggiore efficacia ed efficienza nell'utilizzo delle risorse disponibili rendano conveniente modalità di lavorazione accentrata. Curano inoltre, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, le attività di controllo e di accertamento di cui all'articolo 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Conseguentemente, per il contenzioso relativo agli atti emessi nello svolgimento delle attività di cui al periodo precedente è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso e il predetto ufficio è, altresì, parte nel processo dinnanzi alle Commissioni tributarie. Per il contenzioso che deriva dallo svolgimento di tutte le altre attività attribuite ai centri operativi resta ferma la competenza della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione hanno sede i centri e questi ultimi sono parte nel processo innanzi alle Commissioni tributarie».

Comunque, come norma di chiusura, l'art. 66, comma 3, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 così dispone: «L'articolazione degli uffici, a livello centrale e periferico, è stabilita con disposizioni interne...» (Statuto dell'Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato Direttivo n. 6 del 13 dicembre 2000 ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21 marzo 2011, nonché il Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 ed aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27 dicembre 2012, all'art. 5, commi 5 e 6) secondo le quali: «i poteri e le competenze dei dirigenti degli uffici delle entrate e dei preesistenti uffici distrettuali delle imposte dirette, provinciali dell'imposta sul valore aggiunto e del registro sono attribuiti ai dirigenti degli uffici locali dell'Agenzia.».

La norma attuale menziona anche l'Agente della riscossione (sostituendo la precedente locuzione: «concessionario del servizio di riscossione»), lasciando immutata la precedente questione relativa alla corretta individuazione del legittimato passivo nei casi in cui l'atto impugnato sia un atto di riscossione — come quelli previsti dall'art. 19, comma 1, lett. d), e), e-bis), ed e-ter) — direttamente riferibile all'Agente ma espressione di una pretesa sostanzialmente riferibile all'ufficio impositore.

Secondo un'interpretazione letterale dell'art. 10, legittimato passivo sarebbe l'Agente della Riscossione, soggetto che in prima persona «ha emesso l'atto» –ovvero la cartella di pagamento– impugnato dal contribuente; tuttavia la pretesa impositiva portata a riscossione con il medesimo atto resta riferita ad un altro soggetto, ossia il titolare del potere impositivo che ha prodotto il titolo per l'iscrizione a ruolo esattoriale, presupposto necessario, ex art. 12 d.P.R. n. 602/1973, della cartella impugnata.

A tal fine assume valenza dirimente la riconducibilità, ad uno dei due distinti soggetti, dei vizi che il contribuente intende far valere con il ricorso. Infatti, i motivi di impugnazione possono riguardare vizi propri dell'atto di riscossione (es. vizio di notifica), laddove la parte legittimata a partecipare al processo è senza dubbio l'Agente della Riscossione, oppure possono riguardare il titolo dell'iscrizione a ruolo, in tal caso legittimato a resistere sarà l'ente che ha avanzato tale pretesa; in ultima analisi l'Agente della Riscossione è parte del processo tributario quando i motivi di impugnazione siano a lui direttamente opponibili, nel senso di errori imputabili esclusivamente alla sua condotta, l'ufficio che ha prodotto il titolo per l'iscrizione a ruolo esattoriale, negli altri casi, come per i ricorsi contro cartelle di pagamento emesse ex artt. 36-bis e/o 36-ter d.P.R. n. 600/1973 (controllo automatizzato e/o formale della dichiarazione sui redditi), ex art. 54-bis d.P.R. 633/1972 (controllo automatizzato della dichiarazione IVA), ex art. 1, c. 412, l. n. 311/2004 (liquidazione dell’imposta sui redditi a tassazione separata) ed ex art. 43, c.1, d.P.R. n. 602/1973 (recupero di somme erroneamente rimborsate) (v. anche supra).

Nel caso in cui tale ricorso per vizi dell'atto impositivo presupposto, sia stato proposto solo nei confronti dell'Agente (che è comunque legittimato passivo ad causam per essere il soggetto che ha emesso l'atto impugnato, come previsto dal testo dell'art. 10), ai sensi del lapidario art. 39 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112: «Il concessionario [nunc: l’Agente della riscossione], nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l'ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite», ed in deroga al divieto di far valere in giudizio diritti altrui in nome proprio, sancito dall'art. 81 del c.p.c., graverebbe sull’Agente che ha emesso l'atto impugnato - l'onere di chiamare in causa l'Ufficio impositore, perché la parte in causa che intenda rivalersi - in caso di soccombenza - nei confronti di un terzo, deve comunicare l’inizio della causa affinché costui possa valutare se intervenire volontariamente. in quanto non ricorre nei motivi di litisconsorzio necessario. Tale litis denuntiatio non è esercitabile in via officiosa dal giudice ma solo in via dispositiva dalla parte, che dovrebbe comunque costituirsi e chiedere al giudice l'integrazione del procedimento con la chiamata dell'ente impositore. Ciò al fine di rendere opponibile la sentenza che ha definito il giudizio all'ufficio impositore, terzo chiamato in causa quale creditore, titolare del rapporto sostanziale controverso, la cui riscossione coattiva è affidata ex lege all'agente della riscossione, mero adiectus solutionis causa (Cass. S.U. n. 16412/2007 e Cass. n. 97/2015).

In effetti, l'omessa chiamata in causa dell'ufficio impositore non incide affatto sul processo in corso (Cass. S.U., n. 16412/2007, cit. e  Cass. S.U., n. 5791/2008; ex multis anche Cass. n. 12223/2010 e Cass. n. 22314/2014) ma solo sull'obbligo per l'Agente di riscossione di risarcimento del danno a tale creditore; pertanto, attesane la natura sostanziale – e non processuale — consegue che si possa comunicare al creditore la pendenza della lite ed i motivi di ricorso con qualunque modalità idonea, in via extraprocessuale, volta a consentirgli la resistenza con un intervento volontario ex art. 14 d.lgs. n. 546/1992, entrando nel processo con tutte le preclusioni eventualmente già maturate.

Si aggiunga che solo grazie all'emanazione del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 si è posto rimedio ad un anacronismo che è rimasto all'interno del Codice del contenzioso tributario per più di 10 anni; difatti in seguito alla legge 15 marzo 1997, n. 59 (cosiddetta «Legge Bassanini-semel»), attuata dal d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, vi è stato un importante cambio di rotta nelle modalità di azione del Governo, caratterizzato dalla nuova creazione di differenti enti amministrativiad hoc – dotati di personalità giuridica propria – cui trasferire limitate competenze ministeriali con le relative strutture periferiche in un'ottica di separazione tra attività strettamente operative e compiti di coordinamento, controllo e indirizzo.

Così, nonostante l'avvicendamento delle Agenzie fiscali al Ministero delle Finanze nella funzione di accertamento delle entrate erariali e della loro conseguente riscossione – nonché la correlata rappresentanza nella fase contenziosa – avvenuto ufficialmente l'1 gennaio 2001 (art. 73, comma 4, periodo 2 del d.l. 30 luglio 1999, n. 300), riservando al Ministero solo un controllo di portata generale sui risultati di gestione, la versione originaria dell'articolo in esame continuò a fare riferimento a «l'ufficio del Ministero delle finanze»; il conseguente difetto di coordinamento venne in un primo momento ovviato in via interpretativa tramite provvedimenti di indirizzo (Circ. 28 maggio 2010, n. 27/E dell'Agenzia delle Entrate) e successivamente rimediato in maniera definitiva tramite la sopra-citata novella all'art. 28, comma 2 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 che ha aggiunto all'articolo il disposto «altre articolazioni dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione di cui all'articolo 71 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nell'ambito della dotazione organica prevista a legislazione vigente e anche mediante riorganizzazione, senza oneri aggiuntivi, degli Uffici dell'Agenzia» (La Rosa).

Di conseguenza, ad ora, le Agenzie, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico, sono soggetti distinti dall'amministrazione statale, e a loro spetta in via esclusiva la legittimazione processuale, sia nei processi di merito avanti le Commissioni Tributarie (Provinciali e Regionali) che nel processo di legittimità avanti la Suprema Corte.

Tutti gli uffici periferici dell'Agenzia delle entrate hanno la capacità di stare in giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, e si configurano quali suoi organi, che ne hanno la rappresentanza, sicché, come è valida la notifica ad un ufficio anziché ad un altro, trattandosi di un mero errore d'individuazione dell'organo deputato a ricevere l'atto, è ammissibile l'appello notificato ad un ufficio territoriale diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato (Cass. ord. n. 1113/2015).

Ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, la notifica della sentenza può essere eseguita nei confronti della parte pubblica individuata dall'art. 10, d.lgs. n. 546/1992 e, quindi, presso la sede centrale dell'Agenzia o presso l'ufficio periferico che ha emanato (o non ha emanato) l'atto, a prescindere dalla scelta meramente organizzativa circa la modalità di costituzione nel precedente grado di giudizio (che può avvenire, ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 546 del 1992, mediante il Direttore generale, mediante l'ufficio periferico che ha emanato l'atto o mediante l'ufficio del contenzioso della Direzione regionale delle entrate), atteso che l'alternativa, prevista dall'art. 17, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, tra la notifica a mani proprie o presso il domicilio eletto opera in via generale nei confronti di tutte le parti (in applicazione di tale principio, la S.C. ha fatto decorrere il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. dalla notifica della sentenza effettuata presso l'ufficio periferico che aveva emanato l'atto opposto, pur avendo partecipato al giudizio di appello la Direzione regionale delle entrate) (Cass. n. 18936/2015).

La contestazione della pretesa tributaria attuata mediante impugnazione dell'iscrizione ipotecaria conseguente ad una cartella di pagamento può essere svolta direttamente nei confronti dell'ente impositore creditore e l'agente della riscossione è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa, mentre se l'azione è proposta nei confronti dell'agente, questi, se non vuole rispondere dell'esito eventualmente sfavorevole della lite, ha l'onere di chiamare in causa l'ente impositore creditore, in quanto non ricorre nei motivi di litisconsorzio necessario, le cui ipotesi devono essere «espressamente contemplate dalla legge» (ex art. 81 c.p.c.), sicché l'erronea individuazione del legittimato passivo non determina l'inammissibilità della domanda (Cass. n. 97/2015; contraria: C.t.r. Lazio n. 118/2007). In tema di rimborso delle imposte sui redditi, disciplinato dall'art. 38, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, la presentazione di un'istanza di rimborso ad un organo diverso da quello territorialmente competente a provvedere costituisce atto idoneo non solo ad impedire la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso, ma anche a determinare la formazione del silenzio-rifiuto impugnabile dinanzi al giudice tributario, sia perché l'ufficio non competente (quando non estraneo all'Amministrazione finanziaria e, nella specie, coincidente con una diversa direzione regionale) è tenuto a trasmettere l'istanza all'ufficio competente, in conformità delle regole di collaborazione tra organi della stessa amministrazione, sia alla luce dell'esigenza di una sollecita definizione dei diritti delle parti, ai sensi dell'art. 111 cost. (Cass. n. 4773/2009). L'omessa notificazione di un atto presupposto è un vizio procedurale che determina l'illegittimità dell'intero processo di formazione della pretesa tributaria e comporta la nullità dell'atto consequenziale. È a discrezione del contribuente la scelta fra l'impugnazione del solo atto consequenziale, per ottenerne la declaratoria di nullità, o l'impugnazione cumulativa anche dell'atto presupposto non notificato per contestare il fondamento della pretesa tributaria. In entrambi i casi, essendo investita la validità del processo di formazione della pretesa tributaria, la legittimazione passiva spetta all'ente impositore, tuttavia è compito dell'agente della riscossione chiamarlo in causa, senza alcun obbligo di agire nei confronti del primo a carico del contribuente né di integrazione del contraddittorio a carico del giudice (Cass. S.U. n. 16412/2007). Nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, lo statuto del Comune — ed anche il regolamento del Comune, ma soltanto se lo statuto contenga un espresso rinvio, in materia, alla normativa regolamentare — può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell'ambito dei rispettivi settori di competenza, quale espressione del potere gestionale loro proprio, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico — amministrativa del Comune, fermo restando che, ove una specifica previsione statutaria (o, alle condizioni di cui sopra, regolamentare) non sussista, il sindaco conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi dell'art. 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267. In particolare, qualora lo statuto (o, nei limiti già indicati, il regolamento) affidi la rappresentanza a stare in giudizio in ordine all'intero contenzioso al dirigente dell'ufficio legale, questi, quando ne abbia i requisiti, può costituirsi senza bisogno di procura, ovvero attribuire l'incarico ad un professionista legale interno o del libero foro (salve le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l'ente locale può stare in giudizio senza il ministero di un legale), e, ove abilitato alla difesa presso le magistrature superiori, può anche svolgere personalmente attività difensiva nel giudizio di cassazione (Cass. n. 12868/2005).

Nozione generale di parte

Per intendere correttamente il significato del termine «parte» si dovrà necessariamente partire dai risultati già raggiunti in proposito dalla più autorevole dottrina nel campo civile (in particolare quella formatasi attorno al Titolo III del Libro I c.p.c. sulle parti e difensori) nei limiti di quanto compatibile, stante le evidenti particolarità del contenzioso tributario, ove è sempre necessariamente parte – direttamente o indirettamente –una Pubblica Amministrazione; tale soluzione è supportata anche dall'art. 1, comma 2, rinvio dinamico, insieme al successivo art. 49, al Codice di Procedura Civile per ogni necessaria integrazione al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Secondo la disciplina generale del processo civile, possiamo intendere il termine parte puramente in senso formale, individuando il soggetto che agisce nel processo compiendo i relativi atti (primo tra tutti la proposizione della domanda), oppure in senso sostanziale come il soggetto titolare (attivo o passivo) del diritto controverso; normalmente le due posizioni sono coincidenti, ma non è raro che si presentino differenziate (Del Torchio).

Per acquisire la qualifica di parte in senso formale è sufficiente proporre una domanda o esserne il destinatario, indipendentemente dalla titolarità del rapporto concreto dedotto, che rileva invece al fine della qualifica di parte sostanziale.

Atteso il citato rinvio dinamico al processo civile, la legittimazione ad agire spetta a colui che si afferma titolare della situazione giuridica soggettiva per la quale si invoca la tutela giurisdizionale; legittimato a resistere è, invece, il soggetto dal quale la parte – che ha dato avvio al processo – chiede tutela e nei cui confronti produrrebbe i propri effetti il provvedimento giurisdizionale di cui è postulata l'emanazione, poiché costui, secondo la prospettazione offerta dal ricorrente, sarebbe sua controparte nel rapporto sostanziale dedotto in causa.

Tuttavia, la formulazione dell'art. 10 del d.lgs. 546/199, ha destato più di una perplessità in dottrina sul come la norma in esame non chiarisca, nemmeno in maniera implicita, il concetto di parte nel giudizio tributario e, soprattutto, non specifica alcunchè sulla legittimazione ad agire davanti le Commissioni Tributarie.

Invero l'articolo in esame definisce la parte attiva secondo l'accezione formale, richiamando apoditticamente la figura del ricorrente (ossia la parte che propone la domanda), mentre invece definisce la parte resistente in senso sostanziale, indicandola nell'ufficio che ha emesso l'atto impugnato o non ha emesso l'atto richiesto e non, limitandosi ad una simmetrica definizione formale, nel soggetto indicato nel ricorso come parte passiva (Del Torchio).

Infatti l'art. 10 accosta l'aspetto dell'individuazione delle parti con quello –del tutto diverso –della legittimazione a resistere in giudizio quale titolare della pretesa impo-esattiva e/o sanzionatoria controversa oppure obbligato a dar corso al rimborso richiesto, profilo che invece attiene al merito della lite introdotta innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale; in altre parole, la norma per un verso individua il soggetto che promuove l'azione di fronte alla C.t.p. impiegando un criterio eminentemente formale (l'indicazione del ricorrente) e per l'altro la parte resistente avvalendosi di un parametro completamente diverso (che riguarda il piano del diritto sostanziale) (Pistolesi, 68).

In ultima analisi, nel contenzioso tributario la qualità di parte si assume per il solo fatto di proporre ricorso al Giudice (quanto al ricorrente) e di essere destinatario della domanda e del provvedimento giurisdizionale richiesto, (avuto riguardo al resistente).

Il concessionario del servizio di riscossione è parte nel processo tributario quando oggetto della controversia è l'impugnazione di atti viziati da errori ad esso direttamente imputabili e, cioè, nei casi di vizi propri della cartella di pagamento e dell'avviso di mora, ai quali va equiparata, secondo il disposto dell'art. 10, d.lgs. n. 546/1992, l'ipotesi di omessa adozione dell'atto richiesto, come nel caso di silenzio rifiuto sull'istanza di rimborso avanzata dal contribuente. (Cass. n. 8370/2015).

La legittimazione passiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l'impugnazione concerne vizi propri della cartella esattoriale o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo (Cass. n. 6450/2002). Sussiste la legittimazione del concessionario del servizio di riscossione dei tributi solo nel caso in cui l'impugnazione concerne vizi propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre va esclusa qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo (Cass. n. 14669/2005).

Capacità di essere parte (legitimatio ad causam)

Secondo la Suprema Corte la legitimatio ad processum va "riferita alla capacità delle parti a stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione" (art. 75 c.p.c.) (Cass. n. 8964/2010). La legitimatio ad causam, attiva e passiva (che si ricollega al principio di cui all'art. 81 c.p.c., inteso a prevenire una sentenza inutiliter data), attiene invece all'astratta possibilità che le parti del giudizio siano i soggetti cui si riferisce la norma invocata: richiede perciò solo l'interpretazione di tale norma, ai fini della "verifica, secondo la prospettazione offerta dall'attore, della regolarità processuale del contraddittorio" (Cass. n. 28227/2005Cass. n. 11321/2007).

La capacità di essere parte (legitimatio ad causam) nel contenzioso tributario – al pari della richiamata disciplina processualistica civile – identifica l'attitudine di un soggetto a essere protagonista del processo e destinatario degli effetti conseguenti ai suoi atti processuali; questa costruzione, in linea di principio, è correlata alla capacità giuridica di cui all'art. 1 c.c., ossia alla qualità di soggetto di diritto.

La capacità giuridica si manifesta anche come capacità di esser parte in un rapporto processuale (legitimatio ad causam) per far valere un diritto controverso. “Con questa si intende la identità della persona dell'attore colla persona a cui la legge concede l'azione (legittimazione attiva), e la identità della persona del convenuto colla persona contro cui l'azione è concessa (legittimazione passiva); mentre col nome di legitimatio ad processum si indica la capacità di stare in giudizio per sè o per altri (Chiovenda, 152 e 578). Se la parte in causa non ha la capacità processuale, il processo non è regolare e il giudice non può entrare ad esaminare se la parte ha ragione in merito, né, quindi, se essa sia, nel merito, concretamente legittimata a far valere il diritto controverso; e viceversa, se anche la parte è processualmente capace, può darsi che nel merito risulti che essa manca di legittimazione a far valere quel diritto, e che quindi la sua domanda sia respinta nel merito per tale mancanza (Calamandrei, 238 ss.).

La capacità di essere parte costituisce un presupposto processuale, ossia una condizione che preliminarmente deve essere posseduta ed accertata dal giudice in ogni stato e grado del processo, a prescindere da quello che poi sarà l'esito del giudizio – di merito – sulla domanda; difatti, qualora la legittimazione attiva ad agire non sussista, il processo dovrà chiudersi con una decisione di rito che dichiari l'inammissibilità della domanda (allo stesso modo qualora emerga che il convenuto, a differenza di quanto già affermato dall'attore, non sia il soggetto passivo del diritto azionato) (Del Torchio).

A tal proposito è opportuno rammentare come il diritto tributario assegni la titolarità, dal lato passivo, di rapporti obbligatori d'imposta a numerose entità che non sono dotate di personalità, tant'è vero che – soprattutto nel passato – si è a lungo discusso circa l'esistenza di una soggettività tributaria distinta rispetto a quella di diritto comune; la disputa, adesso, si è in buona parte sopita grazie alla circostanza che pure nel diritto civile si va sempre più consolidando la convinzione che possono essere termini di riferimento di situazioni giuridiche anche soggetti non dotati di personalità, di modo che ha finito per farsi strada l'idea che la soggettività tributaria non abbia un ambito peculiare ma presupponga quella di diritto civile e con essa sostanzialmente coincida.

Per quanto qui possa interessare, tale recente indirizzo induce a ritenere che, ove si profili una soggettività passiva di formazioni prive di personalità, non v'è ragione di negare loro la capacità di essere parti del giudizio tributario; del resto, diversamente opinando, si perverrebbe a risultati inaccettabili nella misura in cui occorrerebbe riferire gli effetti conseguenti all'instaurazione del processo, ad un soggetto diverso dall'entità che il diritto sostanziale chiama alla prestazione imposta (ove non ricorra alcuna ipotesi di legittimazione straordinaria o di sostituzione processuale); ciò finirebbe per contraddire e financo negare la natura strumentale del processo rispetto al diritto sostanziale (Pistolesi, 68).

Il coobbligato d'imposta non può avvantaggiarsi della pronuncia più favorevole definitivamente emessa nei confronti di altro debitore solidale, qualora egli sia destinatario di sentenza autonomamente efficace nei propri confronti. Il coobbligato d'imposta giudiziariamente inerte, può avvantaggiarsi del giudicato favorevole - non motivato da ragioni soggettive - emesso nei confronti dell'altro coobbligato (res inter alios acta) giudiziariamente attivo e vittorioso; il c.d. «giudicato riflesso» costituisce solo una preclusione all'esecuzione dell'atto impugnato, prossima negli effetti al giudicato formale e del tutto estranea al giudicato sostanziale, tanto da non poter costituire titolo per la ripetizione del debito già assolto. Costituisce, infatti, eccezione processuale, atta a contrastare la pretesa di pagamento solidale, ma non azione per la ripetizione di quanto già pagato; pertanto, l'onere economico dell'imposta già pagata resta a carico del contribuente che abbia adempiuto l'obbligazione, atteso che l'azione di regresso non è esperibile nei confronti di chi può eccepire il giudicato (sia proprio, sia riflesso). Diversamente opinando, se l'estensione del giudicatofavorevole viene invocata non in virtù dell'art. 1306 c.c. ma perché quello tributario è un processo di impugnazione-annullamento, allora l'annullamento ope iudicis dell'atto deve valere erga omnes, per cui il condebitore rimasto inerte potrà ottenere anche il rimborso di quanto pagato nelle more. Il principio del contraddittorio e il diritto di difesa impediscono, comunque, di opporre un giudicato sfavorevole a chi non abbia partecipato al processo o non sia stato messo in grado di esserne parte (Cass. n. 20065/2005). Sull'applicabilità dell'art. 1306, comma 2, c.c. v. Cass. n. 21958/2013 e Cass. n. 22953/2013.

Finora si è detto della capacità di essere parte processuale con riguardo al lato passivo del rapporto obbligatorio impositivo, relativamente, invece, all'altro lato del rapporto (quello del titolare della pretesa impo-esattiva e/o sanzionatoria per i tributi erariali), va anzitutto rilevato che, come in vigenza del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, l'art. 10 ha tralaticiamente attribuito la capacità di essere parte, anziché allo Stato, ai singoli uffici del Ministero dell'economia e delle Finanze, creando così una frattura fra la parte sostanziale del rapporto obbligatorio d'imposta (che è appunto lo Stato, sebbene per il tramite della propria struttura esponenziale del Ministero dell'economia e delle finanze) e quella che risulta destinataria degli effetti derivanti dagli atti posti in essere nel processo tributario.

Invero la disposizione in esame riconosce la capacità di essere parte ad un organo che non la dovrebbe avere, dal momento che l'ufficio periferico non è altro che un'articolazione organizzativa – priva di personalità – — dello Stato, più precisamente del Ministero dell'economia e delle Finanze, che in forza della regola sancita dall'art. 11, comma 1 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 dovrebbe essere l'unica entità legittimata ad essere parte del giudizio.

In effetti, tale scelta operativa trova fondamento nella considerazione che l'Ufficio dell'amministrazione finanziaria rappresenta le ragioni dell'Erario (secondo quanto esplicitamente previsto — in dislocazione ordinamentale — dall'art. 37, comma 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545) ben più efficacemente di quanto potrebbe fare immediatamente il Ministero dell'economia e delle Finanze, poiché esclusivamente e direttamente all'ufficio periferico è attribuito ogni potere in materia di controllo delle dichiarazioni d'imposta, di emanazione degli atti impositivi, di erogazione dei rimborsi, di formazione dei ruoli di riscossione dei tributi etc., così come ogni obbligo afferente il rapporto obbligatorio d'imposta.

In seguito all'emanazione del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, dall'1° gennaio 2001 agli uffici periferici dei Dipartimenti del Ministero delle Finanze sono subentrati gli uffici delle Agenzia Fiscali.

L'entrata in funzione delle Agenzie fiscali ha influito pure sull'individuazione delle parti nel giudizio civile di Cassazione, giacché il Ministero dell'Economia e delle Finanze non risulta più il legittimo contraddittore del contribuente nel processo che si svolge dinanzi alla Corte Suprema, posto che dal combinato disposto degli artt. 56 e 57, comma 1, 62 comma 2 e 63 comma 1 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 emerge come ogni Agenzia fiscale sia ora competente a svolgere tutti i servizi relativi all'intero contenzioso per ciascun tributo rientrante nella sfera di giurisdizione di merito delle Commissioni Tributarie e non residui più alcuna funzione processuale, —concorrente o esclusiva- per il Ministero dell'economia e delle Finanze.

In particolare gli artt. 62, comma 2 e 63 comma 1 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, derogando implicitamente al disposto dell'art. 11, comma 1 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, assegnano la capacità di essere parte nel giudizio di Cassazione esclusivamente alle Agenzie Fiscali; di conseguenza la capacità di essere parte dell'ufficio periferico viene meno con lo spirare del processo dinanzi agli organi del contenzioso tributario (cioè quando viene depositata la sentenza di secondo grado), salvo naturalmente a riassumerla nell'eventuale fase di rinvio dalla Corte di Cassazione o a conservarla nel caso in cui venga proposta impugnazione per revocazione della pronuncia resa in esito alla fase di appello.

Anche per la già incorporata Agenzia del Territorio – pur in difetto di una puntuale previsione qual è quella degli artt. 62, comma 2 e 63 comma 1 del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, comunque superata per l'intervenuta incorporazione nell'Agenzia delle Entrate –valgono le medesime considerazioni in ordine alle controversie (cosiddette «catastali») prima ricondotte nella sfera di attribuzioni del Dipartimento del territorio del Ministero delle finanze (Pistolesi, 68).

Per quanto riguarda la recente Agenzia Entrate Riscossione, la legitimatio ad causam –ex art. 10, secondo alinea, d.lgs. 546/1992- è dell'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso (per la competenza territoriale vds. art. 4, c.1, d.lgs. 546/1992). “Le Aree territoriali sono istituite con competenza su base provinciale ovvero anche sovra-provinciale … Le Aree territoriali svolgono attività operative sul territorio, in stretto coordinamento con la Direzione Regionale, attraverso strutture organizzative denominate Uffici e Sportelli, dedicate ai servizi ausiliari, all'analisi e inesigibilità, alle procedure sul territorio ed ai servizi ai contribuenti, erogati in particolare attraverso gli sportelli e gli altri canali di contatto gestiti a livello territoriale. Gli Sportelli sono presidi organizzativi per la gestione di sedi aperte al pubblico in via continuativa che hanno una dotazione strutturale di risorse per l'erogazione dei servizi di pagamento e di consulenza/informazione. Le Aree territoriali possono gestire anche punti periferici di servizio ai contribuenti ad apertura saltuaria” (Modello organizzativo AER: ( https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/gruppo/AER_Modello_organizzativo_04_02_19.pdf ). Quindi, le sedi degli attuali uffici dell'Agente della riscossione che emettono gli atti riscossivi di cui all'art. 10, secondo alinea, d.lgs. 546/1992 non sempre coincidono con quelli dell'ente impositore, titolare del credito passato a ruolo.

In tema di contenzioso tributario, a seguito dell'istituzione delle Agenzie Fiscali;, divenuta operativa dal 1° gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all'adempimento dell'obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione ad causam e ad processum in tutti i procedimenti introdotti successivamente spetti esclusivamente alle Agenzie; tale legittimazione costituisce infatti il riflesso, sul piano processuale, della separazione tra la titolarità dell'obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l'esercizio dei poteri statali in materia d'imposizione fiscale, il cui trasferimento alle Agenzie, previsto dall'art. 57 d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300, esula dallo schema del rapporto organico, non essendo l'Agenzia fiscale un organo dello Stato (come il ministero), sia pure dotato di personalità giuridica, ma un ente pubblico non economico, distinto soggetto di diritto. Ai sensi dell'art. 72 del d.lgs. n. 300/1999, il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato costituisce una mera facoltà per l'Agenzia, la quale, in assenza di una specifica disposizione normativa, deve richiederlo in riferimento ai singoli procedimenti — anche se non è necessaria una specifica procura — non essendo a tal fine sufficiente l'eventuale conclusione di convenzioni a contenuto generale tra l'Agenzia e l'Avvocatura, con l'ulteriore conseguenza che deve ritenersi abrogato l'art. 21, comma 1, l. 15 maggio 1999 n. 133, che imponeva in ogni caso la notifica delle sentenze delle commissioni tributarie regionali (nunc, anche di quelle delle commissioni tributarie provinciali ex art. 62, comma 2-bis, d.lgs. n. 546/1992) presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato. Nei procedimenti introdotti anteriormente al 1° gennaio 2001, nei quali l'ufficio non abbia richiesto il patrocinio dell'Avvocatura, l'applicazione dell'art. 111 c.p.c. comporta invece che, in caso di mancata estromissione dell'Amministrazione finanziaria originariamente costituita, si forma un litisconsorzio processuale necessario tra la stessa e l'Agenzia, con la conseguente integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. Per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze, ai sensi dell'art. 11 r.d.l. 30 ottobre 1933 n. 1611, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell'Agenzia, in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente infine di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell'Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l'interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al minimo le ipotesi d'inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato (Cass. n. 3118/2006). Il ricorso per cassazione notificato al Ministero delle finanze dopo la data dell'1 gennaio 2001 è ammissibile, solo ove tale ricorso riguardi un contenzioso aperto anteriormente a tale data. Ciò in quanto il trasferimento dal Ministero delle finanze all'Agenzia fiscale, verificatosi l'1 gennaio 2001 a seguito della entrata in funzione – ad esempio — dell'Agenzia delle entrate, di tutti i rapporti relativi al «contenzioso dei tributi diretti, dell'IVA e di tutte le imposte, diritti o entrate erariali già di competenza del Dipartimento delle entrate» ha costituito un caso di trasferimento di rapporti a titolo particolare disciplinato dall'art. 111 del codice di procedura civile (Cass. n. 6633/2003). Nel contenzioso tributario regolato dal d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, il ricorso per cassazione proposto contro l'ufficio finanziario periferico — e ad esso notificato — anziché nei confronti del Ministero delle finanze, è inammissibile, in quanto la soggettività processuale degli uffici tributari si conclude con il giudizio d'appello, sicché essi sono privi di soggettività esterna per quel che attiene al giudizio di legittimità. In questa ipotesi, infatti, neppure è possibile ordinare la integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c., atteso che tale misura presuppone che ad uno dei legittimi contraddittori la notifica sia stata effettuata (Cass. n. 9302/2003).

Contro l'avviso di irrogazione di sanzioni tributarie (nella specie: sanzioni i.v.a. per mancato versamento dell'imposta relativa), a carico di società per azioni posta in liquidazione, il ricorso alle commissioni tributarie è ritualmente proposto dal liquidatore della società, al quale, in forza dell'art. 2452 c.c., è conferita, in via esclusiva, la rappresentanza legale della società. (Cass. n. 8118/2001).

Nel caso di proposizione del ricorso per cassazione nei confronti di società incorporata da un'altra società, posteriormente alla iscrizione dell'atto di fusione nel registro delle imprese, la costituzione in giudizio della società incorporante, mediante notifica e deposito in termini del controricorso, dimostra il raggiunto scopo della vocativo in ius contenuta nel ricorso e ne sana, il vizio con effetto ex tunc, in applicazione della norma contenuta nell'art. 164, comma 3, c.p.c. (nel testo sostituito dall'art. 9, l. 26 novembre 1990, n. 353) (Cass. n. 10501/2004).

Il legatario è legittimato ed ha interesse ad agire nel giudizio di fronte alle commissioni tributarie, per controvertere sul valore dei beni ereditari, anche se diversi da quelli oggetto del lascito in suo favore, atteso che l'aliquota dell'imposta sulle successioni si determina, anche per i legatari, sulla base del valore globale netto dell'asse ereditario (art. 6 d.P.R. n. 637 del 1972) (Cass. n. 5874/2001).

Non sussiste la legittimazione a proporre ricorso, di un ente esponenziale che agisca a tutela di una generica ed indefinita categoria di contribuenti (nella fattispecie, Onlus Fisco Sos), atteso che, ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la qualifica di ricorrente è strettamente collegata a quella di soggetto destinatario di uno specifico atto amministrativo (secondo la tipologia ivi elencata) e non vi è quindi spazio per l'impugnazione di atti che possano coinvolgere un indeterminato numero di soggetti (atti eventualmente impugnabili in altra sede, come si evince dall'art. 7, comma 5, del d.lgs. citato) e, d'altra parte, ai sensi dell'art. 14 del medesimo d.lgs., anche l'intervento volontario nel processo tributario è limitato ai soggetti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso (Cass. n. 139/2004; conf.: Cass. n. 181/2004 e Cass. n. 12598/2004).

Bibliografia

Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice. Parte prima, Disposizioni Generali – Le persone del processo , Padova, 1943, XXI; Chiovenda, Principii di diritto processuale civile – Le azioni. Il processo di cognizione, Napoli, 1965, rist. an.; Consolo-Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, III, Padova, 2012; Del Torchio, Parti processuali, in Iltributario.it  2017; La Rosa, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000; Pistolesi, Le parti del processo tributario, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze 2002; Tesauro, In tema di giurisdizione e competenza per le controversie tra sostituto e sostituito, in Dir. e prat. Tributaria 1979.

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