Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 40 - Interruzione del processo 1 2 .

Annamaria Fasano
aggiornato da Stefano Didoni

Interruzione del processo12.

1. Il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica:

a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall'ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza;

b) la morte, la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati ai sensi dell'art. 12.

2. L'interruzione si ha al momento dell'evento se la parte sta in giudizio personalmente e nei casi di cui al comma 1, lettera b). In ogni altro caso l'interruzione si ha al momento in cui l'evento è dichiarato o in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l'evento si riferisce 3.

3. Se uno degli eventi di cui al comma 1 si avvera dopo l'ultimo giorno per il deposito di memorie in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio o dopo la chiusura della discussione in pubblica udienza, esso non produce effetto a meno che non sia pronunciata sentenza e il processo prosegua davanti al giudice adito.

4. Se uno degli eventi di cui al comma 1, lettera a), si verifica durante il termine per la proposizione del ricorso il termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell'evento. Si applica anche a questi termini la sospensione prevista dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 89 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Così rettificato con Comunicato 27 marzo 1993 (in Gazz. Uff. 27 marzo, n. 72)

Inquadramento.

L'interruzione, al pari della sospensione e dell'estinzione, è generalmente qualificata quale vicenda anomala o anormale del processo e consistente nell'arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento (Mandrioli, 2015, I, 357). L'istituto dell'interruzione è stato introdotto nel processo tributario dalla riforma attuata con d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546 in attuazione della delega governativa di cui alla legge 30 dicembre 1991, n. 413, che nell'art. 30 ha sancito le norme fondamentali per la revisione della disciplina e del contenzioso tributario. Proprio tale norma ha previsto, tra l'altro, un adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile e, in particolare, l'introduzione nel giudizio tributario della disciplina della sospensione, dell'interruzione e dell'estinzione del processo. Si precisa, altresì, che il legislatore delegato ha fatto salve le peculiarità del processo tributario: invero, l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992 dispone che il giudice tributario applichi le norme ivi contenute e, soltanto in presenza di lacune di disciplina e nei limiti della compatibilità, le disposizioni del codice di procedura civile.

Fondamento dell'istituto in esame è quello di garantire l'effettività del contraddittorio tra le parti del giudizio e l'inviolabilità del diritto di difesa, sicché il giudizio si interrompe quando la parte, il suo legale rappresentante o il suo difensore sono colpiti da eventi tali da compromettere l'attiva partecipazione allo svolgimento della dialettica processuale. Tali possono essere la morte o la sopravvenuta incapacità della parte, del suo rappresentante legale o del suo difensore (Russo, 2005). La funzione dell'istituto dell'interruzione è dunque quella di evitare che la cessazione o l'alterazione dell'effettività del contraddittorio, conseguente ad uno degli eventi suindicati, ostacoli l'effettiva e concreta possibilità di una delle parti di agire nel processo a proprio favore e di svolgere attività difensiva: quella possibilità concreta che deve spettare a ciascuna delle parti in attuazione del postulato della posizione di uguaglianza formale delle parti stesse, che sta alla base del principio del contraddittorio e che si riconduce al diritto costituzionale alla difesa. Al fine di evitare tale turbamento dell'uguaglianza delle possibilità difensive delle parti in danno della parte che subisce l'evento (o dei suoi successori), la legge, attraverso l'istituto in esame, blocca il processo, congelandolo in una totale stasi destinata a perdurare fino a quando, su iniziativa dell'una o dell'altra parte non sia ristabilita l'effettività del contraddittorio (Mandrioli, II, 227).

Anche nel nuovo processo tributario, essendo l'istituto della interruzione del processo regolato secondo le linee del codice di rito civile, è applicabile il principio, formatosi sulla disciplina corrispondente per il processo civile ordinario, secondo cui le norme che disciplinano l'interruzione del processo sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento con la conseguenza che difetta di interesse l'altra parte a dolersi della irrituale continuazione del processo (Cass. n. 7007/2001; Cass. n. 7216/2001; Cass. n. 14644/2007), neppure nel caso in cui si tratti di un litisconsorte necessario.

Ne consegue che essendo le norme che disciplinano l'interruzione del processo preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l'unica legittimata a dolersi dell'irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva, la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, né essere eccepita dall'altra parte come motivo di nullità (Cass. n. 17199/2016; Cass. n. 24025/2009).

Eventi interruttivi.

Gli eventi che danno luogo all'interruzione del processo o eventi interruttivi sono indicati in via tassativa dall'art. 40 del d.lgs. 546/1992 e ricalcano la casistica già contenuta negli artt. 299 e 300 del codice di procedura civile (Galluzzi, 421).

Più in particolare, il processo è interrotto se dopo la proposizione del ricorso si verifica; a) la morte di una delle parti o altre cause equiparate ad essa; b) la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti (diversa dall'Ufficio fiscale); c) la morte o la perdita della capacità di stare in giudizio del rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza; d) la morte, la radiazione o sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati ai sensi dell'art. 12.

La mancata previsione di eventi interruttivi riferibili all'ufficio tributario si spiega con la circostanza che nei suoi confronti non sono ipotizzabili fatti menomativi della capacità processuale.

Tuttavia, l'argomento non viene ritenuto esauriente, data la possibilità del fenomeno giuridico della fusione tra Comuni prevista e disciplinata dall'art. 15 del d.lgs. n. 267/2000 (Ferro, 383).

Per espressa previsione della norma in commento, non sono motivi atti a giustificare l'interruzione del processo i fatti che riguardano l'ufficio tributario costituito in giudizio. Ebbene, rifacendosi al dato normativo, la Cassazione, anche recentemente, ha affermato che qualunque mutamento intervenga nell'assetto organizzativo e nelle attribuzioni funzionali degli uffici finanziari, non produce effetti sulla prosecuzione dell'iter processuale (Cass. n. 3553/2010; Cass. n. 20085/2009; Cass. n. 2740/2009).

Eventi interruttivi a carico della parte/persona fisica

L'art. 40, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 546/1992 prende in considerazione gli eventi interruttivi riferibili alla parte con riguardo alla quale occorre distinguere tra persone fisiche e persone giuridiche (La Rocca, 1229).

Con riferimento alle persone fisiche, il primo evento interruttivo che viene preso in considerazione è la morte della parte/persona fisica, alla quale sono equiparati la morte presunta e la scomparsa, le quali possono essere considerate come «altre cause» che danno luogo al venire meno della parte.

Quanto alla dichiarazione di morte presunta, occorre sottolineare che la stessa si perfeziona come evento interruttivo nel momento in cui diviene eseguibile, ai sensi dell'art. 730 c.p.c., la relativa sentenza, passata in giudicato ed annotata ai sensi dell'art. 729 c.p.c.

La scomparsa, invece, è figura di elaborazione dottrinale, e, trova il suo fondamento nell'art. 48 c.c. che legittima il giudice ad intervenire per adottare dei provvedimenti conservativi del patrimonio ed evitare una paralisi dell'attività di coloro che potrebbero vantare diritti o legittime aspettative nei confronti dello scomparso (LoconteSellitto, 224).

Inoltre, l'interruzione del processo può aversi anche a causa della perdita della capacità di stare in giudizio della parte conseguente all'interdizione e all'inabilitazione. Al riguardo, occorre sottolineare che l'interdizione e l'inabilitazione rilevano come eventi interruttivi dal momento in cui viene pubblicata la sentenza che esplicita il mutamento di status (Ferro, 383).

Ai sensi dell'art. 40 del d.lgs. 546/1992, inoltre, comportano l'interruzione del processo anche la morte e la perdita della capacità processuale del legale rappresentante della parte (quali il tutore dell'interdetto o il curatore dell'inabilitato) ovvero la cessazione di tale rappresentanza che si verifica se la parte raggiunge la maggiore età o riacquista la capacità processuale (ad esempio, per revoca dell'interdizione). Non hanno invece conseguenze sull'ordinaria prosecuzione dell'attività processuale le vicende che riguardano il rappresentante volontario. Ne consegue che la morte o la perdita di capacità del rappresentante volontario, pur estinguendo il mandato, non è causa di interruzione del processo che prosegue nei confronti del rappresentato, salvo però vedere se occorre la costituzione del già rappresentato o del nuovo rappresentante.

Va preliminarmente rilevata l'ininfluenza della sopravvenuta morte del ricorrente in pendenza del giudizio di cassazione. Costituisce indirizzo costantemente espresso dalla giurisprudenza della Corte (tra le molte, cfr. Cass. n. 7441/2011; Cass. n. 21836/2010; Cass. n. 4233/2007) l'irrilevanza, avuto riguardo alla natura del giudizio di legittimità, della morte sopravvenuta della parte in pendenza del relativo processo. Non può trovare applicazione l'art. 40, richiamato dal ricorrente quale norma speciale applicabile al processo tributario, essendo unica la disciplina del giudizio di cassazione ove anche abbia ad oggetto controversie di natura tributaria (cfr. in tal senso, da ultimo, Cass. n. 23273/2013), resa in relazione alla diversa problematica inerente l'ambito della riforma del sistema delle impugnazioni). L'art. 40, comma 1, lett. a) con riferimento all'ipotesi della parte costituita a mezzo di difensore, è norma modellata sull'analoga previsione dell'art. 300 c.p.c. comma 1 che ha la sua ragion d'essere con riferimento appunto al processo di merito, e come tale, quindi, non riferibile al processo di cassazione (Cass. n. 7074/2014). Peraltro, sempre con riferimento al giudizio di cassazione, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, la morte dell'intimato non produce l'interruzione del processo neppure se intervenuta prima della notifica del ricorso presso il difensore costituito nel giudizio di merito, dalla cui relata non emerga il decesso del patrocinato (Cass. n. 24635/2015). Più di recente la Cassazione ha affermato che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l'istituto dell'interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del contraddittorio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l'ingresso nel processo (Cass. n. 1757/2016; Cass. n. 24635/2015).

In caso di interruzione del processo per morte di una delle parti, l'erede può ottenere la condanna della controparte, rimasta soccombente, al rimborso delle spese del giudizio relative all'attività processuale svolta dal difensore del defunto fino all'interruzione solo se si sia ritualmente costituito nel processo a seguito della riassunzione operata nei suoi confronti (Cass. n. 14532/2016).

Eventi interruttivi a carico della parte persona giuridica

Ai medesimi fini, alla morte della persona fisica è equiparata l'estinzione della persona giuridica. L'individuazione del momento di perfezionamento dell'estinzione della persona giuridica ha rappresentato per lungo tempo argomento fortemente dibattuto in dottrina e giurisprudenza. La questione è stata risolta con la riformulazione dell'art. 2495 c.c. ad opera del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6. Più in particolare, il legislatore volendo intervenire sull'annoso contrasto ha dettato una norma che correla alla cancellazione della società dal registro delle imprese l'effetto costitutivo dell'estinzione irreversibile della stessa, anche in costanza di presenza di rapporti giuridici non ancora definiti. Ne consegue che la società rimane in vita fino a che non si sia proceduto alla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese (Gobbi, 493).

Pertanto, non comportano l'interruzione eventi quali la morte o la sostituzione (per cessazione) del legale rappresentante della persona giuridica; del pari, ai fini dell'interruzione del processo tributario non rileva la mera trasformazione della società, la sua messa in liquidazione, o il mero cambiamento della ragione sociale o della denominazione sociale, non incidendo, tali fattispecie, sull'identità sostanziale e, dunque, sulla continuità dei rapporti giuridici riferibili alla persona giuridica.

Più in particolare, non costituiscono eventi interruttivi del processo le trasformazioni delle società in quanto la relativa delibera non dà luogo alla creazione di una nuova società ma semplicemente alla sua modificazione rimanendo la società sempre la medesima, ancorché differentemente organizzata (Galluzzi, 426).

Peraltro, per la trasformazione della società l'esclusione di ogni effetto interruttivo trova conferma nell'art. 2498 c.c. (aggiunto dall'art. 6 comma 1 d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6), sulla «continuità dei rapporti giuridici», il quale stabilisce che «con la trasformazione l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione» (Marcheselli, 1223).

Secondo autorevole dottrina la fusione delle società non può costituire causa di interruzione del processo (Galluzzi, 425). Ciò in quanto il negozio di fusione costituisce unificazione di due o più società in un unico soggetto mediante compenetrazione dei relativi patrimoni; tale evento si attua senza scioglimento delle società partecipanti e con conseguente continuazione del rapporto giuridico di società.

Secondo tale dottrina, non può essere considerata causa di interruzione del processo neppure la scissione, in quanto il risultato della scissione di un unico soggetto in due o più società sarebbe ottenuto senza scioglimento del contratto della società scindente.

La fusione e la scissione, secondo tale linea interpretativa, costituirebbero dunque semplice modificazione del regolamento negoziale per mezzo del quale più soggetti subentrano e si sostituiscono ad un unico soggetto (scissione) o un unico soggetto subentra e si sostituisce a più soggetti (fusione). Tale modificazione non importa il venire meno dell'identità del contratto di società, bensì la sostituzione della vecchia struttura organizzativa dell'ente con una nuova struttura: centralizzata e unificata nella fusione; decentrata e articolata nella scissione.

Con riferimento agli eventi interruttivi riferiti alla parte/persona giuridica, la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio. Qualora l'estinzione intervenga (come nel caso di specie) nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dall'art. 299 c.p.c. e segg., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci (quali litisconsorti necessari) successori della società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c. (Cass. n. 4626/2014). In tema di contenzioso tributario, qualora l'estinzione della società contribuente (nella specie, società di capitali) intervenga in pendenza di un giudizio, il giudice, a fronte del venir meno della capacità della società di stare in giudizio, deve disporre l'interruzione del processo a norma degli artt. 299 e ss c.p.c., onde consentire alla parte pubblica, che ne abbia interesse, di riassumerlo nei confronti dei soci subentrati alla società estinta ai sensi del combinato disposto degli artt. 2495 c.c. e 110 c.p.c., non potendo escludere la possibilità del fenomeno successorio in base al solo esame del bilancio di liquidazione (Cass. ord. n. 20358/2015).

In tema di giudizio di legittimità, è inammissibile il controricorso proposto da una società, originaria parte attrice, ormai cancellata dal registro delle imprese atteso che, da un lato, l'estinzione, intervenuta in pendenza di giudizio, determina la perdita della capacità processuale, l'interruzione del processo ex art. 299 ss. c.p.c. e la successione dei soci ai sensi dell'art. 110 c.p.c., e, dall'altro, la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, pur consentendo la notifica del ricorso della controparte presso il difensore in appello della società estinta, non vale per la proposizione del ricorso per cassazione, che esige la procura speciale e deve, quindi, essere effettuata dai soci (Cass. n. 15177/2016).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la fusione di società per incorporazione determina automaticamente l'estinzione della società assoggettata a fusione ed il subingresso della società incorporante nei rapporti ad essa relativi e provoca l'interruzione del processo se ed in quanto il procuratore costituito per la società incorporata ne abbia fatto dichiarazione: pertanto, non può invocarsi la presunzione di conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive l'iscrizione (art. 2193 c.c.), perché tale principio non opera in campo processuale (Cass. n. 6949/2001; Cass. n. 2656/2015).

Sempre con riguardo alla fusione della società mediante incorporazione, è stato affermato che la stessa, oltre a determinare automaticamente l'estinzione della società assoggettata a fusione ed il subingresso della società incorporante nei rapporti ad essa relativi, crea una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale mortis causa, che, agli effetti processuali, trova la propria disciplina nell'art. 300 c.p.c., e provoca l'interruzione del processo ove il procuratore della società incorporata abbia fatto la prescritta comunicazione dell'evento realizzatosi nel corso del giudizio, dalla quale decorre il termine semestrale per la riassunzione del processo. Tale principio deve ritenersi tuttora in vigore pur a seguito delle sentenze della Corte cost. n. 139/1967 e Corte cost. n. 159/1971, concernenti, come ribadito dalla stessa Corte con le successive pronunce n. 136 del 1992 e n. 18 del 1999, esclusivamente le ipotesi di morte, radiazione, o sospensione dall'Albo del procuratore (sent. n. 139 del 1967), e di morte della parte, ovvero di capacità della stessa verificatasi prima della costituzione in giudizio, (sent. n. 159 del 1971), le ipotesi, cioè, in cui l'interruzione del processo interviene automaticamente all'atto della realizzazione dell'evento impeditivo e non, invece, le ipotesi di morte, o perdita della capacità di una delle parti verificatasi dopo che quest'ultima si sia costituita in giudizio in cui l'interruzione non è automatica, ma interviene solo se il procuratore abbia comunicato l'evento, senza che un siffatto sistema differenziato si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. n. 6298/1999; Cass.S.U., n. 7443/2008; Cass. n. 773/2013).

E' stato recentemente precisato che in tema di riscossione dei tributi, la successione "a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali" di Agenzia delle Entrate – Riscossione alle società del gruppo Equitalia, prevista dall'art. 1, comma 3, del d.l. n. 193 del 2016, conv. dalla l. n. 225 del 2016, pur costituendo una fattispecie estintiva riconducibile al subentro "in universum ius", riguarda il trasferimento tra enti pubblici, senza soluzione di continuità, del ‘munus pubblicum' riferito all'attività di riscossione, con la conseguenza che il fenomeno non comporta la necessità d'interruzione del processo in relazione a quanto disposto dagli artt. 299 e 300 c.p.c. (Cass. S.U. n. 15911/2021). L'estinzione "ope legis" delle società del gruppo Equitalia  non determina quindi l'estinzione del processo, trattandosi di una forma di successione nel diritto controverso, né la necessità di costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Entrate – Riscossione.

Una volta dichiarata l'incorporazione dal difensore della società incorporata, la costituzione in giudizio della società incorporante evita l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 300 c.p.c.; a tal fine il giudice ha il potere-dovere di verificare la qualità di successore universale della parte intervenuta e questa deve darne dimostrazione, in assenza della quale il processo è dichiarato interrotto; la medesima verifica può essere chiesta dalla parte, che abbia interesse all'estinzione del giudizio, proponendo la relativa eccezione una volta decorso il termine per la riassunzione; qualora detta verifica non sia stata compiuta, né d'ufficio né a richiesta di parte, nel giudizio concluso con la sentenza impugnata, questa non è viziata per violazione di una norma sul procedimento, perché la dichiarazione della parte, verificabile e non contestata, tiene luogo della dimostrazione non richiesta dall'altra parte o dal giudice (Cass. n. 10595/2001; Cass. n. 22877/2004; Cass. n. 11532/2008; Cass. n. 4740/2011; Cass. n. 18128/2013; Cass. n. 5637/2014).

In tema di impugnazioni civili, nel caso di società che, successivamente alla chiusura della discussione (nella fattispecie, nel periodo compreso tra la pronuncia ed il deposito della sentenza di primo grado), si sia estinta per incorporazione, l'impugnazione è validamente notificata al procuratore costituito della società incorporata, qualora, in applicazione analogica dell'art. 300 c.p.c., l'impugnante non abbia avuto notizia dell'evento modificatore della capacità della persona giuri- dica, mediante notificazione di esso, senza che, in contrario, possa invocarsi la presunzione di conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive l'iscrizione, ai sensi dell'art. 2193 c.c., non operando tale previsione nel campo del pro- cesso. L'anzidetto principio è valido anche nel processo tributario, sia perché l'art. 40, regola l'interruzione del pro- cesso per il venir meno o per la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti (diversa dall'ufficio tributario) in modo non contrastante con la disciplina del processo ordinario, sia in virtù del rinvio operato dagli artt. 1 e 49 del medesimo d.lgs., per quanto in esso non disposto, alle norme del codice di procedura civile (Cass. V, n. 8908/2004; Cass. III, n. 6948/2007).

Anche secondo i più recenti orientamenti della giurisprudenza (Cass. S.U., n. 2637/2006 e Cass. I, n. 10653/2010), in seguito alle novità introdotte con la riforma del diritto societario, la fusione tra società, prevista dagli artt. 2501 ss. c.c. non comporta l'interruzione del processo di cui sia parte una delle società partecipanti alla fusione stessa.

Al contrario, concordemente a quanto affermato dalla dottrina prevalente, non costituiscono eventi interruttivi del processo le trasformazioni delle società (Cass. I, n. 11180/1997). La trasformazione di una società di capitali in una società di persone non si traduce nella estinzione di un soggetto giuridico e nella creazione di uno diverso, ma integra una mera mutazione formale di organizzazione, che sopravvive alla vicenda della trasformazione senza soluzione di continuità e perché l'atto di trasformazione, non comportando il trasferimento del diritto immobiliare da un soggetto ad un altro, non è, come tale, soggetto a trascrizione, ne consegue che la società di persone risultante dalla trasformazione non può rivendicare la qualità di terzo acquirente ai fini di quanto previsto dall'art. 2652 n. 6 c.c. in tema di salvezza dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede in base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale (Cass. n. 21961/2010).

Il fallimento

Al pari delle ipotesi di morte presunta e di scomparsa, il fallimento non si sottrae, sic et simpliciter, alla previsione di cui all'art. 40. Più in particolare, in merito alla perdita di capacità della parte soggetta a fallimento, nei giudizi aventi ad oggetto rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, l'art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 ha introdotto all'art. 43 r.d. n. 267/1942l. fall. il terzo comma a norma del quale «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo».

A decorrere quindi dalla data di entrata in vigore della norma (16 luglio 2006), risulta superata la posizione giurisprudenziale che costantemente opinava come l'inizio e la cessazione della procedura fallimentare non producessero effetti interruttivi automatici sui processi in corso nei quali fosse parte il fallito.

Questi venivano fatti conseguire alla previa dichiarazione in giudizio dell'evento da parte del procuratore, in difetto della quale il processo proseguiva tra le parti originarie (Gobbi, 500).

L'inizio della procedura di fallimento, nel regime antecedente alla riforma dell'art. 43 l.fall., non produceva un effetto automatico interruttivo sui processi nei quali il fallito fosse parte, poiché era necessaria la dichiarazione dell'evento ex art. 40 comma 2 del d.lgs. n. 546/1992, a meno che il fallito non stesse in giudizio personalmente. La perdita della capacità processuale del fallito non poteva essere fatta valere dalle altre parti né essere rilevata d'ufficio, e, secondo la giurisprudenza poteva essere rilevata solo dal curatore che, nell'interesse della massa dei creditori, si ritiene debba costituirsi in giudizio (Cass. 5031/2015). In tale regime, in difetto della dichiarazione dell'evento interruttivo, il processo proseguiva tra le parti originarie (almeno fino a quando non si costituisca spontaneamente il soggetto legittimato) e la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti del fallito non è nulla né inutiliter data, bensì soltanto inopponibile alla massa dei creditori (Cass. n. 6262/2002; Cass. n. 10724/2013).

Tuttavia, la tesi giurisprudenziale innanzi esposta si deve considerare oramai superata per contrasto con il nuovo dettato dell'art. 43 l. fall., il quale recita che «l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo», indipendentemente da una dichiarazione del curatore. Al riguardo, la Cassazione ha, inoltre, specificato che la modifica dell'art. 43 della legge fall., introdotta dall'art. 41 del d.lgs. n. 5/2006, trova applicazione, ai sensi dell'art. 153 del d.lgs. citato, a partire dal 16 luglio 2006, con consequenziale automaticità dell'interruzione del processo a seguito della dichiarazione di fallimento, purché intervenuta successivamente a tale data, anche nei giudizi anteriormente pendenti, restando irrilevante la disciplina transitoria dettata dall'art. 150 del medesimo d.lgs., la quale attiene a norme che regolano la procedura concorsuale, e non alla disciplina processuale già in vigore all'epoca della dichiarazione di fallimento (Cass. n. 27165/2016; Cass. n. 5650/2013).

Eventi interruttivi a carico del difensore

Ai sensi dell'art. 40, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 546/1992, comportano l'interruzione del processo la morte, la radiazione o la sospensione dall'albo o dall'elenco di uno dei difensori incaricati dell'assistenza tecnica ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. n. 546/1992.

Si ritiene che l'interruzione si verifichi anche nel caso in cui la nomina del difensore sia meramente facoltativa (Della Valle, 621).

La tassatività di tali eventi esclude la rilevanza interruttiva nel caso di ipotesi di volontaria cancellazione dall'albo professionale del difensore costituito, nonché in tutte le altre ipotesi riconducibili comunque ad un comportamento volontario dello stesso difensore o della parte (La Rocca, 1229).

Pertanto, non rilevano quali eventi interruttivi la revoca della procura o la rinuncia ad essa (art. 301, comma 3, c.p.c.), in quanto il procuratore continua a rappresentare la parte, anche dopo la revoca e la rinuncia, fino a che non venga nominato un nuovo difensore tecnico (Di Paola, 945).

Del pari non si ha interruzione del processo ai sensi dell'art. 40, comma 1, lett. b) per la morte, radiazione, sospensione e cancellazione del difensore quando la parte abbia nel mandato conferito facoltà di rappresentarla a più difensori, senza che risulti l'obbligo degli stessi di agire congiuntamente, atteso che in tale ipotesi non si verifica la carenza di rappresentanza e difesa che costituisce la ragione giustificatrice della norma (Gobbi, 503).

Il principio secondo cui la morte dell'unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l'automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha rilevato l'esistenza di tale pregiudizio nel fatto che, rimessa dall'istruttore la causa sul ruolo e disposto un supplemento di CTU, era diritto della parte avere nuove ed aggiornate difese, precluse dall'intervenuto decesso del difensore) (Cass. n. 6838/2016).

La mancata interruzione del processo a causa della morte dell'unico difensore della parte costituisce un'ipotesi di nullità relativa che comporta non la rimessione della causa al primo giudice, in quanto estranea alle ipotesi tassative di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., ma la decisione nel merito da parte del giudice di appello su tutte le questioni controverse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di secondo grado che, a fronte dell'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancata interruzione del processo, ha accolto la domanda subordinata disponendo la rinnovazione della prova testimoniale, e deciso nel merito esaminando tutte le questioni inerenti alla causa) (Cass. n. 3546/2016). Tuttavia, ove il processo sia irritualmente proseguito, nonostante il verificarsi dell'evento morte, la causa interruttiva può essere dedotta e provata in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., mediante la produzione dei documenti necessari, ma solo dalla parte colpita dall'evento a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l'interruzione, non potendo essere rilevata d'ufficio dal giudice, né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza (Cass. n. 13492/2022).

In caso di sostituzione del difensore deceduto, effettuata dalla parte con il primo atto utile, la rituale costituzione del nuovo difensore, avvenuta con apposita comparsa di costituzione e partecipazione all'udienza, impedisce l'interruzione del processo anche in caso di successiva sua revoca, che resta inefficace fino alla nomina dell'ulteriore difensore (Cass. Ord. n. 25596/2015).

Al pari di quanto si verifica in caso di morte, il principio secondo il quale la sospensione dall'esercizio della professione dell'unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l'automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato al diritto di difesa. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che il periodo di sospensione del difensore dalla professione era integralmente caduto tra l'udienza in cui era stato disposto il rinvio per la precisazione delle conclusioni e quest'ultima, sicché non aveva inciso su esse) (Cass. n. 14520/2015).

Quanto al caso di cancellazione dall'albo professionale da parte del procuratore costituito, secondo Cass. II, n. 12294/2001, la stessa, anche se volontaria, determina al pari della morte, della sospensione e della radiazione del difensore, l'interruzione del processo (contra v. Cass. n. 8054/2004; Cass. n.12261/2009).

Tuttavia, occorre dar conto dell'orientamento contrario secondo il quale la volontaria cancellazione dall'albo professionale del procuratore costituito (nella specie, per essere la medesima conseguente all'assunzione di un pubblico impiego da parte del procuratore medesimo) non determina l'interruzione del processo, essendo assimilabile non alle ipotesi di morte, radiazione, e sospensione tassativamente previste dall'art. 301, comma 1, c.c. e costituite da eventi indipendenti dalla volontà del professionista o del cliente, bensì a quelle (revoca della procura o rinunzia ad essa) riconducibili ad un comportamento volontario, cui il comma 3 della norma citata non attribuisce efficacia interruttiva (Cass. n. 10693/1994; Cass. n. 8054/2004; Cass. n. 12261/2009; Cass. n. 12376/2014).

In ogni caso, non si verifica interruzione del processo ex art. 301 c.p.c. in caso di cancellazione dell'albo di uno dei difensori ai quali la parte abbia conferito mandato di rappresentarla in giudizio senza obbligo di agire congiuntamente; in tale caso è, infatti salvaguardata l'esigenza di carattere pubblico, cui l'effetto interruttivo si ricollega, di non privare la parte del ministero del difensore, obbligatorio per legge, mentre l'interesse della parte a fruire di due rappresentanti tecnici è essenzialmente privato e non incide sulle vicende processuali (Cass. n. 2577/2004).

A seguito del decesso del procuratore di una delle parti costituite il giudizio è interrotto ope legis, a prescindere dalla dichiarazione di interruzione pronunziata dal giudice; a seguito delle sentenze n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, n. 159 del 1971 e n. 36 del 1976, il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l'evento interruttivo bensì da quello in cui tale evento sia venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione; conoscenza che deve concretizzarsi in forma legale, a seguito di dichiarazione, notificazione o certificazione, cui, a tali fini, va equiparata la lettura in udienza dell'ordinanza di interruzione, effettuata alla presenza del procuratore costituito della parte interessata alla riassunzione; la tempestiva riassunzione del processo è in vero necessaria al fine di poter tempestivamente contestare anche la pretesa illegittimità sostanziale dell'ordinanza di interruzione del giudizio (Cass. n. 440/2002; Cass. n. 12245/2007; Cass. n. 3085/2010; Cass.ord., n. 3782/2015; Cass. n. 974/2016).

Dichiarazione di interruzione

Ai sensi dell'art. 40, comma 2, l'interruzione si ha automaticamente al momento in cui si verifica l'evento interruttivo se la parte sta in giudizio personalmente, nonché nell'ipotesi in cui l'evento riguarda il soggetto incaricato dell'assistenza tecnica del contribuente. Negli altri casi, invece, gli eredi della parte o il difensore della stessa sono tenuti ad informare il giudice del verificarsi di uno degli eventi di cui al comma 1 affinché egli dichiari l'interruzione del processo (La Rocca, 1223).

Per tali ipotesi, se l'evento interruttivo non viene dichiarato, il processo continua il suo normale svolgimento nei confronti della parte che ha subito l'evento, fosse anche defunta, dal momento che il legislatore fa affidamento sul senso di responsabilità del procuratore costituito, il quale assume su di sé la responsabilità (sotto il profilo sostanziale nei confronti dei successori) conseguente alla mancata interruzione. In tali casi, infatti, c'è un difensore costituito il quale da un lato conosce la situazione del processo e dall'altro è in grado di prendere contatto con le persone alle quali spetta di proseguire il processo (Mandrioli, 2011, II, 229).

In questa seconda categoria di ipotesi, dunque, l'attività riservata al difensore costituisce indefettibile componente integrativa della fattispecie interruttiva (Ferro, 384).

Il legislatore ha, quindi, subordinato l'effetto interruttivo alla presenza di due presupposti: il verificarsi dell'evento previsto come causa di interruzione del processo e la relativa dichiarazione «in pubblica udienza o per iscritto con apposita comunicazione del difensore della parte a cui l'evento si riferisce» (art. 40, comma 2, d.lgs. n. 546/1992), così manifestando la precisa volontà di rimettere l'interruzione del processo all'iniziativa della parte; sicché la pronuncia del giudice, dichiarativa dell'estinzione, non riveste alcuna rilevanza per il perfezionamento della fattispecie interruttiva, che si è già verificata, e la sua eventuale omissione, pertanto, è inidonea a ledere il diritto di difesa (Di Paola, 947).

Ove la dichiarazione sia fatta in pubblica udienza, non è necessario altro che il suo inserimento nel processo verbale, posto che la comunicazione si ritiene conosciuta da tutte le parti del giudizio. Al contrario, qualora non sia possibile dichiarare l'evento in udienza, il difensore procede a dare comunicazione per iscritto.

Si discute in dottrina se, per considerare valida la dichiarazione dell'evento interruttivo, basti il suo deposito in segreteria (in tal senso si veda Russo, 220). o se sia indispensabile la sua comunicazione alle altre parti (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 608).

La seconda soluzione appare preferibile (Marcheselli, 1237).

Peraltro, occorre rilevare che secondo autorevole dottrina la disciplina processuale non pone a carico del difensore un vero e proprio obbligo di provvedere alla rivelazione del fatto (Punzi, 169).

Invero, il difensore non è tenuto al rispetto di alcun termine per la denuncia dell'evento interruttivo, poiché costituisce una scelta affidata alla sua discrezionalità quella di dichiarare o meno l'esistenza della causa idonea a determinare l'interruzione del processo.

Pertanto, può accadere che l'evento non venga dichiarato o comunicato, con la conseguenza che il rapporto processuale rimane immutato ed il difensore può continuare ad esercitare il suo mandato nonostante la parte che l'aveva conferito sia nel frattempo deceduta o diventata incapace.

La giurisprudenza è concorde nell'affermare che se il procuratore non denuncia l'evento, il processo prosegue. La pronuncia dell'interruzione senza la dichiarazione del difensore, quando necessaria, è nulla (Cass. n. 1329/2000; Cass. n. 17913/2009). Rimangono quindi privi di effetti nei confronti della parte che ha subito l'evento, laddove siano taciuti dal difensore la soppressione di un ente pubblico (Cass. n. 9911/1998; Cass. n. 6208/2013); la dichiarazione di fallimento (Cass. 4195/1999); l'acquisizione della maggiore età da parte del minore (Cass. n. 1646/2001; Cass. n. 4206/2002; Cass. n. 1268/2003).

Di diverso avviso è la giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., n. 15783/2005), secondo cui, in caso di raggiungimento della maggiore età in pendenza del giudizio di primo grado, è onere dell'altra parte notificare l'impugnazione al soggetto divenuto maggiorenne, negando che possa ritenersi incolpevole l'ignoranza di questo mutamento di status soggettivo, nonostante nessuna informazione sul fatto sia stata fornita dal difensore del soggetto divenuto maggiorenne. Il procuratore assume su di sé la responsabilità (solo sul piano sostanziale e nei confronti dei soggetti che dovrebbero subentrare nel processo) conseguente alla mancata interruzione, nell'ipotesi che tale comportamento non sia (come talora accade) concordato con coloro ai quali spetterebbe di proseguire il giudizio. Secondo la Corte, qualora uno degli eventi idonei a determinare l'interruzione del processo, come il raggiungimento della maggiore età del minore, costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti, si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell'art. 190 c.p.c.), e tale evento non venga dichiarato né notificato dal procuratore della parte in cui esso si riferisce, a norma dell'art. 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce dell'art. 328 c.p.c., dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione che deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati.

Al pari di quanto sostenuto in dottrina, anche in giurisprudenza si ritiene che la dichiarazione del difensore sia una facoltà discrezionale del medesimo, che questi esercita valutando le conseguenze della sua condotta sul rapporto processuale e assumendo la responsabilità in ordine alle relative conseguenze (Cass. n. 699/1976). Peraltro, la dichiarazione dell'evento da parte del difensore ha natura negoziale, nel senso che, al fine di provocare l'interruzione dell'attività processuale, deve essere determinata dalla volontà di produrre tale effetto. Non è sufficiente, quindi, semplicemente rendere noto l'accadimento dell'evento sfavorevole, ma occorre che l'informazione sia fornita con la finalità di ottenere l'arresto processo. Se invece la denuncia risponde ad uno scopo diverso (quando, ad esempio, è compiuta al solo fine di informare il giudice e la controparte, con l'intenzione di continuare l'attività difensiva), il giudizio prosegue normalmente (Cass. n. 2707/2005). Invero, come puntualizzato di recente dalla stessa Corte, in tema di interruzione del processo, la dichiarazione resa dal procuratore della parte costituita, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., pur avendo la struttura di una dichiarazione di scienza, ha carattere negoziale e suppone la volontà del dichiarante di provocare l'interruzione stessa, con la conseguenza che quest'ultima non si realizza allorché la causa interruttiva (nella specie, l'intervenuto fallimento della parte, anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 43, terzo comma, legge fall., introdotto dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) risulti esposta soltanto per fini diversi, quale quello di ottenere il rinvio della trattazione della causa per esigenze di difesa (Cass. n. 10210/2015). La dichiarazione da parte del procuratore dell'evento interruttivo, di cui all'art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere in equivoca, giacchè assume il valore di una vera e propria dichiarazione negoziale, diretta esplicitamente a provocare l'interruzione (Cass. n. 2707/2015).

Ad ogni modo, occorre rilevare che in giurisprudenza non sono state ancora chiarite in maniera definitiva quali siano le conseguenze del silenzio serbato dal difensore del soggetto colpito dall'evento che preclude la partecipazione al processo e della conoscenza, acquisita altrimenti, di tale evento da parte della controparte.

Secondo un primo orientamento, nel caso in cui non sia dichiarata la morte o il venire meno della parte, il processo prosegue nei confronti del defunto (o dell'ente soppresso) da considerarsi processualmente ancora in vita, con correlativa ultrattività del mandato anche nelle fasi successive di quiescenza, riattivazione e impugnazione (Cass. n. 5305/2002; Cass. n. 4058/2005). Tale tesi è stata da ultimo ribadita da Cass. S.U., 4 luglio 2014 n. 15295, la quale ha affermato che l'incidenza sul processo degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti e al giudice) nel corso del rapporto processuale, ivi compresa la fase del gravame.

Tuttavia, in altre pronunce, la stessa Corte si discosta dalla tesi appena illustrata, stabilendo che, nonostante il difensore di una parte ometta di rendere noto l'accadimento di un evento che la riguarda, capace di provocare l'interruzione dell'attività processuale, qualora l'altra parte venga altrimenti a conoscenza di tale evento, questa consapevolezza non è priva di conseguenze.

Essere al corrente della morte o della perdita della capacità processuale, benché taciute dal difensore e quindi inidonee a determinare l'interruzione, è rilevante agli effetti della legittimazione attiva e passiva alla notificazione della sentenza e dell'atto di impugnazione. La Cassazione, infatti, ha ritenuto inammissibile l'impugnazione proposta dalla parte informata della morte nei confronti della parte defunta (Cass. n. 13864/2003; Cass. n. 6045/2003; Cass. n. 7981/2007).

Sempre con riferimento al caso di evento non denunciato, la Cassazione afferma che l'impugnazione possa essere notificata, in alterativa alla notifica alla parte defunta presso il suo procuratore, direttamente ai suoi singoli eredi (Cass. I, n. 293/2002), ma non agli eredi presso il procuratore del defunto.

Occorre sottolineare, inoltre, che a parere delle sezioni unite della Cassazione (Cass. S.U., n. 15783/2005) l'irrilevanza dell'evento interruttivo non dichiarato è limitata al grado di giudizio nel corso del quale si è verificato, con la conseguente esclusione della c.d. ultrattività della procura nei gradi successivi (Cass. n. 5637/2014).

Comunque è prevalente l'indirizzo secondo cui in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, la mancata dichiarazione in udienza o la notificazione alle altre parti di tali eventi da parte di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione, ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale, in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata nell'ambito del processo tuttora in vita e capace; di conseguenza, è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, primo comma, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza ‘aliunde' di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c., da parte del notificante (Cass. n. 8037/2021).

Momento dell'interruzione

L'individuazione del momento in cui l'evento interruttivo esplica i suoi effetti è di fondamentale importanza per la validità degli atti processuali (art. 42, d.lgs. n. 546/1992). Invero, gli atti processuali eventualmente posti in essere dopo il verificarsi dell'effetto interruttivo sono affetti da nullità insanabile ed inopponibili alla parte colpita dall'evento, e le nullità si convertono in motivi di gravame da far valere dinanzi al giudice dell'impugnazione. Pertanto, la dichiarazione dell'evento interruttivo può provenire soltanto dal procuratore della parte a cui l'evento si riferisce, il quale solo è in grado di valutare le conseguenze dell'interruzione sul rapporto processuale. Tale diritto potestativo non può, quindi, essere esercitato in via sostitutiva dal difensore dell'altra parte, né può essere delegato al domiciliatario (Ferro, 384).

Ciò premesso, è possibile distinguere gli effetti derivanti dal verificarsi dell'evento interruttivo a seconda del momento in cui si realizzano.

Invero, affinché gli eventi di cui al comma 1, esplichino efficacia interruttiva è necessario che essi si verifichino dopo la proposizione del ricorso, ossia dopo la sua notifica alla controparte e prima della fine della fase del contraddittorio, la quale, a sua volta, si esaurisce: nel caso di trattazione in camera di consiglio, dopo l'ultimo giorno utile per la produzione di memorie (fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione), nel caso di trattazione in pubblica udienza, dopo la chiusura della discussione.

Se l'evento si verifica dopo tali momenti non produce effetti salvo che la corte di giustizia tributaria anziché pronunciare sentenza faccia proseguire il processo, con la conseguente necessità di ripristinare nuovamente il contraddittorio.

Per il caso in cui tali eventi si verifichino durante il termine per la proposizione del ricorso dinanzi alla corte di giustiziadi primo grado, il termine è prorogato di sei mesi a decorrere dalla data dell'evento e a detto termine si applica la c.d. sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742.

Nel caso in cui, invece, gli eventi interruttivi si verificano tra un grado del giudizio e il successivo (in pendenza, dunque, del termine per proporre appello), è comunemente considerato applicabile al processo tributario, in ragione del rinvio alle regole del processo di rito civile da parte dell'art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 546/1992, il disposto dell'art. 328 c.p.c., integrato per effetto della decisione della Corte Cost. n. 41/1986, con l'inclusione della previsione delle ipotesi di morte, radiazione e sospensione del difensore costituito.

Ne deriva, innanzitutto, che, in caso di notifica della sentenza, il termine (breve) per impugnare è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata (art. 328, comma 1, c.p.c.).

In secondo luogo, in caso di decorso del c.d. termine lungo per l'impugnazione (decorrente dalla pubblicazione della sentenza), se nel corso del termine semestrale dalla pubblicazione della sentenza si verifica uno degli eventi de quibus, il termine di impugnazione è prorogato di ulteriori sei mesi dal giorno dell'evento, per tutte le parti (art. 328, comma 3, c.p.c.) (La Rocca, 1229 ss.).

Infine, occorre sottolineare che gli eventi di cui all'art. 40, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 non rilevano nel caso in cui si verifichino durante il giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, che è disciplinato dall'impulso d'ufficio.

Per quanto concerne il momento dell'interruzione riferibile alla personalmente alla parte, va detto preliminarmente che esso rileva solo quando avviene a processo già iniziato, ossia dopo la notificazione del ricorso. La morte avvenuta prima di tale momento determina l'estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente, la nullità sia dell'atto introduttivo sia dell'intero eventuale giudizio che ne è seguito, restando esclusa, in mancanza della valida costituzione di un rapporto processuale, l'applicabilità del principio, che ha carattere eccezionale, dell'ultrattività della procura, il quale riguarda il caso di morte della parte costituita, fin tanto che l'evento interruttivo non sia dichiarato dal procuratore (Cass. n. 10437/1994; Cass. n. 8670/1999).

Più di recente, la Cassazione ha avuto modo di affermare che gli eventi che colpiscono la parte o il difensore prima o dopo che sono state compiute le attività processuali della notificazione e della discussione sono privi di conseguenze (in tal senso in una controversia riguardante una società che, successivamente alla chiusura della discussione, si era estinta per incorporazione, la Cassazione, nella sentenza Cass. n. 8908/2004, ha ritenuto valida l'impugnazione notificata al procuratore costituito di tale società), a meno che la corte di giustizia rinvii la sua decisione. La morte della parte o la perdita della sua capacità processuale che si sia verificata dopo la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, ma prima della scadenza del termine per la costituzione determina l'automatica interruzione del processo, a prescindere sia dalla conoscenza che dell'evento abbiano avuto l'altra parte o il giudice, sia da qualsiasi attività diretta a determinarla, con la conseguenza che, ove sia mancata l'attivazione degli strumenti previsti per la prosecuzione o riattivazione, tutti gli atti del processo - non esclusa la sentenza con la quale lo stesso venga definito - posti in essere dopo l'evento interruttivo, restano insuscettibili di produrre effetti nei riguardi della parte investita dal suddetto evento e vanno considerati nulli (Cass. n. 22944/2018).

Nell'ipotesi di morte della parte verificatasi e dichiarata nel corso del giudizio di primo grado, gli atti successivamente compiuti senza che sia stata dichiarata l'interruzione del processo, compresa la sentenza, sono nulli e il vizio è soggetto al principio della conversione dei motivi di nullità in motivi d'impugnazione, sicché la suddetta nullità deve essere dedotta dalla parte colpita dall'evento interruttivo con il mezzo d'impugnazione previsto per la sentenza (Cass. n. 19267/2015).

Impedisce il verificarsi dell'interruzione la costituzione volontaria degli eredi della parte che ha subito l'evento interruttivo. Invero, come evidenziato da Cass. n. 19878/2004, ove, nel corso del giudizio, deceda la parte assistita dal difensore, ma gli eredi del defunto si costituiscano tempestivamente, non si verifica l'interruzione del processo, poiché esso prosegue nel contraddittorio con gli eredi della parte.

Peraltro, la Cassazione ha affermato che qualora l'evento interruttivo colpisca la parte o il suo legale rappresentante durante la pendenza del termine per la proposizione del ricorso (sia in primo grado sia in secondo grado), l'ultimo comma della norma in commento stabilisce la proroga di sei mesi del relativo termine, a decorrere dalla data dell'evento.

Nessuna proroga del termine per ricorrere è invece prevista nel caso in cui, durante la sua pendenza, muoia o perda la capacità di patrocinare in giudizio il difensore. La parte dovrà rivolgersi, nel termine normale per impugnare, ad un nuovo difensore.

Laddove, infine, l'evento sfavorevole riguardi il difensore domiciliatario, la notificazione dell'atto di impugnazione può essere eseguita presso il difensore non domiciliatario o la parte personalmente (Cass. n. 9571/1987).

Ancora in riferimento alla fase di impugnazione, relativamente al caso di una società cancellata dal Registro delle imprese (ove per la Corte non è possibile invocare alcuna ignoranza dell'evento, stante il regime di pubblicità legale) la Cassazione ha sostenuto che, nella fattispecie in cui l'evento interruttivo non venga rilevato nel corso del processo di primo grado, l'appello deve comunque essere instaurato contro I soggetti legittimati, anche se ciò resta subordinato alla conoscenza dell'evento da parte dell'impugnante (Cass. S.U., n. 15783/2005; Cass.S.U., n. 6071/2013).

In tema di interruzione del processo tributario, la dichiarazione di fallimento della società contribuente appellata, intervenuta prima della costituzione in giudizio, ma in pendenza del termine per la costituzione e per la proposizione dell'eventuale appello incidentale, previsto dagli artt. 23 e 54, comma primo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determina l'interruzione automatica del processo e comporta, laddove la curatela non si sia costituita e l'evento interruttivo non sia stato rilevato dal giudice, l'invalidità delle attività processuali eventualmente svolte nella ritenuta contumacia della parte, mentre la successiva fase della prosecuzione è disciplinata dall'art. 43, comma secondo, del d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede la decorrenza del termine sempre dal momento della dichiarazione dell'interruzione, dovendosi così ritenere che un provvedimento del giudice, dichiarativo dell'evento interruttivo, è sempre necessario ai fini del computo del termine per la riassunzione del giudizio (Cass. n. 21108/2011).

Il giudizio non è suscettibile invece di essere interrotto quando è pendente in Cassazione, poiché la fase processuale che si celebra dinanzi al giudice di legittimità è dominata dall'impulso officioso (Cass. S.U., n. 14385/2007; Cass. n. 4233/2007; Cass. n. 1257/2006). Nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l'istituto dell'interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, nè consente agli eredi di tale parte l'ingresso nel processo (Cass. n. 1757/2016).

Sempre in tema di giudizio di legittimità, è stato ritenuto inammissibile il controricorso proposto da una società, originaria parte attrice, ormai cancellata dal registro delle imprese atteso che, da un lato, l'estinzione, intervenuta in pendenza di giudizio, determina la perdita della capacità processuale, l'interruzione del processo ex art. 299 ss. c.p.c. e la successione dei soci ai sensi dell'art. 110 c.p.c., e, dall'altro, la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, pur consentendo la notifica del ricorso della controparte presso il difensore in appello della società estinta, non vale per la proposizione del ricorso per cassazione, che esige la procura speciale e deve, quindi, essere effettuata dai soci (Cass. n. 15177/2016).

Ad ogni modo, è stata riconosciuta la necessità, nel giudizio di cassazione, in caso di morte dell'unico difensore di una parte, avvenuta dopo il deposito del ricorso ma prima dell'udienza di discussione, ed attestata dalla relazione di notifica dell'avviso di udienza, di rinviare a nuovo ruolo la causa, dandone comunicazione alla parte personalmente (Cass. S.U., n. 477/2006).

Interesse ad eccepire l'irrituale continuazione del processo

Le norme che disciplinano l'interruzione sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento. Di conseguenza, considerata la finalità di garantire il diritto di difesa e l'effettività del contraddittorio della parte colpita dall'evento interruttivo, il giudice non può rilevare d'ufficio la questione sull'interruzione processuale, né la controparte ha interesse a dolersi dell'eventuale continuazione del giudizio, senza che detta questione sia stata sollevata.

Ne deriva che la possibile deduzione della mancata interruzione non può che farsi rientrare nella species delle eccezioni processuali in senso stretto. Coerentemente con il rilievo appena dedotto trova applicazione l'art. 112 c.p.c., che vietando al giudice di pronunciare su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, implicitamente impedisce al medesimo organo, che successivamente abbia accertato la mancata interruzione, di dichiarare ex officio la nullità degli atti compiuti (Gobbi, 510 ss.).

Peraltro, occorre considerare che il legislatore non riconosce alcuna rilevanza normativa agli accadimenti che interessano l'ufficio tributario, per l'ovvia ragione che nei riguardi di questo non si possono verificare gli eventi interruttivi di cui all'art. 40, comma 1, ossia non sono ipotizzabili nei suoi confronti fatti menomativi della capacità processuale.

L'argomento non viene però ritenuto esauriente, data la possibilità del fenomeno giuridico della fusione tra Comuni prevista e disciplinata dall'art. 15 del d.lgs. 267/2000 (Di Paola, 937).

Le stesse posizioni sono state assunte dalla giurisprudenza. Anche nel nuovo processo tributario, essendo l'istituto della interruzione del processo regolato secondo le linee del codice di rito civile, è applicabile il principio, formatosi sulla disciplina corrispondente per il processo civile ordinario, secondo cui le norme che disciplinano l'interruzione del processo sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento, con la conseguenza che difetta d'interesse l'altra parte a dolersi dell'irrituale continuazione del processo (Cass. n. 7007/2001; Cass. n. 7216/2001).

Nello stesso filone interpretativo si inserisce da ultimo Cass. 15031/2016 nella quale la Corte ha affermato che le norme sull'interruzione del processo sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo, sicché l'irregolare prosecuzione del giudizio derivante dalla loro inosservanza può essere fatta valere soltanto da quest'ultima, che dall'evento interruttivo può essere pregiudicata, e non anche dalle altre parti, le quali, non risentendo di alcun pregiudizio, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza ciononostante pronunciata.

Successivamente la Cassazione, intervenuta nuovamente sul tema, ha puntualizzato che, essendo le norme che disciplinano l'interruzione del processo preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l'unica legittimata a dolersi dell'irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva, la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, né essere eccepita dall'altra parte come motivo di nullità (Cass. n. 17199/2016).

Le norme sull'interruzione del processo sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo, sicché l'irregolare prosecuzione del giudizio derivante dalla loro inosservanza può essere fatta valere soltanto da quest'ultima, che dall'evento interruttivo può essere pregiudicata, e non anche dalle altre parti, le quali, non risentendo di alcun pregiudizio, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza ciononostante pronunciata.

Con riferimento all'ipotesi di soppressione di un ente pubblico la Cassazione, in una sentenza risalente, ha affermato che la soppressione di un ente pubblico costituito in giudizio per mezzo di procuratore resta soggetta alle disposizioni dell'art. 300 c.p.c. e, pertanto, non determina l'interruzione del processo fino a quando il procuratore costituito non dichiari o notifichi detto evento, tenendo conto che tale dichiarazione o notificazione non può trovare equipollente nella conoscenza aliunde dell'evento medesimo, ancorché evincibile da un provvedimento legislativo che ha disposto quella soppressione. Consegue che, qualora il procuratore ometta di dichiarare in udienza o di notificare detto evento, l'altra parte correttamente notifica l'atto di impugnazione da lei proposto presso il curatore dell'ente estinto (Cass. n. 9911/1998; Cass. n. 6208/2013).Aggiungi

La riassunzione del processo interrotto avviene con il deposito dell'istanza di trattazione al presidente della sezione, da effettuarsi nel termine di sei mesi dal provvedimento che dichiara l'estinzione, gravando sulla segreteria della corte di giustizia tributaria [n.d.r.] l'onere di comunicare alle parti la data della nuova udienza; pertanto, la mancata notifica, da parte dell'istante, del decreto di fissazione dell'udienza medesima alla controparte, nel termine assegnato, non determina l'estinzione del processo (Cass. n. 11661/2021). La mancata riassunzione del giudizio a seguito dell'interruzione dello stesso non determina la cessazione del contendere, bensì l'estinzione per inattività delle parti, che può essere dichiarata anche d'ufficio dal giudice ai sensi dell'art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 29569/2021).

Bibliografia

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