Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 19 - Atti impugnabili e oggetto del ricorso 1 2 3 .1. Il ricorso può essere proposto avverso: a) l'avviso di accertamento del tributo; b) l'avviso di liquidazione del tributo; c) il provvedimento che irroga le sanzioni; d) il ruolo e la cartella di pagamento; e) l'avviso di mora; e-bis) l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni 4; e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni 5; f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 2 6; g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; g-bis) il rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quater della legge 27 luglio 2000, n. 2127; g-ter) il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 2128; h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; h-bis) la decisione di rigetto dell'istanza di apertura di procedura amichevole presentata ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017 o ai sensi degli Accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni di cui l'Italia e' parte ovvero ai sensi della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE9; i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado10. 2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 2011. 3. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all'atto notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 65 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [4] Lettera aggiunta dall'articolo 35, comma 26-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223. [5] Lettera aggiunta dall'articolo 35, comma 26-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223. [6] Lettera modificata dall'articolo 12, comma 3, lettera a), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16. [7] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 1, lettera i, del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n.220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [8] Lettera inserita dall'articolo 1, comma 1, lettera i, del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n.220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [9] Lettera aggiunta dall'articolo 22, comma 1. del D.Lgs. 10 giugno 2020, n. 49. [10] Lettera modificata dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della Legge 31 agosto 2022, n.130. [11] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della Legge 31 agosto 2022, n.130. InquadramentoLa complessa disposizione contiene l'elenco degli atti individuati dal legislatore come autonomamente impugnabili, con divieto di impugnazione di atti diversi e la previsione, in caso di mancata loro notificazione, della possibilità di impugnazione dell’atto prodromico «unitamente» all’atto successivamente notificato, oltre alle indicazioni che devono essere menzionate negli atti impugnabili al fine di consentire al destinatario di proporre ricorso.
In giurisprudenza, come da gran parte della dottrina, spesso non è stato compreso il significato della disposizione, che sancisce la regola della «predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili», discutendosi, piuttosto, della natura «tassativa» o meno dell’elencazione contenuta nel comma 1, dell’art. 19 (v. amplius sub 2). Ulteriore fraintendimento della portata dell’art. 19, d.lgs. n. 546/1992 è sorto in giurisprudenza a seguito dell’allargamento della giurisdizione tributaria a «tutti i tributi di ogni genere e specie comunque denominati» inserito nell’art. 2, comma 1, del d.lgs n. 546/1992, con la riforma apportata dall'art. 12, comma 2, legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Finanziaria 2002), poi completata nel 2005, che ha attribuito al giudice tributario tutto il contenzioso in materia tributaria. La riforma 2001-2005 ha posto in evidenza che, ai fini della qualificazione del tributo, non rileva la denominazione attribuita dal legislatore (Corte cost. n. 141/2009; Corte cost. n. 64/2008). Pertanto, “il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione” (Cass. S.U., n. 13793/2004). Inoltre, l'art. 2, nella formulazione integrata dall'art. 9, comma 1, lett. a), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ha confermato e rafforzato l'omnicomprensività della giurisdizione tributaria attribuita alle (ora denominate) Corti di giustizia tributaria, giudice «naturale» di cui all'art. 25 Cost. (Cass. S.U., n. 27074/2016). Tuttavia, confondendosi l’individuazione del perimetro della giurisdizione con l’individuazione degli atti che, entro tale perimetro (in quanto afferenti tributi), consentono l’accesso al giudice tributario, si è andato elaborando, per l’identificazione di questi ultimi, un criterio profondamente diverso da quello specificatamente sancito dal legislatore processuale tributario all’art. 19, guardandosi al parametro processuale civilistico dell’«interesse ad agire», e finendo, così, per demandarne l’individuazione, di volta in volta, alla valutazione del giudice (Cass. S.U., n. 16776/2005; Cass. V, n. 21045/2007; Cass. S.U., n. 19704 /2015), con effetti distorsivi ai quali ha, talvolta, posto rimedio la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 30736/2021, v. sub 3), mentre, altre volte, è stato necessario l’intervento del legislatore (v. sub 4.3, con riferimento all’ impugnazione del ruolo e della cartella di pagamento). La predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabiliL'art. 19, comma 1, contiene l'elenco degli atti fiscali che possono essere impugnati autonomamente, con la precisazione contenuta al comma 3, primo periodo, che«gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente». Rispetto alla pregressa normativa (d.P.R. n. 636/1973), con la riforma del d.lgs. n. 546/1992, non solo è stato ampliato il contenzioso tributario demandato alle, allora denominate, Commissioni tributarie provinciali e regionali, ed è stato soppresso il terzo grado (eliminandosi il procedimento davanti alla Corte d'appello e permanendo quello davanti alla Commissione centrale solo per le liti pendenti al 1° aprile 1996, fino al loro esaurimento), con ulteriore consolidamento della giurisdizione tributaria speciale, ma si è potenziata la struttura impugnatoria del processo, con l'aumento del novero degli atti autonomamente impugnabili, ex art. 19, nel termine di decadenza di cui al successivo art. 21. In tale nuovo assetto, i l disposto dell'art. 19, d.lgs. n. 546/1992, intitolato, non a caso, « Atti impugnabili e oggetto del ricorso » , ha assunto rilievo fondante la peculiare struttura del processo tributario, ivi consacrandosi il principio della « predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili ». Tale fondamentale regola sta a significare che il legislatore ha voluto riservare a sé l'individuazione degli atti attraverso i quali è consentito l'accesso al giudice tributario (FALSITTA, 361). Si tratta, dunque, di regola completamente diversa, e, a ben vedere, incompatibile con il principio processuale civilistico dell'art. 100 c.p.c., secondo il quale il giudice deve ravvisare in chi propone la domanda l'interesse ad agire, posto che, nel processo tributario, tale compito è riservato al legislatore. Sicché compito del giudice è, invece, quello di capire se il legislatore ha ricompreso l'atto fatto oggetto di ricorso nell'elenco dell'art. 19, facendo mente, quando l'atto impugnato non sia menzionato nell'elenco, a quanto indicato nella lett. i) dello stesso art. 19, che permette di ricomprendere nel novero « ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle corti di giustizia tributaria » e, di conseguenza, considerare se la disciplina normativa di quell'atto consenta di trarne gli elementi indicativi della volontà del legislatore di ricondurlo, o meno, alla categoria di quelli autonomamente impugnabili (GLENDI , Commentario, 370, a cura di Consolo, Glendi, il quale osserva che tale disposizione “nel contempo, funge da chiusura per sversamenti extra legem, ma dispone, altresì, una vera e propria riserva ex lege, per l'eventuale indicazione di altri atti autonomamente impugnabili nel processo tributario”). In tale indagine, non solo non rileva il nomen iuris, bastando che l'atto abbia sostanza identica a quelli espressamente indicati dal ridetto art. 19, comma 1 (come, per es., l'avviso di rettifica IVA, ex art. 54 d.P.R. n. 633/1972, così Finocchiaro, Finocchiaro, 405; conformi, Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 89; Basilavecchia, 52), ma , tramite la lett. i), va indagato il rinvio effettuato dal legislatore ad altre disposizioni normative dalle quali è dato evincere, anche evolutivamente, la configurazione di un atto in termini di autonoma impugnabilità. Circostanza che può rinvenirsi, o espressamente (quando il legislatore qualifica un atto, al di fuori dall'elenco dell'art. 19, comma 1, come atto autonomamente impugnabile, ad es., per gli atti volti al recupero degli aiuti di Stato ex art. 1, 2° comma, d.l. n. 10 del 2007, oppure per i provvedimenti di sospensione dei rimborsi o di compensazione del debito, ex art. 23, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997), o implicitamente (quando la disciplina dettata dal legislatore per quell'atto ne indica l'impugnabilità davanti al giudice tributario, come avviene, ad es., per l'intimazione ad adempiere ex art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602 del 1973, individuata, insieme alla cartella di pagamento, quale ultimo atto appartenete alla giurisdizione tributaria dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, oppure per l'invito al pagamento del contributo unificato notificato dalle cancellerie e segreterie ex art. art. 248, d.p.r. n. 115/2002, in combinato disposto con l'art. 11, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nella parte in cui prevede che le cancellerie e segreterie stanno in giudizio direttamente per il contenzioso in materia di contributo unificato) (GLENDI GR., 1002). Da qui si evince che la questione della «tassatività» dell'elencazione costituisce un «falso problema», posto che il legislatore non ha certo costruito una catalogazione chiusa, tant'è vero che, non solo è intervenuto più volte esso stesso ad integrarla (come, da ultimo, con le lett. g-bis e g-ter, sul rifiuto sull'istanza di autotutela), ma, con la citata lett. i), nel rinviare ad altre disposizioni normative, ha lasciato il sistema aperto a un continuo ed elastico adattamento evolutivo, pur nella mantenuta prerogativa di riservare a sé,e non al giudice (come, invece, dispone l'art. 100 c.p.c.), l'individuazione dell'interesse del destinatario a reagire giudizialmente e, quindi, la configurazione di un atto quale autonomamente impugnabile. Va, poi, rimarcato che, nel sistema costruito dal legislatore processuale tributario, se possono essere impugnati solo gli atti individuati dal legislatore medesimo come meritevoli di tutela giurisdizionale, il destinatario deve proporre ricorso nel termine decadenziale prescritto dall'art. 21 (al cui commento si rimanda), con l'effetto che, se questo non avviene, l'atto, divenuto inoppugnabile, consolida irrimediabilmente i suoi effetti. Infine, dev'essere ricordato che l'art. 7, comma 5, d.lgs. n. 546/1992, al cui specifico commento si rinvia, sottrae alla giurisdizione tributaria i regolamenti e gli atti amministrativi generali, da impugnarsi difatti «nella diversa sede competente», consentendo però al giudice tributario la loro cognizione in via incidentale, nel caso di rilevanza per la decisione, con conseguente disapplicazione degli stessi, se ritenuti illegittimi (Finocchiaro, Finocchiaro, 420). In giurisprudenza, sul presupposto della «tassatività» dell'elencazione contenuta al comma 1 dell'art. 19, e con l'intento di superarla, si è finito per creare la categoria degli «atti facoltativamente impugnabili» (su cui v. amplius sub. 2.1). Sul tema della sottrazione alla giurisdizione del giudice tributario dei regolamenti e degli atti amministrativi generali, ferma la cognizione degli stessi in via incidentale, ai fini della disapplicazione, deve aggiungersi, per completezza, che, secondo la giurisprudenza, la cognizione incidentale deve essere esclusa in tutti gli altri casi «interni» alla giurisdizione tributaria, potendosi eventualmente far luogo alla sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., ora art. 39 (Cass.S.U., n. 7665/2016; Cass.S.U., n. 643/2015; Cass. V, n. 9183/2011, quest'ultima, in particolare, ribadisce l'impossibilità di cognizione incidentale interna alla giurisdizione tributaria; conf., Cass. V, n. 9999/2006; per una fattispecie di cognizione incidentale esterna, relativa fattispecie alla qualità di erede del contribuente, v. Cass. V, n. 25116/2014). La categoria degli «atti facoltativamente impugnabili»Fraintendo la regola della predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili (costituita dalla volontà del legislatore di riservare a sé, e non al giudice, come per l’art. 100 c.p.c., l’individuazione degli atti impugnabili, escludendo l’impugnabilità di tutti gli altri), la giurisprudenza della Corte di cassazione, a seguito dell’allargamento della giurisdizione tributaria a tutti i tributi di ogni genere e specie comunque denominati inserito nell’art. 2, 1° comma, d.lgs. n. 546 del 1992, con la riforma introdotta nel 2001 e completata nel 2005, che ha portato alla completa attribuzione alle Commissioni tributarie (ora Corti di giustizia tributaria) di tutto il contenzioso in materia, ha intrapreso un percorso volto a superare la c.d. «tassativa» dell’elencazione contenuta nell’art. 19 (pur trattandosi, come sopra visto, di vero e proprio equivoco). È stato così affermato che l’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la riforma del 2001 “ha poi necessariamente comportato una modifica dell’art. 19 del d.lgs. 546/1992”, in quanto “l’aver consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta…la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta l’Amministrazione manifesti (anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto) la convinzione che il rapporto tributario (o relativo a sanzioni tributarie) debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare (in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c.)” (Cass. S.U. n. 16776/2005). Tale idea ha trovato seguito in altre pronunce. In particolare in tema di avviso bonario tarsu (Cass. S.U. n. 16293/20017) e in tema di avviso relativo a contributi consortili (Cass. S.U. n. 16428/2007), affermandosi come, “ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria debbano essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito ‘bonario’ a versare quanto dovuto”. Così statuendo, le Sezioni Unite avevano spostato il compito di individuare gli atti autonomamente impugnabili dalla sfera del legislatore alla sfera del giudice, divenuto libero di ricomprendere un atto nell’elenco dell’art. 19, comma 1, se ravvisava in capo al contribuente l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., in ragione del fatto che l’atto, quand’anche fosse un mero anticipatorio sollecito, manifestava comunque “una pretesa compiuta e non condizionata”. Con ogni corollario che l’inserimento di quell’atto nell’alveo dell’art. 19 comportava e, per questo, con l’ovvio allarme ingenerato, sia nei contribuenti, vistisi costretti ad impugnare qualsiasi comunicazione, per non rischiare decadenze e consolidamenti di pretese, sia negli enti impositori, che correvano il rischio di vedersi annullare dal giudice le dette comunicazioni, assurte a valenza di veri e propri avvisi di accertamento o di liquidazione, solo perché prive dei requisiti formali necessariamente propri degli atti autoritativi tipici. Per rimediare, la Sezione V della Corte di cassazione ha creato la categoria degli «atti facoltativamente impugnabili», riconoscendo, da un lato, la possibilità del contribuente di ricorrere al giudice tributario avverso ogni atto in cui sia manifestata “una ben individuata pretesa impositiva tributaria”, tale da far sorgere in capo al contribuente ex art. 100 c.p.c. l’interesse ad agire, “senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui” quell’atto “è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa tipica”, ma precisando, d’altro lato, che si trattava di una mera facoltà di impugnazione, il cui mancato esercizio nel termine decadenziale “non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dell’art. 19” (Cass. V, n. 21045/2007). A fronte di impugnazioni, sia dell’atto anticipatore della pretesa, sia dell’atto tipico contenente la medesima pretesa rivestita della forma autoritativa di uno degli atti dell’art. 19, la Suprema Corte ha poi ulteriormente precisato che l’atto tipico, una volta notificato, “sostituisce l'atto precedente e ne provoca la caducazione d'ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente a oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l'interesse a una decisione relativa a un atto - comunicazione di irregolarità - sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente alla cartella di pagamento”, nel caso, costituente, rispetto all’avviso di irregolarità ex art. 36-bis, d.p.r. n. 600/1973, l’atto tipico, “che lo ha sostituito integralmente”(Cass., V, n. 7344/2012). Come da taluno rilevato, siffatta categoria di atti facoltativamente impugnabili, creata dalla giurisprudenza della Suprema Corte, costituisce «un vero e proprio tertium genus». non sovrapponibile, o confondibile, con gli altri tipi di atti (atti autonomamente impugnabili e atti non impugnabili) menzionati dall’art. 19, tanto che “la qualificazione di un atto tra quelli tipici autonomamente impugnabili, facoltativamente impugnabili, o non impugnabili è fondamentale, perché solo i primi vanno impugnati nel termine di decadenza, pena la loro definitività, mentre, per i secondi, la mancata impugnazione non produce conseguenze pregiudizievoli definitive e l'avvenuta impugnazione diviene addirittura irrilevante, una volta che sia sopravvenuta la notifica dei primi, ed, infine, per i terzi, l'impugnazione è tout court inammissibile (GLENDI GR. Note critiche alla teorica giurisprudenziale degli atti facoltativamente impugnabili nel processo tributario, Dir. prat, trib., n. 6/2018; I, 2587). Tuttavia una tale consapevolezza non si è avuta nella generalità della dottrina, continuando a porsi l’atto facoltativamente impugnabile sullo stesso piano dell’atto tipico di cui all’elenco dell’art. 19 (FRANSONI, 79; PERRONE, 97; BASILAVECCHIA, 52), né nella giurisprudenza, con distorsioni di non poco conto quando entrambi gli atti (facoltativo anticipatorio e tipico successivo) erano impugnati dal contribuente. Fino a che l’errata e fuorviante commistione tra gli atti facoltativamente impugnabili di creazione giurisprudenziale e gli atti impugnabili predeterminati dal legislatore ex art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, è stata spazzata via dall’ord. 29 ottobre 2021, n. 30736. Con tale pronuncia, per il caso di impugnazione di una comunicazione di iscrizione di ipoteca (rispetto alla quale l’Agenzia delle entrate-Riscossione aveva dedotto l’inammissibilità del ricorso introduttivo per non essere stato impugnato il precedente preavviso), la Suprema Corte, facendo chiarezza, non solo ha ribadito l’atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. e-bis, del d.lgs. n. 546/1992 è la comunicazione dell’avvenuta iscrizione di ipoteca (mentre il preavviso di cui all’art. 77, comma 2-bis, d.p.r. n. 602/1973, è “una semplice comunicazione non assimilabile ad alcuna delle categorie di atti immediatamente lesivi, indicati nel D.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, che, tuttavia, contiene tutti gli elementi necessari e sufficienti per comprendere il titolo della imminente iscrizione d’ipoteca, e perciò, giustifica la facoltà - e non l’onere - di immediata impugnazione per contestare la legittimità dell’iscrizione stessa”), ma, soprattutto, ha precisato a chiare lettere che “una volta ammessa l'impugnazione facoltativa degli atti sopra indicati, resta pur sempre necessaria l'impugnazione dell'atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant'è che, una volta emesso tale atto - come precisato da questa Corte - viene meno l'interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l'atto impugnato in via facoltativa (cfr. in particolare Cass. Sez. 5, n. 7344 dell’11/05/2012)”. Sicché “in effetti, se l'atto tipico viene impugnato, l'unico giudizio che rileva è quello avverso quest'atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l'atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l'avvenuto consolidamento degli effetti propri dell'atto tipico” (nello stesso senso, Cass. V, n. 11481/2022, che ha ribadito l’estraneità delle comunicazioni preventive, facoltativamente impugnabili, alla dinamica dell’imposizione/riscossione autoritativa e la radicale mancanza dei presupposti per la sospensione del giudizio sull’atto tipico, che è l’unico a dover essere coltivato, dovendo, invece, il giudice pronunciare la declaratoria di cessazione della materia del contendere sull’impugnazione dell’atto facoltativamente impugnabile; parimenti Cass V, n. 26534/2021, secondo cui non rileva che sia stata pronunciata sentenza non appellata sul ricorso avverso l’atto facoltativamente impugnabile se l’atto tipico è stato notificato prima della pubblicazione di quella sentenza; Cass. trib., n. 1213/2023; Cass. VI-T n. 15560/2023; Cass. trib. n. 16111/2023; Cass. trib. n. 16118/2023; Cass. trib., n. 16122/2023 che riaffermano il principio secondo cui, se l'atto tipico viene impugnato, l'unico giudizio che rileva è quello avverso quest'atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l'atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l'avvenuto consolidamento degli effetti propri dell'atto tipico). Con la sopra menzionata ord. 29 ottobre 2021, n. 30736, la Suprema Corte, ha, poi, esemplificativamente menzionato alcuni atti che rientrano tra quelli appartenenti alla sfera dell’art. 19, comma 1, d.lgs., n. 546 del 1992 da impugnare nel termine a pena di decadenza (citando, a titolo di esempio, oltre alla comunicazione di avvenuta iscrizione di ipoteca oggetto di quel giudizio, il provvedimento di rimborso parziale, da intendersi come atto di rigetto, per la parte non rimborsata, da impugnare nei sessanta giorni dalla notificazione, sì da rendere improponibile una seconda istanza di rimborso, per il mancato accoglimento integrale della prima, e, ancora, l’invito al pagamento di cui all’art. 212 del d.p.r. n. 115/2002, t.u. sulle spese di giustizia, costituente l’unico atto liquidatorio dell’imposta prenotata a debito, sì da rendere improponibile, in difetto di sua impugnazione, il ricorso avverso la successiva cartella di pagamento, ed, infine, l’avviso di pagamento previsto dall’art. 14 del d.lgs. n. 504/1995, in tema di accise, la cui mancata impugnazione comporta la cristallizzazione della pretesa e preclude la possibilità di proporre istanza di rimborso). Tra gli atti, invece, facoltativamente impugnabili si ricordano: gli avvisi bonari (Cass. V, n. 27494/2016; Cass. VI-T, n. 3315/2016; Cass. V, n. 10987/2011; Cass. V, n. 14373/2010); il bollettino e le fatture per il pagamento della TIA (Cass. VI, n. 14675/2016); la bolletta TARI (Cass. VI-T n. 1797/2023) l’atto di variazione della categoria TARSU (Cass. V, n. 16952/2015); l’avviso di pagamento dei contributi di bonifica (Cass.S.U., n. 16428/2007; Cass. V, n. 4513/2009; Cass. V n. 16122/2023); l’invito di pagamento emesso dal comune per il pagamento della TOSAP (Cass. V, n. 21045/2007); le mere comunicazioni della pretesa tributaria, in qualsiasi forma (Cass. VI, n. 7630/2013; Cass. V, n. 16293/2007); le comunicazioni di irregolarità ex art. 36-bis, comma 3, d.P.R. n. 600/1973 (Cass. VI, n. 3315/2016; Cass. VI, n. 25297/2014; Cass. V, n. 7344/2012), il preavviso di fermo dei beni mobili registrati (Cass.S.U., n. 20931/2011, contraria, però, Cass. S.U., n. 679/2010, posto che tale avviso è l’unico atto che va notificato); la comunicazione preventiva di iscrizione di ipoteca (Cass. V, n. 30736/2021; Cass. V, n. 17237/2021; Cass VI-T, n. 26129/2017); il bollettino di conto corrente, indicante l'importo da pagare, che costituisca l'unico atto di imposizione ricevuto dal contribuente (Cass. V, n. 25591/2010, resa in materia di imposte di pubblicità); la cancellazione o il rifiuto di iscrizione dall'anagrafe delle Onlus prevista dall'art. 11 d.lgs. 4 dicembre 1997 n. 460 (Cass.S.U., n. 1625/2010); il diniego di dare corso alla procedura amichevole, prevista dalla Convenzione europea di arbitrato del 23 luglio 1990, ratificata con legge 22 marzo 1993, n. 99, conclusa per risolvere i casi di doppia imposizione internazionale economica» (Cass.S.U., n. 12759/2015); la comunicazione di diniego all’istanza di voluntary disclosure (Cass. trib., n. 5174/2023). È stata anche ammessa la facoltà di proporre ricorso contro le risposte all'interpello (Cass. V, n. 17010/2012; Cass. V, n. 8663/2011) fintanto che non è intervenuto il legislatore, il quale, con l’art. 6 del D.lgs. n. 156/2015, ha, prima, provveduto a disporre che non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello di cui al contestualmente novellato art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, salvo le risposte alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 11 (interpello c.d. disapplicativo), avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all'atto impositivo, e, poi, con il D.lgs. n. 219/2023, ha tout court sancito, nell’introdotto comma 7 del cit. art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, che “la risposta all’istanza di interpello non è impugnabile”. Gli atti impugnabili: i requisiti di formaL'art. 19, comma 2, D.lgs. n. 546/1992, dispone che gli atti indicati come autonomamente impugnabili di cui al comma 1 del medesimo art. 19 — cioè gli atti contro i quali i contribuenti possono proporre ricorso ai sensi degli artt. 20 ss. al cui specifico commento si rinvia — debbano contenere «l'indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell'art. 20». La dottrina, pur dando atto dell'opportunità della norma, alla quale si era, poi, aggiunta quella dettata dall'art. 7, comma 2, l. 27 luglio 2000, n. 212, ha lamentato che, per la violazione dei suddetti obblighi di forma, non sia stata stabilita alcuna sanzione (riducendo, quindi, la prescrizione ad una «mera facoltà», per l'ente impositore o per l'agente della riscossione (così Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 417; D'Angelo, D'Angelo, Manuale, 85; Bartolini, Repregosi, Il codice, 136; Blandini, Il nuovo processo, 38; diversamente, Bellagamba, 118, secondo cui, la violazione delle suddette forme sarebbe sanabile con la costituzione del contribuente; nonché, Socci, Sandulli, Manuale, 118, per i quali la nullità viene fatta discendere dalla lesione del diritto difensivo del contribuente, anche per tali autori comunque sanabile dalla costituzione di quest'ultimo). In dottrina si sono comunque discusse le conseguenze della omessa — ovvero inesatta — indicazione del termine entro cui proporre ricorso ovvero della Commissione, ora Corte di giustizia tributaria, territorialmente competente, ovvero delle forme per la notifica del ricorso prescritte dall'art. 20 (per i ricordati autori, per es. Finocchiaro, Finocchiaro, 419, non essendo l'omessa o inesatta indicazione di che trattasi in alcun modo sanzionata, ne discenderebbe che il contribuente che incorresse a causa di ciò nelle decadenze ex lege previste, non potrebbe essere rimesso in termini; diversamente, per altra parte della dottrina, il contribuente dovrebbe invece poter essere rimesso in termini, v. Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 89; nonché, Bafile, 107 e, per quanto sembra, Schiavolin, Commentario, IV ed., 296, a cura di Consolo, Glendi). In giurisprudenza si è escluso che la mancanza delle indicazioni, prescritte dall'art. 19, comma 2 quali elementi di forma degli atti autonomamente impugnabili, infici la validità dell'atto, comportando, sul piano processuale, il riconoscimento della scusabilità dell'errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente rimessione in termini per l'impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta (v., ex plurimis, Cass. V, n. 22040/2020; Cass. V, n. 6517/2018; Cass. V, n. 301/2018; Cass. V, n.19675/2011; Cass. V, n. 14408/2009; Cass.S.U., n. 16293/2007). Si è peraltro negato che il contribuente, quando impugna un atto successivo «unitamente a quello precedente non impugnato, possa chiedere la rimessione in termini di quest'ultimo (Cass. V, n. 3277/2012); peraltro, in una fattispecie anteriore all'art. 7 l. n. 212/2000, nonostante il trascorrere dei giorni sessanta stabilito dall'art. 21 a pena di decadenza per impugnare l'atto fiscale, si è lo stesso ammesso il contribuente a contestare la pretesa tributaria, atteso che l'atto contro cui era stato proposto tardivo ricorso non conteneva le indicazioni di cui all'art. 19, comma 2 (Cass. V, n. 1823/2010). Da ultimo, il legislatore, pur non intervenendo sull'art. 19, comma 2, D.lgs. n. 546/1992, ha inserito, con l'art. 1, comma 1, lett. g), D.lgs, n. 219/2023, nello Statuto dei diritti del contribuente, l'art. 7-quater “Irregolarità degli atti dell'amministrazione finanziaria”, ai sensi del quale “la mancata o erronea indicazione delle informazioni di cui all'articolo 7, comma 2, non costituisce vizio di annullabilità”. Con la recente riforma è stata, dunque, sancita la sostanziale irrilevanza delle mancate indicazioni, pur previste nel comma 2 dell'art. 7 dello Statuto come «tassative», relative ai seguenti dati: a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili, in netta contrapposizione all'originaria ratio dello Statuo, finalizzata a tutelare i «diritti» del contribuente, come la denominazione stessa dello Statuto lasciava intendere. Gli atti impugnabili: l'oggetto dell'impugnazione e i «vizi propri» L'art. 19, comma 3, dispone che gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1, possono essere impugnati «solo per vizi propri» con la conseguenza, per es., che l'avviso di accertamento divenuto definitivo per mancanza di tempestiva impugnazione non può essere impugnato con la cartella successivamente notificata perché quest'ultima potrà in effetti essere impugnata esclusivamente «per vizi propri» (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 422; diversamente, ma isolatamente, Bafile, Il nuovo processo, 107, secondo cui, in questi casi, una volta costituita la parte resistente, si potrebbe invece decidere l'impugnazione dell'atto presupposto che, nonostante la sua rituale notifica, non fosse stato tempestivamente impugnato; v., inoltre, Moschetti, 2003, 1069, per l'osservazione secondo cui anche i contribuenti coobbligati in solido, che non hanno ricevuto la notifica dell'atto autonomamente impugnabile, possono impugnare quest'ultimo «unitamente» all'atto non autonomamente impugnabile; in questo senso, ma con specifico riguardo agli avvisi di accertamento esecutivi, cosiddetti «impoesattivi», ex art. 29 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv., con modif., in l. 30 luglio 2010, n. 122, v. Carinci, Riv. dir. trib., 2011, 179; nonché, Fransoni, Rass. Trib., 2011, 844). In dottrina si è criticata la scelta della locuzione «per vizi propri» per la sua sostanziale irrilevanza, anzi per qualche autore foriera di possibili fraintendimenti ove si volesse da qui ricavare che l'oggetto dell'impugnazione debba intendersi limitato ai soli «vizi formali» dell'atto e non invece anche all'accertamento giudiziale della fondatezza o meno della pretesa tributaria (Russo, Manuale, 462, la cui critica evidentemente poggia sulla opzione della natura dichiarativa del processo tributario, v. sub art. 18 n. 2; diversamente, per Schiavolin, Commentario, IV ed., 261, a cura di Consolo, Glendi, secondo cui la locuzione «per vizi propri», andrebbe invece letta nel senso di escludere un giudizio sul rapporto, tesi che quindi si fonda sulla teoria della natura costitutiva del processo tributario, v. ancora sub art. 18 n. 2, anche se poi, quest'ultimo autore, finisce per ammettere che i «vizi propri» possono anche riguardare la «tutela sostanziale»). Da altra parte della dottrina — sempre nella direzione di precisare l'estensione di tale formula — si è ritenuto che nei «vizi propri» dell'atto autonomamente impugnabile andrebbero compresi anche quelli relativi agli atti istruttori che lo precedono (Turchi, 313; diversamente per Tesauro, 2013, 94, secondo cui, proponendo ricorso contro l'atto autonomamente impugnabile, s'impugnerebbe «in via differita» anche l'atto istruttorio illegittimo, non autonomamente impugnabile, su di cui v. infra sub 5). Gli atti impugnabili: il ricorso contro gli atti impugnabili non notificati L'art. 19, comma 3, dispone che gli atti impugnabili ex art. 19, comma 1 che non siano stati notificati, o la cui notifica sia nulla, possono essere impugnati «unitamente» all'atto successivamente notificato, con l'effetto, se l'impugnazione non è esercitata, che l'atto presupposto autonomamente impugnabile, sebbene non notificato, diventerà definitivo (Russo, 463; Finocchiaro, Finocchiaro, 421; Bellagamba, 116; Turchi, 317). Occorre evidenziare che per una parte della dottrina l'art. 19, comma 3 ( formalmente modificato in sede parlamentare rispetto allo schema di decreto legislativo approvato dal governo) dovrebbe aver lasciato intatta la facoltà del contribuente di scegliere se impugnare, «unitamente» all'atto successivamente notificato, quello prodromico soltanto per farne valere l'inesistenza a seguito della sua omessa o nulla notificazione ovvero anche impugnarlo «per vizi propri» (Turchi, I poteri, 317; Falsitta, Manuale, I, 586; Russo, Manuale, 463; Schiavolin, Commentario IV ed, 265, a cura di Consolo, Glendi; Batistoni; Ferrara, Dir. prat. trib., 1996, 1115; Glendi, Giur. trib., 2001, 356; contrario, invece, Bafile, Il nuovo processo, 99, secondo cui, quando il contribuente, «unitamente» all'atto non autonomamente impugnabile, impugna quello autonomamente impugnabile di cui sia stata omessa la notificazione o la cui notificazione sia nulla, deve necessariamente impugnarlo «per vizi propri», pena la sua definitività; nonché, Socci, Sandulli, Manuale, 107; Perrucci, Boll. trib., 93, 629; contrari, a quanto sembra, anche Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 421, i quali scrivono che il contribuente che, «unitamente» all'atto non autonomamente impugnabile, impugna quello autonomamente impugnabile ex art. 19, comma 1 che non è stato notificato o la cui notifica sia nulla, sarà tenuto a proporre «esclusivamente» in quella sede le censure «sia di merito che di legittimità»). La giurisprudenza ha optato per la facoltà di scelta del contribuente che si avvale del disposto del comma 3 dell'art. 19, tra “impugnare il solo atto successivo (notificatogli) facendo valere il vizio derivante dall'omessa notifica dell'atto presupposto - che costituisce vizio procedurale per interruzione della sequenza procedimentale caratterizzante l'azione impositiva e predisposta dalla legge a garanzia dei diritti del contribuente (e per questo vincolante per l'amministrazione, ma disponibile da parte del garantito mediante l'esercizio dell'impugnazione cumulativa) -, oppure impugnare con l'atto consequenziale anche l'atto presupposto (non notificato) facendo valere i vizi che inficiano quest'ultimo e contestando alla radice il debito tributario reclamato nei suoi confronti” Con l'effetto, nel primo caso, ovvero quando il contribuente abbia fatto valere il vizio della procedura consistito nell'omessa notifica dell'atto presupposto (e tale vizio risulti effettivamente sussistente in esito all'istruttoria processuale), che “per questo solo vizio l'atto consequenziale impugnato dovrà essere annullato”, con la “definitiva estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza (eventualmente) previsti dall'ordinamento siano già decorsi o siano ancora pendenti” (Cass.S.U., n. 5791/2008; Cass.S.U., n. 16412/2007). Trattasi di giurisprudenza ormai consolidata (Cass. V, n. 15482/2022; Cass. V, n. 7746/2022; Cass. S.U. n. 10012/2021, secondo cui per “la giurisprudenza di questa Corte è dunque senz'altro consentito al contribuente impugnare una cartella esattoriale al fine esclusivo di far valere la mancata/irrituale notificazione dell'atto impositivo prodromico alla medesima, senza contestualmente aggredire l'atto stesso sotto altri profili di invalidità formale ovvero per la sua infondatezza nel merito, non sussistendo dunque alcun onere processuale della parte ricorrente al riguardo". V., anche, Cass. V, n. 1144/2018; Cass. VI, n.22424/2017; Id., n. 19145/2016; Id., n. 23217/2014). Ovviamente, se l'atto prodromico è stato regolarmente notificato, ma non tempestivamente impugnato, il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile perché l'atto successivo può essere in questo caso soltanto impugnato «per vizi propri» ex art. 19, comma 3). Va poi ricordato che, nei casi in cui non era stata notificata la modifica della rendita attribuita all'immobile, il contribuente è stato ammesso ad impugnarla «unitamente» all'avviso di liquidazione d'imposta successivamente notificatogli, il quale avviso di liquidazione d'imposta deve anche contenere gli estremi della variazione catastale (Cass.V, n. 21765/2014; Cass. V, n. 9008/2014; Cass. V, n. 5538/2013; Cass. V, n. 22281/2011; Cass.V, n. 26296/2005; diversamente, quando cioè la rendita è stata notificata, quest'ultima, se non tempestivamente impugnata, diventerà definitiva, con la conseguenza che non potrà più impugnarsi «unitamente» all'atto successivamente notificato, Cass. V, n. 6620/2011; non è necessaria la preventiva notifica della rendita, nel caso la stessa sia stata determinata a seguito di procedura DOCFA, Cass. V, n. 21505/2010; Cass. V, n. 19943/2010). Gli atti impugnabili: le fattispecie degli atti autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1 È stato osservato che taluni atti fiscali in precedenza non contenuti nell'elenco dell'art. 16, comma 1, d.P.R. n. 636/1972 — ed ora invece espressamente compresi nell'elenco di all'art. 19, comma 1 — erano in realtà ritenuti impugnabili anche sotto l'anteriore legge processuale secondo «una prassi interpretativa pressoché consolidata» (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 407, che ricordano, in proposito, che tali erano « gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 2» ex art. 19, comma 1, lett. f); nonché, «il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari», ex art. 19, comma 1, lett. h); nonché, la cartella di pagamento, ex art. 19, comma 1, lett. d), con la precisazione che l'impugnazione della cartella vale anche come impugnazione del ruolo, secondo quanto stabilito dall'art. 21, comma 1, al cui specifico commento si rinvia; v., per analoghe osservazioni, Bellagamba, Il nuovo contenzioso, 111). Ad ogni modo in dottrina sono stati ritenuti autonomamente impugnabili in quanto rientranti nell'elenco ex art. 19, comma 1: lett. a ) b ) — tutti gli atti che determinano in maniera «autoritativa» un'obbligazione tributaria, come l'avviso di accertamento e l'avviso di liquidazione dell'imposta; con l'avvertenza che, in taluni casi, per es. per l'imposta di registro, determinandosi con l'avviso di accertamento l'imponibile, mentre con l'avviso di liquidazione l'imposta, una volta divenuto definitivo per mancanza di tempestiva impugnazione l'avviso che accertava l'imponibile, quest'ultimo non poteva più essere impugnato «unitamente» all'avviso di liquidazione successivamente notificato, che ai sensi dell'art. 19, comma 3, poteva in effetti essere impugnato solamente «per vizi propri» (Tesauro, 2013, 85; v., Schiavolin, Commentario, IV ed., 272, a cura di Consolo, Glendi, per analoghe conclusioni circa i requisiti «di sostanza» che debbono possedere gli atti che possono intendersi contenuti nell'art. 19, comma 1, lett. a), in quanto determinanti in maniera «autoritativa» l'obbligazione tributaria, nonché per una più o meno completa «lista» degli stessi), ora, per imposte dirette iva, irap e per i tributi locali, gli avvisi di accertamento esecutivi, cosiddetti «impoesattivi», ex art. 29 d.l. n. 78/2010 (Glendi, Dir. prat. trib., 2011, 2672). Rientrano nel novero gli atti di recupero dei crediti indebitamente utilizzati, ex artt. 1, comma 421, l. 30 novembre 2004, n. 311, e 17 d.lgs. 9 luglio 2013 n. 85 (v. Schiavolin, Commentario, IV ed., 274, a cura di Consolo, Glendi); l'irrogazione delle sanzioni, che normalmente avviene con l'atto che determina l'imposta, cosicché l'irrogazione della sanzione, sempre dipendente dall'accertamento della pretesa tributaria, andrà impugnata contestualmente all'avviso, ma potrebbe essere impugnata anche solo la sanzione, se il contribuente facesse acquiescenza all'accertamento dell'imposta, per es. unicamente contestando la misura della comminatoria (Tesauro, 2013, 85; v., la Circ. 23 aprile 1996, n. 98/E n. 3, per cui però, almeno a quanto sembra, la sola impugnazione dell'avviso non comporta impugnabilità anche della sanzione; conforme, Bellagamba, 110); gli atti conclusivi dei procedimenti di accertamento dei diritti doganali e delle accise, ex artt. 9 e 11 d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, nonché ex art. 14 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, in precedenza attribuiti alla giurisdizione ordinaria, ora tuttavia ricompresi nella giurisdizione tributaria ex art. 2 estesa a tutti i tributi, cosicché necessariamente anche questi particolari atti di accertamento d'imposta debbono essere ritenuti autonomamente impugnabili (Tesauro, 2013, 86; v. Schiavolin, IV ed., 273, a cura di Consolo, Glendi); l'ingiunzione fiscale ex artt. 2 ss. r.d. 14 aprile 1910, n. 639, nei casi di sua sopravvivenza come accertamento coattiva d'imposta, per es. ex art. 52, comma 6, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che permette la riscossione «in proprio» dei tributi locali da parte di comuni e province, pur non contenuta nell'elenco degli atti impugnabili di cui all'art. 19, comma 1, la cui opposizione era in precedenza attribuita al giudice ordinario, ed oggi, in ragione dell'estensione ex art. 2 della giurisdizione tributaria a tutte le imposte, impugnabile davanti al giudice tributario; l’avviso di pagamento del contributo unificato ex art. 248 del d.p.r. n. 115/2002 (Glendi, 1002); l'avviso di ripetizione di indebito IVA, praticamente consistente in un avviso di accertamento (Finocchiaro, Finocchiaro, 414); lett. c ) — il separato provvedimento di irrogazione delle sanzioni, anch'esso quindi autonomamente impugnabile «per vizi propri», oppure anche «unitamente» all'avviso di accertamento da cui dipende «per vizi propri» di quest'ultimo se non notificato, perché se fosse stato notificato senza tempestiva impugnazione non potrebbe essere impugnato «unitamente» all'autonomo provvedimento di irrogazione delle sanzioni (Tesauro, 2013, 85); rimane peraltro controversa l'ipotesi in cui l'autonomo provvedimento di contestazione delle sanzioni non sia stato impugnato, mentre l'avviso di accertamento che lo presuppone sia stato impugnato vittoriosamente dal contribuente (per Schiavolin, Commentario, IV ed., 272, a cura di Consolo, Glendi, in questi casi, dovrebbe caducarsi anche l'atto di contestazione; contrario, invece, Bellagamba, Il nuovo contenzioso, 110; conforme, sembra, la Circ. 23 aprile 1996, n. 98/E n. 3, laddove, distinguendo l'ipotesi in cui la sanzione sia stata irrogata con l'avviso di accertamento, afferma che la sola impugnazione dell'avviso non comporta impugnabilità anche della sanzione); lett. d ) — il ruolo e la cartella di pagamento, che costituisce il mezzo con cui il ruolo viene portato a conoscenza del contribuente per consentirgli l'impugnazione dello stesso (v. sub art. 21). La cartella può anch'essa essere impugnata autonomamente «per vizi propri»; con la precisazione che, nel caso in cui la notifica della cartella non sia stata preceduta dalla notifica di un avviso di accertamento dell'imposta, i «vizi propri» della cartella possono per es. riguardare anche la pretesa e non solo i vizi della riscossione, ma, ovviamente, in ipotesi di non tempestiva impugnazione il ruolo diverrà definitivo, senza che quindi sia possibile ottenere il rimborso dell'imposta (Falsitta, I, 586; Russo, 357; Schiavolin, Commentario, IV ed., 279, a cura di Consolo, Glendi; La Rosa, Rass. trib., 2001, 1186; contrario, invece, Turchi, 317, attesa la previsione dell'autonoma fattispecie del rifiuto di rimborsi; nonché, Fantozzi, 417; Carinci, La riscossione, 264). Diversamente, nella contraria ipotesi in cui l'avviso di accertamento ritualmente notificato non sia stato tempestivamente impugnato divenendo perciò definitivo, con l'impugnazione della cartella non potrà impugnarsi l'avviso, potendo la cartella essere impugnata solamente «per vizi propri» della riscossione, ai sensi dell'art. 19, comma 3 e per i quali «vizi propri» sarà legittimato a resistere il concessionario, oltre che l'ufficio quando la questione incide sulla pretesa fiscale (Tesauro, 2013, 88; Russo, Manuale, 463); lett. e ) — l'avviso di mora, atto abrogato con la riforma della riscossione di cui al d.lgs. n. 46/1999. Ad esso viene assimilato l’avviso previsto dall'art. 50, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall'art. 16 d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che l’agente della riscossione deve notificare prima di iniziare l'espropriazione se è decorso un anno dalla notifica della cartella o dell’accertamento impoesattivo, per averne la similare funzione, reputata omologa a quella del precetto nella esecuzione forzata ex art. 479 c.p.c., così che sui tratta di atto autonomamente impugnabile sia «per vizi propri», sia «unitamente» all'avviso o alla cartella «per vizi propri» di quest'ultimi, quando non siano stati notificati, precisandosi che, ogni qual volta sia in discussione la fondatezza o meno del credito tributario, la legittimazione sarà anche dell'Agenzia fiscale (Schiavolin, Commentario IV ed., 282, a cura di Consolo, Glendi; Tesauro, 2013, 90; Russo, 463). L’assimilazione dell’avviso di cui trattasi con l’avviso di mora è stata, tuttavia, criticata, in quanto l’originaria valenza propria dell’avviso di mora di intimazione ad adempiere, necessaria prima di potersi procedere all’esecuzione, una volta che, con il d.lgs. n. 46/1999, l’avviso di mora è stato eliminato, non è stata attribuita all’invito al pagamento ex art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602/1973, bensì alla cartella di pagamento ex art. 25, comma 2, d.p.r. n. 602/1973, così come è stata prevista, nell’ambito del contenuto dell’accertamento impoesattivo, ex art. 29, comma 1, lett. a), d.l. n. 78/2010. L’avviso indicato nell’art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602/1973, ha, dinque, la ben diversa, e meramente eventuale, valenza di ulteriore rinnovata intimazione, necessaria solamente quando l’esecuzione non sia iniziata entro un anno dall’avvenuta pregressa intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento o nell’accertamento impoesattivo già notificati (Glendi, L’insostenibile “interruzione” del termine di decadenza a carico dell’Amministrazione finanziaria, secondo l’art. 1310, 1° comma, del codice civile, in Dir. prat. trib., n. 6/2021, 2737). Pertanto, la riconducibilità dell’atto di cui trattasi tra quelli autonomamente impugnabili non si rinviene con riferimento all’ormai soppresso avviso di mora, ma attraverso il combinato disposto dell’art. 19, comma 1, lett. i), con il comma 2 dell’art. 2, d.lgs. n. 546/1992, per il quale, essendo “escluse dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”, tale atto rientra tra quelli impugnabili davanti al giudice tributario (Glendi, 1002); lett. e- bis ) e-ter ) — l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 d.P.R. n. 602/1973, nonché il fermo amministrativo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 d.P.R. n. 602/1973, entrambi per aggiunta ex art. 35, comma 26-quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv, con modif., in l. 4 agosto 2006, n. 248, ma ovviamente soltanto quando posti a garanzia di pretese tributarie, atteso che unicamente in questi casi sussiste ex art. 2 la giurisdizione del giudice tributario, con la conseguenza che, in ipotesi di pretese di plurima diversa natura, il giudice tributario avrà cognizione per gli atti sottesi tributari e declinerà la propria giurisdizione per la parte che si riferisce agli atti sottesi non tributari (Longo, Commentario,1400, cura di Consolo, Glendi); lett. f ) — gli atti relativi alle operazioni catastali «individuali» indicate nell'art. 2, comma 2, cioè gli atti relativi «l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale», che possono essere impugnati soltanto dopo che l'atto relativo alle operazioni catastali viene notificato come prescritto dall'art. 74, comma 1, l. 21 novembre 2000, n. 342, unicamente dal possessore dell'immobile come disposto dall'art. 2, comma 2; non si tratta di atti impositivi, ma dagli stessi discende la determinazione dell'imposizione, cosicché se il ricorso del contribuente venisse accolto l'annullamento varrebbe erga omnes, cioè per es. varrebbe anche nei confronti del comune, che dovrà per es. determinare il tributo in relazione al precedente rendita catastale (Tesauro, 2013, 92; Schiavolin, Commentario, IV ed., 282, a cura di Consolo, Glendi, anche per la precisazione che gli atti di carattere generale non sono attribuiti alla giurisdizione delle commissioni tributarie, le quali quindi possono soltanto, qualora li ritengano rilevanti per la decisione, nonché illegittimi, disapplicarli, ai sensi dell'art. 7, al cui specifico commento si rinvia); lett. g ) — il rifiuto espresso o tacito delle restituzioni di tributi, sanzioni, interessi e accessori, a riguardo in dottrina si è rilevato come l'intenzione del legislatore, attraverso una vera e propria fictio iuris, di indicare come atto impugnabile il rifiuto tacito, piuttosto che come un «mero fatto», è contraddetta dalla disciplina dei termini per la sua impugnazione, in particolare laddove la domanda di rimborso costituisce presupposto del rimborso, v. sub art. 21 (Russo, 463; Falsitta, I, 583), osservandosi che l’inquadramento del diniego di rimborso in termini provvedimentali appare ulteriormente rafforzato ex positivo iure propriocon riguardo al rifiuto tacito (Glendi. Commentario, 387). Esiste poi contrasto tra chi sostiene che, nonostante per es. la non impugnazione di una cartella, si possa poi chiedere il rimborso dell'imposta che si ritiene ingiustamente dichiarata e quindi impugnare il successivo rifiuto, e chi invece è di contrario avviso, attesa la definitività della cartella non impugnata, che consolida l'imposta di cui si è chiesto il pagamento (nel primo senso, Turchi, I poteri, 315; Fantozzi, Il diritto tributario, 417; Carinci, La riscossione, 264; in senso opposto, invece, v. Falsitta, Manuale, I, 586; Russo, Manuale, 357; La Rosa, Rass. trib., 2001, 1186; per la disciplina dei rimborsi, cui l'amministrazione è tenuta d'ufficio, v. sub art. 21 n. 3, cfr., inoltre, Schiavolin, Commentario, IV ed. 284, a cura di Consolo, Glendi, circa la questione se, anche in questi casi, è necessaria o meno un'istanza, rifiutata espressamente o tacitamente); lett. g-bis ) — il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela nei casi previsti dall’articolo 10 quater della legge 27 luglio 2000, n. 212 (rubricato: Esercizio del potere di autotutela obbligatoria), che, a seguito dell’inserimento ex art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 219/2023, recita testualmente: “1. L’amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, nei seguenti casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione: a) errore di persona; b) errore di calcolo; c) errore sull’individuazione del tributo; d) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria; e) errore sul presupposto d’imposta; f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza. 2. L’obbligo di cui al comma 1 non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione. 3. Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’amministrazione finanziaria ai fini del presente articolo, in caso di avvenuto esercizio dell’autotutela, la responsabilità di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo”. L’introduzione dell’autotutela «obbligatoria» fa seguito alla pronuncia della Corte costituzionale n. 181/2017 (in GT-Riv. giur. trib., n. 11/2017, 853, con nota di Glendi,È davvero legittima e insindacabile l’omessa risposta dell’Amministrazione finanziaria all’istanza di autotutela?). Nell’occasione, la Consulta, pur disattendendo le censure proposte, aveva rilevato che la ritenuta “non irragionevolezza della disciplina esaminata, non comporta che siano precluse al legislatore altre possibili scelte”, precisando che “in via di principio, il momento discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non gode in sé di una copertura costituzionale (sentenza n. 75 del 2000)”, per cui “la previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l'introduzione di limiti all'esercizio del potere di autoannullamento”. In dottrina, tra i primi commentatori, vi è però perplessità sulla disciplina delineata dal legislatore (Giovanardi, Finalmente l’autotutelaobbligatoria. Ma si poteva fare di più, in IPSOA Quotidiano 28 ottobre 2023; Glendi, Autotutela tributaria: epocale riforma o ‘placebo’ canzonatorio?, in GT-Riv. giur. trib., n. 1/2024, 5, in particolare, quanto all’esito della pronuncia del giudice, posto che, una volta ricondotta l’impugnabilità del diniego espresso o tacito dell’istanza di autotutela entro il circuito degli artt. 19 e 21 del D.Lgs. n. 546/1992, ovvero nel quadro delle normali pronunce di annullamento degli atti autonomamente impugnabili, pare mancare un’effettiva tutela, se l’Amministrazione non provvede all’annullamento dell’atto sottostante al diniego annullato, o, ancorché formalmente ottemperando all’obbligo di ripronunciarsi sull’istanza di autotutela, addivenga ad un ulteriore diniego di autotutela, magari diversamente motivato). Al riguardo, giova ricordare che Cass. S.U. n. 7388/2007 (in GT-Riv giur. trib., n. 7/2007, 479, con commento di Vozza, Il diniego di autotutela può impugnarsi solo per eventi sorti dopo la notifica dell’atto impositivo), dopo aver ribadito che il giudice tributario non può mai sostituirsi all’Amministrazione finanziaria emettendo esso stesso l’atto di autotutela, aveva prospettato il rimedio dell’ottemperanza se l’amministrazione non si fosse adeguata alla pronuncia del giudice di annullamento del rifiuto. Per i profili attinenti al termine di impugnazione del diniego espresso o tacito si rimanda al commento dell’art. 21. lett. g-ter ) —il rifiuto espresso sull'istanza di autotutela nei casi previsti dall'articolo 10-quinquies della legge 27 luglio 2000, n. 212 (rubricato: Esercizio del potere di autotutela facoltativa), che, a seguito dell’inserimento ex art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 219/2023, recita testualmente: “1. Fuori dei casi di cui all’articolo 10-quater, l’amministrazione finanziaria può comunque procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione. 2. Si applica il comma 3 dell'articolo 10-quater”. Poiché nel caso di autotutela facoltativa non è prevista l’impugnabilità del diniego tacito, manca qualsivoglia possibilità di tutela giurisdizionale dell’istante, ogni qual volta l’Amministrazione finanziaria eviti di pronunciarsi; lett. h ) - il «diniego o la revoca delle agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari»; in dottrina è stato negato che oltre al diniego espresso possa anche impugnarsi il diniego tacito dell'agevolazione o il diniego tacito della domanda di condono (così, Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 91; Tesauro, Manuale, 93; conformemente, alla Circ. n. 98/E n. 3. Tesauro, Giust. trib., 2007, 15, ha peraltro osservato che dall'impossibilità di impugnare il rifiuto tacito, potrebbero discendere seri problemi di lesione del diritto difensivo del contribuente; tuttavia, sia per il diniego o la revoca delle agevolazioni, sia per il rigetto delle domande di condono, l'orientamento è nel senso che possa essere impugnato qualsiasi tipo di atto fiscale comportante l'implicito diniego o revoca dell'agevolazione, o l'implicito rigetto della domanda di condono, come in quest'ultimo caso potrebbe per es. essere la notifica della cartella che chiede il pagamento dell'imposta già oggetto di domanda di definizione agevolata (Tesauro, 2013, 93; conforme, Schiavolin, Commentario IV ed., 286, a cura di Consolo, Glendi, per il quale appunto occorre sempre un rifiuto, espresso o tacito; diversamente, ma isolatamente, La Rosa, Riv. dir. trib., 1997, 181); lett. i ) - con riferimento alla generale clausola di salvaguardia — per cui è impugnabile «ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie» — si è in dottrina sostenuto, anche alla luce della relazione di accompagnamento, che l'intenzione legislativa sarebbe stata quella di garantire l'impugnabilità di atti relativi a future obbligazioni tributarie in qualunque modo nominati (giudicando la disposizione sostanzialmente inutile Finocchiaro, Finocchiaro, 410, in ragione dell'impostazione seguita da questi autori per cui, indipendentemente dal nomen iuris che potrebbe assumere l'atto fiscale, quest'ultimo dovrà sempre ritenersi impugnabile quando contenga il definitivo accertamento di una pretesa tributaria, in senso conforme Falsitta, Manuale, I, 585. Al contrario, Glendi, Commentario, 392-393, a cura di Consolo, Glendi, sottolinea che, con tale disposizione, il legislatore ha voluto introdurre un regime “positivo” di predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili, volutamente «aperto» ad ogni altro atto ritenuto ex lege suscettibile di impugnazione. Con l’effetto che la disposizione confuta il preteso assioma della natura tassativa dell’elencazione contenuta nell’art. 19, comma 1, e, conseguentemente, risultano inconferenti i plurimi tentativi di superare un qualcosa che non è normativamente stabilito, quando l’intento del legislatore è, invece, quello di consentire un’ordinata individuazione di altri atti impugnabili in contesti normativi diversi dall’art. 19. Si rinvia, al riguardo, a quanto già evidenziato sub 2). In giurisprudenza, anche alla luce del principio secondo cui «la tassatività dell'elencazione degli atti impugnabili nel contenzioso tributario non va riferita tanto ai singoli atti nominativamente indicati, ma piuttosto all'individuazione di “categorie” di atti, considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti» (Cass.S.U., n. 640/2015), sono stati ritenuti autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1, ad es.: lett. a ) b ) — l'avviso di recupero di credito d'imposta ex art. 1, comma 421, l. n. 311/2004 (di cui è stata ritenuta la natura prodromica rispetto all'avviso di accertamento, cosicché si è negato che quest'ultimo potesse essere impugnato «unitamente» al primo, v. Cass. V, n. 8429/2017; in generale, per l'equiparazione all'avviso di accertamento dell'avviso di recupero del credito ex l. 23 dicembre 2000 n. 388, ad es. con la sua conseguente illegittimità se emesso ante tempus in violazione dell'art. 12, comma 7, l. n. 212/2000 all'atto impositivo, v. Cass.V, n. 19561/2014; Cass. V, n. 15634/2014; Cass. V, n. 28543/2013; Cass. V, n. 8033/2011; Cass.V, n. 7817/2011; conferma l'equiparazione all'avviso, ma da ciò non fa conseguire la nullità dell'avviso di recupero del credito notificato ante tempus, Cass. V, n. 4687/2012); poiché l'avviso di liquidazione d'imposta, in materia di successione, oppure in materia di registro, consiste in un accertamento d'imposta, deve essere necessariamente impugnato, affinché l'accertamento del tributo non diventi definitivo, Cass.S.U., n. 7792/2005; Cass. V, n. 8196/2011; Cass. V, n. 3346/2011; Cass. V, n. 20392/2004; e non essendo, un tale avviso di liquidazione, una mera liquidazione del quantum dell'imposta, potrà anche essere condonato, Cass. V, n. 11753/2009; Cass. V, n. 18840/2006); per l'ingiunzione fiscale, v. sub lett. d); «l'invito al pagamento di cui all'art. 212 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115» in tema di imposta di registro (essendo l'unico atto con il quale viene comunicata al contribuente l'imposta dovuta, ha nella sostanza la stessa funzione dell'avviso di accertamento, o dell'avviso di liquidazione, con la conseguenza che lo stesso deve essere ritenuto impugnabile ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. a), b), cosicché, in caso di sua regolare notifica, quando il contribuente abbia omesso di proporre tempestiva impugnazione, i «vizi propri» dello stesso non possono più essere fatti valere impugnandolo «unitamente» alla successiva cartella esattoriale, Cass. V, n. 23061/2015); l’avviso di pagamento del contributo unificato ex art. 248 del d.p.r. n. 115/2002 (Cass. V, n. 21538/2022, Cass. VI-T, n. 40233/2021; Cass. V, n. 28284/2020); lett. d ) — il ruolo e la cartella di pagamento, che, ai sensi dell'art. 19, comma 1 e 3, può essere impugnata solo «per vizi propri» e non «unitamente» al precedente avviso di accertamento regolarmente notificato, ma non tempestivamente impugnato (Cass. V, n. 8704/2013; Cass. V, n. 15207/2000). Quando la cartella non sia stata notificata, nonché quando la notifica della cartella sia invalida, è stato ammesso che il contribuente possa impugnare il ruolo di cui venuto in qualsiasi modo a conoscenza, anche recandosi dal concessionario prendendo visione o facendosi consegnare «l'estratto del ruolo», come statuito da Cass.S.U., n. 19704/2015 che ha risolto il contrasto insorto nelle sezioni semplici, le quali si sono poi uniformate alla citata pronuncia. Giova ricordare che le cit. Sezioni Unite n. 19704/2015 avevano ammesso l’impugnazione dell’atto non notificato conosciuto aliunde senza previa notifica di ulteriore successivo atto attraverso il quale far valere il vizio dell’omessa notifica dell’atto prodromico, in forza della già riconosciuta valenza dell’impugnazione degli atti «facoltativamente impugnabili» (v. sub 3), sull’assunto che, se è «possibile» impugnare un atto che manifesta una pretesa determinata in via anticipata rispetto all’atto rivestito della forma impositiva tipica, è, altrettanto, «possibile» impugnare l’atto non notificato, in qualsiasi modo conosciuto, per farne valere il vizio di notifica, anticipando il sindacato giurisdizionale rispetto all’attesa della notifica di atto successivo a mezzo del quale far valere il sopraddetto vizio. La frequenza di impugnazioni di tal fatta, in particolare con riferimento all’omessa notifica della cartella di pagamento, ha, poi, indotto il legislatore ad eliminare una tale forma di «impugnazione facoltativa» (v. Glendi, 1011-1013) introducendo, con l’art. 3-bis, comma 1, d.l. n. 146/2021, conv. dalla l. n. 215/2021, all’art. 12, d.p.r. n. 602, il comma 4-bis, secondo cui “l’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a ), del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”. A seguito di pregevole ordinanza di remissione alle Sezioni Unite (Cass. trib., n.4526/2022, in GT-Riv. giur. trib., n. 4/2022, con nota GlendiL’impugnazione “diretta” dei ruoli e delle cartelle di pagamento che si assumono “invalidamente notificate” fra nuove leggi e giurisprudenza in fermento), il Supremo Consesso ha ritenuto la disposizione de qua applicabile anche ai giudizi pendenti (Cass. S.U. n. 26283/2022) e la Corte costituzionale (Corte cost. n. 190/2023) ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4-bis, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24,77,11,113 e 117 della Costituzione, e sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. In giurisprudenza si è ritenuto, poi, che l'iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficium excussionis, dia luogo ad un «vizio proprio» della cartella, da far quindi valere impugnando quest'ultima, v. Cass. V, n. 4959/2017; nel senso, invece, che la cartella avrebbe la stessa funzione del precetto ex art. 479 c.p.c. nell'esecuzione forzata disciplinata dal processo civile ordinario, cosicché sarebbe inapplicabile l'art. 2304 c.c. che regola il beneficium excussionis tra società e soci, v. Cass. VI, n. 15966/2016; conf., Cass. VI, n. 49/2014. Il contrasto è stato risolto da Cass. S.U. n. 28709/2020, statuendo che “il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l'altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale“, con la precisazione che, “se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l'onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l'amministrazione creditrice a dover provare l'insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l'insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l'amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l'applicazione della regola suppletiva posta dall'art. 2697 c.c., comporterà ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l'onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario". La giurisprudenza ha, inoltre, confermato che, quando la cartella non è stata preceduta da un avviso, o, comunque, da un atto impositivo, contenendo quindi l'accertamento del tributo, il contribuente, oltre a poter contestare i «vizi propri» della riscossione, può certamente contestare anche l'imposta, v. Cass. VI, n. 1295/2016; Cass. V, n. 1263/2014; i «vizi propri» della cartella che recupera il contributo unificato, avendo quest'ultimo natura tributaria, rientrano nell'impugnabilità ex art. 19, comma 1, lett. d), Cass.S.U., n. 5994/2012; Cass.S.U., n. 9840/2011; è possibile contestare anche l'imposta, quando si impugna la cartella, quando il contribuente abbia commesso un errore in sede di dichiarazione dei redditi, Cass. VI, n. 10647/2013; Cass. V, n. 26512/2011; Cass. V, n. 2725/2011. Secondo la giurisprudenza, l'ingiunzione fiscale sarebbe un'equipollente del ruolo, con la conseguenza che la stessa andrà opposta, quando predisposta al recupero di tributi, davanti alle commissioni tributarie, Cass.S.U., n. 29/2016, resa in materia di ICI; Cass.S.U., n. 8273/2008, resa in materia di imposta sulla pubblicità; Cass.S.U., n. 10952/2004, ancora resa in materia di ICI; sulla legittimazione a resistere, del concessionario, come dell'impositore, la giurisprudenza si è consolidata nel senso che il concessionario ha l'onere di chiamare in lite l'impositore, se vuole far estendere gli effetti dell'eventuale negativo accertamento del credito, questo anche nel particolare caso in cui l'iscrizione d'ipoteca sia stata impugnata «unitamente» alla cartella, senza che ciò comporti alcuna situazione di litisconsorzio necessario, Cass. VI, n. 97/2015; che si rifà al tradizionale modello, ormai consolidatosi in giurisprudenza, v. Cass.S.U., n. 16412/2007); lett. e ) — l'avviso di mora, quando ancora in vigore, è stato deciso che potesse essere impugnato «unitamente» alla cartella non notificata ai soci, in mancanza della quale impugnazione la predetta cartella diviene definitiva, Cass. V, n. 25765/2014; Cass. V, n. 20704/2014; Cass. V, n. 11228/2007; Cass. V, n. 17225/2006. Le Sezioni Unite hanno, tuttavia, chiarito che l’impugnazione della cartella unitamente all’avviso di mora costituisce solo una delle possibili scelte, potendo invece il contribuente impugnare l’avviso di mora deducendo l’omessa notifica della prodromica cartella e ottenere l’annullamento dell’avviso di mora se non vi è prova della notifica della cartella (Cass. S.U. n. 1641/2007, con principio generale ormai consolidato v. sub 4.2). Secondo costante giurisprudenza, «l'azione del contribuente rivolta a far valere l'illegittimità dell'avviso di mora, non preceduto dalla notificazione della prodromica cartella di pagamento, può essere esercitata indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario della riscossione, senza che tra costoro si realizzi un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo rimessa alla sola volontà del concessionario, evocato in giudizio, la facoltà di chiamare in causa l'ente creditore», Cass. V, n. 2803/2010). Tale principio è stato, da ultimo, posto in crisi a seguito dell’introduzione, ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 220/2023, a decorrere dal 4 gennaio 2024, nell’art. 14, d.lgs. n. 546/1992 del comma 6-bis, secondo cui “In caso di vizi della notificazione eccepiti nei riguardi di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato, il ricorso è sempre proposto nei confronti di entrambi i soggetti”. lett. e-bis ) e-ter ) — l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'articolo 77 d.P.R. n. 602/1973, nonché il fermo amministrativo di beni mobili registrati di cui all'articolo 86 d.P.R. n. 602/1973 (la giurisdizione del giudice tributario è stata affermata in ragione della sola natura tributaria del credito garantito dall'ipoteca immobiliare, «senza che possa avere rilievo la destinazione dei beni a fondo patrimoniale», v. Cass.S.U., n. 641/2015; Cass.S.U., n. 5286/2009; Cass. V, n. 480272017; identicamente, in materia di fermo amministrativo, con la conseguenza che il giudice tributario, in caso il fermo sia per crediti fiscali e sia per crediti differenti, giudicherà solo con riferimento ai primi, spogliandosi per il resto, a favore del giudice ordinario, nonché viceversa, v. Cass.S.U., 30/01/2017, n. 2221; Cass.S.U., n. 959/2017; Cass.S.U., n. 15425/2014; Cass.S.U., n. 25983/2010; Cass.S.U., n. 14831/2008; per la possibilità di impugnare, «unitamente» all'iscrizione dell'ipoteca, anche la cartella non notificata, v. Cass. VI, n. 97/2015); lett. f ) — gli atti relativi alle operazioni catastali «individuali» indicate nell'art. 2, comma 2 (secondo la giurisprudenza, ai sensi dell'art. 2, comma 2, a cui deve essere necessariamente coordinato l'art. 19, comma 1, lett. f), le liti, non importa se tra privati o tra privati e amministrazione, in cui le risultanze catastali siano utilizzate come prova per stabilire la proprietà immobiliare, appartengono alla giurisdizione ordinaria, mentre appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le liti che sono intese a modificare le risultanze catastali, v. Cass.S.U., n. 2950/2016; Cass.S.U., n. 16429/2007); lett. g ) — il rifiuto espresso o tacito delle restituzioni, ritenendosi che, per poter impugnare un diniego di rimborso, espresso o tacito, quest'ultimo deve essere venuto ad esistenza, pertanto il ricorso è inammissibile prima che si sia formato il silenzio rifiuto, per lo scadere dei novanta giorni previsti dall'art. 21, al cui commento si rinvia (Cass. V, n. 21356/2012; Cass. V, n. 22319/2010; Cass. V, n. 6724/2008). Si è, poi, affermato che la giurisdizione sul rifiuto alle restituzioni di tributi, sanzioni fiscali, nonché interessi e accessori degli stessi, appartiene al giudice ordinario, quando l'amministrazione riconosca «formalmente» il credito del contribuente, v. Cass.S.U., n. 19069/2016. Si è, altresì, ritenuta l'impugnabilità ex art. 19, comma 1, lett. g), del «diniego di revoca di un'istanza di rimborso IVA infrannuale», Cass. V, n. 24916/2013; come è stata anche ritenuta domanda intesa ad ottenere il rimborso del credito IVA, l'indicazione del credito in dichiarazione, con la conseguenza che, all'inutile decorso di giorni novanta, consegue la possibilità di impugnare il tacito rifiuto, Cass. V, n. 21734/2014; o, addirittura, il consolidarsi del diritto al rimborso, v. Cass. V, n. 1154/2008; nel senso però che dall'indicazione del credito in dichiarazione, non decorre alcun termine entro cui l'amministrazione deve provvedere, con la conseguenza che l'ufficio potrà in qualsiasi momento contestare il credito esposto, nonché il contribuente potrà sempre chiedere il rimborso entro il termine di prescrizione decennale, Cass.S.U., n. 5069/2016; Cass. V, n. 7899/2012; Cass. V, n. 11444/2011; Cass. V, n. 9524/2009; la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui, quando l'amministrazione interrompe la sua inerzia, notificando un rifiuto espresso al rimborso, è da quest'ultimo che dovrà farsi decorre il termine di sessanta giorni per impugnarlo, ai sensi dell'art. 21, al cui commento si rinvia, Cass. VI, n. 12791/2014; come del resto, costituisce rifiuto espresso «implicito», il rimborso parziale, con la medesima conseguenza che dallo stesso decorreranno i giorni sessanta per proporre il ricorso avverso il rifiuto parziale «implicito» (Cass. V, n. 23157/2020,Cass. V, n. 23786/2010; Cass. V, n. 14846/2008; Cass. V, n. 12336/2005; non assoggettabili alla disciplina dell'impugnazione all'esame, sono i rimborsi che l'amministrazione deve fare d'ufficio, Cass. VI, n. 6900/2014; Cass. V, n. 15840/2006); lett. g-bis) g-ter) – il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela obbligatoria e il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa su cui,allo stato, non risultano precedenti giurisprudenziali; lett. h ) — la revoca dell'agevolazione per la quale si è ritenuto che, se «il Centro di servizio di Pescara abbia proceduto ex art. 8 d.m. 3 agosto 1998, n. 311», e non sia stato proposto ricorso, diviene definitiva, cosicché non può più essere impugnata «unitamente» al successivo avviso di accertamento (v. Cass. V, n. 3343/2013; v. Cass.S.U., n. 9841/2011, in relazione ad una revoca di agevolazione ad opera di un provvedimento del consiglio dei ministri); il diniego dell'agevolazione (dalla giurisprudenza è stato ritenuto possibile, quindi autonomamente impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. h), il diniego anche tacito del beneficio, Cass. V, n. 13394/2016; v., però, Cass. V, n. 14691/2008; Cass. V, n. 3925/2002, rese in fattispecie di diniego «implicito» del beneficio, ammettendosi, in quel caso, l'impugnazione del rifiuto di rimborso a cui l'agevolazione dava diritto; in fattispecie di diniego espresso, v. Cass. V, n. 6471/2002, secondo cui poiché lo stesso è espressamente impugnabile ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. h), ciò comporta che in ipotesi di non tempestiva impugnazione il provvedimento di diniego si consolida; è stato ritenuto atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. h), «il diniego di rimborso avente ad oggetto i maggiori oneri sostenuti dall'impresa a fronte dello sconto concesso obbligatoriamente ai sensi dell'art. 8 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 ai consumatori finali sul prezzo del carburante da riscaldamento», Cass. V, n. 11172/2013); il diniego delle domande di condono (anche per la giurisprudenza non è possibile un rifiuto tacito della domanda di definizione agevolata, cosicché nessuna decadenza matura a carico dell'amministrazione in mancanza di risposta, atteso che il contribuente potrà invece proporre ricorso contro «l'implicito» rigetto della domanda di condono, per es. impugnando la cartella con la quale si chiede il pagamento dell'imposta che si era appunto domandato di definire in via agevolata, v. Cass. V, n. 15881/2016; Cass. V, n. 14878/2016; Cass. VI, 06/07/2012, n. 11458/2012; Cass. V, n. 7673/2012; Cass. V, n. 16100/2011); lett. i ) — disposizione per cui è impugnabile «ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado»,in ragione della quale disposizione, è stato in giurisprudenza ritenuto impugnabile, al di là del nomen iuris, in quanto darebbe nella sostanza luogo ad un atto di imposizione, «la comunicazione della sospensione di un rimborso IVA in vista di una sua compensazione» (Cass. V, n. 5723/2016; Cass. V, n. 19755/2013); così, si è anche deciso, che «il provvedimento con il quale l'Amministrazione condiziona il rimborso di un credito IVA al previo pagamento da parte dell'istante di debiti fiscali oppure alla loro compensazione, differendone, in concreto, il pagamento, produce l'effetto giuridico proprio dell'atto tipico di sospensione del rimborso ed è, quindi, al pari di quest'ultimo, autonomamente impugnabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, comma 1, lett. i) (Cass. VI, n. 13548/2015). La c.d. tecnica di tutela «differita» dell’impugnabilità per vizi degli atti precedentiEscluso che gli atti fiscali non indicati nell'art. 19, comma 1 possano essere autonomamente impugnati «per vizi propri» , si è tuttavia osservato che alcuni atti (in particolare istruttori o preparatori), potendo costituire presupposto necessario dell'atto fiscale autonomamente impugnabile sul quale incidono, se viziati, possono essere impugnati «in via differita» con il ricorso proposto contro l'atto autonomamente impugnabile successivamente notificato (Basilavecchia, Funzione impositiva, 58 ; Tesauro, 2013, 94, che spiega la restrizione del numero degli atti autonomamente impugnabili «per vizi propri», come ad es. l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria di cui all'art. 33 d.P.R . n. 600/1973 , con ragioni di economia processuale; conforme, Falsitta, Manuale, I, 585, che spiega la restrizione del numero degli atti autonomamente impugnabili «per vizi propri», anche per ragioni di «speditezza dell'azione amministrativa»; cfr. Schiavolin, Commentario, IV ed. , 295, a cura di Consolo, Glendi, per la precisazione che, in realtà, l'impugnazione «in via differita» non comporta la «formale» impugnazione mediante specifico ricorso degli atti in discussione, ma implica che i vizi di questi siano fatti valere nei motivi di contestazione del successivo atto autonomamente impugnabile ex art. 19, comma 1; con l'ulteriore precisazione che si tratta, quindi, del fenomeno della rifluenza dei vizi degli atti prodromici negli atti direttamente impugnabili (Glendi, Commentario, a cura di Consolo, Glendi, 395, e, nello stesso senso, Basilavecchia, 58, Turchi, 313; Giovannini, 403). Secondo taluni autori, tra questi atti a tutela «differita», dovrebbero annoverarsi anche la comunicazione di irregolarità all'esito del controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973, appunto impugnabili con la successiva cartella che notifica il ruolo (Coppola, Rass. Trib., 1997, 1505; Magistro, Corr. trib., 2001, 59; isolato, per l'autonoma impugnabilità, con equiparazione all'avviso di liquidazione ex art. 19, comma 1, lett. b), Carinci, La riscossione, 306). Per la giurisprudenza , gli atti, come, per es., l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, non autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1, possono in effetti essere impugnati «in via differita» con l'atto impositivo (Cass.S.U., n. 8587/2016, con la precisazione che, se il procedimento non si conclude con l'atto impositivo, le eventuali tutele risarcitorie andranno chieste al giudice ordinario; conf. Cass.S.U., n. 11082/2010). Si nega, invece, che abbia rilevanza l'omessa comunicazione di irregolarità all'esito del controllo automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 (Cass. V, n. 14038/2020; Cass. V, n. 1711/2018), atteso che, a seguito della notifica della cartella, è sempre possibile effettuare il pagamento di quanto dovuto con riduzione della sanzione (Cass. trib., n. 9034/2024; Cass. V, n. 14876/2021; Cass. n. 17479/2019 ), potendo l'omissione, se mai, rilevare ai fini della motivazione della cartella, se mancasse del tutto. Gli atti non autonomamente impugnabili: le fattispecieIn dottrina — anche alla luce delle conclusioni raggiunte sotto l'anteriore legge processuale — si è escluso che possano essere autonomamente impugnati: - il processo verbale di constatazione di violazioni in materia di IVA (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 411); - l'invito a comparire ex art. 51 d.P.R. n. 633/1972, nonché il processo verbale che conclude la comparizione (Finocchiaro, Finocchiaro, 411); - l'invito a definire le violazioni in via breve, mediante pagamento ridotto delle sanzioni (Finocchiaro, Finocchiaro 411); - l'atto contenente l'avviso che si procederà alla ripetizione dell'indebito (Finocchiaro, Finocchiaro, 411); - l'atto di rimborso parziale IVA, per la parte di domanda di restituzione rimasta disattesa (Finocchiaro, Finocchiaro, 411); - l'avviso di pagamento (Finocchiaro, Finocchiaro, 411); - in genere, le risposte agli interpelli, risolvendosi in meri pareri, non sarebbero mai impugnabili, mancando di capacità lesiva; tuttavia, nel caso in cui le risposte agli interpelli dovessero mettere capo a degli atti di diniego di autorizzazione, come sarebbe per es. l'ipotesi della negativa risposta all'interpello disapplicativo di norme antielusive ecc., questi sarebbero atti fiscali impugnabili non autonomamente, ma impugnabili con il successivo atto autonomamente impugnabile ex art. 19, comma 1 (Tesauro, 2013, 96, per cui, gli unici rifiuti autonomamente impugnabili «per vizi propri», sarebbero quelli indicati dalla lett. g dell'art. 19).La questione è stata ormai normativamente risolta nel senso della non impugnabilità della risposta negativa, ai sensi dell'art. 11, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, riscritto dal d.lgs. n. 219/2023, che recita “la risposta alla istanza di interpello non è impugnabile ”; - gli atti di pignoramento non preceduti dalla notifica o da una valida notifica degli atti fiscali presupposti come ad es. l'avviso di accertamento (per taluni autori impugnabili «unitamente» all'atto presupposto non notificato o non validamente notificato; v., Carinci, Corr. trib., 2012, 969; Boletto, La concentrazione, a cura di Glendi, Uckmar, 475; contrari, invece, Glendi, Corr. trib., 2012, 1011; GT-Riv. giur. trib., 2017, 762, Le Sezioni Unite “stravolgono” i confini tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria sul versante dell'esecuzione forzata ; nonché in Commentario, 402, a cura di Consolo, Glendi , e Cané , Pignoramento a “sorpresa” e giurisdizione tributaria, in Giur. it, 2018,1112). La giurisprudenza considera atti non autonomamente impugnabili: - la risposta all'interpello (pur ammettendo la facoltà di proporre ricorso contro l'interpello quando lo stesso «costituisce atto impugnabile in quanto pretesa tributaria definitiva», ma appunto trattandosi di facoltà, lo stesso può essere impugnato anche successivamente, Cass. V, n. 17010/2012, resa in materia di disapplicazione di norma antilelusiva; Cass. V, n. 8663/2011; pertanto, non è impugnabile il provvedimento che invece si limita a dichiarare improcedibile l'interpello, Cass. V, n. 5843/2012). La questione, come sopra detto, deve ritenersi ormai risolta nel senso della non impugnabilità della risposta in forza dell'art. 11, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, come riscritto dal d.lgs. n. 219/2023 ; - l'avviso di presa in carico notificato dall'agente della riscossione per gli atti impoesattivi (Cass. n. 13775/2019 e n. 22184/2017), salvo che costituisca la prima comunicazione di esistenza di un atto tributario di natura provvedimentale , espresso, tacito o presupposto, di cui il contribuente dimostri, anche in via presuntiva, di non aver avuto notizia (Cass., n. 21254/2023). Altri atti in nessun modo impugnabiliIn dottrina si è affermato che taluni atti mai potrebbero impugnarsi, nemmeno assieme agli atti autonomamente impugnabili ex art. 19, comma 1, tra questi rientrerebbero: - gli atti rivolti a terzi, che non avrebbero alcun interesse, come anche il contribuente, in quanto non sarebbero «lesivi» (Tesauro, 2013, 97); - gli atti che non sono «espressione» dell'attività amministrativa, come quelli interni all'amministrazione, ad es. le circolari, le risoluzioni ministeriali, altri atti interni aventi funzione consultiva, il PVC, ecc. (Tesauro, 2013, 97); - l'accertamento con adesione, espressamente stabilito non impugnabile ex art. 2, comma 3 d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, in cui peraltro potrebbero avere residua rilevanza, ai fini della sua impugnabilità, i vizi della volontà (Schiavolin, Commentario, IV ed ., 274, a cura di Consolo, Glendi; Giovannini, 387); - le comunicazioni al contribuente di ripetizione di somme indebitamente rimborsate dall'amministrazione, ai sensi dell'art. 43 d.P.R. n. 602/73 (Schiavolin, Commentario, IV ed., 275, a cura di Consolo, Glendi). La giurisprudenza non ammette l'impugnabilità: - del diniego di autotutela, pur rientrante nella giurisdizione tributaria se l'atto di cui si è chiesta l'eliminazione all'autorità amministrativa ha natura tributaria, in quanto non collegabile ad altro atto con il quale possa «unitamente» essere impugnato (Cass. S.U., n. 3698/2009; Cass. V, n. 24058/2014; Cass. VI, n. 11127/2012; e, per la stessa ragione, nemmeno potrebbe essere impugnato il diniego parziale di autotutela, v. Cass. V, n. 7511/2016; contraria, però, l'isolata, Cass. V, n. 14243/2015. In realtà, la giurisprudenza limita l'impugnabilità del diniego di autotutela, soltanto ai casi di «illegittimità» del rifiuto, senza possibilità di contestazione dell'atto di cui è stato chiesto l'annullamento, e, soltanto quando sono in gioco, mai meglio precisati, «rilevanti interessi generali alla rimozione dell'atto» (Cass. V, n. 16769/2016, in GT-Riv. giur. trib. n. 1/2017, 48, con nota Glendi, Incertezze sui rimedi esperibili avverso il diniego parziale di autotutela; Cass. V, n. 3442/2015; Cass. VI, n. 23628/2014; Cass. VI, n. 10020/2012; Cass. V, n. 11457/2010). Attualmente, come sopra visto sub 4.3, occorre tenere conto dell'inserimento nell'art. 19, comma 1, delle lett. g-bis) e g-ter) sull'impugnabilità del rifiuto espresso o tacito sull'istanza di autotutela obbligatoria e del rifiuto espresso sull'istanza di autotutela facoltativa; - né, per la stessa ragione, mancando cioè un atto autonomamente impugnabile che possa «unitamente» impugnarsi, è ammesso che le Corti di giustizia tributaria possano decidere le controversie tra sostituto e sostituito in materia di rivalsa ecc., che, per tale motivo, la giurisprudenza ritiene appartengano alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass.S.U., n. 18396/2016; Cass.S.U., n. 1837/2016; Cass.S.U., n. 2064/2011; Cass.S.U., n. 26820/2009; Cass.S.U., n. 15031/2009); - si è ritenuto non impugnabile, in quanto non rientrante tra gli atti indicati nell'art. 19, comma 1, «il mero accertamento di maggiori perdite», anche se l'accertamento delle stesse abbia comportato l'accertamento di maggiori imposte, v. Cass. V, n. 21392/2012); - è stata esclusa l'impugnabilità, in quanto non rientrante nell'art. 19, comma 1, lett. g), del silenzio dell'amministrazione rispetto «all'istanza del contribuente tesa ad ottenere, ex art. 7 l. n. 388/2000, un ulteriore credito d'imposta rispetto a quello già goduto» (Cass. V, n. 11922/2014); - è stata esclusa l'impugnabilità della attribuzione di nuova rendita, proposta a seguita di «mera» visura catastale (Cass. V, n. 27385/2008); - è stata esclusa l'impugnabilità «in materia di tributi doganali, dell'invito al pagamento, emesso ai sensi dell'art. 93 del regolamento doganale, approvato con r.d. 13 febbraio 1896, n. 65» (Cass. V, n. 20947/2013; Cass. V, n. 22015/2006); - è stata esclusa la giurisdizione tributaria in materia di esecuzione forzata (ne consegue, come peraltro espressamente disposto dall'art. 2, d.lgs. n. 546/1992, «che l'impugnazione degli atti prodromici quali la cartella esattoriale o l'avviso di mora o l'intimazione di pagamento ex art. 50 del d.P.R. n. 602/73 è devoluta alla cognizione del giudice tributario», Cass.S.U., n. 1865/2011). Secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite, il pignoramento va, invece, impugnato davanti al giudice tributario, quando siano dedotti vizi formali o sostanziali degli atti tributari presupposti, in particolare afferenti all'omessa o viziata notifica (Cass. S.U. n. 26283/2020; Cass. S.U. n. 13913/2017). BibliografiaBafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994; Bartolini, Repregosi, Il codice del nuovo contenzioso tributario, Piacenza, 1996; Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela. 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