Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 34 - Discussione in pubblica udienza 1 2 .

Andrea Antonio Salemme

Discussione in pubblica udienza12.

1. All'udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti presenti alla discussione.

2. Dell'udienza è redatto processo verbale dal segretario.

3. La commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti. Si applica l'art. 31, comma 2, salvo che il differimento sia disposto in udienza con tutte le parti costituite presenti.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 82 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento

La trattazione della controversia da parte del collegio può avvenire in pubblica udienza ovvero in camera di consiglio.

In assenza di apposita richiesta, la trattazione della controversia avverrà in camera di consiglio e quindi senza la presenza delle parti. Ciascuna delle parti, però, può chiedere la discussione in pubblica udienza. In tal caso, la richiesta potrà essere avanzata già con il ricorso originario ovvero con atto autonomo.

Qualora la trattazione avvenga in pubblica udienza, le modalità saranno le seguenti: il presidente, cui spetta la conduzione dell'udienza, in apertura, darà la parola al relatore, il quale avrà il compito di esporre i fatti e riassumere le posizioni delle parti nonché, in sintesi, le motivazioni a sostegno delle rispettive domande; successivamente, ammetterà le parti, prima il ricorrente e poi il resistente, alla discussione orale; quindi nuovamente consentirà di intervenire al relatore ed agli altri componenti del collegio per eventuali domande o chiarimenti; da ultimo congederà le parti e disporrà il ritiro del collegio in camera di consiglio per la decisione.

Qualora le parti non si presentino all'udienza, non ne discende la sopravvenuta carenza di interesse delle stesse alla trattazione della causa per cui, in loro assenza, non potendosi dar luogo alla discussione, il collegio deciderà sulla base dei documenti e delle difese scritte che siano già state depositate (Pezzuti, Discussione in pubblica udienza, in Baglione-Menchini-Miccinesi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1997, 371).

Questioni di legittimità costituzionale

La disciplina del processo tributario permette di ritenere, in virtù di un'interpretazione costituzionalmente adeguata, che la Commissione tributaria può disporre il rinvio dell'udienza di discussione per consentire l'esame della proposta di conciliazione, sia quando provenga dalle parti, sia qualora sia stata formulata d'ufficio.

Nel corso di un giudizio davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano, avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di rettifica e liquidazione, ai fini dell'imposta di registro, del valore di un ramo di azienda compravenduto, all'udienza pubblica fissata per la trattazione della controversia le parti avevano chiesto un termine per l' esame della proposta di conciliazione fatta d'ufficio, ex art. 48, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. Il Giudice tributario rilevava che, nel caso di proposta di conciliazione che provenisse dall'Ufficio, la norma applicabile (art. 48, comma 4, d.lgs. n. 546/1992) non prevedesse la concessione di un termine e tale carenza, a suo avviso, violasse il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto l'impossibilità di rinviare la trattazione della causa ad altra udienza vanificherebbe qualsiasi tentativo di conciliazione esperito o che potrebbe essere esperito dalla Commissione tributaria. Pertanto, la questione veniva rimessa al vaglio della Corte costituzionale.

La Corte costituzionale, con sentenza del 29 maggio 2013, n. 110, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede né consente che la Commissione tributaria, avendo esperito d'ufficio il tentativo di conciliazione, possa o debba assegnare alle parti un termine per l'esame e per l'eventuale accettazione della proposta, in quanto tale questione risulta viziata da una non compiuta sperimentazione del tentativo di lettura costituzionalmente conforme della norma impugnata atteso che l'art. 34, comma 3, primo periodo, dello stesso decreto legislativo, nel prevedere che all'udienza pubblica "la Commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata, quando la sua difesa tempestiva, scritta o orale, è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti", potrebbe indurre a ritenere che la Commissione, in presenza della seria prospettazione delle parti dell'esigenza di rinvio ad un'altra udienza per esaminare la proposta di conciliazione esperita d'ufficio, possa acconsentire alla richiesta, in linea con le norme del processo ordinario di cognizione che regolano la scansione procedimentale delle udienze, norme alle quali fa rinvio, nel limite della compatibilità, il secondo comma dell'art. 1 del medesimo d.lgs. n. 546/1992, disciplinante il processo tributario.

Costituzione in giudizio direttamente in pubblica udienza

Quanto all'individuazione del termine ultimo per la costituzione della parte resistente in giudizio, nell'ipotesi di trattazione in pubblica udienza, si ritiene possibile, fatte salve le decadenze maturate, che detta parte si costituisca direttamente in udienza (D'Ayala Valva, 690; Genovese, 47).

La tesi esposta trova conforto nel principio, enunciato dall'art. 152, comma 2, c.p.c., secondo cui i termini del processo (civile ordinario e per estensione tributario) hanno carattere ordinatorio, salvo che ne consti espressa dichiarazione di perentorietà. La Corte di Cassazione ne trae la conseguenza per cui nel sistema del contenzioso tributario, delineato dal d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, la costituzione in giudizio dell'Amministrazione deve avvenire entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalle facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio; qualora, però, queste difese non siano concretamente esercitate, nessun'altra conseguenza ne deriva, se non l'impossibilità di esercitarle successivamente, mentre deve escludersi la sanzione dell'inammissibilità della costituzione (Cass. V, n. 7329/2003). Talché parte ricorrente, che non abbia necessità o interesse a coltivare una difesa per così dire attiva, può scegliere di affacciarsi al processo anche sul limitare dell'udienza, nel qual caso accetterà il thema decidendum delineato in ricorso e svolgerà un'attività riconducibile alle c.d. mere difese.

Va da sé che a fortiori la mancata costituzione di parte resistente non impedisce la progressione del giudizio sino alla conclusione, purché, ovviamente, il contraddittorio risulti correttamente instaurato. In ciò si manifesta la differenza con parte ricorrente, la cui costituzione mediante deposito nella segreteria della commissione adita è, giusta l'art. 22 d.lgs. n. 546/1992, un elemento indispensabile, in quanto prescritto a pena di inammissibilità (recte, improcedibilità) del ricorso, per il radicamento del giudizio avanti il terzo suo protagonista, ossia il giudice (tant'è che la declaratoria di inammissibilità-improcedibilità deve essere adottata de plano dal presidente in sede di esame preliminare del ricorso, al fine di evitare un inutile incardinamento della causa sul ruolo delle collegio).

Le conseguenze della mancata costituzione di parte resistente sono gravi, per le esposte ragioni, in primo grado e lo sono altrettanto in grado di appello, in quanto dinanzi alla commissione tributaria regionale essa non potrà presentare domande o formulare eccezioni non proposte in primo grado.

Spiega sin da epoca non più recente la giurisprudenza che è consentito alla parte rimasta contumace in primo grado proporre in grado d'appello mere difese, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, in quanto il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all'art. 57 d.lgs. n. 546/1992 riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto (Cass. V, n. 14020/2007).

Discorso diverso tuttavia deve farsi per le produzioni documentali. Invero par di potersi dire che la parte pur non costituitasi in primo grado può produrre documenti in grado di appello (Cass. V, n. 12008/2011, sostiene, infatti, che, il concetto è ribadito ancora di recente tra le altre da Cass. V, n. 18962/2005, a termini della quale, non dovendo alcun'altra conseguenza sfavorevole derivare al resistente non costituitosi nel termine previsto dall'art. 23 d.lgs. n. 546/1992 al di là della decadenza, espressamente prevista, dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, detto resistente deve vedersi garantito il diritto di pienamente difendersi ex art. 24 Cost., negando i fatti costitutivi della pretesa attrice o contestando l'applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente, anche attraverso la produzione di documenti ai sensi dei successivi artt. 24 e 32, facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell'art. 58 del d.lgs. medesimo).

La richiesta di discussione in pubblica udienza

La richiesta di discussione in pubblica udienza può essere formulata indifferentemente dal contribuente oppure dall'A.F. (Becalli, 4102).

 L'udienza pubblica è una modalità opzionale di trattazione della controversia -ad espressa richiesta di almeno una delle parti costituite- discutendo in un'aula davanti al pubblico liberamente presente (c.d. muto testimone), con l'assistenza del segretario (secondo le disposizioni del codice di procedura civile concernenti il cancelliere, ex art. 9, d.lgs. n. 546/1992 ed art. 35, d.lgs. n. 545/1992), in osservanza del canone di pubblicità, a pena di nullità, ex art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 ed art. 128 c.p.c. Alla nullità dell'udienza per mancanza di pubblicità, consegue anche quella di tutte le attività poste in essere e di tutti i provvedimenti emanati in tale circostanza. ( Chindemi e Labruna ,Trattazione, discussione e deliberazione da remoto ).

Vige il principio di libertà delle forme (Cass. V, n. 5986/2001). Pertanto detta richiesta può essere avanzata, non solo con atto separato, ma anche mediante inserimento nel ricorso introduttivo, che di per sé è notificato, oppure nelle controdeduzioni, che, però, se la contengono, devono essere notificate. Quanto vale per il primo grado vale anche per il grado di appello, rispetto al quale in particolare s'è deciso che la richiesta di discussione in pubblica udienza, ai sensi dell'art. 33 comma 1 d.lgs. n. 546/1992, può essere legittimamente formulata in qualsivoglia atto del processo e, quindi, anche nell'atto di appello incidentale (da ultimo, Cass. V, n. 10678/2009); invero, più in generale, l'art. 33 comma 1 d.lgs. n. 546/1992 si limita ad indicare gli incombenti minimi cui bisogna adempiere per discutere pubblicamente la controversia, onde l'apposita istanza non deve essere intesa come un autonomo atto, ma come esplicita richiesta che può essere perciò contenuta anche nel ricorso introduttivo o nelle controdeduzioni del resistente, che in questo caso deve però notificarle: sicché – e qui sta il punto –ove l'appellante abbia inserito detta istanza nell'atto di appello, il rifiuto di consentire la discussione orale della controversia comporta la nullità di tutti gli atti successivi, ivi compresa la sentenza (Cass. V, n. 10099/2001).

L'atto contenente la richiesta di trattazione in pubblica udienza deve essere depositato in segreteria almeno dieci giorni liberi prima della data di trattazione, per consentire al presidente di disporre la discussione e alle altri parti di esercitare compiutamente il diritto di difesa. A tal proposito, il termine di cui si tratta non può ritenersi lesivo del diritto di difesa, potendo le parti provvedere ad assolvere i relativi oneri sin dal primo scritto difensivo e, comunque, durante tutto il non breve periodo di tempo intercorrente tra la fissazione dell'udienza di trattazione e i 10 giorni liberi prima di tale data (Corte cost. n. 141/1998).

Come testé si accennava, la mancata trattazione della controversia in pubblica udienza, nonostante la richiesta in tal senso di una delle parti, determina, non già una mera irregolarità, bensì più radicalmente la nullità del procedimento e in definitiva della sentenza per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa ex art. art. 24 Cost.: si insegna infatti che il legislatore della riforma del processo tributario ha previsto una tendenziale difesa tecnica ed ha assegnato alla parte il diritto di scegliere la discussione orale, senza lasciare al giudice, in presenza di una valida istanza, alcun potere di concedere o di negare la pubblica udienza. Da ciò deve necessariamente derivare che la conseguenza della violazione è senza dubbio la nullità perché il mancato rispetto della scelta fatta dalla parte costituisce una forma di limitazione non tollerabile del diritto di difesa (Cass. V, n. 5986/2001). La ragion di tanto rigore trovasi illustrata in Corte cost. n. 141/1998, cit., la quale, nel dichiarare infondata, con riferimento agli artt. 24, comma 2, 53, comma 1, e 101, comma 1, Cost., la q.l.c. dell'art. 33, comma 1, in commento, nella parte in cui subordina la trattazione della controversia in pubblica udienza alla istanza di almeno una delle parti, pare osservare come la pubblicità della trattazione dei giudizi appartenga al tessuto costituzionale. Invero – afferma la Corte, l'amministrazione della giustizia trova fondamento nella sovranità popolare in base all'art. 101, comma 1, Cost., sicché deve ritenersi implicita nei principi costituzionali che disciplinano l'esercizio della giurisdizione la regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari, la quale, peraltro, può subire eccezioni in riferimento a determinati procedimenti, quando abbiano obiettiva e razionale giustificazione; quanto al nuovo processo tributario, in cui i due riti, in pubblica udienza e in camera di consiglio, coesistono in rapporto di alternatività, è tuttavia l'ammissibilità del rito camerale [a] non risulta[re] lesiva dell'art. 101, comma 1, sia per la natura documentale del processo tributario (nel quale la pubblicità degli atti e della decisione, mediante il deposito della stessa in segreteria, garantisce sufficientemente le esigenze di conoscenza delle vicende tributarie e di controllo dell'opinione pubblica), sia per l'interesse generale alla rapidità del medesimo. Vien fatto di osservare, però, che, così opinando, contrariamente alla conformazione attuale della trattazione, la pubblica udienza dovrebbe essere la regola e non l'eccezione.

Verbale dell'udienza

Dell'udienza è redatto processo verbale dal segretario.

In mancanza di regole specifiche, trovano ampia applicazione le disposizioni dettate in materia dal codice di procedura civile, secondo cui il cancelliere redige il processo verbale di udienza sotto la direzione del giudice; esso è sottoscritto da chi presiede l'udienza e dal cancelliere e deve contenere l'indicazione delle persone intervenute, delle circostanze di luogo e di tempo nelle quali gli atti che documenta sono compiuti e, quindi, la descrizione delle attività svolte, delle rilevazioni fatte, nonché le dichiarazioni ricevute; non se ne dà lettura, salvo espressa istanza di parte (artt. 126 e 130 c.p.c.).

A mente dell'art. 46 disp. att. c.p.c., i processi verbali e gli altri atti giudiziari debbono essere scritti (e sottoscritti) in carattere chiaro e facilmente leggibile, in continuazione, senza spazi in bianco e senza alterazioni o abrasioni. Le aggiunte, soppressioni o modificazioni eventuali debbono essere fatte in calce all'atto, con nota di richiamo, senza cancellare la parte soppressa o modificata.

La correzione degli errori materiali contenuti nel processo verbale, eseguita con una procedura difforme da quella prevista dall'art. 46 cit., non è causa di alcuna nullità e produce gli stessi effetti della correzione regolarmente eseguita, con la conseguenza che detto processo verbale ha comunque fede privilegiata ed ove si contesti la rispondenza al vero della parte corretta va proposta querela di falso (Cass. III, n. 5542/2012).

Il processo verbale è atto del cancelliere-segretario e, pertanto, la mancata sottoscrizione di esso da parte del presidente non è prevista da alcuna norma come motivo di nullità (Cass. V, n. 15553/2009).

Differimento della discussione

Il comma 3 dell'art. 34 in commento prevede la possibilità di chiedere il differimento della discussione in pubblica udienza. Tale possibilità è però sottoposta a condizioni: la parte interessata al rinvio deve essere stata diligente nel rispetto dei termini per la proposizione delle proprie difese; le produzioni documentali o le deduzioni delle altre parti devono essere talmente imponenti o complesse da aver reso particolarmente difficile la difesa. Quanto a questa seconda condizione, la particolare difficoltà, ovviamente, deve essere oggettiva in relazione alla complessità del thema probandum ed alla natura della controversia (ad esempio, per contrasti giurisprudenziali e nuove normative), senza che possano acquisire rilievo circostanze attinenti le qualità soggettive delle parti (e men che meno dei difensori).

L'istanza di differimento può essere avanzata dalla parte interessata anche oralmente, in specie a seguito delle deduzioni parimenti orali proposte dalle altre parti. Data la genericità della formulazione letterale della disposizione di legge, è da ritenersi che la parte interessata abbia modo e tempo di proporre l'istanza sino all'ultima fase dell'udienza stessa, prima che il presidente disponga il ritiro del collegio in camera di consiglio per la decisione.

Il collegio «può», e dunque non deve per forza, disporre il differimento: il relativo provvedimento – che deve avere la forma ed il contenuto dell'ordinanza (art. 134 c.p.c.) – presuppone l'interlocuzione delle parti non istanti, ha natura discrezionale e deve essere assistito da una pur succinta ma non stereotipa motivazione.

L'eventuale differimento va comunicato, a cura della segreteria, non oltre trenta giorni liberi prima dell'udienza, a norma dell'art. 31. Tale adempimento può essere evitato solo nel caso in cui le parti costitute siano presenti.

Per quanto attiene all'impedimento del difensore, che a cagione di ciò chiede il rinvio dell'udienza, nel processo civile e nel processo tributario, a differenza che nel processo penale, non si dà un principio di assoluta rilevanza dell'impedimento stesso.

La Corte di Cassazione ha sempre affermato (cfr. ad es. Cass. V, n. 22713/2011, e Cass. V, n. 6753/2010) che l'istanza di rinvio dell'udienza di discussione della causa per (grave) impedimento del difensore, ai sensi dell'art. 115 disp. att. c.p.c., deve fare riferimento all'impossibilità di sostituzione, venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all'organizzazione professionale del medesimo, non rilevante ai fini del differimento dell'udienza.

Si ricorda che la Commissione Tributaria Regionale (C.t.r. Lombardia III, 21 febbraio 2005, n. 9) ha, in ogni caso, respinto l'istanza di differimento della discussione per asserita «sindrome influenzale» del difensore del contribuente non corredata da alcun certificato comprovante l'impossibilità del difensore ad intervenire.

Neppure i problemi interni all'amministrazione, come l'autorizzazione da parte degli uffici sovraordinati, non sono opponibili ai contribuenti e, comunque, non costituiscono motivi validi per eventuali differimenti della trattazione (così C.t.p. Milano XLIII, 14 febbraio 2005, n. 26 e C.t.r. Lombardia I, r.g.a. n°2264/2019 decreto presidenziale del 20 settembre 2020, allegato al verbale d’udienza).

Consulenza tecnica d’ufficio: le eccezioni e le contestazioni alla consulenza

Anche nel processo tributario è prevista la possibilità per le Commissioni tributarie di avvalersi della consulenza tecnica d'ufficio. Come noto, infatti, l'art. 7 d.lgs. n. 546/1992, rubricato “Poteri delle Commissioni tributarie”, al comma 2, espressamente prevede: “Le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla legge 8 luglio 1980, n. 319 e successive modificazioni e integrazioni.”. Pertanto, la consulenza tecnica rappresenta una mera eventualità processuale, giacché normalmente il processo tributario si presenta come processo scritto, a prevalente prova documentale laddove il giudice tributario se ritiene che ai fini della decisione sia necessaria, per risolvere fattispecie sottoposte al suo esame, una competenza estranea al proprio sapere giuridico, può acquisire gli elementi conoscitivi di particolare complessità mancanti, ricorrendo (anche) al consulente tecnico. Il medesimo potere è previsto nella fase di appello. Infatti, il giudice tributario, può disporre, anche in appello una consulenza tecnica d'Ufficio. Il processo tributario, anche se si fonda sull'impugnazione di un atto, ha ad oggetto il rapporto sostanziale controverso, sicché il giudice dispone, ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, di ampi poteri istruttori, e può, in sede di decisione, sostituire la propria valutazione a quella dell'ufficio (Cass. V, Ord., n. 27496/2020).

La consulenza tecnica d'ufficio non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Quest'ultimo può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.

Anche nel processo tributario, in forza del rinvio generale al c.p.c. contenuto nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, le eccezioni e le contestazioni alla consulenza disposta dal giudice d'ufficio debbono essere formulate, al più tardi, entro l'udienza pubblica di discussione innanzi al collegio, ex art. 34 del d.lgs. n. 546/1992, nel contraddittorio tra tutte le parti; resta escluso, poi, che eccezioni, rilievi ed osservazioni nei confronti dell'elaborato peritale, in relazione alle quali la parte sia incorsa in decadenza per non averle tempestivamente articolate nel corso del giudizio innanzi alla CTP, possano essere formulate come motivi di gravame, avverso la decisione che si fondi sulle risultanze dell'esperita c.t.u. (Cass. V, ord., n. 15522/2020).

Seppur con riferimento al processo civile, si segnala, che con ordinanza del 29 gennaio 2020, n. 1990 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per la eventuale risoluzione, da parte delle Sezioni Unite, della questione riguardante l'ammissibilità della contestazione degli esiti della consulenza tecnica di ufficio espletata in corso di giudizio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.

Secondo un primo orientamento della Corte, formatosi nell'ambito dei procedimenti civili, le contestazioni difensive della consulenza tecnica d'ufficio costituiscono sempre eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché esse sono soggette al termine di preclusione di cui all'art. 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, dedursi - a pena di decadenza - nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (Cass. I, ord., n. 19427/2017; Cass. III, n. 4448/2014). Si è pure evidenziato che le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d'ufficio, non potrebbero essere formulate per la prima volta negli scritti difensivi finali, anche perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale (Cass. I, n. 3330/2016; Cass. VI-1, ord., n. 20636/2013; Cass. II, n. 7335/2013; Cass. II, n. 9517/2002).

Altro più liberale filone giurisprudenziale, invece, afferma che i rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, che possono essere svolte anche nella comparsa conclusionale, sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, e purché il breve termine a disposizione per la memoria di replica, non si traduca, con valutazione da effettuarsi caso per caso, in un'effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa (Cass. III, n. 20829/2018; Cass. I, n. 15418/2016; Cass. III, n. 2809/2000).

La Corte, considerando il tema “di particolare importanza”, ha dunque ritenuto di rimettere alla attenzione delle Sezioni Unite le seguenti questioni:

·  se le critiche alla consulenza tecnica possano essere sollevate per la prima volta in sede di comparsa conclusionale e

·  in caso positivo, se l'ammissibilità dei rilievi vada effettuata caso per caso dal giudice di merito, se tale ipotesi valga solo per i processi per cui non si applicano i novellati artt. 191 e 195 cpc ovvero anche per questi ultimi e se tale valutazione possa condurre a statuizioni in merito alla condotta processuale della parte o

·  in caso negativo, se l'inammissibilità vada ricondotta all'applicazione dell'art. 157 comma 2 cpc alla generalità dei vizi attinenti la consulenza o quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla sua formazione, anche in questo caso stabilendo se ciò valga solo per i procedimenti instaurati dopo la introduzione dei novellati artt. 191 e 195 c.p.c. e, infine, se l'inammissibilità in primo grado comporti l'inammissibilità della riproposizione in appello dei rilievi critici formulati nella comparsa conclusionale.

Bibliografia

Becalli, La richiesta di discussione in pubblica udienza, in Il Fisco 2009, 25, 4102; Chindemi, Labruna, Ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “COVID-19” che impattano sulla giustizia tributaria, in ilTributario.it, 11 novembre 2020 Chindemi e Labruna, Decisione nel processo tributario: dalla deliberazione in segreto in camera di consiglio alla pubblicazione nella sentenza,  in ilTributario.it , 3 gennaio 2019; Chindemi e Labruna, Trattazione, discussione e deliberazione da remoto dopo l'emanazione del Decreto "rilancio" ,  in ilTributario.it  28 maggio 2020; Chindemi e. Labruna, D.l. 28 ottobre 2020, n°137, c.d. “decreto ristori”; d.p.c.m. 3 novembre 2020 e d. mef 6 novembre 2020, n°44: ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “covid-19” che impattano sulla giustizia tributaria, in ilTributario.it del 10 novembre 2020; D'Ayala Valva, La costituzione in giudizio della parte resistente ed il diritto al contraddittorio nel processo tributario, in Riv. dir. trib. 2005, 12, 690; Ficarelli, Costituzione del resistente nel processo tributario ed effetti dell'omesso invio dell'avviso bonario, in Giust. trib. 2001, 5, 441; Genovese, Parte resistente - Costituzione in giudizio - Termine - Decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni - Ulteriori conseguenze sfavorevoli – Esclusione, in Dir. e giust. 2005, 44, 47; Simone e Labruna, Emergenza epidemiologica da COVID-19 e lo Statuto dei diritti del Contribuente, in ilTributario.it   20 luglio 2020; 

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