Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 1 - Gli organi della giurisdizione tributaria 1 2 .1. La giurisdizione tributaria è esercitata dalle corti di giustizia tributaria di primo grado e dalle corti di giustizia tributaria di secondo grado di cui all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1992, n. 545. 2. I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 45 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. InquadramentoUna significativa pronuncia della Corte Costituzionale (Corte cost. ord., n. 227/2016) pur non disconoscendo l'esistenza di problematiche afferenti alla complessiva tenuta costituzionale della giurisdizione tributaria non solo ha declinato, con un giudizio di inammissibilità, possibili competenze del Giudice delle leggi rispetto a quelle del Parlamento, ma ha altresì evidenziato come molti dei rilievi formulati attengano ad aspetti non decisivi sotto il profilo costituzionale della giurisdizione tributaria. Anche alla luce del dibattito dottrinale e dei pratici che aveva ripreso slancio dopo l'intervenuta presentazione alla Camera dei Deputati del d.d.l. Ermini n. 3734 «Delega al Governo per la soppressione delle commissioni tributarie provinciali e regionali e per l'istituzione di sezioni specializzate tributarie presso i tribunali ordinari» si può dire che l'orientamento prevalente non è tanto quello di disconoscere la necessità di un giudice speciale che dirima i più consistenti conflitti fra cittadino ed ente impositore, che appariva il principio ispiratore del d.d.l. citato, che postula la riconduzione assai sbrigativa della giurisdizione tributaria a quella ordinaria, sebbene specializzata, quanto quello di garantire un assetto delle corti tributarie adeguato alla domanda di professionalità, autonomia ed indipendenza a cui ogni giurisdizione deve saper rispondere. Il Governo Draghi ha costituito una commissione di studio, che riferirà entro il 30 giugno 2021 sulla riforma istituzionale della magistratura tributaria, con evidenti conseguenze anche sulla giurisdizione in senso stretto. Nella corrente XVIII legislatura sono stati presentati numerosi disegni di legge aventi ad oggetto la riforma della giustizia tributaria, con effetti evidenti – ove approvati - anche sulla giurisdizione. Al Senato (assegnati alle Commissioni Seconda e Sesta) pendono gli A.S. 243 Vitali ed altri; 714 Caliendo ed altri; 759 Nannicini ed altri; 1243 Romeo ed altri; 1661 Fenu ed altri; 1687 Marino. Alla Camera (tutte assegnate alla Commissione Seconda – Giustizia) 1521 Martinciglio; 1526 Centemero ed altri; 840 Savino; 2283 Colletti – Viscomi; 2526 Del Basso De Caro. Alcuni di essi si propongono la modifica con legge ordinaria della struttura della giustizia tributaria, abrogando il D.Lgs, n. 545/1992, altri prospettano una Legge Delega ed alcuni infine prospettano, sempre con legge ordinaria, modifiche sia alla struttura giudiziaria sia al processo tributario, abrogando il D.Lgs. n 545/1992 e modificando il D.Lgs. n. 546/1992. A tacere dei dubbi di costituzionalità di quelli che si propongono, direttamente o per delega al governo, l’istituzione di una vera e propria nuova magistratura speciale tributaria, che probabilmente dovrebbe vedere la luce con una legge costituzionale, atteso che la Corte Costituzionale ha ritenuto la costituzionalità della giustizia tributaria in quanto pecostituzionale e ne devono perciò essere considerate tali le sue modifiche, ma non la sua radicale mutazione con istituzione di un nuovo giudice speciale sta di fatto che i filoni possibili sono ormai ampiamente noti, dall’istituzione, appunto, di un nuovo giudice speciale tributario all’assegnazione della giurisdizione tributaria alla Corte dei Conti, anch’essa di dubbia costituzionalità per l’eliminazione della cognizione del giudice di legittimità il cui livello resterebbe assorbito da quello d’appello della Corte contabile, problema che si porrebbe anche nella ipotesi di un trasferimento al Giudice amministrativo, al trasferimento (rectius, al ri-trasferimento) variamente articolato dalla giurisdizione al giudice ordinario su cui si veda la prudente proposta, parzialmente conservativa, affacciata da manzon (cit.). In verità la situazione attuale della giurisdizione tributaria conferma sul piano dei dati numerici che i ritardi e le difficoltà sono soprattutto del grado di legittimità in Cassazione, affrontato persino con l’introduzione nella Corte Suprema di giudici ausiliari (ex magistrati, finora anch’essi numericamente insufficienti a coprire l’arretrato, pari a circa 50 mila ricorsi ed esitare le nuove iscrizioni annuali, superiori alle 10 mila) mentre sulla giustizia di merito, complessivamente onoraria, continuano a proporsi rimostranze quanto alla terzietà, autonomia ed indipendenza (anche per i legami istituzionali con il Ministero dell’Economia e Finanze, che è anche parte processuale) e quanto alla professionalità complessiva. Al momento in cui si scrive (aprile 2021), non è prevedibile se il cantiere di nuovo apertosi nella riforma della giurisdizione tributaria avrà effetti consistenti con una riforma di sistema o ci si fermerà ad un irrobustimento comunque necessario del giudizio in Cassazione; qui si può solo dar conto, conseguentemente, del dibattito in corso e delle sue possibili prospettive. È da ritenere che anche l'attribuzione al giudice tributario della giurisdizione nelle relative materie concorra alla determinazione del giudice «naturale» di cui all'art. 25 Cost. (Cass. S.U., n. 27074/2016). La giurisdizione tributaria è esercitata dalle Commissioni Tributarie Provinciali (C.t.p.), con sede nel capoluogo di ogni provincia, che pronunciano in primo grado, e dalle Commissioni Tributarie Regionali (C.t.r.), con sede nel capoluogo di ogni regione, che pronunciano in grado di appello sulle impugnazioni proposte contro le sentenze delle C.t.p. Presso le provincie autonome di Bolzano e Trento sono operative le C.t. di I e II grado che, rispettivamente, pronunciano in primo grado e in grado di appello. La legge n. 28/1999 all'art. 35 ha istituito Sezioni distaccate di alcune C.t.r.. Come noto la competenza si determina con riguardo alla normativa vigente allo stato di fatto esistente al momento di proposizione della domanda, e non hanno rilevanza i successivi mutamenti di legge (art. 5 c.p.c.) Le Commissioni Tributarie.Le C.t.p. sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all'albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali che hanno sede nella loro circoscrizione. Se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, è competente la C.t.p. nella cui circoscrizione ha sede l'Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. Le C.t.r. sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle C.t.p., che hanno sede nella loro circoscrizione. I giudici tributari sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa delibera del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. La nomina a una delle funzioni di componenti delle C.t.p. e C.t.r. non costituisce, in nessun caso, rapporto di pubblico impiego. I componenti delle Commissioni tributarie, indipendentemente dalle funzioni svolte, cessano dall'incarico, in ogni caso, al compimento del settantacinquesimo anno di età. Il legslatore per la giurisdizione tributaria non ha perciò adottato le stesse regole che si applicano ai giudici ordinari. A ciascuna delle Commissioni tributarie è preposto un presidente, che presiede anche la prima Sezione. A ciascuna Sezione sono assegnati un presidente, un vicepresidente e non meno di 4 giudici tributari. Ogni Collegio giudicante è presieduto dal presidente della Sezione o dal vicepresidente e giudica con numero invariabile di 3 componenti. Presso ogni Commissione tributaria è istituito un ufficio di segreteria con funzioni di supporto alla funzione giurisdizionale, nonché per lo svolgimento di ogni altra attività amministrativa attribuita alla stessa Commissione o ai suoi componenti. Le Commissioni di primo e secondo grado e la Commissione tributaria centrale sono state soppresse. Quest'ultima ha continuato ad operare fino ad esaurimento delle controversie pendenti, ma ai sensi del comma 5 dell'art. 12 del d.lgs. n. 156/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2015 i procedimenti giurisdizionali pendenti al 31 dicembre 2014 dinanzi alla cessata Commissione tributaria centrale proseguono innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio. Nell'ambito della revisione della disciplina del contenzioso tributario, recata, con decorrenza 1° gennaio 2016, dal d.lgs. n. 156/2015, (cfr. art. 11), sono state apportate modifiche al d.lgs. n. 545/1992. Queste riguardano in particolare la composizione delle Commissioni tributarie, la formazione delle Sezioni e dei Collegi giudicanti, nonché i requisiti generali, le incompatibilità, i procedimenti di nomina, la durata dell'incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento, la vigilanza e sanzioni disciplinari dei componenti delle Commissioni tributarie, e l'elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, anche relativamente a votazioni, proclamazione degli eletti e reclami, attribuzioni ed alta sorveglianza. Nessuna delle disposizioni ivi contenute ha immutato la natura di Giudice Speciale a composizione plurima del Giudice tributario, fatte salve le ipotesi di giudice monocratico per l'ottemperanza di cui all'art. 70, comma 10-bis, d.lgs. n. 546/1992e del –preesistente- giudice delegato per l'ottemperanza di cui all'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992 . In materia di vigilanza sui giudici tributari, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria con delibera n. 2980/2015 ha dettato il regolamento per il procedimento disciplinare nei confronti dei componenti delle Commissioni tributarie regionali e provinciali. Ai sensi del comma 39-bis dell'art. 4 della legge n. 183/2011, c.d. legge di stabilità 2012, inserito dal comma 4-bis dell'art. 12 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, introdotto in sede di conversione dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, è stato istituito il ruolo unico nazionale dei componenti delle commissioni tributarie, tenuto dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Nel ruolo unico sono inseriti, ancorché temporaneamente fuori ruolo, i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, ed erano inseriti anche i componenti della commissione tributaria centrale, in servizio al 29 aprile 2012; la richiamata novella (d.lgs. n. 156/2015) ha fatto transitare nei ruoli delle commissioni di 1° e 2° grado coloro che erano componenti della commissione tributaria centrale, in vari profili. I componenti delle commissioni tributarie sono inseriti nel ruolo unico secondo la rispettiva anzianità di servizio nella qualifica. I componenti delle commissioni tributarie nominati a partire dal concorso bandito il 3 agosto 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 65 del 16 agosto 2011, sono inseriti nel ruolo unico secondo l'ordine dagli stessi conseguito in funzione del punteggio complessivo per i titoli valutati nelle relative procedure selettive. A tale ultimo fine, relativamente al concorso bandito il 3 agosto 2011 si prescinde dalla scelta effettuata dai candidati in funzione delle sedi di commissione tributaria bandite; ai fini dell'immissione in servizio di tali candidati resta in ogni caso fermo quanto disposto dal comma 39. In caso di pari anzianità di servizio nella qualifica ovvero di pari punteggio, i componenti delle commissioni tributarie sono inseriti nel ruolo unico secondo l'anzianità anagrafica. A decorrere dal 2013, il ruolo unico è reso pubblico annualmente, entro il mese di gennaio, attraverso il sito istituzionale del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Con risoluzione 14 marzo 2017, n. 1, il Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria ha stabilito i criteri per l'inserimento nel ruolo unico nazionale dei componenti delle Commissioni tributarie, in applicazione del comma 39-bis, art. 4, l. n. 183/2011: A. i componenti delle Commissioni tributarie sono inseriti nel ruolo unico secondo la rispettiva anzianità di servizio nella qualifica; B. i componenti nominati per la prima volta nelle Commissioni tributarie a partire dal concorso bandito il 3 agosto 2011, sono inseriti nel ruolo unico secondo l'ordine dagli stessi conseguito in funzione del punteggio complessivo per i titoli valutati nelle relative procedure selettive. A tale ultimo fine, relativamente al concorso bandito il 3 agosto 2011 si prescinde dalla scelta effettuata dai candidati in funzione delle sedi di Commissione tributaria bandite; ai fini dell'immissione in servizio di tali candidati resta in ogni caso fermo quanto disposto dal comma 39; C. in esito alla vincita di procedura concorsuale successiva a quella di prima nomina, sia di interpello che di concorso interno per altro incarico, i componenti delle Commissioni verranno inseriti nel ruolo unico secondo il criterio generale previsto dalla precedente lett. A, in quanto nella stessa essi sono valutati non più in base al pregresso punteggio, bensì esclusivamente con riferimento all'effettiva anzianità di servizio e/o ai titoli conseguiti ed ai fattori di esperienza, laboriosità, diligenza e attitudine; D. in caso di pari anzianità di servizio nella qualifica, ovvero di pari punteggio nel caso di prima nomina, i componenti delle Commissioni tributarie sono inseriti nel ruolo unico secondo l'anzianità anagrafica. La giurisdizione tributaria rientra nell'ambito delle giurisdizioni speciali, ovvero nell'ambito delle giurisdizioni diverse da quella ordinaria. Essa non incorre nel divieto «postcostituzionale» di istituzione di giudici speciali, poiché già esistente all'entrata in vigore della Costituzione; ciò consente al legislatore ordinario di ampliare la giurisdizione delle commissioni tributarie purché nel limite della materia tributaria (Corte cost. ord. n. 144/1998; Corte cost. n. 196/1982). È da ritenere che anche l'attribuzione al giudice tributario della giurisdizione nelle relative materie concorra alla determinazione del giudice naturale di cui all'art. 25 Cost. Nel caso di una norma apparentemente interpretativa, che pretendeva di attribuire la giurisdizione su una prestazione fino a quel momento ritenuta di pacifica natura tributaria al giudice ordinario, la Corte di Cassazione ha ritenuto che sussistesse un fondato dubbio di legittimità costituzionale perché la norma apparentemente interpretativa (ma in realtà innovativa, se attribuisce alla legge precedente una interpretazione non ipotizzabile in precedenza) avrebbe un effetto sostanziale di retroattiva modifica della giurisdizione, con ciò potenzialmente violando il principio di ragionevolezza, di certezza del diritto e di affidamento, il diritto di difesa, il principio del giudice naturale, del giusto processo, oltre che costituire un potenziale attentato alla funzione giurisdizionale e una indebita influenza sui giudizi in corso (Cass. S.U., n. 27074/2016). Appartengono alla giurisdizione delle Commissioni tributarie tutte le controversie aventi a oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Tra i tributi di ogni genere e specie rientrano anche le controversie aventi ad oggetto il contributo unificato dovuto per i procedimenti giurisdizionali civili, amministrativi e tributari. Dal 1° gennaio 2016 il ricorso avente ad oggetto atti impositivi relativi a tributi o sanzioni di importo non superiore a 20.000 euro produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione. A norma dell'art. 10, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 giugno 2017, n. 96, tale soglia sarà elevata a 50 mila euro per gli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018. Il procedimento di mediazione, svolgendosi innanzi alla medesima autorità amministrativa che ha emanato l'atto impugnato, suscita riserve di costituzionalità, essendo la funzione di mediazione terza rispetto all'autorità amministrativa, come del resto quella civilistica introdotta dal d.lgs. n. 28/2010, che all'art. 5 — oggetto di numerose modifiche — indica le materie in cui essa è obbligatoria preventivamente rispetto all'azione a pena di improcedibilità, anche se è ammissibile che siano attenuate le caratteristiche di assoluta autonomia ed indipendenza che sono tipiche dell'esercizio della funzione giurisdizionale. La giurisdizione tributaria è esercitata dalle C.t.p., con sede nei capoluoghi di ogni provincia, che pronunciano in primo grado, e dalle C.t.r., con sede nel capoluogo di ogni regione, che pronunciano in grado di appello sulle impugnazioni proposte contro le sentenze delle C.t.p. Presso le province autonome di Bolzano e Trento sono operative le C.t. di I e II grado che, rispettivamente, pronunciano in primo grado e in grado di appello. Sono state istituite Sezioni staccate di alcune C.t.r. (art. 35 della legge n. 28/1999). Il Legislatore con l'art. 11, comma 1, lett. b) del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, che ha sostituito l'originario comma 1 dell'art. 6 del d.lgs. n. 545/1992 con gli attuali commi 1 e 1-bis, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha previsto quanto alla formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti che con provvedimento del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria fossero istituite sezioni specializzate in relazione a questioni controverse individuate con il provvedimento stesso, con conseguente obbligo dei presidenti delle commissioni tributarie di assegnare il ricorso ad una delle sezioni tenendo conto, preliminarmente, della specializzazione di cui al comma 1 e applicando successivamente i criteri cronologici e casuali. (Peraltro, l'assegnazione salvo motivata eccezione viene effettuata secondo casualità con apposito programma informatico). Tuttavia tale disposizione non ha almeno finora avuto attuazione in riferimento all'ipotizzata costituzione di sezioni specializzate «in relazione a questioni controverse», sia per la difficoltà di individuare tali fattispecie, di confusa ed incerta definizione normativa, sia per la disomogenea possibilità di costituzione di tali sezioni nelle commissioni con organici minori. In certo modo, l'istituzione di tali sezioni potrebbe anche considerarsi un vulnus al principio costituzionale del giudice naturale. Le C.t.p. sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all'albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali che hanno sede nella loro circoscrizione. Se la controversia è proposta nei confronti di articolazioni dell'Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, è competente la C.t.p. nella cui circoscrizione ha sede l'Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso. Le C.t.r. sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle C.t.p., che hanno sede nella loro circoscrizione. Compete alle commissioni tributarie decidere sulla richiesta di applicazione di misure cautelari (ipoteca e sequestro) chieste dall'Amministrazione finanziaria a tutela della riscossione del credito erariale, oppure sospendere l'efficacia degli atti tributari esecutivi prima della pronuncia del giudice. Non rientrano invece nella giurisdizione del giudice tributario le liti relative all'esecuzione forzata e all'impugnazione diretta dei regolamenti e/o atti amministrativi in generale di appartenenza, rispettivamente, del giudice ordinario e del giudice amministrativo. In applicazione del principio secondo cui il giudice della causa principale è giudice anche della causa pregiudiziale, il giudice tributario può risolvere in via incidentale, quindi senza efficacia di giudicato, le questioni pregiudiziali non tributarie. Ciò comporta che, se la legittimità di un negozio, atto o regolamento amministrativo, incide sull'esito della lite concernente un provvedimento tributario, il giudice tributario può valutare se l'atto sia o meno legittimo, eventualmente «disapplicandolo», con un effetto giuridico limitato alla decisione della causa tributaria. Restano escluse dal giudizio incidentale le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diverse dalla capacità di stare in giudizio: quando sorgono queste questioni il giudice tributario non può deciderle neppure incidentalmente, ma deve sospendere il processo. È principio generale della giurisdizione tributaria che essa sia qualificabile come giudizio sull'atto e non sul rapporto e quindi essa esprime la sua potestà nel c.d. giudizio di annullamento — merito, il quale non è annoverabile tra quelli di impugnazione — annullamento, in quanto non è diretto alla mera eliminazione dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell'accertamento dell'ufficio. Tuttavia il meccanismo d'instaurazione del processo è imperniato sull'impugnazione del provvedimento impositivo, secondo criteri di tipicità decadenziale, (anche il ruolo dell'agente della riscossione va impugnato entro 60 giorni, cfr. Cass. sez. trib., n. 13584/2017) volta ad ottenere il sindacato giurisdizionale sulla legittimità formale e sostanziale del medesimo. Il carattere impugnatorio del giudizio comporta necessariamente che l'indagine sul rapporto tributario sia limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e dì diritto della pretesa dell'Amministrazione, nonché degli elementi del fatto costitutivo dedotto dalla stessa nell'avviso di accertamento e delle difese della parte privata ricorrente. Rinvio al codice di procedura civile.La riforma della giustizia tributaria è stata attuata con i decreti legislativi del 31 dicembre 1992, nn. 545 (ordinamentale) e 546 (processuale), che si sono prefissi l'obbiettivo di assimilare il rito del processo tributario al rito del processo civile e di accelerare l'iter processuale. In tal maniera, il processo tributario è diventato una variante del processo civile, improntato perciò a forte tecnicismo. Ciò in forza soprattutto del cosiddetto principio di integrazione (art. 1, commi 2 e 49): tutte le norme del codice di procedura civile si applicano, se compatibili, al processo tributario, coniugato a quello di specialità. La Corte di cassazione ha già più volte sottolineato il rapporto di specialità che lega le disposizioni del d.lgs. n. 546/1992 e quelle del codice di rito civile; infatti, l'esistenza di una norma processuale tributaria esclude l'operatività di quella processuale comune (Cass. n. 5504/2007), Per quanto riguarda le disposizioni generali del c.p.c. applicabili alle impugnazioni tributarie, l'art. 49, d.lgs. n. 546/1992, ne conferma e specifica il rinvio dinamico, già istituito all'art. 1, comma 2, stesso decreto, qui in commento. Ciò sebbene stante la natura impugnatoria del processo tributario sarebbe opportuno anche uno sguardo attento agli istituti del rito amministrativo, specie dopo la novella (d.lgs. n. 104/2010) che ne ha integralmente modificato i principi consentendo al giudice amministrativo una incisiva cognizione delle fattispecie assegnate a quella giurisdizione. Nell'ambito del giudizio tributario il giudice ha il dovere di decidere la controversia, ai sensi dell'art. 276, comma 2, c.p.c., in ragione del richiamo effettuato al codice di procedura civile operato dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 546/1992, secondo l'ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell'azione. Tra i presupposti processuali rientrano, oltre alle ovvie questioni di giurisdizione, competenza, capacità delle parti, nell'ordine, sia l'astratta ammissibilità del ricorso con riferimento alla sua proposizione, sia con riferimento alla regolare instaurazione del contraddittorio (Cfr. anche C.t.p. Sicilia, Enna II, 13 febbraio 2017). Con la l. 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio u.s., sono state introdotte sostanziali modifiche al codice di procedura civile, tutte finalizzate ad imprimere una forte accelerazione ai tempi del giudizio civile; naturalmente tali disposizioni hanno avuto rilevanza anche nel processo tributario. Essendo, però, questo rinvio di tipo residuale, e cioè operativo soltanto in ipotesi che le norme del d.lgs. n. 546/1992 non disciplinino diversamente la fattispecie, esse trovano applicazione in ambito tributario solo per alcune fattispecie. Sono modifiche applicabili al processo tributario: il termine (lungo) di impugnazione previsto all'art. 327, comma 1, c.p.c.; rimessione in termini comma 2, art. 153 c.p.c.; scadenza di sabato commi quinto e sesto dell'articolo 155 c.p.c.; consulenza tecnica artt. 191 e 195 c.p.c.; il termine di sospensione del giudizio su istanza delle parti art. 296 c.p.c. Non sono applicabili al processo tributario: il termine per riassunzione giudizio dinanzi al giudice di primo grado a seguito di rinvio da parte del giudice di secondo grado art. 353 c.p.c.; termine per riassunzione giudizio dinanzi al giudice di appello a seguito di rinvio da parte della Suprema Corte di Cassazione art. 392, comma 1 c.p.c.; termine per riassunzione della causa dinanzi al giudice competente art. 50, comma 1, c.p.c.; termine per riassunzione in caso di sospensione/interruzione giudizio art. 297, comma 1, c.p.c.; estinzione del processo per inattività delle parti art. comma 4 dell'art. 307 c.p.c. Inoltre sono applicabili al processo tributario l'introduzione del così detto «principio di non contestazione» di cui all'art. 115, comma 1, c.p.c., il principio della «traslatio iudicii», il principio del contraddittorio su questioni rilevabili di ufficio; inoltre tutte le modifiche introdotte con la riforma che riguardano il ricorso in Cassazione sono applicabili al processo tributario, poiché il d.lgs. n. 546/1992 non contiene alcuna disciplina specifica. Conseguenza del c.d. principio di specialità, regolato dal comma 2 dell'articolo in commento, in virtù del quale nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima, è che non trova applicazione la preclusione di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla legge n. 69 del 2009). La materia della produzione documentale in grado di appello è, invero, regolata dall'art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546 citato, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado. (Cass. VI, ord., n. 5491/2017). Di recente, Cass. S.U., n. 13916/2017 ha messo ordine — per come è possibile — alla magmatica giurisprudenza della Cassazione in materia tributaria, anche a sezioni unite, sul tema della giurisdizione in materia di procedure che, in senso lato, afferiscono non al merito dell'accertamento tributario ma alla sua ulteriore patologia esecutiva. Rammenta la Corte che l'art. 2 d.lgs. n. 546/1992, ha attribuito alle Commissioni tributarie, per i giudizi di merito, la giurisdizione in materia tributaria, prevedendo, nel comma 1, secondo capoverso che «restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'art. 50 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo D.P.R.» L'art. 49, comma 2, d.P.R. n. 602/1973, prevede che il procedimento di espropriazione forzata nell'esecuzione tributaria è regolato «dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione» in quanto non derogate dal capo 2 del medesimo d.P.R. e con esso compatibili. L'art. 57 d.P.R. n. 602/1973, stabilisce che non sono ammesse né le opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c. (salvo quelle concernenti la pignorabilità dei beni), né quelle regolate dall'art. 617 c.p.c. ove siano relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. La giurisprudenza della Cassazione, in ordine al riparto di giurisdizione, ha affermato che: 1) le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario (art. 2, comma 1, secondo periodo d.lgs. n. 546/1992; art. 9 c.p.c., comma 2); 2) le opposizioni all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. concernenti la pignorabilità dei beni si propongono davanti al giudice ordinario (art. 9 c.p.c., comma 2); 3) le opposizioni agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., ove siano diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, si propongono al giudice ordinario (art. 9 c.p.c., comma 2); 4) le opposizioni di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 c.p.c. si propongono al giudice ordinario (art. 58 d.lgs. n. 546/1992; art. 9 comma 2 c.p.c.). (ex plurimis, Cass. n. 18505/2013). Rimane tuttavia aperto il problema, secondo la Suprema Corte, dell'individuazione del giudice davanti al quale proporre l'opposizione agli atti esecutivi ove questa concerna la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo e, in particolare, ove il contribuente, di fronte al primo atto dell'esecuzione forzata tributaria (cioè all'atto di pignoramento), deduca (come nella specie) di non avere mai ricevuto in precedenza la notificazione del titolo esecutivo. La Corte richiama i due diversi orientamenti che, pur divergendo sulla giurisdizione, condividono il comune presupposto interpretativo secondo cui l'inammissibilità dell'opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi, stabilita dal d.P.R. n. 602/1973, art. 57 non va intesa (pena la violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost.) come assoluta esclusione della tutela giudiziale delle situazioni soggettive prese in considerazione da dette opposizioni. Il più recente orientamento ritiene che l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato per nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, è ammissibile e va proposta dinanzi al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 57 d.P.R. n. 602/1973 e degli artt. 617 e 9 c.p.c., perché la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sussiste quando sia impugnato un atto dell'esecuzione forzata tributaria successivo alla notificazione della cartella di pagamento (come, appunto, un atto di pignoramento): in tale ipotesi, il giudice ordinario dovrà verificare solo se ricorra il denunciato difetto di notifica all'esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità del consequenziale pignoramento basato su crediti tributari (cfr. Cass. S.U., n. 21690/2016 e Cass. S.U., n. 8618/2015; Cass. III, n. 24235/2015 e Cass. III, n. 9246/2015). Altro diverso orientamento prevede che l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato da nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, si risolve nell'impugnazione del primo atto in cui viene manifestato al contribuente l'intento di procedere alla riscossione di una ben individuata pretesa tributaria: l'opposizione, pertanto, è ammissibile e va proposta davanti al giudice tributario (ai sensi degli artt. 2, comma 1, secondo periodo, e 19 — estensivamente interpretato — del d.lgs. n. 546/1992). Tale ultimo orientamento appare preferibile a condizione che oggetto dell'impugnazione sia stato non solo l'atto di pignoramento, ma anche la cartella di cui viene lamentata l'omessa notifica, in forza del citato d.lgs. n. 546/1992, art. 19 recante l'elenco degli atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie, al quale secondo la Corte può operarsi mediante interpretazione estensiva (tale enunciato, in verità cozza irreparabilmente con il principio della tassatività degli atti impugnabili, essendo, appunto il giudizio tributario tuttora un giudizio impugnatorio sull'atto e non un giudizio di merito puro sul rapporto tributario, ivi compresa la sua concreta escussione. La Corte è ricorsa alla tesi che in questi casi l'impugnazione sarebbe diretta a far valere una nullità «derivata» dell'atto espropriativo e cioè, nella specie la mancata notificazione della cartella e non la natura di primo atto dell'espropriazione forzata (art. 491 c.p.c.) Poiché, opina la Corte, «l'art. 19, comma 3, d.lgs. n. 546/1992, prevede un'ipotesi d'impugnazione congiunta che consente di impugnare un atto autonomamente impugnabile «non conosciuto» unitamente al successivo atto notificato e, quindi, «conosciuto» al fine di farne valere eventuali profili di illegittimità; la mancata notificazione della cartella di pagamento rende, quindi, il pignoramento impugnabile, unitamente alla cartella di pagamento, dinanzi alla commissione tributaria». Secondo la Corte superando un atteggiamento formalistico «la soluzione compatibile con il rispetto del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 Cost., è data dal riconoscimento della facoltà per il contribuente di impugnare davanti al giudice tributario la cartella di pagamento (atto presupposto), congiuntamente all'atto di pignoramento presso terzi (atto successivo), ai sensi del d.lgs. n. 546/1992, art. 19, comma 3. Anche se l'impugnazione degli atti dell'esecuzione successivi alla cartella è attratta alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del art. 2, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 546 del 1992, esigenze di ordine sistematico impongono di ammettere la tutela giurisdizionale davanti al giudice tributario, allorché si contesti l'avvenuta notifica della sottostante cartella di pagamento, nel caso in cui il contribuente per la prima volta viene a conoscenza della esistenza della cartella stessa a seguito della notifica del titolo esecutivo formato nei propri confronti. L'impugnazione dell'atto di pignoramento è strumentale all'impugnazione della cartella di pagamento onde far valere il difetto di notifica della stessa, non quale vizio proprio degli atti di pignoramento, ma quale motivo di nullità della cartella stessa, trattandosi della soluzione in concreto praticabile per far valere l'illegittimità della cartella ed arrestare la procedura esecutiva, in considerazione delle già citate limitazioni, in materia fiscale, nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi previste dall'art. 57, d.P.R. n. 602/1973. Né appare convincente ripartire la giurisdizione, nell'ipotesi in esame, in base al petitum formale contenuto nell'impugnazione proposta dal contribuente: a) giurisdizione tributaria, ove sia richiesto solo l'annullamento dell'atto presupposto dal pignoramento; b) giurisdizione ordinaria, ove sia richiesta solo la dichiarazione di nullità del pignoramento. Non solo il petitum sostanziale è unico (il contribuente ha interesse a rendere non azionabile la pretesa tributaria, facendo valere una soluzione di continuità nell'iter procedimentale), ma una simile ricostruzione sarebbe inutilmente artificiosa, obbligando ad una duplice azione davanti a giudici diversi. Non ha neanche importanza se, in punto di fatto, che la cartella sia stata o no effettivamente notificata trattandosi di rilievo che attiene al merito in quanto la giurisdizione non può farsi dipendere dal raggiungimento della prova della notificazione e, quindi, secundum eventum. Tale soluzione, prosegue la Corte nell'articolatissima sentenza, non contrasta, inoltre, col disposto del d.P.R. n. 602/1973, art. 57, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo. Tale inammissibilità, infatti, va interpreta nel senso che comporta solo il divieto di proporre dette opposizioni davanti al giudice ordinario, senza però che ciò impedisca di proporre la questione al giudice tributario, impugnando, unitamente al pignoramento, la cartella di pagamento per mancata notificazione. L'art. 57, d.P.R. n. 602/1973, nel prevedere l'inammissibilità davanti al giudice ordinario di alcune opposizioni in sede di esecuzione forzata, va interpretato nel senso che le situazioni soggettive poste a base di esse possano essere preventivamente tutelate davanti al giudice tributario. Va, quindi, riaffermato il principio di diritto secondo cui «in materia di esecuzione forzata tributaria, sussiste la giurisdizione del giudice tributario nel caso di opposizione agli atti esecutivi riguardante l'atto di pignoramento, che si assume viziato per l'omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), ove venga impugnata anche la prodromica cartella di pagamento per vizio di notifica». Poiché trattasi di orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, di fronte al quale è d'uopo arrestarsi, ci si limita a rilevare che siffatte pronunce, introducendo un ripartizione anche delle impugnazioni esecutive fra giudice ordinario e giudice tributario, non si sottrae alla ricorrente critica di una inutile polverizzazione della giurisdizione, peraltro affidata sostanzialmente non ad un nitido principio normativo, ma ad una sua interpretazione dichiaratamente estensiva e all'intentio del ricorrente, che assegna esso stesso il valore impugnatorio al ricorso, sommandovi quello tributario a quello esecutivo. Quanto sufficiente per concludere che nonostante il lavorio, praticamente avviato fin dall'inizio della sua autonomia post costituzionale, degli interpreti e della dottrina sarebbe assai più utile, o almeno previamente assai più utile, un intervento sistemico di riordino della giurisdizione tributaria, rispetto a cui è consequenziale stabilire natura, compiti e funzioni delle corti a cui deve essere affidata. Ancor più sinteticamente, Cass. S.U., n. 17111/2017 ha di recente statuito che sussiste «la giurisdizione del giudice ordinario per le cartelle relative a crediti non tributari e per la domanda di risarcimento danni e la giurisdizione del giudice tributario per le cartelle tributarie». 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