Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 11 - Capacità di stare in giudizio 1 2 .

Salvatore Labruna

Capacità di stare in giudizio12.

1. Le parti diverse da quelle indicate nei commi 2 e 3 possono stare in giudizio anche mediante procuratore generale o speciale. La procura speciale, se conferita al coniuge e ai parenti o affini entro il quarto grado ai soli fini della partecipazione all'udienza pubblica, può risultare anche da scrittura privata non autenticata.

2. L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonche' dell'agente della riscossione, nei cui confronti e' proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata. Stanno altresi' in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato 3.

3. L'ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell'ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio 4 .

[3-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche agli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato davanti alle Commissioni tributarie provinciali.] 5.

3-ter. La Regione nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante i dirigenti degli uffici finanziari e tributari, nonché mediante i funzionari individuati dall'ente con proprio provvedimento6.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 56 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Comma sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera d), numero 1), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

[5] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 30, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e successivamente soppresso dall'articolo 9, comma 1, lettera d), numero 2), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Inquadramento.

La capacità processuale (legitimatio ad processum) si distingue da quella di essere parte (legitimatio ad causam) poiché consiste nella possibilità di compiere atti, esercitando i propri poteri all'interno del processo. Sul piano del diritto sostanziale, essa per lo più corrisponde alla capacità di agire contemplata dall'art. 2 c.c.; di regola, hanno capacità processuale coloro che possono liberamente esercitare i propri diritti, com'è previsto dall'art. 75, comma 1 c.p.c., dovendosi altrimenti ricorrere alla rappresentanza, secondo le norme che regolano la capacità dell'attore. Conseguentemente ben può accadere che un soggetto abbia la capacità di essere parte, corrispondente alla capacità giuridica sul piano del diritto sostanziale, ma non quella processuale (es. minori, interdetti, abilitati, ecc.); in tali evenienze il menzionato art. 75 c.p.c. stabilisce – al comma 2 – che le persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità. Si realizza così una scissione fra la parte destinataria degli effetti processuali (es. l'interdetto) e quella che compie gli atti dai quali discendono i predetti effetti (es. il tutore): la prima verrà qualificata come parte in senso processuale e la seconda, parte in senso formale. Sul punto il giudizio tributario non si differenzia da quello civile, per cui il dettato normativo processualcivile e la relativa interpretazione possono trovare ingresso nel processo regolato dal d.lgs. n. 546/1992, come da rinvio dinamico ex art. 1 c. 2 dello stesso d.lgs.

Capacità processuale (legitimatio ad processum)

La capacità processuale nasce con la domanda del ricorrente e e si afferma con la rivendicazione della titolarità del rapporto sostanziale dedotto in causa. Parimenti, quanto alla legittimazione passiva, se ci si giova del convincimento invalso nel processo civile, si deve affermare che essa si determina, di nuovo, in base alla domanda formulata nel ricorso; è evidente come l'art. 10 non si limiti ad attribuire la capacità di essere parte all'ufficio, ma indichi pure quale sia il soggetto legittimato a resistere – nel merito, ossia avendo riguardo ai rapporti di diritto sostanziale – all'azione introdotta di fronte alla Commissione Tributaria, poiché detta norma individua non la nozione generale di legittimazione passiva nel giudizio tributario ma colui che è tenuto a contraddire all'azione promossa dal ricorrente (Pistolesi, 68). Ciò non deve tuttavia impedire di operare la necessaria distinzione fra le due nozioni.

Se la parte in causa non ha la capacità processuale, il processo non è regolare e il giudice non può entrare ad esaminare se la parte ha ragione in merito, né, quindi, se essa sia, nel merito, concretamente legittimata a far valere il diritto controverso; e viceversa, se anche la parte è processualmente capace, può darsi che nel merito risulti che essa manca di legittimazione a far valere quel diritto, e che quindi la sua domanda sia respinta nel merito per tale mancanza (Calamandrei, 238 ss.).

Merita soltanto un cenno la posizione del fallito che – secondo indirizzo ormai consolidato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità – ha capacità processuale in ordine alle controversie suscettibili di essere promosse avverso gli atti impositivi che non vengono impugnati dal curatore del fallimento; difatti, qualora non si ammettesse la capacità di stare in giudizio del fallito, quest'ultimo dovrebbe soggiacere – una volta tornato eventualmente in bonis – alle pretese tributarie divenute irretrattabili a cagione della mancata tempestiva contestazione degli atti che le imponevano, ciò con evidente quanto inaccettabile lesione del diritto di tutela giurisdizionale (sancito dall'art. 24 Cost.) dello stesso (Pistolesi, 68).

Legittimazione ad agire

Secondo l'opinione diffusa fra i cultori del processo civile, la legittimazione ad agire (o «attiva») spetta a chi si dichiara titolare della situazione giuridica soggettiva che assume lesa ed a tutela della quale chiede l'intervento del Giudice.

Strettamente correlata è la legittimazione a resistere (o «passiva»), che compete al soggetto nei riguardi del quale è affermata la titolarità del rapporto controverso (nella cui sfera giuridica è in grado di produrre effetti il provvedimento giurisdizionale richiesto).

Trasferendo tali concetti nel nostro contenzioso disciplinato dal d.lgs. n. 546/1992, si è soliti riconoscere che la legittimazione ad agire è di chi è destinatario di uno degli atti impositivi (oggetto di giurisdizione tributaria ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 2, ed indicati —in via esemplificativa- nell'art. 19, commi 1 e 3): avverso quest'ultimi può essere proposto ricorso, richiesto il rimborso dei tributi indebitamente versati e dei relativi accessori o proposta istanza sulla quale l'Ente ha omesso di pronunciarsi entro il termine di 90 giorni indicato dall'art. 21, comma 2 (v. anche artt. 68, c. 2 e 69, c. 4, stesso decreto).

Al contrario, la legittimazione a resistere è dell'ufficio dell'Agenzia fiscale, dell'Ente locale o dell'Agente di riscossione che ha emanato l'atto impugnato, che non ha provveduto al rimborso richiesto o che ha omesso di pronunciarsi.

In realtà, mentre per la dottrina prevalente la lettera dell'art. 10 consente con assoluta certezza di sostenere che dinanzi al Giudice speciale tributario è sempre parte necessaria del giudizio l'ufficio dell'Agenzia fiscale, l'ente locale o l'Agente di riscossione (Tesauro, 79, II, 320), una parte della giurisprudenza e l'Amministrazione finanziaria stessa (posizione sostenuta con la Circ. del Ministero delle Finanze, 23 aprile 1996 n. 98/E, nella quale al commento all'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992 è stata affermato che «devono ritenersi riconducibili alla giurisdizione delle Commissioni tributarie anche le controversie tra sostituto e sostituito d'imposta in ordine alla legittimità ed alla misura delle ritenute applicate alla fonte») propendono per la tesi opposta.

La nozione di legittimazione attiva serve essenzialmente ad evitare che il Giudice si pronunci sul merito quando viene fatto valere in giudizio un diritto altrui (v. art. 81 c.p.c.).

Nel processo tributario – in astratto – dovrebbe reputarsi legittimato ad agire anche quel contribuente che – ancorché non abbia ancora ricevuto la notificazione di alcun atto impositivo – convenga anticipatamente l'ente impositore per far accertare dalla Commissione Tributaria che nessun ulteriore pretesa può essere formulata dall'ente medesimo con riferimento d un determinato rapporto obbligatorio d'imposta di cui il promotore della lite si afferma titolare dal lato passivo (azioni di accertamento negativo preventivo); tuttavia, dall'esame del complesso delle disposizioni contenute nel codice del contenzioso tributario si deduce che controversie del genere non sono certamente ammesse, dal momento che è dato adire il Giudice solo quando l'azione si indirizzi avverso uno degli atti impositivi immessi nella sfera cognitiva del ricorrente.

Risulta allora inevitabile concludere che anche in questo caso la definizione di legittimazione ad agire correntemente data è individuata tramite un criterio puramente formale e che la sua sussistenza va verificata sulla base del ricorso senza scendere ad analizzare la fondatezza della domanda; di conseguenza parrebbe essere espressiva, più che del concetto di legittimazione, di quello di interesse ad agire.

In tema di contenzioso tributario, il giudice che verifichi come nessuna pretesa (neanche a titolo di responsabilità solidale) sia stata avanzata dall'Amministrazione nei confronti del ricorrente persona fisica e che il ricorso (in primo grado o in appello) sia stato ciò nonostante proposto dalla persona fisica in proprio, e non quale legale rappresentante della persona giuridica formale destinataria della pretesa medesima, ha l'obbligo di dichiararne l'inammissibilità, per carenza di interesse all'impugnazione (Cass. n. 19689/2011). In tema di imposta di registro, l'avviso di liquidazione per l'integrazione dell'imposta principale (definita anche «principale postuma») versata, notificato al notaio rogante che, in sede di rogito di compravendita immobiliare si sia avvalso della procedura di registrazione telematica, ai sensi d.lgs. n. 463/1997, come modificato dal d.lg. n. 9/2000, ed in tale veste abbia provveduto alla relativa autoliquidazione ed al corrispondente versamento, può essere impugnato anche dalle parti contraenti in quanto la previsione —di cui all'art. 3-ter del d.lgs. n. 463/1997- dell'avviso di liquidazione al notaio vale, solo, a costituirlo quale responsabile d'imposta, tenuto all'integrazione del versamento, ex art. 13 d.lgs. n. 472/1997, ma non incide sul principio, fissato dall'art. 57 d.P.R. n. 131/1986, per cui soggetti obbligati in via solidale al pagamento dell'imposta restano le parti sostanziali dell'atto medesimo (Cass. n. 18493/2010). Al contrario, «la natura complementare dell'imposta richiesta» non consente «di emettere l'avviso nei confronti del notaio rogante, in quanto, pur essendo indicato tra i soggetti obbligati in solido al pagamento dell'imposta principale, la sua responsabilità non si estende, tuttavia, così come stabilito dall'art. 57, comma 2, del TUR al pagamento dell'imposta complementare e suppletiva di registro». (Cass. n. 2403/2017). In tema di contenzioso tributario, e con riferimento alla disciplina vigente in epoca anteriore all'entrata in funzione delle agenzie fiscali, la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, ai sensi dell'art. 63 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, è validamente effettuata nei confronti del Ministero delle finanze, che è stato parte del giudizio di Cassazione: la «legitimatio ad causam» e «ad processum» del Ministro nel giudizio di Cassazione, risultante dall'ordinaria disciplina in materia di rappresentanza in giudizio delle amministrazioni statali, ed eccezionalmente derogata a favore degli Uffici periferici con esclusivo riferimento ai giudizi tributari di merito, non può infatti essere esclusa nel giudizio di rinvio, in mancanza di una chiara ed esplicita «voluntas legis», analoga a quella manifestata dall'art. 10 del d.lgs. n. 546/1992, non apparendo sufficienti, a tal fine, le disposizioni contenute nell'art. 63 cit., le quali si limitano a ripetere pedissequamente il contenuto dell'art. 394 c.p.c., senza tener conto delle speciali regole che, in materia tributaria, disciplinano la legittimazione attiva e passiva della parte pubblica (Cass. n. 7169/2007). La controversia avente ad oggetto il credito del sostituto nascente dal diritto di rivalsa previsto dalla legge nei confronti del sostituito è devoluta alla giurisdizione delle commissioni tributarie e non del g.o. atteso che l'indagine sull'esistenza del diritto stesso presuppone l'accertamento dell'esistenza dell'obbligo di versamento dell'imposta a carico del sostituto e che tale accertamento integra, non una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, bensì una causa pregiudiziale, avente natura tributaria la quale deve essere definita con effetti di giudicato sostanziale dal giudice cui la relativa cognizione spetta ratione materiae, in litisconsorzio necessario con l'amministrazione finanziaria (Cass. n. 23019/2005).

Rappresentanza volontaria delle parti private

Le parti private possono stare in giudizio (legitimatio ad processum) anche mediante procuratore generale o speciale, conferendogli procura ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 83 ss. c.p.c.; una procura speciale limitata alla partecipazione di parenti o affini entro il 4º grado ad una pubblica udienza, può essere rilasciata anche con sottoscrizione non autenticata.

Per le controversie di valore superiore ad euro 3.000 — ex art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 — nel giudizio tributario è necessaria (come anche previsto dal titolo III, capo II, c.p.c., cui rinvia l'art. 1, comma 2, stesso decreto) l'intermediazione di un difensore tecnico abilitato che sta in giudizio in luogo della parte (ministero) o accanto alla parte (assistenza). L'assistenza processuale, che postula le competenze tecniche dei soggetti terzi abilitati di cui all'art. 12 d.lgs. n. 546/1992, è necessaria per le parti private al fine di un ordinato svolgimento del processo. Il c.d. ministero di difensore (già funzione di procuratore) si esercita assumendo la rappresentanza della parte processuale per sostituirla nello svolgimento degli atti processuali (nel processo tributario di merito non esiste il «ministero» di cui all'art. 82 cpv e comma 3, c.p.c.). La c.d. assistenza di difensore (già funzione di avvocato) si esercita in nome proprio a favore della parte processuale, impostando e seguendo la difensa con argomentazioni scritte ed orali, fatte poi valere negli atti processuali posti in essere dal procuratore in udienza; non agendo in nome della parte assistita (al contrario del procuratore) non è considerato un suo mandatario e, pertanto, per la sua designazione non occorre una procura, ma basta una nomina rilasciata senza precise formalità.

Rappresentanza organica degli enti pubblici ed atti processuali

Le Agenzie fiscali, che hanno personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria ex art. 61, comma 1, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, stanno in giudizio a mezzo del Direttore Generale, che ne ha la rappresentanza organica (artt. 67 e 68, d.lgs. n. 300/1999), con l'eventuale assistenza tecnica dell'Avvocatura dello Stato ex art. 12, comma 8, d.lgs. n. 546/1992. La legge istitutiva, quindi, attribuiva la personalità giuridica all'Agenzia fiscale, ente pubblico non economico, e non alle sue articolazioni sul territorio (Direzioni regionali e provinciali).

Secondo Cass. n. 674/1973, «nel linguaggio dei codici vigenti, sia sostanziale che di rito, con il termine «rappresentanza» viene designato non soltanto il fenomeno rappresentativo in senso proprio, contemplato dagli artt. 1387 e seguenti c.c., ma anche quello della cosiddetta immedesimazione organica, alla quale è quindi applicabile la disciplina positiva dettata per la rappresentanza, in difetto di una contraria indicazione letterale della legge o di una ragione di incompatibilità intrinseca tra questo fenomeno e tale disciplina.». Cass. n. 2681/1993. «La disciplina del negozio concluso da un rappresentante senza poteri (ex art. 1399 c.c.) si applica anche alla rappresentanza organica degli enti pubblici» (S. Labruna).

Ai sensi degli artt. 10 (legitimatio ad causam) ed 11 (legitimatio ad processum) del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell'art. 37 d.lgs. n. 545/1992 (attività d'indirizzo attribuita agli uffici regionali), tuttavia, «l'ufficio delle entrate ... al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso» era già parte processuale con accesso diretto alla propria difesa tecnica davanti alle Commissioni tributarie attraverso la rappresentanza organica del proprio Capo dell'ufficio (il d.lgs. n. 546/1992 contempla solo l'assistenza tecnica e non il «ministero» di cui all'art. 82 cpv e comma 3, c.p.c.). In effetti, quindi, il Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate (aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 2 del 10 marzo 2010) agli artt. 5, commi 1 e 3 (l'ufficio controlli è dedicato a tutte le funzioni di controllo e accertamento ... nonché al contenzioso), e 7, comma 1, riconosce alla direzione regionale e provinciale quanto già previsto dai dd.lgs. n. 545/1992 e n. 546/1992. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità:

Cass. n. 3058/2008: «Gli uffici locali dell'Agenzia, esplicazione territoriale dell'Agenzia centrale, sono, quindi, legittimati ad agire ed essere convenuti nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie ed in questi sono rappresentati dal Direttore nominato, avente funzione dirigenziale, che per la gestione e l'adempimento dei compiti ad esso demandati può delegare suoi diretti collaboratori a scopi determinati». (Nello stesso senso, Cass. n. 13908/2008). Poiché ogni esercizio — diretto o per delega – delle attribuzioni del Capo dell'ufficio (rappresentante organico, titolare di proprie posizioni giuridiche soggettive sia sostanziali che processuali), è governato dai medesimi su indicati principi, lo è anche quello che disciplina la sottoscrizione degli atti sia impositivi che processuali, ove l'agenzia fiscale ribadisce e difende l'esercizio del proprio potere impositivo — chiedendone al giudice conferma giudiziaria- stando in giudizio nella persona del Capo dell'ufficio o del funzionario direttivo validamente delegato, come indicato dalla giurisprudenza di legittimità. Cass. n. 6338/2008: «Le costituzioni in giudizio, inoltre, erano state firmate dal responsabile dell'ufficio, Direttore pro tempore, nel rispetto del disposto [ovviamente con esclusivo riferimento alla delega] dell'art. 42 (d.P.R. n. 600/1973.)».

In tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo (Cass. S.U. n. 24179/2009; Conformi: Cass. S.U. 24883/2008 e Cass. S.U. n. 4248/2016Cass. n. 23035/2009, Cass. n. 28078/2011, Cass. n. 24813/2013, Cass. n. 16274/2015 e Cass. n. 20408/2016).

«Preliminarmente deve rilevarsi l'inammissibilità dell'atto d'appello per l'evidente vizio di sottoscrizione ... Nel caso di specie, l'atto d'appello risulta sottoscritto nel seguente modo: «il capo team V.S.» con l'ulteriore specificazione che tale firma è su delega del direttore provinciale V.C.. Agli atti processuali tributari non può certo applicarsi la presunzione di legittimità che vige, quale principio generale, in tema di atti amministrativi; inoltre, sulla base della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 15048/2004; Cass. n. 13908/2008 e Cass. n. 22803/2015) deve risultare dall'atto d'impugnazione la legittimità sostanziale alla sottoscrizione del delegato (in base alla sua qualifica nell'ambito dell'ufficio), la tipologia della delega (se in bianco, a carattere generale, oppure specifica per un singolo atto, le ragioni della delega e il relativo termine di validità). Nel caso di specie, tali elementi non sussistono, con particolare riferimento alla motivazione per cui l'atto in questione non è stato firmato dallo stesso direttore dell'ufficio. Al riguardo è onere dell'ufficio (Cass. n. 24492/2015) dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo e l'assenza di vizi. (C.t.r. Lazio, 312/17/2017).

Secondo la giurisprudenza di legittimità «Gli uffici locali dell'Agenzia, esplicazione territoriale dell'Agenzia centrale, sono, quindi, legittimati ad agire ed essere convenuti nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie ed in questi sono rappresentati dal Direttore nominato, avente funzione dirigenziale, che per la gestione e l'adempimento dei compiti ad esso demandati può delegare suoi diretti collaboratori a scopi determinati» (Cass. n. 3058/2008 e, nello stesso senso, Cass. n. 13908/2008). «Le costituzioni in giudizio. .erano state firmate dal responsabile dell'ufficio, Direttore pro-tempore, nel rispetto del disposto [ovviamente con esclusivo riferimento alla delega] dell'art. 42, d.P.R. n. 600/73». (Cass. n. 6338/2008); infatti, il principio generale che presiede alla sottoscrizione degli atti impositivi è ovviamente il medesimo degli atti processuali, ove l'agenzia fiscale ribadisce il proprio potere impositivo — chiedendone al giudice conferma — stando in giudizio nella persona del direttore dell'ufficio (C.t.r. Lombardia, 5881/15/2016).

Tra le plurime «rationes decidendi» emerse, l'inammissibilità del citato atto d'appello ex art 53, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, va rilevata (secondo la migliore dottrina, anche d'ufficio) a causa del difetto assoluto di attribuzione dei necessari poteri e funzioni dirigenziali al sottoscrittore, atteso che l'atto risulta firmato da Xxxxxx Yyyyyy (asseritamente Dirigente, Direttore Provinciale Entrate di Xxxxxx), rappresentante organico de «l'ufficio delle entrate ... al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso» (ex art. 10, d.lgs. n. 546/1992: legitimatio ad causam ed ex art. 11, stesso decreto: legitimatio ad processum); ciò perchè il sottoscrittore dell'appello, risulta assente (per la qualifica dirigenziale) negli organigrammi e nei ruoli ufficiali on-line dell'Agenzia delle Entrate, pagina «trasparenza amministrativa» del relativo sito ufficiale web. Peraltro, non è, qui neppure applicabile la preclusione di cui all'art 345 c.p.c.: «Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio.», in considerazione del fatto che la citata nota sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale è jus superveniens agli atti introduttivi del presente giudizio (contra non valentem non currit praescriptio). Inoltre, incredibile dictu, la redazione dell'appello sarebbe stata sottoscritta dallo stesso illegittimo dirigente dopo la sua cessazione dall'impiego (C.t.r. Lombardia 3115/45/2016).

Sottoscrizione atti processuali delegata

Per delega, nel diritto amministrativo si intende «l'atto dispositivo di un soggetto o dell'organo di un soggetto mediante il quale quest'ultimo, fondandosi sulla propria competenza a provvedere in ordine ad un determinato oggetto, attribuisce ad altro soggetto o organo i poteri e le facoltà che reputa necessari affinché quest'ultimo possa provvedere in modo altrettanto legittimo in ordine all'oggetto stesso entro i limiti e secondo i criteri stabiliti nell'atto di delegazione» (Miele). La delega de qua, resta distinta dalle attribuzioni di funzioni dirigenziali attraverso le procedure regolate prima dall'art. 24 del Regolamento e poi dall'art. 8, comma 24, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44 (disposizioni entrambe cancellate dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato); Secondo un recente pregevole orientamento dottrinale, considerati i cogenti requisiti previsti dalla legge e riconosciuti dalla giurisprudenza a pena di nullità (v. Cass. n. 18758/2014; Cass. n. 22803/2015; Cass. n. 24492/2015 e ss.), la c.d. «delega per la sottoscrizione» è una delega di funzioni e dei relativi poteri —poichè nel nostro ordinamento giuridico non può esistere una mera delega di firma, intesa come differenziato minus della delega di poteri-funzioni- con conseguente attribuzione delle relative responsabilità poiché gli uffici pubblici sono organizzati secondo la legge (art. 97 Cost.) e i funzionari pubblici sono responsabili degli atti compiuti (art. 28 Cost.). 

Per firma (dal latino firmare: rendere fermo, stabilizzare, rafforzare, fortificare) si  intende il segno grafico biometrico (steso di proprio pugno e senza artifici), alternativo a strumenti legali quali la c.d. firma digitale (rectius: sigillo digitale, nel senso che, come il sigillo ed al contrario della firma, è utilizzabile da chiunque ne abbia la piena disponibilità funzionale), reso con la autografia per esteso dei propri nomi e cognome, a differenza della sigla, costituita dall'autografia delle sole iniziali, che negli atti pubblici è consentita esclusivamente per i fogli intermedi, a condizione che l'atto così siglato venga chiuso, sottoscrivendo l'ultimo foglio con la firma. Infatti, ad esempio, un processo verbale è siglato in ogni pagina e sottoscritto dall'ufficiale rogante, chiamato ad attestare, fedelmente e con valenza di pubblica fede, quanto ivi constatato. Ogni altro soggetto intervenuto, non sottoscrive l'atto ma lo firma, eventualmente anche con proprie dichiarazioni, solo per le quali la firma vale anche come sottoscrizione; quoad effectum, la firma del soggetto diverso dall'ufficiale rogante equivale a quella del testimone nei casi previsti dalla legge (v. legge notarile: art. 48, l. n. 89/1913, matrimonio etc.). La firma sottoscritta ad una dichiarazione di scienza e/o una manifestazione di volontà, vale alla loro attribuzione. Mentre l'illeggibilità della firma sottoscritta è un fatto materiale (e come tale rimediabile acquisendo aliunde la riferibilità dell'atto malamente sottoscritto ad un soggetto), l'illegittimità della sottoscrizione è una quaestio iuris relativa al possesso dei connessi poteri. La mancanza della sottoscrizione, quand'anche sostituita da una mera sigla o altro diverso segno grafico biometrico, non riconducibile ad alcun campione grafico sufficientemente articolato (come lo è una autografia, c.d. specimen, delle proprie generalità complete) è causa di inesistenza/nullità assoluta dell'atto così viziato, perchè impedisce la riferibilità della sottoscrizione (istanza di verificazioneex art. 216 c.p.c. o querela di falso ex art. 221 c.p.c.); non sono quindi ammesse sottoscrizioni a stampatello, anche se complete, nonché, ad esempio, quelle -tipo sigillo- a disegno stilizzato di oggetti o animali o ripetuto in forme geometriche, come un cerchio, un quadrato, una V, una croce o una semplice X, nonché bizzarri scarabocchi non conducenti all'ipotetico sottoscrittore.

La sottoscrizione può essere delegata al dirigente/funzionario anche con lo strumento dell'«ordine di servizio» (Circ. Min-. 30 aprile 1977 n. 77, § 57) sia perché l'art. 42, d.P.R. n. 600/1973 —come le altre equivalenti disposizioni- non impongono una determinata forma per il rilascio della delega, sia perché l'ordine di servizio è normale espressione del potere organizzativo amministrativo.

Tuttavia, la delega di firma (come quella di funzioni) ha una valenza esterna aggiuntiva che la differenzia dall'ordine di servizio poiché mentre questo veicola disposizioni organizzative interne (e può efficacemente assumere una forma meramente verbale), la delega mira ad ostentare a terzi le deroghe alla ordinaria rappresentanza organica del capo dell'ufficio (ex plurimis Cass. n. 14942/2013). Infatti, «l'esistenza e la validità della delega possono essere contestate e verificate in sede giurisdizionale, implicando l'indagine e l'accertamento sul tema un controllo, non già sull'organizzazione interna della pubblica amministrazione, ma sulla legittimità dell'esercizio della funzione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione» (v. Cass. n. 14195/2000). «In caso di contestazione incombe all'Amministrazione provare l'esercizio del potere sostitutivo o la presenza della delega» (Cass. n. 14626/2000). «Se la sottoscrizione non è quella del Capo dell'Ufficio titolare, ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all'Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell'ufficio...» (Cass. n. 17044/2013); «in caso di contestazione, l'Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega sebbene non necessariamente in primo grado, visto che si tratta di un atto che non attiene alla legittimazione processuale avendo l'avviso di accertamento natura sostanziale e non processuale» (Cass. n. 17044/2013 e Cass. n. 12781/2016), ma anche in appello «...in ragione della possibilità delle parti di produrre, anche in appello, nuovi documenti, nel rispetto del contraddittorio, ai sensi dell'art. 58, comma 2, proc. trib» (Cass. n. 14942/2013). «Non soddisfa il requisito di sottoscrizione, previsto a pena di nullità, dalla legge, la firma di un soggetto non validamente ed efficacemente delegato, in quanto il soggetto istituzionalmente competente a sottoscriverli è solo il capo dell'ufficio emittente» (Cass. n. 25280/2015). «Va infatti ribadito che «In tema d'imposte sui redditi, l'avviso di accertamento, a norma dell'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, incombendo sull'Amministrazione finanziaria dimostrare, in tale ultima evenienza e in caso di contestazione, l'esistenza della delega e l'appartenenza dell'impiegato delegato alla carriera direttiva» (Cass. VI, ord. n. 9736/2016). La sentenza impugnata collide evidentemente con tale principio di diritto laddove, senza alcun fondamento giuridico, afferma che la delega di funzioni/firma è atto privo di rilevanza esterna, così omettendo il necessario giudizio di merito sulla delega prodotta in prime cure dall'Agenzia fiscale» (Cass n. 12830/2017).

Rappresentanza processuale delle agenzie fiscali e dell’agente della riscossione

In tema di rappresentanza delle agenzie fiscali, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22803/2015 e ss.) recentemente è tornata funditus sul tema e, premesso che:

- l'immedesimazione (c.d. rappresentanza) organica, consente di assumere la veste processuale di parte nel processo tributario (legitimatio ad causam,ex art. 10, d.lgs. n. 546/1992) come manifestazione della capacità giuridica del soggetto ad essere titolare di posizioni giuridiche soggettive sia sostanziali che processuali; per il titolare di parte pubblica —che può esercitare, personalmente o per delega, tutti i successivi ruoli, ove non avocati dalle strutture gerarchiche territorialmente sovraordinate- trova fondamento nella legge (art. 97 Cost.: «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, ... Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. ...»);

- la rappresentanza ( stricto sensu ) processuale, cioè la capacità di stare in giudizio (legitimatio ad processum, ex art. 11, comma 2, d.lgs. n. 546/1992), è una manifestazione della capacità d'agire del soggetto giuridico;

- la rappresentanza e l'assistenza tecnica processuali sono esercitabili per delega (hic, recte: procura alle liti), che può essere rilasciata solo dal legittimo (nemo transferre potest quod non habet nec plus quam habet) titolare dell'ufficio (rappresentante organico, titolare di posizioni giuridiche soggettive sia sostanziali che processuali) ai propri funzionari direttivi (rappresentanti per atti unilaterali pubblici) e solo nelle forme previste per legge a pena di nullità; infatti:

-art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 dispone in via generale che: «I dirigenti per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b ), d ) ed e ) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati ...»); tuttavia, la disposizione «speciale» successivamente introdotta con l'art. 4-bis, d.l. n. 78/2015 (conv. in l. n. 125/2015), prevede una procedura selettiva paraconcorsuale tra funzionari in possesso del diploma di laurea (specialistica o magistrale) e con esperienza professionale di almeno cinque anni nella terza area, fissando anche il numero massimo delle deleghe attribuibili.

- art. 52, comma 5, d.lgs. n. 165/2001: «Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.».

Il Regolamento di amministrazione dell'Agenzia, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4/2000, e aggiornato con delibera n.57 del dicembre 2012, all'art. 5, comma 5, dispone che «Le Direzioni Provinciali sono uffici di livello dirigenziale» e precisa nel successivo comma 6 che «Gli avvisi di accertamento sono emessi dalla Direzione provinciale e sono sottoscritti dal relativo direttore o, per delega di questi, dal direttore dell'ufficio preposto all'attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti». La Agenzia delle Entrate — Direzione Centrale del Personale-: «Linee guida per il conferimento delle deleghe di funzioni» del 17 novembre 2015, precisa che «La delega è conferita con atto scritto e motivato, secondo i canoni generali di correttezza e buona fede cui sono soggette le determinazioni assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Il rispetto di tali canoni può essere verificato mediante la motivazione degli atti di conferimento delle deleghe, dalla quale deve emergere – ai fini del riscontro dell'oggettività e della trasparenza richieste dall'art. 4- bis per la procedura selettiva – il percorso logico di valutazioni comparative seguito dal delegante per l'individuazione del funzionario delegato». La delega va, quindi, conferita con un provvedimento avente forma scritta, emessa in data anteriore a quella del relativo esercizio e limitatamente ad un termine espressamente determinato (che la legge speciale art. 4-bis, d.l. n. 78/2015, ha fissato al 31 dicembre 2016 poi prorogato al 31 dicembre 2017 e poi, ancora, al 30 giugno 2018).

In tema di rappresentanza dell'agente della riscossione, il discrimine tra la vecchia e la nuova disciplina è stato posto dall'art. 9 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, in data 1° gennaio 2016, con l'omologazione – riguardo la capacità di stare in giudizio – dell'Agente della riscossione alle Agenzie fiscali, i cui uffici stanno in giudizio direttamente –come le cancellerie/segreterie giudiziarie (civili, amministrative e tributarie) – o mediante la struttura territorialmente sovraordinata (art. 11, comma 2) e con l'inserimento dell'Agente della riscossione (insieme alle Agenzie fiscali, agli altri enti impositori ed ai soggetti c.d. gestori) tra le parti (tutte quelle diverse dal ricorrente per il quale non si versi nell'ipotesi di cui all'art. 12, comma 2) per le quali non sussiste l'obbligo di essere assistiti in giudizio da un difensore abilitato (art. 12, comma 1). Già la sostituzione nel precedente articolo 10, comma 1, della locuzione “concessionario del servizio di riscossione” con la locuzione “agente della riscossione” anticipava in qualche modo l'art. 1, d.l. n. 193/2016, conv. con modif. dalla l. n. 225/2016 (entrato in vigore il 1° luglio 2017) che ha disposto l'estinzione della s.p.a. concessionaria e l'attribuzione delle funzioni di riscossione nazionale - di cui all'art. 3, comma 1, d.l. n. 203/2005, conv. con modif. con l. n. 248/2005 - all'Agenzia delle Entrate di cui all'art. 62 d.lgs. n. 300/1999, per essere svolte dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle entrate-Riscossione», sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell'economia e delle finanze.

Per quanto riguarda la recente Agenzia Entrate Riscossione, la legitimatio ad causam –ex art. 10, secondo alinea, d.lgs. 546/1992- è dell'ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso (per la competenza territoriale vds. art. 4, c.1, d.lgs. 546/1992). “Le Aree territoriali sono istituite con competenza su base provinciale ovvero anche sovra-provinciale … Le Aree territoriali svolgono attività operative sul territorio, in stretto coordinamento con la Direzione Regionale, attraverso strutture organizzative denominate Uffici e Sportelli, dedicate ai servizi ausiliari, all'analisi e inesigibilità, alle procedure sul territorio ed ai servizi ai contribuenti, erogati in particolare attraverso gli sportelli e gli altri canali di contatto gestiti a livello territoriale. Gli Sportelli sono presidi organizzativi per la gestione di sedi aperte al pubblico in via continuativa che hanno una dotazione strutturale di risorse per l'erogazione dei servizi di pagamento e di consulenza/informazione. Le Aree territoriali possono gestire anche punti periferici di servizio ai contribuenti ad apertura saltuaria” (Modello organizzativo AER: ( https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/export/.files/it/gruppo/AER_Modello_organizzativo_04_02_19.pdf ). Quindi, le sedi degli attuali uffici dell'Agente della riscossione che emettono gli atti riscossivi di cui all'art. 10, secondo alinea, d.lgs. 546/1992 non sempre coincidono con quelli dell'ente impositore, titolare del credito passato a ruolo.

Secondo Cass. n. 28684/2018, il trasferimento di funzioni ed attribuzioni all'Agenzia delle Entrate-Riscossione, che è subentrata, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia, come “Agente della Riscossione”, non ha determinato una successione processuale, di tipo sostitutivo ex art. 110 c.p.c. (che disciplina il venir meno della parte per morte o per altra causa), ma una legittimazione processuale concorrente, e non sostitutiva, ex art. 111 c.p.c., (Cass. n. 7318/2014 e Cass. n. 21773/2014), atteso che trattasi di una vicenda traslativa di posizioni attive e passive specificamente determinate (Cass. n. 15869/2018 e Cass. n. 12310/2018), analogamente a quelle relative al trasferimento di funzioni ed attribuzioni sia dal Ministero delle finanze alle Agenzie fiscali ex art. 57 d.lgs. n. 300/1999 (Cass. S.U. n. 3116/2006 e Cass. n. 1925/2008) sia dalle preesistenti Concessionarie per la riscossione alla stessa Equitalia spa ex art. 3 d.l. n. 203/2005, conv. in l. n. 248/2005 (Cass. n. 7318/2014).

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28684/2018) così si è pronunciata: “L'art. 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, concernente la costituzione in giudizio 'diretta' avanti alle commissioni tributarie… ha esteso… l'inammissibilità della rappresentanza processuale volontaria, oltre che espressamente agli uffici dell'Agenzia delle Entrate ed a quelli dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (come già si riteneva) ed alle cancellerie o segreterie dell'ufficio giudiziario (come già previsto dal comma 3-bis), anche all'ufficio dell'agente della riscossione, il quale quindi deve stare in giudizio – in particolare, solo nel giudizio di merito – direttamente (o mediante la struttura territoriale sovraordinata), cioè in persona dell'organo che ne ha la rappresentanza verso l'esterno o di uno o più suoi dipendenti dallo stesso organo all'uopo delegati, e non può farsi rappresentare in giudizio da un soggetto esterno alla sua organizzazione, tranne che nelle ipotesi in cui può avvalersi della difesa dell'avvocatura dello Stato, come espressamente previsto dall'art. 1 comma 8 del citato decreto legge, sebbene detto ente non appartenga propriamente all'ambito delle Amministrazioni dello Stato trattandosi di ente pubblico economico - alle quali normalmente si riferisce la previsione circa la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato (art. 1 r.d. n. 1611/1933)”.

Cass. sez. trib., n. 28741/2018 , ha enunciato i seguenti principi di diritto:

"- l'estinzione ope legis delle società del gruppo Equitalia ai sensi dell'art.1 d.l. n. 193/2016, conv. in l. n. 225/2016 non determina interruzione dei processi pendenti né necessità di costituzione in giudizio del nuovo ente Agenzia delle Entrate Riscossione;

- qualora il nuovo ente Agenzia delle entrate Riscossione si limiti a subentrare ex lege negli effetti del rapporto processuale pendente al momento della sua istituzione, senza formale costituzione in giudizio, esso può validamente avvalersi dell'attività difensiva espletata da avvocato del libero foro già designato da Equitalia secondo la disciplina previgente;

- qualora invece il nuovo ente Agenzia delle entrate-Riscossione si costituisca, in nuovo giudizio ovvero anche in giudizio pendente, con il patrocinio di avvocato del libero foro, sussiste per esso l'onere, pena la nullità del mandato difensivo e - dell'atto di costituzione su di esso basato, di indicare ed allegare le fonti del potere di rappresentanza ed assistenza di quest'ultimo in alternativa al patrocinio per regola generale esercitato, salvo conflitto di interessi, dall'avvocatura dello Stato;

- tali fonti vanno congiuntamente individuate sia in atto organizzativo generale contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro (art. 1, comma 5 ed 8 d.l. n. 193/2016, conv. in l. n. 225/2016), sia in apposita motivata deliberazione, da sottoporre agli organi di vigilanza, che indichi le ragioni che, nella concretezza del caso, giustificano tale ricorso alternativo (art. 43 r.d. n. 1611/1933, come modificato dall'art. 11 l. n. 103/1979)".

C.t.r. Lombardia sent. n. 1904-01-2020, ha così motivato:

“le funzioni di riscossione nazionale (di cui all'art. 3, comma 1, d.l. n. 203/2005, conv. con modif. con l. n. 248/2005), sono state attribuite all'Agenzia delle entrate di cui all'art. 62, d.lgs. n. 300/1999, e svolte dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione». Tale ente strumentale -mero “adiectus solutionis causa”- è subentrato, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali (successione nella legitimatio ad causam), delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia ed ha assunto la qualifica di Agente della Riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del d.P.R. n. 602/1973 (successione nel munus pubblicum ). La qualificazione quale ente strumentale ex art. 1, comma 2 e 3, d.l. n. 193/2016, conv. con modif. con l. n. 225/2016, comporta che il nuovo ente sia strettamente legato all'Agenzia delle Entrate con un vincolo di soggezione amministrativa e l'articolo 11, comma 2, sancisce che gli enti fiscali possono stare “in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata” (facendo uso degli strumenti amministrativi dell'avocazione o della sostituzione1. Nel caso che qui ci occupa, le cartelle esattoriali, emesse dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione ne determinano la “legitimatio ad causam” ex art. 10, primo alinea, d.lgs. n. 546/1992: “sono parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio dell'agenzia delle entrate e … l'agente della riscossione … che hanno emesso l'atto impugnato ...” e “ad processum” ex art.11, comma 2, primo alinea, d.lgs. n. 546/1992: “l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate … nonché dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto ricorso, sta in giudizio direttamente o2 mediante la struttura territoriale sovraordinata”3. Inoltre, il carattere di specialità riconosciuto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, alla giurisdizione tributaria, soccorre ad inquadrare sistematicamente le recenti pronunce sulla vexata quaestio (Cass. III civ. ord n. 18350/2019, Cass. S.U., n. 30008/2019), che non fanno alcun riferimento alle 16 categorie professionali circa, diverse da quella degli avvocati (i soli abilitati anche alla difesa nel giudizio ordinario civile), cui appartengono i difensori abilitati alla sola giurisdizione speciale tributaria ex art. 12, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 (commercialisti e consulenti del lavoro, oltre –limitatamente all'art.2, c.2- ad ingegneri, geometri, architetti, periti industriali, dottori agronomi, agrotecnici, periti agrari etc.), per cui l'art. 4-novies, d.lgs n. 34/2019, va riferito esclusivamente al patrocinio dell'Agente della Riscossione nel rito civile, davanti ai giudici territoriali ordinari ed al giudice di legittimità. Diversamente opinando, si creerebbe per la giurisdizione speciale tributaria una ingiustificata disparità di trattamento tra i difensori abilitati: perché, ad esempio, l'Agente della riscossione non potrebbe avvalersi per la propria difesa davanti le commissioni tributarie di dottori commercialisti o di consulenti del lavoro etc.? Non può revocarsi in dubbio, quindi, che la ragione della scelta del legislatore4 del combinato disposto: d.lgs. n. 156/2015 e d.l. n. 193/2016, conv. in l. n. 225/2016, vada ravvisata non solo in una direzione strategica di omogeneità dell'assetto defensionale tributario territoriale per tutti gli Enti fiscali, ma anche in contingenti evidenti necessità di contenimento dei costi pubblici; ecco perché la capacità di stare in giudizio direttamente, o mediante la struttura territoriale sovraordinata, con l'eventuale rappresentanza, patrocinio ed assistenza in giudizio dell'Avvocatura dello Stato -anziché dei diversi difensori abilitati5, come indicati ai commi 3, 5 e 6 dell'art. 12, d.lgs. n. 546/1992- è divenuta, come per le Agenzie fiscali, quella propria dell'Agente della riscossione, con l'art. 9, d.lgs. n. 156/2015 (per quanto qui ci riguarda entrato in vigore il 1° gennaio 2016), segnatamente con le modifiche apportate agli artt. 11, comma 2, e 12, comma 1, d.lgs. n. 546/1992. Nel caso dell'Agente della riscossione6, si aggiunge l'ulteriore specifico strumento della chiamata in causa (c.d. “litis denuntiatio”), prevista dall'art. 39 del d.lgs. n. 112/19997, in evidente deroga legale all'art. 81 c.p.c. che -in tema di sostituzione processuale- sancisce come “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui; ciò perché nello specifico caso che ci occupa, alla titolarità della situazione sostanziale dedotta viene riconosciuta autonomia dalla titolarità dell'azione processuale. La fattispecie sostanziale di cui all'art. 39 d.lgs. n. 112/1999, infatti, si distingue nettamente dalle fattispecie processualcivilistiche disciplinate dall'art. 106 c.p.c., perché trattasi di mera denuncia di lite volta a consentire ad un terzo di potersi difendere direttamente. come ad esempio già previsto dall'art. 1586 c.c. relativamente ai rapporti tra locatore e locatario, dall'art. 1777, comma 2, c.c. tra depositante e depositario etc. Secondo Cass. n. 28684/20188, la nullità della procura, rilasciata dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione, determina l'invalidità dell'atto di appello dell'AE-R, “con la conseguente inutilizzabilità delle istanze e delle deduzioni” ivi contenute, anche ai fini della liquidazione delle spese di lite. “L'inammissibilità del ricorso [anche in appello ex art. 61, d.lgs. n. 546/1992] è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio…” (art. 22, comma 2, d.lgs. n. 546/1992). Ai sensi dell'art. 182 c.p.c., cui l'art. 12, comma 10, d.lgs. n. 546/1992 rinvia, il giudice deve verificare d'ufficio la regolarità della costituzione9 delle parti e qualora rilevi “un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore” e la parte non provveda entro il termine perentorio fissatole a sanare il vizio, ai sensi dell'art. 18, commi 3 e 4, dichiara l'inammissibilità (recte: improcedibilità per inammissibilità sopravvenuta) del ricorso (anche in appello ex art 61, d.lgs. n. 546/1992). Tuttavia, l'art.182 c.p.c., è applicabile nel processo tributario di merito solamente nei confronti delle parti che devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato”; non si applica, pertanto, alle parti di cui all'articolo 10, diverse dal ricorrente (che non versi nell'ipotesi di cui all'art. 12, comma 2), indicate all'art. 11, commi 2 e 3, d.lgs. n. 546/1992: all'Agente della riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione, mentre invece si applicava ad Equitalia s.p.a.), come alle Agenzie fiscali, agli altri enti impositori ed ai soggetti c.d. gestori (albo ex art. 53, d.lgs. n. 446/1997). (C.t.r. Lombardia sent. n. 1904-01-2020).

 

[1] In molti analoghi casi, lo strumento adottato è stato, invece, un Protocollo di Intesa come quello prot. 108368 del 28.07.2017, sottoscritto tra l'Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia ed Equitalia Nord S.p.A. – Direzione Regionale della Lombardia, che ha consentito all'ente creditore stesso, ex se parte del rapporto tributario controverso (ex art. 14, c.3) di assumere direttamente anche la difesa delle ragioni dell'Agente della riscossione, costituendosi in giudizio come parte resistente (ex art. 14, c.5).

[2] Un'ermeneutica letterale ex art. 12 d.l.g. del c.c., porta ad escludere soluzioni diverse da quelle ivi indicate in via alternativa, come quella del difensore abilitato. “Le congiunzioni disgiuntive (dette anche alternative) sono congiunzioni coordinative o subordinative che hanno la funzione di introdurre un'alternativa tra due parole, due concetti o due frasi, a volte escludendo uno dei due” (La grammatica italiana - Treccani 2012). La congiunzione “o” ha, in questo caso, un manifesto valore disgiuntivo (nel senso di “oppure”), che esclude ogni eventuale –ma inconferente- valore esplicativo (nel senso di “ossia”, “ovvero”).

[3] In effetti, l'art. 11, cc.2 e 3, fa riferimento a tutti gli enti fiscali (agenzie, agente della riscossione, enti locali), ignorando i “soggetti iscritti all'albo di cui all'art. 53, d.lgs. 446/1997” di cui agli artt. 10, c.1 e 12, c.1, d.lgs.546/1992. Evidentemente, secondo un'interpretazione sistematica, tali soggetti vanno considerati compresi dalla locuzione “enti locali” di cui all'art. 11, c.3.

[4] Il comma 8, dell'art. 1, d.l. 193/2016, testualmente così dispone: “L'Ente e' autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato competente per territorio, ai sensi dell'articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L'Ente può stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti davanti al tribunale e al giudice di pace, salvo che, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, l'Avvocatura dello Stato competente per territorio, sentito l'ente, assuma direttamente la trattazione della causa. Per il patrocinio nei giudizi davanti alle commissioni tributarie continua ad applicarsi l'articolo 11 comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni” (l'ultimo alinea è stato introdotto in sede di conversione dalla l. 225/2016).

Il Regolamento di amministrazione, approvato con Determinazione del Commissario straordinario, n. 6 del 23 giugno 2017, all'art. 4 così dispone:

c. 2. L'Ente si avvale del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato secondo quanto previsto e stabilito dall'articolo 1, comma 8 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 e ai sensi dell'articolo 43 del Testo Unico approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e s.m.i.. I rapporti con l'Avvocatura di Stato sono regolati da convenzione. c. 3. L'Ente può altresì avvalersi di avvocati del libero foro ovvero essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati che possono stare in giudizio personalmente, secondo le previsioni dell'art. 1 comma 8 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193.

Il 4° comma dell'art. 43, R.D. 1611/1933 - come integrato dall'art. 11, l. 103/1979- precisa che: ”… ove tali amministrazioni ed enti intendano in casi speciali non avvalersi della Avvocatura dello Stato, debbono adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. Orbene, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., ss.uu. 24876/2017): “15. Ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, (Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato): l'Avvocatura dello Stato, in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle Amministrazioni dello Stato, può essere autorizzata ad assumere la rappresentanza e difesa anche di Amministrazioni pubbliche non statali e di enti pubblici sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato (c.d. patrocinio autorizzato). Condizione necessaria per l'esercizio di questo patrocinio è l'esistenza di un provvedimento di autorizzazione che, in virtù di quanto disposto dall'art. 43 cit., può essere costituito da una “disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto”, i quali, per effetto delle modifiche introdotte dalla L. 12 gennaio 1991, n. 13, art. 11, devono essere “promossi di concerto” con i Ministri della Giustizia e dell'Economia e delle Finanze. Quando sia intervenuto il detto provvedimento, la rappresentanza e la difesa in giudizio sono assunte dall'Avvocatura “in via organica ed esclusiva” (art. 43 del TU cit. come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11), sicchè si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio, … le Amministrazioni e gli enti suindicati (anche regionali) possono decidere di non avvalersi della Avvocatura dello Stato soltanto “in casi speciali” e previa adozione di “apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. Si tratta, quindi, di una facoltà esercitabile in casi di carattere eccezionale, come è stato espressamente confermato nel parere del Consiglio di Stato, Sez. 2, 29 ottobre 1986, n. 2025 e nella deliberazione della Corte dei Conti 6 aprile 1984, n. 1432, proprio con riguardo al patrocinio delle Università statali e degli altri istituti statali di istruzione superiore. Ne deriva che gli enti ai quali è applicabile il c.d. patrocinio autorizzato di cui all'art. 43 cit. sono numerosissimi tanto più che, nel corso del tempo, si è registrato un progressivo ampliamento dell'ambito di applicazione di tale tipo di patrocinio, sia per i rilevanti vantaggi sul piano economico che conseguono all'affidamento del patrocinio all'Avvocatura dello Stato sia per l'omogeneità e l'uniformità degli indirizzi defensionali che l'Avvocatura dello Stato è in grado di assicurare.” (STRALCIO).

Davanti le commissioni tributarie secondo l'art. 12, c. 1, d.lgs. 546/1992, solo “le parti, diverse dagli enti impositori, dagli agenti della riscossione e dai soggetti iscritti nell'albo di cui all'art. 53 del d. lgs. 15 dicembre 1997, numero 446, [c.d. soggetti gestori] devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato”, scelto tra quelli indicati dai successivi commi 3, 4, 5 e 6. Atteso il carattere di specialità riconosciuto dall'art. 1, c. 2, d.lgs. 546/1992, alle disposizioni sul processo tributario, l'art. 11, c. 2, al.1°, d.lgs. 546/1992, ha così disciplinato la capacità di stare in giudizio: “L'ufficio dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 nonche' dell'Agente della riscossione [limitatamente alla riscossione di tributi], nei cui confronti e' proposto il ricorso, sta in giudizio direttamente o[4] mediante la struttura territoriale sovraordinata. …”; secondo il successivo art. 12, c. 8, “Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, possono essere assistite dall'Avvocatura dello Stato”; per l'Agente della riscossione, come richiamato dal su citato art.1, c.8, d.l. 193/2016, e disposto dall'art. 43, R.D. 1611/1933: “l'Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti all'autorità giudiziaria, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o anche alla sola vigilanza dello Stato, sempre che sia stata autorizzata da disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento con regio decreto”.

[5] La parte processuale pubblica (i.e. ogni ente fiscale come l'Agenzia delle entrate e l'Agente della riscossione) non è affatto soggetta all'obbligo di utilizzare il “ministero di un difensore”, affidandosi ad uno dei difensori abilitati di cui all'art. 12; basta leggere l'incipit del comma 1 di tale articolo, per averne contezza. Il c.d. ministero di difensore (già funzione di procuratore) si esercita assumendo la rappresentanza della parte processuale per sostituirla nello svolgimento degli atti processuali (nel processo tributario di merito non esiste il «ministero» di cui all'art. 82 cpv e comma 3, c.p.c.). La c.d. assistenza di difensore (già funzione di avvocato) si esercita in nome proprio a favore della parte processuale, impostando e seguendo la difesa con argomentazioni scritte ed orali, fatte poi valere negli atti processuali posti in essere dal procuratore in udienza; non agendo in nome della parte assistita (al contrario del procuratore) non è considerato un suo mandatario, tanto è vero che, per la sua designazione basta una nomina rilasciata con le modalità indicate nell'art. 12, c. 7, d.lgs. 546/1992.

[6] “In materia tributaria, la omessa notifica di un atto presupposto costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto successivo e l'azione del contribuente, diretta a fare valere la detta nullità, può essere svolta indifferentemente nei confronti dell'ente creditore o del concessionario della riscossione (dovendosi escludere nella specie un litisconsorzio necessario tra i due), essendo rimessa al concessionario, ove unico ad essere stato evocato in giudizio, la facoltà di chiamata nei riguardi dell'ente creditore, pena la soccombenza in caso di esito favorevole per il ricorrente della lite (Cass. Sez. Un. n. 16412/2007, Cass. n. 22939/2007, n. 1532/2010, n. 13331/2013, n. 12746/2014, ord. n. 97/2015).

[7] Ai sensi del lapidario art. 39 del D. Lgs. 13 aprile 1999, l'omessa chiamata in causa dell'ufficio impositore non incide affatto sul processo in corso (Corte di cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 25.07.2007 n°16412) ma solo sull'obbligo per l'Agente della riscossione -mero “adiectus solutionis causa”- di risarcire l'eventuale danno procurato all'ente creditore; pertanto, attesane la natura sostanziale –e non processuale- consegue che si possa comunicare all'ente creditore la pendenza della lite ed i motivi di ricorso con qualunque modalità idonea, in via extraprocessuale, volta a consentirgli la difesa entrando nel processo a tutela del proprio interesse sostanziale, esonerando l'”adiectus” da qualsiasi responsabilità.

[8] Sempre secondo Cass. sez. trib. Sent. 28684/2018: “La norma ha esteso, dunque, l'inammissibilità della rappresentanza processuale volontaria, oltre che espressamente agli uffici dell'Agenzia delle entrate ed a quelli dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (come già si riteneva) ed alle cancellerie o segreterie dell'ufficio giudiziario (come già previsto dal comma 3 bis), anche all'ufficio dell'agente della riscossione, il quale quindi deve stare in giudizio - in particolare, solo nel giudizio di merito - direttamente (o mediante la struttura territoriale sovraordinata), cioè in persona dell'organo che ne ha la rappresentanza verso l'esterno o di uno o più suoi dipendenti dallo stesso organo all'uopo delegati, e non può farsi rappresentare in giudizio da un soggetto esterno alla sua organizzazione, tranne che nelle ipotesi in cui può avvalersi della difesa dell'avvocatura dello Stato, come espressamente previsto dall'art. 1 comma 8° del citato decreto legge …”.

[9] Per agevolare il controllo del giudice sulla corretta costituzione in giudizio, il difensore abilitato è tenuto ad indicare nel ricorso da lui sottoscritto a quale, tra le categorie di cui all'art.12, egli appartenga (art. 18, c.3, lett.a), d.lgs. 546/1992), atteso che l'abilitazione alla difesa è differenziata per materia ed il difetto di abilitazione si riflette sulla regolarità della costituzione. “L'inammissibilità del ricorso [anche in appello ex art. 61, d.lgs.546/1992] è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio…” (art. 22, c.2, d.lgs.546/1992).

 

V. in proposito: C.t.r. Liguria sent. n. 1745-03-2017, C.t.r. Piemonte sent. n. 728-01-2018, C.t.r. Lombardia ord. n. 442-01-2018, C.t.r. Lombardia sent. n. 4870-01-2018, C.t.r.  Campania ord. n. 443-27-2018, C.t.r.  Calabria sent. n. 2284-1-2018, C.t.p. Napoli sent. n. 11055-01-2017, C.t.p. Roma sent. n. 13474-27-2018, C.t.p. Varese sent. n. 310-17-2017, C.t.p. Campobasso sent. n. 32-1-2018, C.t.p. Torino sent. n. 727-2-2018 etc. nonché, più recentemente: C.t.r. Lombardia sent. nn. 1207-01-2020, 1904-01-2020 e 3009-01-2020.

Carriera direttiva

La qualifica legittimamente spettante, secondo i principi previsti agli artt. 51, comma 1 e 97 Cost., non può essere che quella conseguita all'atto dell'assunzione o, successivamente, nei modi previsti dalla legge (Cons St. V, n. 4398/2005; Cons St. IV n. 7074/2004; Cons St. V n. 4301/2003). Per carriera direttiva (da funzionario) si intende quella (ex IX livello poi divenuto Area C) di cui all'art. 20, comma 1, lett. d) del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266: «direzione di uffici, istituti o servizi di particolare rilevanza o di stabilimenti di notevole complessità non riservati a qualifiche dirigenziali». Secondo il CCNL normativo 2006 – 2009 economico 2006 – 2007, Allegato A: AREA TERZA (ex C1, C1S, C2, C3 e C3S). Appartengono a questa area funzionale i lavoratori che, nel quadro di indirizzi generali, per la conoscenza dei vari processi gestionali, svolgono, nelle unità di livello non dirigenziale a cui sono preposti, funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività di importanza rilevante, ovvero lavoratori che svolgono funzioni che si caratterizzano per il loro elevato contenuto specialistico.

Accesso alla Terza area: Dall'esterno: mediante pubblico concorso. Dall'interno: dalla Seconda area alla posizione retributiva iniziale della Terza area con le modalità previste dall'art. 14 (passaggi tra le aree) del presente CCNL.

Requisiti: Per l'accesso dall'esterno: — diploma di laurea o diploma di laurea specialistica coerenti con le professionalità da selezionare ed eventuali titoli professionali o abilitazioni previsti dalla legge per lo svolgimento dei compiti assegnati.

Per l'accesso dall'interno: — per il personale in possesso dei requisiti previsti per l'accesso dall'esterno, non è richiesta esperienza professionale maturata nella seconda area; in mancanza del titolo di studio previsto per l'accesso al profilo dall'esterno, nel caso in cui lo stesso non sia requisito necessario per lo svolgimento dell'attività professionale, fatti salvi i titoli professionali o abilitativi per legge, perché in possesso del diploma di scuola secondaria superiore, è richiesta una esperienza professionale complessiva di almeno sette anni nell'area di provenienza oppure, nel caso di flessibilità tra profili di cui all'art. 16, di quattro nel profilo di provenienza.

È ormai ius receptum che, la «carriera direttiva» venga individuata nella sola terza area, indifferentemente dalle relative attuali fasce retributive (Cfr. Atto Camera 6330 del 10 settembre 2015 Seduta 479_ Risposta MEF: «I giudici hanno infatti ritenuto (T.A.R. Lazio, sentenza n. 9352 del 2013 e sentenza n. 3007 del 2015) che ... le posizioni economiche all'interno di un'area si dovevano considerare tutte equivalenti dal punto di vista mansionale ...») e la delega del dirigente al funzionario direttivo è considerata praticabile nei limiti in cui le attività delegate non siano riservate a qualifiche dirigenziali e rientrino nel profilo professionale del funzionario direttivo delegato, onde evitare le perentorie nullità normativamente previste in caso di illegittimo conferimento di mansioni superiori, il maggiore trattamento economico connesso e la responsabilità personale del delegante per ogni eventuale maggior esborso remunerativo al delegato.

Formalità, requisiti e contenuti della delega

Il rapporto di servizio fa sorgere per il dipendente pubblico il c.d. «dovere d'ufficio» (officium) consistente nell'attività da porre doverosamente in essere –direttamente o per delega- per l'ufficio nel quale è incardinato ed al quale va riferita. Ove si proceda per il tramite di delega, è opportune distinguere:

- La delega c.d. di funzione: Si tratta di un provvedimento amministrativo con cui un'autorità/soggetto amministrativo, nei casi in cui la legge gli attribuisce espressamente tale facoltà nell'esercizio delle proprie funzioni, sostituisce a sé un'altra autorità/soggetto, con conseguente trasferimento di competenza/funzione e relativa responsabilità dell'atto emesso in capo all'autorità/soggetto delegato. Il trasferimento di competenza o funzione può avvenire tra due organi di uno stesso ente (delega interorganica) o tra due enti diversi (delega intersoggettiva). L'art. 2, comma 1, l. 15 luglio 2002, n. 145, intitolato «Delega di funzioni dei dirigenti», ha aggiunto il comma 1-bis all'art. 17 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che «I dirigenti per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b),d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati ...».

La delega c.d. di firma: risponde ad una materiale esigenza di decentramento delle attività amministrative e non crea alcun rapporto particolare tra delegante e delegato; a differenza di quella di funzioni, non trasferisce l'esercizio del potere attribuito all'organo delegante ma conferisce soltanto l'incarico di sottoscrivere atti di esercizio di tale potere secondo le direttive impartite in delega, con la conseguenza che l'atto firmato dal delegato resta comunque imputato all'organo/soggetto delegante (Cass. n. 6882/2000 e n. 6113/2005, T.A.R. Toscana n. 3372/2002 e Cons. Giust. Amm. Sicilia, n. 182/1995) anche se emesso in contrasto con direttive interne impartite «extra delega», delle quali il destinatario non abbia «legale scienza». Cass. n. 6882/2000 (conforme Cass. n. 6113/2005): «il delegante mantenendo la piena titolarità dell'esercizio di un determinato potere, delega ad altro organo o funzione non titolare dell'organo, il compito di firmare gli atti di esercizio di esso, onde l'atto firmato dal delegato resta imputato all'organo delegante». T.A.R. Toscana, sent.n. 3372/2002 (conforme Cons. Giust. Amm. Sicilia n. 182/1995): «una mera delega di firma, senza alterare l'ordine delle competenze, attribuisce al soggetto delegato (e non all'ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti che continuano ad essere, sostanzialmente, atti dell'autorità delegante e non di quella delegata».

Si distingue, inoltre:

La delega ratione officii  che in punto di principio, non necessità dell'indicazione del destinatario (c.d. delega innominata o impersonale) poiché delegata non è una predeterminata persona fisica ma il legittimo titolare dell'ufficio in ragione del quale (funzione) viene concessa e chi la esercita ne deve dimostrare la titolarità; se cambia il titolare, la stessa delega continua a valere per il successore previa attestazione di avvicendamento (a tal fine, per semplicità, la delega ratione officii contiene anche le generalità del titolare pro-tempore).

La delega ad personaminvece, necessità ad substantiam dell'indicazione delle generalità del delegato, poiché tale delega prescinde dalla funzione ed è conferibile nei limiti in cui le attività delegate rientrino nel profilo professionale del funzionario direttivo/dirigente delegato.

Poichè «non appare indifferente che un atto complesso come l'accertamento tributario sia emesso da un funzionario privo della necessaria qualifica, e quindi – deve presumersi – della necessaria capacità tecnica.» (Cass. n. 25017/2015), affinché la delega di firma/funzione (alla sottoscrizione/emissione di atti impositivi o processuali) sia efficace, dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere necessari (ex art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001 ed art. 4-bis, d.l. n. 78/2015, conv. in l. n. 125/2015):

- forma scritta (sottoscritta autograficamente, protocollata e depositata agli atti dell'Ufficio);

- motivazione (indicazione delle ineludibili esigenze di servizio);

- qualifica, funzioni e generalità del dirigente/funzionario delegato;

- durata e limitazioni (periodo e valore/materia/atti/ servizi/etc.).

La sottoscrizione autografa dell'atto non automatizzato (i.e. quello non emesso in modalità nativa digitale) di conferimento delle deleghe di firma al funzionario direttivo/dirigente per la sottoscrizione di atti a rilevanza esterna, ancorché nei limiti in cui le attività delegate rientrino nel relativo profilo professionale, non può essere sostituita dalla formula: «firma autografa sostituita dall'indicazione a mezzo stampa, ai sensi dell'art. 3, comma 2, d.lgs. n. 39/1993», poiché essa può essere eccezionalmente apposta, fin dal 1° luglio 2009, in via sostitutiva solo sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi erariali emessi con sistemi automatizzati dalle Agenzie fiscali (art. 15, comma 7, d.l. n. 78/2009: «La firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzie fiscali e dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall'indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell'adozione dell'atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati»), individuati con provvedimento dei rispettivi Direttori generali (vds. Atto Direttoriale Agenzia Entrate, prot. 2010/4114, del 2 novembre 2010, che non comprende il conferimento di deleghe; Corte cost. n. 117/2000; Cass. n. 4923/2007; Cass. n. 22692/2007 e Cass. n. 13461/2012).

“Possiamo distinguere il documento informatico in quattro categorie: il documento informatico nativo digitale, la copia informatica di documento analogico, la copia informatica di documento informatico ed il duplicato informatico. Il documento informatico c.d. nativo digitale, è un documento la cui “redazione” è avvenuta direttamente in forma digitale, in altre parole si tratta di un documento che non ha un alter ego in versione cartacea (come ad esempio la scansione di un atto processuale cartaceo originale), ma che semplicemente è stato creato, ad esempio, direttamente tramite un programma di elaborazione testi e/o calcoli e/o grafici e/o istogrammi, non sempre esaustivamente trasportabile in cartaceo” (vds. Chindemi e L. V. Labruna,).

Peraltro, Agenzia per l'Italia Digitale. Circ. n. 62 del 30 aprile 2013 par.6.4 — Sottoscrizione a mezzo stampa della copia analogica del documento amministrativo informatico originale conservato presso l'amministrazione così testualmente recita: « ... come previsto dall'articolo 3-bis, commi 4-bis, 4-ter e 4-quater del Codice, (d.lgs. n. 235/2010) l'amministrazione predispone il documento amministrativo informatico originale sottoscritto con firma digitale o firma elettronica avanzata, da conservare nei propri archivi, ed invia al cittadino, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, la copia analogica sottoscritta con firma autografa sostituita a mezzo stampa. La copia analogica riporterà in chiaro la dicitura indicante l'amministrazione che ha prodotto e conserva il documento amministrativo informatico originale. Questa modalità soddisfa le condizioni previste per le copie analogiche su cui è apposto il contrassegno elettronico e in particolare la copia analogica ha lo stesso valore della stampa del documento amministrativo informatico originale sottoscritta con firma autografa e non è possibile richiedere all'amministrazione la produzione di altra copia analogica sottoscritta con firma autografa”. In tal caso, controparte può eccepire l'inesistenza dell'atto (Cass. n. 14195/2000) e chiedere al giudice ogni accertamento volto a verificare la sottoscrizione — del soggetto autorizzato a formare l'atto — sull'originale del documento (Cass. n. 4991/2001 e Cass. n. 13375/2009).

Con l'introduzione della firma digitale e del codice QR per gli accertamenti tributari, il funzionario delegato potrebbe «caricare» l'eventuale delega direttamente nel fascicolo informatico, così da rendere immediatamente disponibile il documento per ogni necessario controllo. È evidente, però, che ove ciò non avvenga (come pare fino ad ora), il contribuente dovrà continuare a eccepire il vizio di delega nel ricorso introduttivo del giudizio (Cass., ord. n. 12960/2017:  la delega non può essere fatta per relationem con riferimento a un soggetto incerto, ben potendo i capi uffici o capo team al momento della delega non essere più tali al momento della sottoscrizione degli atti impositivi (per trasferimento, pensionamento ecc.) e non potendo essere sostituiti da soggetti eventualmente subentranti neanche individuabile al momento del conferimento della delega a ciò non può riconoscersi ultrattività con riferimento a possibili mutamenti di qualifica di soggetti individuati, al momento del conferimento della delega, solo per relationem con riferimento all'incarico ricoperto.

La cosiddetta delega «in bianco», priva del nominativo soggetto delegato, deve quindi essere considerata nulla non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l'atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell'atto.» (Cass. ord. n. 12960/6/2017).

È bene precisare che ove la Corte cost. n. 37/2015 afferma che: «la funzionalità dell'Agenzia non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata», tale passaggio non va frainteso, decontestualizzandolo dal relativo postulato; in vero, la Consulta si è compiutamente così espressa: «In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale... considerando le regole organizzative interne dell'Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all'istituto della delega, anche a funzionari, per l'adozione di atti a competenza dirigenziale», [delega individuale: ad personam e non impersonale: ratione officii (vds. Cass. n. 220/2014; Cass. n. 17044/2013; Cass. n. 18515/2010; Cass. n. 17400/2012, e dopo: Cass. n. 22803/2015; Cass. n. 24492/2015; Cass. n. 25017/2015 e Cass. n. 25280/2015) senza quindi alcuna necessità di previa cooptazione dirigenziale, come invece illegittimamente praticato dall'agenzia] «la funzionalità dell'Agenzia non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata.» Tanto è vero ciò, che successivamente alla censura costituzionale de qua, l'A.E. ha fatto ricorso all'istituto della dirigenza ad interim delle Direzioni Provinciali (conferita a dirigenti legittimi già titolari di altre sedi) coniugato a quello della delega di firma individuale: ad personam, conferita ad ordinari funzionari direttivi e non impersonale: ratione eorum officii. Continua la consulta: «Sicché l'obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall'altro si consente ulteriormente che, nelle more dell'espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso...». In buona sostanza, la Consulta ha autorevolmente evidenziato come per delegare un funzionario direttivo a sottoscrivere validamente un atto, anche se attribuito alla competenza dirigenziale, sarebbe stato pretestuoso ritenere necessario prima «cooptare» costui a dirigente; diverso è il caso di deleghe di firma impersonali: ratione officii, o di funzioni (prevista dall'articolo 17, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001) conferibili solo a chi sia legittimamente preposto a quell'ufficio e quindi, se l'ufficio è di livello dirigenziale, il relativo preposto ne deve esserne il legittimo dirigente pro-tempore (titolare, ad interim, sostituto oppure reggente). La delega de qua, resta distinta dalle attribuzioni di funzioni dirigenziali (come qui ha insistito a rilevare la parte pubblica appellata) attraverso le procedure regolate prima dall'art. 24 del Regolamento e poi dall'art. 8, comma 24, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 26 aprile 2012, n. 44 (disposizioni entrambe cancellate dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato). Di tutto ciò ha doverosamente fatto tesoro il legislatore con la l. 6 agosto 2015, n. 125, di conversione, con modificazioni, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, la quale all'art. 4-bis, comma 2 prescrive che: «In relazione all'esigenza di garantire il buon andamento e la continuità dell'azione amministrativa, i dirigenti delle Agenzie fiscali, per esigenze di funzionalità operativa, possono delegare, previa procedura selettiva, con criteri oggettivi e trasparenti, a funzionari della terza area» Tale ratio legis coincide con la ratio decidendi di Cass. n. 22803/2015. (C.t.r. Lombardia 2711/10/2017).

Sul punto, ex plurimis:

- Cass. n. 17400/2012: «L'avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio finanziario o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e qualora la sottoscrizione non sia quella del capo dell'ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario di nona qualifica funzionale, incombe all'amministrazione finanziaria dimostrare, in caso di contestazione, l'esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell'ufficio» (conforme, Cass. n. 19739/2012).

- Cass. n. 22803/2015, la cui massima ufficiale così testualmente recita: «In base all'art. 42 d.P.R. n. 600/1973 l'avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Tale delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l'adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc.) il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato. E non è sufficiente sia in caso di delega di firma sia in caso di delega di funzione l'indicazione della sola qualifica professionale del destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alle generalità di chi effettivamente rivesta la qualifica richiesta. Sono perciò illegittime le deleghe impersonali, anche «ratione officii» prive di indicazione nominativa del soggetto delegato. E tale illegittimità si riflette sulla nullità dell'atto impositivo.» Tale ratio decidendi coincide con la ratio legis dell'art. 4-bis, d.l. n. 78/2015, convertito con modifiche dalla l. n. 125/2015.

- Cass. n. 24492/2015: «deve ritenersi, in base al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 1 e 3, che gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono nulli tutte le volte che gli avvisi nei quali si concretizzano non risultino sottoscritti dal capo dell'ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva (addetto a detto ufficio) validamente delegato dal reggente di questo.».

- Cass. n. 25017/2015: «Tale delega può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l'adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc.) il termine di validità ed il nominativo del soggetto delegato.» ... «Nel diritto tributario ... ogni nullità discende o da una specifica indicazione della legge, che ha valutato la gravità della violazione, o dalla violazione di un qualche principio fondamentale dell'ordinamento. Dunque è normativamente escluso che la illegittimità sia irrilevante e quindi risulti “palese che il contenuto dispositivo dell'atto non avrebbe potuto essere — diverso da quello in concreto adottato” (...). Del resto, non appare indifferente che un atto complesso come l'accertamento tributario sia emesso da un funzionario privo della necessaria qualifica, e quindi — deve presumersi- della necessaria capacità tecnica.».

- Cass. n. 25280/2015: «sulla base di costante giurisprudenza della suprema Corte, da ultimo Cass. 14942/2013, non soddisfa il requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall'articolo 42, commi 1 e 3, d.P.R. n. 600/1973, la sottoscrizione di un soggetto non validamente ed efficacemente delegato, in quanto il soggetto istituzionalmente competente a sottoscriverli é solo il capo dell'ufficio emittente; l'avviso di accertamento e quindi praticamente nullo».

Rappresentanza processuale dei comuni e degli enti locali.

A seguito dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, approvato con il d.lgs. n. 267/2000, la rappresentanza in giudizio del Comune è riservata, in via esclusiva, al sindaco e non può essere esercitata dal dirigente titolare della direzione di un ufficio o di un servizio, neppure se così prevedesse lo statuto comunale (Cass. n. 10787/2004).

L'autorizzazione al sindaco a stare in giudizio per conto del comune, una volta concessa nella forma prescritta e senza limitazioni, non deve essere rinnovata per sperimentare i rimedi nei gradi superiori, dovendosi intendere conferita fino alla definizione della lite (Cass. n. 5255/2004).

L'autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell'ente pubblico, con la conseguenza che essa, sebbene intervenuta successivamente all'introduzione della causa, è idonea a sanare retroattivamente le irregolarità — non rilevate dal giudice — inficianti la pregressa fase del procedimento (Cass. n. 17584/2003).

Nel vigore dell'ordinamento degli enti locali approvato con d.lgs. n. 267/2000, la norma dello statuto comunale che attribuisce al dirigente la funzione di gestione amministrativa deve ritenersi comprensiva dell'attribuzione al medesimo del potere di determinazione — in luogo della delibera autorizzativa della giunta municipale — in ordine alla opportunità di promuovere o resistere ad una lite, atteso che una tale determinazione non appartiene all'attuazione dell'indirizzo politico-amministrativo generale del comune (spettante al sindaco ed alla giunta), ma alla gestione amministrativa del singolo caso, ed assume il carattere di una proposta e di una valutazione di natura tecnica, la quale viene accolta discrezionalmente dal sindaco, quale capo dell'amministrazione ed esclusivo rappresentante dell'ente locale dinanzi agli organi giudiziari (Cass. n. 19380/2003).

La legittimazione a promuovere giudizi in rappresentanza del Comune compete al sindaco (e, in caso di suo impedimento, al vicesindaco), poiché, ai sensi dell'art. 50, comma 2, del citato d.lgs., soltanto il sindaco rappresenta il Comune, mentre detta legittimazione non spetta ai dirigenti dell'ente locale, né in base all'art. 6, né ai sensi dell'art. 107 del d.lgs. medesimo (Cass. n. 17360/2003).

In tema di contenzioso tributario, le norme che prescrivono l'obbligo di assistenza tecnica in giudizio (art. 30, comma 1, lett. i, l. n. 413/1991; art. 11, comma 3, e 12, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) non rendono illegittima la nomina a difensore, effettuata dall'ente locale, di un professionista esterno iscritto all'albo (Cass. n. 18541/2003).

In tema di contenzioso tributario e con riguardo all'assistenza tecnica degli enti locali, la procura alla lite, rilasciata dal sindaco, è necessaria nel caso di affidamento della difesa ad un professionista esterno, ma non per incaricare di essa uffici interni dell'amministrazione comunale e funzionari dipendenti dal Comune, legati a questo da un organico rapporto di servizio, essendo a tal fine sufficiente una delibera della giunta comunale (Cass. n. 19080/2003).

In base al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con d.lgs. n. 267/2000, e, in particolare, agli artt. 6, 50 e 107 del medesimo, gli statuti ed i regolamenti comunali debbono uniformarsi al principio — vincolante per tale normativa secondaria, ai sensi del citato art. 6 — della riserva sindacale della rappresentanza giudiziale del comune e non possono attribuire ad altri soggetti tale rappresentanza, pena la loro disapplicazione in parte qua ad opera del giudice ordinario, ex art. 5, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ne consegue sia che «i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio», che il menzionato art. 6 consente di disciplinare mediante statuto, non attengono all'individuazione del soggetto legittimato a rappresentare in giudizio l'ente, ma ad aspetti diversi, sia che compete esclusivamente al sindaco, quale capo dell'amministrazione comunale, il potere di conferire al difensore del comune la procura alla lite. Deve, inoltre, escludersi che il sindaco possa derogare a tale riserva di attribuzioni delegando ad altri (segnatamente ai dirigenti) il potere di rappresentanza processuale, atteso che il testo unico citato esige una scissione tra detto potere, spettante esclusivamente al sindaco, e la sfera di attribuzioni dei dirigenti delineata dal citato art. 107 (Cass. n. 19082/2003).

L'autorizzazione della giunta comunale al sindaco a resistere in giudizio, anche se di carattere generale, non perde il collegamento necessario ad assicurare il concreto esercizio del relativo potere discrezionale da parte dell'organo deliberante, qualora la medesima faccia riferimento ad un gruppo di cause omogenee, in quanto riconducibili ad un elemento comune, e tutte singolarmente identificabili per relationem in ragione della menzionata loro avvenuta proposizione (Cass. n. 15858/2001).

Rappresentanza processuale di imprese fallite

Il soggetto che riceva un atto tributario in qualità di legale rappresentante di una società già dichiarata fallita e, successivamente, sia destinatario della notificazione di un atto della riscossione fondato sul primo atto è legittimato all'impugnazione per farne valere l'illegittimità dei relativi presupposti (Cass. 14341/2011).

In caso di proposizione di un giudizio da parte di un soggetto dichiarato fallito, con riferimento a un rapporto patrimoniale astrattamente suscettibile di essere compreso nel fallimento, qualora il curatore abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto in lite, il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è, perciò, opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio (Cass. n. 5202/2003).

La perdita della capacità processuale del fallito a seguito della sentenza dichiarativa del suo fallimento non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto — e, per essa, al curatore — è concesso eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte (come risulta, nella specie) ed il fallito agisce autonomamente, la controparte non è legittimata a sollevare l'eccezione, né il giudice può rilevare d'ufficio l'incapacità (Cass. n. 3418/2001).

Anche in tema di contenzioso tributario va riconosciuta la legittimazione processuale al fallito allorché si configuri una situazione di totale disinteresse da parte della curatela nella tutela dei rapporti a lui facenti capo (Cass. n. 1901/2000).

Capacità processuale società cessate per cancellazione dal registro delle imprese, liquidate e di enti esponenziali portatori di interessi diffusi

Secondo un indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, l'atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese, così come il suo scioglimento, con instaurazione della fase di liquidazione, non determina l'estinzione della società ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con i terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti, la perdita della legittimazione processuale della società e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (Cass. n. 646/2007; Cass. n. 12114/2006; Cass. n. 7972/2000; Cass. n. 3221/1999). Secondo un diverso orientamento della stessa Corte, a seguito della modifica apportata all'art. 2945 c.c., comma 2, dalla d.lgs. n. 6 del 2003, art. 4, entrato in vigore il primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della società anche in presenza di rapporti non definiti ed anche se è intervenuta in epoca anteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina ed ha riguardato una società di persone, con conseguente perdita della capacità processuale della società e passaggio della rappresentanza dagli organi che la rappresentavano prima della cancellazione ai soci (Cass. n. 25192/2008; Cass. n. 193437/2007; Cass. n. 18618/2006). Pertanto, la Cassazione ha richiesto l'intervento delle Sezioni Unite della stessa Corte (Cass. ord. n. 8665/2009). Vds. sul tema, art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014: «ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di cancellazione del registro delle imprese»).

La messa in liquidazione di una società non determina la sua estinzione né fa venir meno la sua rappresentanza in giudizio con la conseguenza che l'intervento del liquidatore e l'eventuale indicazione di un nuovo difensore domiciliatario deve avvenire con atto di costituzione in giudizio, non assumendo rilievo neanche ai fini della notificazione della sentenza la notizia desunta da diverso atto processuale (Cass. n. 6078/2001).

È inammissibile, perché proveniente da soggetto privo della relativa legittimazione, il ricorso alla Commissione provinciale tributaria proposto, nel nome e nell'interesse di una società a responsabilità limitata, da parte di uno dei membri del Consiglio di amministrazione, in forza di delega rilasciata dallo stesso consiglio, qualora si accerti, in linea di fatto, che lo statuto sociale attribuisce solo all'amministratore unico o al presidente del Consiglio di amministrazione il potere di agire in giudizio e non al Consiglio. A norma dell'art. 2381 c.c., infatti, il Consiglio di amministrazione può delegare a un comitato esecutivo o a uno o più dei suoi membri le «proprie» attribuzione e non le attribuzioni di altri organi sociali, quali il presidente (Cass. n. 2488/2005).

Nel processo tributario gli enti esponenziali portatori di interessi diffusi che si proclamino come tutori dell'indefinita massa dei contribuenti o di generiche loro categorie non hanno legittimazione a promuovere o a intervenire nelle singole controversie tributarie, caratterizzate dalla presentazione di ricorsi contro provvedimenti o comportamenti ben precisi incidenti su persone fisiche o giuridiche a loro volta esattamente individuate (Cass. n. 1907/2008).

Bibliografia

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