Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 13 - Assistenza tecnica gratuita 1 .Assistenza tecnica gratuita1. [1. È assicurata innanzi alle commissioni tributarie ai non abbienti l'assistenza tecnica gratuita, secondo le disposizioni del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282 e successive modificazioni e integrazioni. L'attività gratuita di assistenza tecnica è obbliglatoria per tutti i soggetti indicati nell'art. 12, comma 2. 2. È costituita presso ogni commissione tributaria la commissione per l'assistenza tecnica gratuita, composta da un presidente di sezione, che la presiede, da un giudice tributario designato dal presidente della commissione, nonchè da tre iscritti negli albi o elenchi di cui all'art. 12, comma 2, designati al principio di ogni anno a turno da ciascun ordine professionale del capoluogo in cui ha sede la commissione e dalla direzione regionale delle entrate. Per ciascun componente è designato anche un membro supplente. Al presidente e ai componenti non spetta alcun compenso. Esercita le funzioni di segretario un funzionario dell'ufficio di segreteria della commissione tributaria. 3. Le commissioni per l'assistenza tecnica gratuita si pronunziano in unico grado e i giudici tributari che ne fanno parte hanno l'obbligo di astenersi nei processi riguardanti controversie da loro esaminate quali componenti di tali commissioni. 4. La sorveglianza di cui all'art. 4, primo e secondo comma, del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3282, è esercitata dal presidente della commissione tributaria.] 2
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Articolo abrogato dall'articolo 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, a decorrere dal 1° luglio 2002. InquadramentoL'art. 13 in commento – abrogato dall'art. 299 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – conteneva la disciplina, assai sintetica, dell'«assistenza tecnica gratuita» in senso al processo tributario. In un panorama legislativo in cui l'assistenza tecnica gratuita non assurgeva ancora a diritto propriamente conformato, che sarebbe sopravvenuto solo con la legge 29 marzo 2001, n. 134, di modifica alla legge 30 luglio 1990, n. 217, a sua volta recante (per vero ampollosamente) l'istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, esso si dimostrava all'avanguardia, sancendo, al comma 1, da un lato, che «[era] assicurata innanzi alle commissioni tributarie ai non abbienti l'assistenza tecnica gratuita» e, dall'altro, che «l'attività gratuita di assistenza tecnica [era] obbligatoria per tutti i soggetti indicati nell'art. 12, comma 2» (ossia per tutti i soggetti abilitati all'attività difensiva). L'abrogazione dell'art. 13 in commento si confaceva all'esigenza di mantenere l'unità di disciplina per l'intera materia del c.d. gratuito patrocinio, oggi compiutamente enunciata dal d.P.R. n. 115 del 2002, cit., in senso al quale la Parte III, Titolo IV, Capo VIII, è dedicata a dettare «disposizioni particolari per il patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario» (per le linee essenziali della «nuova» regolamentazione, Marcheselli, 189). Ad esser precisi, giusta il non perspicuo art. 137, «sino a quando non sono emanate disposizioni particolari, il patrocinio a spese dello Stato nel processo tributario è disciplinato dalle disposizioni della Parte III, Titoli I e IV, e dalle disposizioni del presente capo»: il significato di tale disposizione è francamente sibillino, sia nell'incipit, che rimanda all'emanazione di disposizioni particolari, sembrerebbe da attendere alle calende greche; sia nella determinazione del contesto disciplinare riferito al processo tributario, atteso che il capo VIII è una sottopartizione del Titolo IV della Parte III. Ad ogni buon conto, nonostante una carente qualità redazionale dell'art. 137, dal punto di vista sistematico, rileva in specie il richiamo del Titolo I, Capo I, che si compone soltanto degli artt. 74 e 75. L'art. 74, comma 2, nello statuire che «è, altresì [rispetto al procedimento penale, di cui al comma 1], assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate», mantiene una parziale continuità linguistica con il passato: parziale perché oggi anche nel processo tributario il patrocinio è assicurato purché ricorra il requisito del fumus boni iuris; nondimeno l'art. 75, in specie comma 1, espressamente estende «l'ammissione al patrocinio» ad «ogni grado» e ad «ogni fase del processo», «per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse», soggiungendo, al comma 2, che «la disciplina del patrocinio si applica, in quanto compatibile, anche nella fase dell'esecuzione, nel processo di revisione, nei processi di revocazione e opposizione di terzo..., sempre che l'interessato debba o possa essere assistito da un difensore o da un consulente tecnico». Peculiarità, anche problematiche, dell'assistenza tecnica gratuita nel processo tributarioAnche sotto la vigenza del d.P.R. n. 115/2002, l'assistenza tecnica gratuita nel processo tributario conserva nondimeno una caratterizzazione tutta propria, dal momento che gli artt. 138 e 139 assegnano la decisione delle istanze di ammissione ad una commissione ad hoc. L'art. 138 riprende il comma 2 dell'abrogato art. 37 d.lgs. n. 546/1992, statuendo che «presso ogni commissione tributaria è costituita una commissione del patrocinio a spese dello Stato composta da un presidente di sezione, che la presiede, da un giudice tributario designato dal presidente della commissione, nonché da tre iscritti negli albi o elenchi di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni, designati al principio di ogni anno a turno da ciascun ordine professionale del capoluogo in cui ha sede la commissione e dalla direzione regionale delle entrate. Per ciascun componente è designato anche un membro supplente. Al presidente e ai componenti non spetta alcun compenso. Esercita le funzioni di segretario un funzionario dell'ufficio di segreteria della commissione tributaria». L'art. 139, comma 2, riprende il comma 3 dell'art. 37, cit., ma solo nella seconda parte, statuendo che «i giudici tributari che fanno parte della commissione hanno l'obbligo di astenersi nei processi riguardanti controversie da loro esaminate quali componenti della commissione»; non riprende anche la prima parte, secondo cui «le commissioni per l'assistenza tecnica gratuita si pronunzia[va]no in unico grado», lasciando per l'effetto ipotizzare che sia cambiato il procedimento innestato dall'istanza di ammissione. L'ipotesi, tuttavia, necessita di verifica. Alla stregua dell'art. 139, comma 1, prima parte, nel processo tributario, la commissione del patrocinio a spese dello Stato tiene luogo ad un tempo del consiglio dell'ordine degli avvocati e del magistrato che nelle altre giurisdizioni diverse da quella penale intervengono, ovviamente con competenze diverse, lungo l'intero corso del procedimento: invero, a norma di detta prima parte, «le funzioni che gli articoli 79, 124, 126, 127 e 136 attribuiscono, anche in modo ripartito, al consiglio dell'ordine degli avvocati e al magistrato sono svolte solo dalla commissione del patrocinio a spese dello Stato»; soggiunge la seconda parte – in verticale contrasto però con quanto stabilisce l'art. 126, comma 3, nelle giurisdizioni non penali – che «l'istanza respinta o dichiarata inammissibile dalla commissione non può essere proposta al magistrato davanti al quale pende il processo o competente a conoscere il merito», all'evidenza perché ciò realizzerebbe in fatto una duplicazione di giudizio viepiù ad opera di un organo sulla deliberazione di un organo collegiale in seno alla quale la componente magistratuale è rappresentata. Proprio il verticale contrasto con l'art. 126, comma 3, cui si è appena accennato, fa propendere per l'inoppugnabilità (a prescindere dalle decisioni di accoglimento) delle decisioni di rigetto o di dichiarazione dell'inammissibilità dell'istanza. Si osserva, infatti, che, «nel processo civile ed amministrativo, in caso di rigetto dell'istanza da parte del consiglio dell'ordine, abbiamo constatato che ci si può rivolgere al giudice della controversia, mentre questa sorta di «doppio binario» o d'impugnativa viene espressamente rifiutato dall'art. 139 t.u., in base al quale le funzioni che gli articoli 79, 124, 126 e 136 attribuiscono, anche in modo ripartito, al consiglio dell'ordine degli avvocati e al magistrato, sono svolte solo dalla Commissione del patrocinio a spese dello Stato» (Pepe, 172). A livello critico, si aggiunge che «talune volte il legislatore non sembra avere alcuna considerazione dell'opera dei giudici ordinari, né alcun rispetto dell'art. 102, comma 2 Cost. nella parte in cui vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali. La scelta di cui all'art. 139 t.u. a me pare infatti assolutamente inaccettabile nella parte in cui esclude in ogni caso che le decisioni assunte da tale speciale commissione possono essere riproposte al giudice. La disposizione normativa sembra non considerare che una simile cosa rende tale commissione giudice speciale, e quindi viola l'art. 102, comma 2 Cost.» (Scarselli, 48). L'inoppugnabilità delle decisioni di rigetto o di dichiarazione dell'inammissibilità dell'istanza men che meno può essere sopperita da un'impugnabilità traversa dinanzi al giudice (non tributario e non ordinario, ma) amministrativo, attesa ha natura non amministrativa di provvedimenti che manifestano una chiara attitudine giurisdizionale. Tale in effetti è l'avviso espresso da Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 4 ottobre 2011, n. 628, che tuttavia acutamente si dà peso di soggiungere: «Sarebbe possibile interrogarsi, in astratto, sulla possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale (prospettata anche dall'appellante) del predetto art. 139 per violazione del parametro di cui al primo comma dell'art. 113 Cost. secondo cui «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.»; sennonché vale in contrario osservare che l'atto impugnato, seppur proveniente da un organo che può essere considerato soggettivamente amministrativo, non è tuttavia espressione di una funzione amministrativa in senso stretto intesa. Difatti, la valutazione circa la possibilità, o meno, di ammettere una parte al beneficio del patrocinio a spese dello Stato postula una delibazione sommaria e anticipata della fondatezza delle pretese che l'interessato intende dedurre in giudizio (siccome chiaramente imposto dall'art. 126, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002, al quale rinvia l'art. 139). In sostanza al Consiglio dell'Ordine degli avvocati o, per il giudizio tributario, alla Commissione sopra indicata, è demandato un sindacato, di tipo prognostico, sul corretto e utile esperimento di un'azione giudiziaria. In tutta evidenza una valutazione del genere è strettamente embricata all'esercizio delle funzioni giurisdizionali, ponendosi rispetto ad esse in rapporto di necessaria strumentalità. Da ciò consegue che, in ossequio ai principi desumibili dagli artt. 24 e 25 Cost., il vaglio della legittimità di tale delibazione non può spettare a una giurisdizione differente da quella naturalmente preposta, secondo i criteri di riparto vigenti, alla tutela della specifica situazione giuridica di volta in volta invocata». Sul tema che si va esponendo si dà notizia che C.t.p. Siracusa I, ord. 28 aprile 2016, esprime l'avviso per cui il provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato costituisce atto impugnabile con ricorso ex art. 99 d.P.R. n. 115 del 2002 da proporre al presidente della C.t.p. dove ha sede la Commissione Patrocinio a Spese dello Stato e detta C.t.p. decide collegialmente con ordinanza non impugnabile (Conigliaro, 3158). Ci si permette di far rilevare che l'art. 99 appartiene al Capo IV del Titolo II della Parte III e che il Titolo II, in tema di procedimento penale, non è richiamato dall'art. 137. Nella giurisprudenza di legittimità, a proposito dell'assistenza tecnica gratuita nel processo tributario, si registra un solo precedente, rappresentato da Cass. V, n. 7842/2015, secondo cui «l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel processo tributario in cui sia parte un fallimento, segue la procedura di cui all'art. 144 — e non quella di cui agli artt. 138 e 139 — del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevalendo le funzioni di vigilanza del giudice delegato rispetto a quelle delle Commissioni del patrocinio a spese dello Stato». L'illegittimità costituzionale dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115Con la sentenza n. 157 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost., dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (t.u. spese di giustizia), nella parte in cui non consente al cittadino di uno Stato non aderente all'UE di presentare, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione sui redditi prodotti all'estero, qualora dimostri – provando di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo correttezza e diligenza – l'impossibilità di produrre la richiesta documentazione, poiché è irragionevole e lesivo dei principi di tutela giudiziale che sia addebitato al medesimo richiedente anche il rischio dell'impossibilità di procurarsi la specifica certificazione richiesta. Con due ordinanze depositate il 14 giugno 2020, identiche nella motivazione, il Tar Piemonte sollevava, in riferimento agli artt. 3, 24, 113 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione sia all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, sia all'art. 3, comma 3, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), nella parte in cui non prevede che, nei casi di impossibile produzione dell'attestazione consolare, i cittadini di Stati non appartenenti all'UE possano produrre forme sostitutive di certificazione, in analogia agli istituti previsti dall'ordinamento nazionale, qualora dimostrino di aver compiuto tutto quanto esigibile secondo l'ordinaria diligenza per ottenere la prevista attestazione consolare. L'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia stabilisce, infatti, che per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'UE correda l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato. Con la pronuncia in parola la Corte ha uguagliato, per il profilo della certificazione dei redditi prodotti all'estero, la disciplina sul patrocinio a spese dello Stato nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario, a quanto richiesto dal principio di autoresponsabilità e a quanto già previsto per il processo penale, non sussistendo, quanto all'aspetto emarginato, ragione alcuna per diversificarli. Il Giudice delle leggi ha ritenuto meritevole di accoglimento la richiesta del rimettente di una pronuncia additiva, che eviti il contrasto con il principio di autoresponsabilità, tramite l'aggiunta di una previsione che già trova riscontro nella disciplina dettata dall'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia, per il processo penale, nonché dall'art. 16 del d.lgs. n. 25 del 2008, per l'impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni sullo status di rifugiato, che al medesimo art. 94 si richiama. Il problema relativo alla documentazione dei redditi prodotti in Paesi non aderenti all'UE non presenta, infatti, a ben vedere, alcuna ragionevole correlazione con la natura dei processi, nei quali si richiede il beneficio del patrocinio a spese dello Stato. In linea, dunque, con le citate disposizioni, la legittimità costituzionale dell'art. 79, comma 2, t.u. spese di giustizia può essere ricostituita, integrando la previsione sull'onere probatorio, con la possibilità per l'istante di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di certificazione relativa ai redditi prodotti all'estero, una volta dimostrata l'impossibilità di presentare la richiesta certificazione. In tal modo, analogamente a quanto previsto per il processo penale e per l'impugnazione in sede giurisdizionale dello status di rifugiato, la disposizione censurata può essere resa conforme alla disciplina generale che concretizza il principio di autoresponsabilità. Per l'effetto, ha rilevato la Corte, tale principio, che implica quale corollario quello secondo cui ad impossibilia nemo tenetur, non solo esclude che si possa far gravare sull'istante il rischio dell'impossibilità di procurarsi la documentazione consolare, ma oltretutto impedisce di pretendere la probatio spesso diabolica del fatto oggettivo costitutivo di un'impossibilità in termini assoluti. Questo sposta la categoria dell'impossibilità verso una accezione relativa, che si desume in controluce rispetto al comportamento esigibile, suscettibile cioè di essere preteso in base alla regola di correttezza, nella misura dell'impegno derivante dal canone di diligenza: l'impossibilità relativa inizia (ed è implicitamente dimostrata) là dove finisce il comportamento esigibile ex fide bona e secondo diligenza. Non a caso, anche nell'interpretazione che dell'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia offre la Corte di cassazione, il cittadino di Paesi non aderenti all'UE non deve provare un'impossibilità in senso assoluto di avvalersi dell'autocertificazione, ma è sufficiente che dimostri un'impossibilità in senso relativo, desumibile in via presuntiva dalla circostanza che il richiedente si sia utilmente e tempestivamente attivato per ottenere le previste certificazioni (Cass. pen., sez. IV, sentenza 26 maggio 2009, n. 21999). La prova dell'impossibilità assoluta viene, infatti, ritenuta di per sé incompatibile con un procedimento teso ad assicurare la difesa al non abbiente (Cass. pen., sez. V, sentenza 22 febbraio 2018, n. 8617). A fronte, dunque, dell'impossibilità di ottemperare all'onere di esibire la documentazione consolare, deve riespandersi, a favore dell'istante, l'opportunità di avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione (Trapuzzano). BibliografiaConigliaro, Gratuito patrocinio: la determinazione del reddito e l'impugnazione del decreto di rigetto, in Il Fisco 2016, 32, 3158; Marcheselli, Contenzioso tributario 2014, Assago, 2017, 189; Pepe, Il patrocinio a spese dello Stato, Padova, 2017, 172; Scarselli, Il nuovo patrocinio nei processi civili ed amministrativi, Padova, 2003, 48, Trapuzzano, Patrocinio a spese dello Stato cittadini extra UE: dichiarazione sostitutiva in mancanza di risposta consolare, in Quot. giur., 22 luglio 2021. |