Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 32 - Deposito di documenti e di memorie 1 2 .1. Le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'art. 24, comma 1. 2. Fino a dieci giorni liberi prima della data di cui al precedente comma ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti. 3. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 80 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. InquadramentoL'art. 32 in commento, da leggersi unitamente all'art. 24, disciplina l'attività esercitabile dalle parti successivamente alla proposizione del ricorso e al deposito delle controdeduzioni sino all'udienza, camerale o pubblica. Nel dettaglio, fino a venti giorni liberi prima della data dell'udienza di trattazione, è consentito alle parti di depositare documenti con apposita nota in originale e in tante copie quante sono le controparti (comma 1); fino a dieci giorni liberi prima, esse possono prendere posizione anche su tali documenti con memorie – che tuttavia possono essere soltanto «illustrative» (in svolgimento, cioè, delle difese in fatto ed in diritto già assunte) – da depositarsi parimenti in originale e in tante copie quanto sono le controparti (comma 2); fino a cinque giorni liberi prima della sola udienza camerale, sono altresì ammesse repliche, purché «brevi», all'evidente scopo di contestare le tesi di sintesi prospettate dalle altre parti (comma 3): la mancanza di una previsione simile anche per l'udienza pubblica si giustifica in ragione della partecipazione necessaria alla stessa; simmetricamente, con riferimento all'udienza camerale, non è (più) prescritto (a differenza che nei commi precedenti) il deposito di copie per le controparti, per l'evidente ragione che non sono abilitate a controrepliche. Perentorietà dei terminiI termini dell'art. 32 in commento sono generalmente considerati perentori, ancorché non dichiarati tali dalla legge, in quanto il fine delle disposizioni cui accedono è quello di realizzare una ferrea procedimentalizzazione del contradditorio per un'ordinata progressione della raccolta degli elementi di valutazioni in vista della trattazione in udienza (per una disamina in chiave critica dell'opinione dominante, Azzoni, 6568). L'eventuale mancata osservanza di alcuno dei termini previsti determina dunque la preclusione all'esercizio della corrispondente facoltà, senza che assuma rilievo, in contrario, la circostanza che le altre parti nulla abbiano eccepito (Santi Di Paola, 665). Con le espressioni «memorie illustrative» (comma 2) e «brevi repliche» (comma 3) il legislatore ha inteso evidenziare come quella successiva agli atti introduttivi sia una fase snella, fatta di mere precisazioni, in cui le parti possono sviluppare motivi e difese già dedotti ma non proporre motivi aggiunti e difese nuove (salva, per il ricorrente, la possibilità di integrare i motivi del ricorso nei ristretti limiti dell'art. 24, comma 2, che così recita: «L'integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito»). Scadenza in data festivaPer i termini liberi previsti dall'art. 32 in commento, così come quelli previsti dall'art. 31, non trovano applicazione i commi 4 e 5 dell'art. 155 c.p.c., diretti a prorogare al primo giorno non festivo sia il termine che scada in un giorno festivo sia il termine che scada nella giornata di sabato. Infatti, i predetti commi 4 e 5 operano con esclusivo riguardo ai termini a decorrenza successiva, non attagliandosi sul piano logico anche a quelli che si computano a ritroso, ossia a quelli che assegnano un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività: invero, opinando diversamente, si produrrebbe l'irragionevole effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio delle esigenze garantite con la previsione del termine medesimo. Tale posizione per così dire “tradizionale” della giurisprudenza – ribadita in plurime occasioni (Cass. II, n. 18345/2015; Cass. II, n. 182/2011; Cass. IV, n. 11163/2008) – si contrappone ad una lettura che invece propende per l'applicabilità della proroga anche ai termini a ritroso, con effetti, tuttavia, ancor più rigidi per la parte onerata del compimento dell'incombente nell'osservanza del termine. Invero – secondo uno sviluppo ancora recentissimamente riproposto – i commi 4 e 5 dell'art. 155 c.p.c. «operano anche con riguardo ai termini che si computano “a ritroso” (come, nella specie, quello previsto dall'art. 380-bis, comma 2, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 69 del 2013), ovvero contraddistinti dall'assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo» (così Cass. VI, n. 21335/2017, che, riprendendo il principio di diritto già enunciato da Cass. III, n. 14767/2014, con riferimento ad una fattispecie in cui la camera di consiglio era fissata per il 3 marzo 2017 ed il termine ex art. 380-bis, comma 2, c.p.c., scadeva di domenica 26 febbraio 2017, ha ritenuto tardivo il deposito delle memorie avvenuto di lunedì 27 febbraio 2017, giacché tale termine doveva intendersi prorogato a ritroso al venerdì 24 febbraio 2017). Deposito ed invio per posti di documentiAi sensi del comma 1 dell'art. 32 in commento, le parti possono depositare in giudizio documenti, ovviamente aggiuntivi rispetto a quelli in ipotesi già depositati con gli atti introduttivi, fino a venti giorni liberi prima della data dell'udienza di trattazione. Già s'è visto che detto termine ha natura perentoria, ma la perentorietà si ferma al grado: conseguentemente, in grado di appello, dove pure l'applicazione del comma 1 che ne occupa viene in linea di conto per effetto del richiamo generalizzante dell'art. 61, sono sempre ammesse nuove produzioni documentali in virtù del comma 2 dell'art. 58, ancorché tardivamente o comunque irritualmente prodotte in primo grado (Tortorelli, 847), purché abbiano luogo entro il solito termine di venti giorni liberi prima della data dell'udienza di trattazione. In effetti – secondo, ad esempio, Cass. V, n. 22018/2020 – «le parti possono presentare in appello nuovi documenti, anche ove gli stessi comportino un ampliamento della materia del contendere e siano preesistenti al giudizio di primo grado, purché ciò avvenga, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio nei confronti delle altre parti, entro il termine di decadenza di cui all'art. 32 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546». (conf. Cass. V, ord., n. 18103/2021; Cass. V, ord., n. 14750/2021). Più ristrettiva, Cass. V, ord., 19368/2021, secondo cui si, il deposito dei documenti nuovi in appello deve avvenire, alternativamente, a pena di decadenza, nel rispetto del principio di difesa e del contraddittorio, o in occasione del deposito di memorie successive e, comunque, sino a venti giorni liberi prima della data di trattazione del ricorso, e ciò al fine di consentire alla controparte di replicare e contestare tempestivamente; tuttavia, l'art. 58, D.Lgs. n. 546 del 1992 non consente in modo automatico la produzione in appello di nuovi documenti, ma, secondo una interpretazione costituzionalmente più orientata, solo di quelli che "non costituiscono una nuova prova" e di quelli che "intendono costituire aggiunta o chiarimento delle prove già offerte”, nei modi e nei termini di cui all'art. 32. E ciò al pari di quanto disposto per le nuove domande e per le nuove eccezioni ex art. 57, D.Lgs. n. 546 del 1992. Sul documento irritualmente prodotto in primo grado (Cass. V, ord., n. 15636/2019), questo: «può essere nuovamente prodotto in appello, nel rispetto delle modalità previste dal d.lgs. n. 546/1992, art. 32, ed in forma analoga nell'art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove lo stesso sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e quest'ultimo sia depositato all'atto della costituzione unitamente a quello di appello, si deve ritenere raggiunta - ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - la finalità di mettere quel documento a disposizione della controparte, così da consentirle l'esercizio del diritto di difesa, onde l'inosservanza del citato art. 32 deve ritenersi sanata». Una questione assai frequente nella prassi riguarda la tardiva costituzione del resistente. La S.C. è ferma nel ritenere che «la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l'applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 546 del 1992» (da ultimo, Cass. V, n. 6734/2015). Altra, più gravosa, questione riguarda la valutazione dell'ammissibilità della spedizione di documenti a mezzo del servizio postale. Essa deve essere risolta in senso negativo, giacché il ricorso al servizio postale è espressamente consentito solo in sede di costituzione in giudizio del ricorrente, a seguito della novella che ha interessato l'art. 22 giusta il d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in attuazione di Corte cost. n. 520 del 2002, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale della previgente versione dello stesso art. 22, nella parte in cui non consentiva per l'appunto il ricorso al servizio postale ai fini della costituzione in giudizio del ricorrente. Orbene, se, prima del d.l. n. 2003 del 2005, avrebbe finanche potuto sostenersi che i principi affermati dalla Corte cost. con riferimento alla costituzione in giudizio del ricorrente, trovassero applicazione altresì con riferimento a qualsiasi attività di deposito di atti e documenti nel corso del giudizio, siffatta opzione ermeneutica è revocata in dubbio proprio dalla constatazione che l'intervento novellistico ha riguardato esclusivamente l'art. 22 (Gulotta). D'altronde il comma 1 dell'art. 32 in commento espressamente richiama il comma 1 dell'art. 24, a termini del quale «i documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti»: talché la fattispecie della produzione documentale si perfeziona 1) con l'unione dei documenti (all'evidenza in formato cartaceo, ma, in progressione di tempo, con l'estensione del PTT, anche in formato digitale), genericamente, agli atti del processo ovvero, specificamente, all'apposita nota sottoscritta, in cui sono elencati, e 2) con il deposito – i.e. con la materiale consegna al funzionario di segreteria – sia dei ridetti atto o nota sia nel contempo degli stessi. Cosi ricostruito lo stato attuale del diritto positivo, pare nondimeno che sussistano i presupposti affinché venga considerata non manifestamente infondata un'eventuale questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il comma 1 dell'art. 31 in commento, nella parte in cui non consente il deposito di documenti, nel termine dallo stesso previsto, mediante spedizione a mezzo del servizio postale: ammessa infatti la possibilità della costituzione in giudizio del ricorrente in tal guisa, la negazione dell'estensione della relativa modalità alla fattispecie di cui si tratta e più in generale al deposito di atti e documenti rappresenta un'ingiustificata vulnerazione – sindacabile alla luce di tutti e tre i parametri di cui agli artt. 3,24 e 111 Cost., di quella stessa esigenza apprezzata dalla Corte cost. per dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 22 sulla base della considerazione che «appare del tutto privo di qualsiasi razionale giustificazione assoggettare nel processo tributario il deposito del ricorso e degli atti relativi ai fini della costituzione delle parti ad una unicità di forma consistente nella presentazione brevi manu»: per vero, da un lato, «il deposito degli atti e del fascicolo di parte ai fini della costituzione in giudizio» deve essere considerato, alla stregua della stessa giurisprudenza di legittimità, «come attività materiale e come formalità meramente esecutiva priva di qualsiasi contenuto volitivo autonomo»; dall'altro lato, «l'esclusione dell'utilizzo del servizio postale al fine del deposito di atti e documenti] non sarebbe, peraltro, in linea con l'ammissibilità di questo per le comunicazioni e le notifiche specie della parte pubblica, quando l'intero sistema dei processi civili, amministrativi e contabili ammette l'uso di mezzi telematici ed informatici proprio per la costituzione in giudizio e la presentazione di atti e documenti» (Corte cost. n. 520/2002). Lo stato attuale del diritto positivo, che non consente la spedizione di documenti a mezzo del servizio postale, a maggior ragione non ne consente la spedizione neppure a mezzo del fax, non a caso non menzionato in alcun luogo del d.lgs. n. 546 del 1992: la qual cosa porta davvero al paradosso, sol che si consideri che il fax è uno strumento – peraltro estremamente affidabile sotto il profilo tecnico – di teletrasmissione negletto nell'ambito del processo tributario per così dire tradizionale, ove la gestione delle formalità rimane al palo del maneggio della carta, laddove, nel microcosmo (almeno per ora) del PPT, è ammesso l'uso di mezzi ben più labili di teletrasmissione. Rapporti con l'art. 32, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600Problemi di coordinamento sorgono tra il comma 1 dell'art. 32 in commento – da leggersi, quanto al giudizio di appello, in uno al comma 1 dell'art. 58 [che, come già visto, fa incondizionatamente «salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti» (Corrado Leda, 1145; Mengali, 99), in deroga al tendenziale divieto di prove nuove (Ferrari-Ruggeri, 817) – ed il comma 4 dell'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a termini del quale, fermo che gli organi accertatori possono sempre chiedere ai contribuenti dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, «le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa». La S.C. suole affermare che l'operatività della preclusione dell'art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 è incondizionata, spiegando effetti, come del resto espressamente enunciato dalla littera legis, sia in sede procedimentale sia in sede giudiziale, giacché, altrimenti, il contribuente avrebbe agio a radicare un giudizio per poter produrre al giudice quanto non prodotto in allora alla P.A. Sicché vale che «l'omessa o intempestiva esibizione da parte del contribuente di dati e documenti in sede amministrativa è sanzionata con la preclusione processuale della loro allegazione e produzione in giudizio, che prevale rispetto all'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e che [– sia consentito di sottolineare –] non può ritenersi sanata ove l'Amministrazione Finanziaria non sollevi la relativa eccezione in sede di udienza di discussione della causa, atteso il carattere perentorio del termine di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973» (Cass. V, n. 22745/2016): la qual cosa equivale a dire pur dinanzi ad un'A.F. poco solerte, comunque la preclusione è comunque rilevabile d'ufficio, viepiù, in ragione del carattere perentorio del relativo termine, in ogni stato e grado del processo. Nella prassi, la situazione in cui più frequentemente matura la preclusione è quella dell'invio da parte dell'A.F. del classico questionario informativo, il quale, tuttavia, secondo il condivisibile insegnamento di Cass. V, n. 10489/2014, «assolve alla funzione di assicurare – giusta i canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni onde evitare l'instaurazione del contenzioso giudiziario» Se tale è la posizione della giurisprudenza «classica», si registrano tuttavia anche temperamenti rispetto al principio. Il primo è più importante concerne il caso in cui il contribuente non disponga dei documenti, per cause indipendenti dalla sua volontà, al momento dell'accertamento, ma ne entri in possesso successivamente, potendo così versarli solo agli atti del giudizio. Afferma la Corte che in tal caso la preclusione dell'art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 cede dinanzi all'allegazione (e quindi altresì alla dimostrazione) da parte del contribuente della causa di forza maggiore successivamente venuta meno. Invero s'è deciso, in tema di accertamento dell'IVA, ma evidentemente con argomentazioni replicabili in tema di accertamento delle imposte sul reddito, che «la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall'Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude, a norma dell'art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l'accertamento induttivo, a condizione che sia, da un lato, non veritiera e, dall'altro, cosciente e volontaria e, cioè, dolosa, diretta ad impedire l'ispezione documentale, mentre, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica, il contribuente può sempre contrastare efficacemente i risultati dell'accertamento induttivo con la produzione in giudizio dei documenti che non era stato in grado di esibire in precedenza per causa a lui non imputabile (forza maggiore, fatto del terzo, caso fortuito)». Il secondo temperamento chiama in causa la richiesta dell'A.F. per far scattare la preclusione soltanto se la stessa è sufficiente precisa. Invero s'è deciso che «la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate giustifica l'esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell'Amministrazione Finanziaria, mentre la sanzione dell'inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all'esibizione da parte dell'Amministrazione purché accompagnato dall'avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica — in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. — per la violazione dell'obbligo di leale collaborazione con il Fisco» (Cass. VI, ord. n. 11765/2014). Par chiaro che, pur quando i cennati temperamenti consentono la tardiva produzione di documenti in giudizio, comunque il contribuente è tenuto all'osservanza del termine di cui al comma 1 dell'art. 32 in commento (destinato a chiudere definitivamente la parentesi istruttoria in grado di appello ex art. 61). Acquisizione d'ufficio di documentiAi sensi dell'art. 7, comma 3, il giudice, ovviamente «ai fini istruttori» e meno ovviamente «nei limiti dei fatti dedotti dalle parti», ha facoltà di acquisire d'ufficio le informazioni ed i documenti necessari per la decisione, con il limite però di non poter sopperire al mancato assolvimento, ad opera della parte, del relativo onere. Proprio da detto limite discende che, come pacifico in giurisprudenza (Cass. V, n. 26195/2018; Cass. V, n. 25769/2014; Cass. V, n. 4617/2008), qualora sia decorso il termine del comma 1 dell'art. 32 in commento, senza che la parte abbia prodotto la documentazione che sarebbe necessaria per la prova delle proprie allegazioni, la sua inerzia non può essere colmata dall'esercizio dell'indicato potere officioso (sul tema, in dottrina, cfr. Ficari, 1070; Genovese, 725; Azzoni, 6815). Se così non fosse, il giudice perderebbe la sua imparzialità, propendendo per le allegazioni – che sono semplici affermazioni – di una sola delle parti, a dispetto di quelle dell'altra parte o delle altre parti. In definitiva, ne uscirebbe compromesso «per sbilanciamento» il principio della domanda, valido anche per il processo tributario, che sorge con la proposizione di un'azione di natura impugnatoria deducente a bersaglio un atto dell'A.F. per vizi formali o sostanziali, a loro volta bisognevoli di specifica articolazione in ricorso (sotto pena di inammissibilità dello stesso) a fronte delle deduzioni rassegnate dall'A.F. nell'atto impugnato (Cass. VI, ord. 13 aprile 2017, n. 9637; Cass. V, n. 15051/2014; Cass. V, n. 23326/2013). L'accenno testé compiuto alle deduzioni dell'A.F. consente di istituire un collegamento tra procedimento e processo, nel senso che il processo, scaturendo dalla reazione del contribuente all'atto dell'A.F., vede quest'ultima, ancorché dopo che il contribuente ha esplicitato le proprie doglianze, nella necessità di riversare nel processo, ai sensi dell'art. 23 in combinato disposto con il comma 1 dell'art. 32 in commento, gli elementi di prova richiamati nell'atto impositivo, potendo dedurre e provare elementi nuovi negli limiti imposti dalla consequenzialità rispetto ai avversi motivi di ricorso (Zingales, Estinzione del processo, effetti della domanda giudiziale e definitività dell'avviso di accertamento tributario, in Riv. dir. proc. 2017, 2, 526). Memorie illustrativeLa memoria illustrativa ha il fine di spiegare i contenuti degli atti introduttivi. Le memorie devono essere depositate almeno dieci giorni liberi prima dell'udienza unitamente alle copie per le altre parti, per consentire a queste ultime di predisporre in un congruo termine le eventuali repliche (anche scritte, ai sensi del comma 3 dell'art. 32 in commento, se l'udienza è camerale). Da ciò consegue che anche nel caso in cui le memorie vengano trasmesse via fax, il momento rilevante, ai fini della determinazione della tempestività o meno della presentazione, non è quello in cui viene effettuato il fax stesso ma quello successivo in cui viene effettuato il deposito delle copie inviate alle altre parti, che devono avere, assieme al giudice, la disponibilità dei famosi dieci giorni liberi (Cass. V, n. 13172/2000). Mediante le memorie illustrative non possono essere proposte domande nuove, ma solo specificate quelle già contenute nel ricorso introduttivo, in ragione della natura impugnatoria del giudizio (Cass. V, ord., n. 1161/2019). Tuttavia, con tale memoria, il ricorrente può allegare la questione relativa ai vizi della notifica dell'atto impositivo, sebbene non dedotta nell'atto introduttivo, ove la stessa costituisca una replica ad un'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, in quanto tale allegazione non determina un'alterazione dell'originaria causa petendi, risolvendosi nell'illustrazione di un'argomentazione a sostegno della sussistenza di uno dei requisiti di ammissibilità del ricorso (Cass. V, ord., n. 8000/2019). Memorie integrative o aggiuntive dei motivi di ricorso Quanto ad eventuali memorie aggiuntive o integrative dei motivi del ricorso, il loro deposito – giusta la disciplina tratteggiata dagli ultimi tre commi dell'art. 24 – è subordinato all'esistenza di documenti «non conosciuti» dal ricorrente o acquisiti per ordine ed estensivamente per iniziativa della commissione. Tranne che per queste ipotesi eccezionali, dunque, nel sistema tributario, vige il principio dell'impossibilità, da parte del contribuente, di integrare i motivi del ricorso sia in primo grado sia, in forza dell'art. 61, in grado di appello. Quando è consentita, l'integrazione dei motivi, debitamente sottoscritta, deve essere proposta con le stesse modalità previste per il ricorso introduttivo perché in effetti è un secondo ricorso pur “agganciato” al primo, di cui segue le sorti: donde la prescrizione dei due adempimenti fondamentali della notifica a tutte le parti in causa, nel termine di 60 giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto notizia del deposito dei documenti prima non conosciuti, e del deposito nella segreteria della commissione, entro 30 giorni dalla notifica, a pena di inammissibilità. Qualora, nel momento in cui la parte ha avuto notizia del deposito, sia già fissata la trattazione della controversia, l'interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in udienza pubblica, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso, l'udienza deve essere rinviata ad altra data per consentire all'interessato l'assolvimento degli adempimenti di legge: ne deriva che il giudice non ha alcun potere discrezionale in merito alla decisione di rinviare o meno la trattazione, dovendo soltanto prendere atto della dichiarazione della parte interessata, a meno che a priori non ritenga carente il requisito in sé della novità dei documenti (evenienza estremamente rara da constatare nella pratica, atteso che la motivazione del mancato rinvio non deve comunque attingere il merito delle questioni già introdotte con il ricorso, dacché, diversamente, le stesse subirebbero un pregiudizio, astrattamente idoneo a fondare un motivo di ricusazione). Le controparti, a loro volta, hanno facoltà di depositare memorie difensive, entro 60 giorni dalla notifica. Rimane ferma, nel giudizio d'appello, l'inammissibilità della deduzione, nelle memorie ex art. 32 in commento, di un nuovo motivo di illegittimità dell'atto impugnato non dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo, i quali descrivono la causa petendi entro i cui confini si radica l'azione di annullamento e la cui formulazione soggiace alla preclusione codificata dall'art. 24, comma 2 (Cass. V, ord., n. 14165/2021;Cass. V, ord., n. 15647/2019; Cass. V, n. 22662/2014). Con riferimento alla perizia stragiudiziale, compresa quella di natura estimativa, essa costituisce un'allegazione difensiva a contenuto tecnico, sicché, nel corso del giudizio di appello, in virtù del combinato disposto degli artt. 58, comma 2, e 32, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, deve essere prodotta con la memoria difensiva depositata nel rispetto del termine di dieci giorni prima della udienza di discussione (Cass. V, ord., n. 33503/2018). Prova testimoniale e dichiarazioni sostitutive rese dai terzi nel processo tributarioNel processo tributario le dichiarazioni rese dai terzi hanno valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti (ZIGRINO). L'inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario non comporta l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi, sia raccolte dall'amministrazione procedente nella fase procedimentale, ma anche contenute in dichiarazioni sostitutive, per quanto alle stesse non debba essere riconosciuto valore probatorio pieno, rappresentando, piuttosto, un indizio, valutabile in relazione agli altri elementi acquisiti. Non viene meno, infatti, in capo al giudice tributario il potere-dovere di valutarne l'attendibilità, comportando il principio della libera valutazione delle prove l'obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali altri elementi acquisiti, per poi impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo (Cass. V, ord., n. 16711/2021). I Giudici di legittimità sul valore delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario si sono espressi in diverse occasioni (Cass. V, ord., n. 26669/2020; Cass. V, ord., n. 24531/2019; Cass. V, ord., n. 32568/2019). Nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio (Cass. VI-5, ord., n. 9316/2020;Cass. V, n. 6946/2015; Cass. V, n. 20032/2011). Peraltro, si è affermato che al contribuente, oltre che all'Amministrazione finanziaria, è riconosciuta - in attuazione del principio del giusto processo di cui all'art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell'attuazione del diritto di difesa - la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari (Cass. V, n. 9903/2020; Cass. VI-5, ord., n. 8606/2015). In forza del principio della libera valutazione delle prove, pertanto, il Giudice tributario ha il potere–dovere di valutare l'attendibilità tali dichiarazioni sostitutive rese dai terzi al fine di effettuare una verifica circa la loro attendibilità e credibilità in base ad elementi oggettivi e soggettivi. (Cass. V, n. 5340/2020, Cass. V, n. 5589/2021). Prova testimoniale e riforma del processo tributarioCon la legge di riforma della giustizia e del processo tributario (L. 31 agosto 2022, n. 130), la prova testimoniale scritta entra nel processo tributario, con effetto dai ricorsi notificati a partire dal 16 settembre 2022. L'art. 4, comma 1, lett. c), della l. n. 130/2022 ha introdotto la possibilità per il giudice tributario di ammettere la prova testimoniale, in forma scritta, in presenza di specifici presupposti. A tal fine, la legge cit. ha sostituito il comma 4 dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, che prima escludeva nel processo tributario l'ammissione della prova testimoniale. L'esclusione della prova testimoniale trovava la sua ragion d'essere nel carattere essenzialmente documentale del processo tributario (cfr. relazione illustrativa al d.d.l. di riforma del processo tributario). Questa esclusione è stata in più occasioni sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che ha sempre ritenuto il divieto di prova testimoniale non lesivo del diritto alla difesa e del principio di parità delle parti (Corte cost., sent. n. 18/2000). In particolare, a parere della Corte, il processo tributario presenta una “spiccata specificità” derivante dalla natura della pretesa fatta valere dall'ente impositore, nonché dalla prevalente forma scritta del rito; peculiarità che dunque giustificherebbe un trattamento differenziato rispetto a quello previsto negli altri processi. Come anticipato, la lett. c) del comma 1 dell'art. 4 della l. di riforma, nel confermare l'inammissibilità del giuramento, consente l'assunzione della testimonianza in sede processuale quando la Corte di giustizia tributaria di primo grado lo ritenga necessario ai fini della decisione anche in mancanza di accordo tra le parti. La prova testimoniale deve essere assunta nelle forme della testimonianza scritta, di cui all'art. 257-bis c.p.c. La disposizione richiamata prevede che il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, possa disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato. Il giudice dispone che la parte che ha richiesto l'assunzione predisponga il modello di testimonianza [v. art. 103-bis disp. att. c.p.c.] e lo faccia notificare al testimone. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione, spedendo poi le risposte in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice. L'art. 257-bis del codice di rito, peraltro, consente al giudice, una volta esaminate le risposte o le dichiarazioni, di disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso la prova è ammessa soltanto su circostanze oggettive diverse da quelle attestate da pubblico ufficiale. BibliografiaAzzoni, Deposito dei documenti e perentorietà dei termini nel processo tributario, in Il fisco, 2005, 42, 6568; Azzoni, Perentorietà dei termini di deposito e poteri istruttori del giudice tributario, in Il fisco, 2004, 40, 6815; Chindemi, Labruna, Ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “COVID-19” che impattano sulla giustizia tributaria, in ilTributario.it, 11 novembre 2020 Chindemi e. LabrunaD.l. 28 ottobre 2020, n°137, c.d. “decreto ristori”; d.p.c.m. 3 novembre 2020 e d. mef 6 novembre 2020, n°44: ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “covid-19” che impattano sulla giustizia tributaria in ilTributarista.it del 10 novembre 2020; Corrado Leda, I limiti sistematici alla facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, in Dir. prat. trib., 2010, 5, 1145; Ferrari-Ruggeri, Una lettura costituzionalmente orientata del divieto di nuove prove in appello, in Riv. giur. trib. 2012, 10, 817; Gulotta, Deposito documenti in Commissione, non fa fede la data di spedizione, in Fisco Oggi, Rivista telematica, 6 dicembre 2011; Mengali, La produzione di nuovi documenti in appello, in Riv. dir. proc., 2008, 1, 99; Santi Di Paola, Contenzioso tributario, Santarcangelo di Romagna, 2009, 665; Simone e Labruna Emergenza epidemiologica da COVID-19 e lo Statuto dei diritti del Contribuente in ilTributarista.it del 20 luglio 2020; Tortorelli, Produzione tardiva di nuovi documenti in appello: facoltà ammissibile anche in caso di inerzia della parte, in Il fisco, 2017, 9, 847. Zigrino, Fatture passive pagate con assegno: deducibili dal momento della consegna del titolo, in Quot. giur., 07 luglio 2021. |