Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 21 - Termine per la proposizione del ricorso 1 2 .1. Il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo. 2. Il ricorso avverso il rifiuto tacito [della restituzione] di cui all'articolo 19, comma 1, lettere g) e g-bis), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione o di autotutela presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (A) 3.
___________ (A) In riferimento al presente comma, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 26 settembre 2024, n. 186. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 67 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma modificato dall'articolo 69, comma 3, lettera d), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 e successivamente dall'articolo 1, comma 1, lettera l), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n.220.Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. InquadramentoLa disposizione detta la disciplina dei termini entro cui — a pena di inammissibilità — deve essere proposto ricorso. Termini che dalla disposizione vengono distinti a seconda che sia proposto ricorso contro un atto fiscale notificato oppure contro un «un rifiuto tacito» alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti. Il termine perentorio per la proposizione del ricorso e la rimessione in terminiL'art. 21, comma 1 stabilisce che il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità — si rammenta che la proposizione del ricorso può avvenire soltanto portandolo alla legale conoscenza dell'impositore o del concessionario a mezzo del sistema di notifiche previsto dall'art. 20 al cui specifico commento si rinvia — «entro sessanta giorni dalla notificazione dell'atto impugnato». Dalla sanzione dell'inammissibilità, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado ai sensi dell'art. 22, comma 2, la dottrina ha ricavato l'inapplicabilità della sanatoria ex art. 156 c.p.c., quest'ultima soltanto prevista per le nullità processuali, precisando inoltre che la natura perentoria del termine di cui all'art. 21, comma 1, ne comporta la «improrogabilità» anche per accordo delle parti, ai sensi dell'art. 153, comma 1, c.p.c., è peraltro prevista la proroga di mesi sei stabilita dall'art. 40, comma 4, al cui specifico commento si rinvia, per gli eventi interruttivi ivi indicati, verificatisi in pendenza di termine per proporre ricorso, con decorrenza dalla data dell'evento (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 448, che osservano come l'effetto «sostanziale», in caso di ricorso proposto fuori del termine stabilito dall'art. 21, comma 1, sia quello della «incontestabilità dell'accertamento»). In dottrina è pressoché unanime l'opinione secondo cui, quando un atto non sia stato ancora notificato, di cui però il contribuente sia venuto a conoscenza aliunde, il ricorso contro lo stesso promosso sarebbe da dichiararsi inammissibile, questo perché prima della notifica non esiste un atto fiscale che possa impugnarsi, cioè idoneo a far decorrere il perentorio termine di giorni sessanta stabilito dall'art. 21, comma 1 (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 448). La prova della tempestiva proposizione del ricorso è a carico del contribuente, come sarebbe anche sistematicamente confermato dall'art. 22, comma 1, al cui specifico commento si rinvia, che prevede che il contribuente «a pena di inammissibilità» debba accompagnare il deposito del ricorso nella segreteria della commissione, appunto con i documenti che ne dimostrino la notifica (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 450). In attualità la rimessione in termini, disciplinata dal combinato disposto exartt. 153 e 294 c.p.c., applicabili nel processo tributario senza difficoltà, in forza del generale richiamo contenuto all'art. 1, comma 2, non sembra poter essere in discussione anche con riferimento al termine per proporre ricorso ex art. 21, comma 1 (Tesauro, Rass. Trib., 2010, 965; Cantillo, Rass. Trib., 2010, 919; in passato, cioè prima delle più recenti riforme, la questione era in dottrina controversa, ritenendosi per la negativa, v. Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 451, che la rimessione potesse riguardare solo i termini «infraprocessuali», ma non quelli fissati per l'introduzione del giudizio; così, anche Voglino, Boll. trib., 1999, 780; di diverso avviso, invece, era Bellagamba, Il nuovo contenzioso, 121). La giurisprudenza, pur ribadendo che dalla proposizione del ricorso fuori del termine perentorio stabilito dall'art. 21 discende la sua inammissibilità rilevabile ex officio in ogni stato e grado, ha ribadito anche in materia tributaria il consolidato principio secondo cui quando un'eccezione sia stata sollevata per la prima volta davanti alla cassazione, la detta eccezione non può essere accolta quando siano necessari accertamenti di fatto (Cass. V, n. 26391/2010; Cass. V, n. 6356/2008; Cass. V, n. 21510/2004; l'inammissibilità del ricorso, comporta l'effetto sostanziale della «insindacabilità dell'atto», v. Cass. V, n. 20440/2011). Con orientamento che appare ormai consolidato — diversamente dalla sopra ricordata dottrina — la giurisprudenza ritiene ammissibile il ricorso proposto contro un atto fiscale non notificato di cui il contribuente sia in qualsiasi modo venuto a conoscenza (Cass. V, n. 16952/2015; Cass. V, n. 10987/2011; Cass. V, n. 15946/2010; questa giurisprudenza, anche per la precisazione che trattasi comunque di una facoltà, con la conseguenza che nei confronti del contribuente gli atti fiscali non notificati mai possono consolidarsi). Anche per la giurisprudenza la prova della tempestiva proposizione del ricorso è da ritenersi pacificamente a carico del contribuente (Cass. VI, n. 4247/2013, resa in fattispecie di accertamento con adesione, comportante la sospensione di giorni novanta del termine ex art. 21 per la proposizione del ricorso, v. infra). La giurisprudenza — già nella vigenza dell'abrogato art. 184-bis c.p.c. — era arrivata alla conclusione che la rimessione in termini ivi prevista potesse valere anche con riguardo alla proposizione del ricorso fuori del termine perentorio stabilito dall'art. 21, in caso di incolpevolezza del contribuente (Cass. V, n. 12544/15, che però ha escluso, tra le ipotesi di incolpevolezza, «la malattia sopravvenuta ed il successivo decesso del difensore, incaricato della riassunzione»; Cass. VI, n. 8715/2014; Cass. V, n. 10822/2010, secondo cui l'errata informazione, contenuta nel notificato avviso, circa forme e tempi della sua impugnabilità, consente la rimessione in termini; così, anche, Cass. V, n. 20634/2008; Cass. I, n. 6954/1999; in attualità, quindi, l'applicabilità dell'istituto anche al ricorso tributario proposto fuori termine, atteso il tenore dei riformati artt. 153 e 294 c.p.c., giusto il rinvio generale contenuto nell'art. 1, comma 2, dovrebbe ritenersi indiscutibile). Computo, decorrenza e ipotesi di sospensione del termine Come ricordato in dottrina — in mancanza di diversa specifica previsione — per il computo del termine dovranno trovare applicazione le comuni regole di cui agli artt. 155 c.p.c. e 2963 c.c. (Finocchiaro, Finocchiaro, 444). Il termine di che trattasi inizierà a decorrere — come espressamente stabilito dall'art. 21, comma 1 — «dalla data di notificazione dell'atto impugnato» (questo anche nel caso in cui siano stati per es. notificati più avvisi di liquidazione nei confronti di debitori tenuti in solido in relazione a identico tributo, stante l'autonomia del rapporto obbligatorio che connota l'istituto della solidarietà, così Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 444; diversamente, è stato però sostenuto che nelle fattispecie di solidarietà tributaria «l'accertamento fiscale si completa e si perfeziona solo con l'ultima notifica», con la conseguenza che per tutti i coobbligati in solido il termine per la proposizione del ricorso dovrebbe invece iniziare a decorrere dall'ultima notificazione, in questo senso Bellagamba, Il nuovo contenzioso, 121). Il termine in parola è tra quelli ex lege sospesi ai sensi dell'art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742 — cosiddette ferie giudiziarie — comprendendosi difatti tra le «giurisdizioni amministrative» cui si applica la sospensione feriale dei termini processuali anche quella tributaria (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 446, i quali sottolineano come l'applicabilità al giudizio tributario della sospensione feriale dei termini processuali sia comunque data per presupposta, non solo dall'art. 40, comma 4, che prevede espressamente la sospensione feriale del termine per proporre ricorso ex lege prorogato a causa degli indicati eventi interruttivi; ma altresì dall'art. 6, comma 3, d.lgs. n. 545/1992, secondo cui il presidente della commissione è tenuto a designare quella o quelle sezioni che debbono esaminare le domande cautelari «nel periodo di sospensione feriale dei termini processuali»; nello stesso senso, Bellagamba, 121; Bartolini, Repregosi, 143). Il termine per la proposizione del ricorso contro gli atti fiscali notificati è poi ex lege sospeso per giorni novanta — ai sensi degli artt. 6 e 12 d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 — allorquando il contribuente presenti domanda di accertamento con adesione (Finocchiaro, Finocchiaro, 444; Tesauro, 147, anche per l'osservazione secondo cui l'art. 2964 c.c., pur disponendo in via generale che ai termini stabiliti a pena di decadenza «non si applicano le norme che si riferiscono alla sospensione», fa però salve le speciali contrarie previsioni di legge). Dalla dottrina — e fino ad un certo punto anche dalla giurisprudenza — non si era mai dubitato del cumulo tra la sospensione feriale dei termini processuali ex art. l. n. 742/1969 e la sospensione ex lege a seguito di presentazione della domanda di accertamento con adesione ex artt. 6 e 18 d.lgs. n. 218/1997 (ciò, peraltro, conformemente alla Circ. MEF 8 agosto 1997, n. 235, nonché Risol. MEF 11 novembre 1999, n. 159, nonché infine Circ. Ag. Entrate 28 giugno 2001 n. 65). Sennonché a seguito di contrasto giurisprudenziale insorto sulla specifica questione — e per il quale contrasto di giurisprudenza v. appena sotto — il legislatore è intervenuto con probabile interpretazione autentica a mezzo dell'art. 7-quater, comma 18, d.l. 22 ottobre 2016, n.193 conv., con modif., in l. 1 dicembre 2016, n. 225, risolvendo l'incertezza nel senso che «I termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale» (ciò, tra l'altro, ancora sul presupposto della pacifica applicabilità, al processo tributario, della sospensione feriale dei termini, in questo modo ancora una volta ribadita). In giurisprudenza risulta pacifica l'applicazione al processo tributario della sospensione feriale dei termini processuali ex art. 1 l. n. 742/1969, come risulta altresì pacifico che il computo del termine in discorso deve farsi secondo quanto previsto dall'art. 155 c.p.c., con la conseguenza «che il giorno 16 settembre — fattispecie decisa ovviamente prima della riduzione delle cosiddette ferie giudiziarie ex art. 16, comma 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 132 conv. con modif. in l. 10 novembre 2014, n. 162 n.d.r. — doveva essere compreso nel novero dei giorni concessi dal termine, atteso che tale giorno non segna l'inizio del termine, ma l'inizio del suo decorso, il quale non include il dies a quo, in applicazione del principio fissato dall'art. 155, comma 1, c.p.c.» (Cass. V, n. 19874/2012; Cass. V, n. 10350/2003; Cass. V, n. 8850/2003; così, del resto, allo stesso modo che nel processo civile ordinario, Cass. I, n. 13973/2011; Cass. III, n. 7757/2007). Si rammenta che anche nel processo tributario la sospensione feriale dei termini ex art. 1 l. n. 742/1969 poteva, prima della riduzione a sei mesi del termine lungo per impugnare previsto dall'art. 327 c.p.c., «operare due volte, nella ipotesi in cui dopo una prima sospensione il termine annuale non fosse decorso interamente al sopraggiungere del successivo periodo feriale», con la conseguenza che doveva ritenersi tempestivo l'appello in questa particolare fattispecie proposto (Cass. V, n. 8980/2007; così, del resto, come nel processo civile ordinario, v. Cass. I, n. 13973/2011; Cass. III, n. 20817/2009). Secondo la giurisprudenza la presentazione dell'istanza di accertamento con adesione di un avviso è idonea a sospendere il termine per proporre ricorso — per giorni novanta ex artt. 6 e 12 d.lgs. 1997/218 — anche con riguardo all'atto di contestazione delle correlate sanzioni separatamente notificato (Cass. V, n. 18377/2015; Cass. V, n. 13242/2015, anche per la precisazione che l'istanza di accertamento con adesione, presentata dal curatore del fallimento senza l'autorizzazione del giudice delegato, è lo stesso idonea a sospendere i termini, poiché il vizio comporta semplice annullabilità del negozio, che solo il fallimento può far valere). Diversamente il verbale di mancato accordo che fa seguito all'istanza di accertamento con adesione ex artt. 6 e 12 d.lgs. n. 218/1997 — non essendo assimilabile alla rinuncia alla domanda di accertamento con adesione — non comporta il venire meno della sospensione di giorni novanta ex lege prevista (Cass. V, n. 7334/2012; Cass. V, 13/04/2012, n. 5825; Cass. V, n. 3762/2012). Trascorsi i novanta giorni di sospensione ex lege stabiliti a seguito della presentazione dell'istanza di accertamento con adesione, riprende a decorrere il termine di giorni sessanta stabilito dall'art. 21 anche in caso di mancata convocazione del contribuente, cosicché il ricorso proposto fuori termine deve dichiararsi inammissibile (Cass. VI, n. 3368/2012; Cass. V, n. 28051/2009). Come sopra ricordato la giurisprudenza fino a un certo punto era sempre stata nel senso del cumulo della sospensione feriale dei termini ex art. 1 l. n. 742/1969, con la sospensione del termine di giorni novanta per proporre ricorso contro gli atti fiscali a seguito di presentazione della domanda di accertamento con adesione exartt. 6 e 12 d.lgs. n. 218/1997, giurisprudenza che peraltro venne successivamente contrastata da altra, inducendo così il legislatore ad intervenire con il rammentato art. 7-quater, comma 18, d.l. n.193/2016 nel senso della affermazione legislativa del cumulo (per il cumulo, tra le ultime, si erano per es. espresse, Cass. V, n. 10360/2015; Cass. V, n. 11403/2015; per la contraria giurisprudenza, che ha creato il contrasto, v. Cass. VI, n. 7995/2016; Cass. VI, n. 11632/2015). Dalla giurisprudenza è stato invece escluso che nel processo tributario potessero cumularsi - con la sospensione feriale dei termini prevista dall'art. 1 l. n. 742/1969 — la sospensione dei termini per la presentazione della domanda di condono ex art. 15, comma 8, l. n. 289/2002, con la conseguenza che il ricorso contro l'avviso avrebbe dovuto sempre e comunque essere proposto entro il perentorio termine di giorni sessanta dalla notifica (Cass. V, n. 16876/2014; Cass. V, n. 16347/2013; Cass. V, n. 23576/2012; v. anche, Cass. trib. n. 5924/2010, resa però in fattispecie di termini per proporre ricorso per cassazione; conformi, ad ogni buon conto, a quest'ultima, Cass. V, n. 353/2009; Cass. V, n. 14898/2007). La presentazione di domanda di annullamento in autotutela non dà invece luogo ad alcuna sospensione del termine perentorio previsto dall'art. 21, comma 1 per proporre ricorso (Cass. V, n. 15220/2012). Il termine per la proposizione del ricorso contro il ruolo L'art. 19, comma 1, lett. d) prevede che possa essere impugnato il ruolo — si rinvia allo specifico commento — che però ai sensi dell'art. 21, comma 1 non deve essere notificato. E questo perché — ai fini della decorrenza del termine per proporre ricorso — la « notificazione della cartella di pagamento vale come notificazione del ruolo» (Finocchiaro, Finocchiaro, 445; disposizione che, in dottrina, è stata anche vista come di raccordo al sistema di riscossione tramite concessionario, v. Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 95). Le sezioni unite hanno di recente risolto il contrasto confinando la possibilità dell'autonoma impugnabilità del ruolo - allorquando il contribuente sia venuto a conoscenza dello stesso recandosi dal concessionario che ne abbia rilasciato «l'estratto» — ai casi di omessa o invalida notifica della cartella e vi sia interesse a promuovere ricorso senza attendere ulteriori attività riscossive — (Cass. S.U., n. 19704/2015; a cui, ha subito aderito Cass. V, n. 18472/2016; in precedenza, nello stesso senso, Cass. V, n. 6395/2014; Cass. V, n. 11674/2013; contrarie, invece, Cass. V, n. 6610/2013; Cass. V, n. 1630/2008). In linea generale quindi la mancata impugnazione della cartella — quando appunto ritualmente notificata — comporta la definitività della debenza della somma con la stessa richiesta con la conseguente impossibilità di impugnare il successivo rifiuto espresso o «tacito» della restituzione (Cass. V, n. 17587/2010). Secondo la giurisprudenza l'art. 3 l. n. 742/1969, che giusto il richiamo all'art. 92 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 esclude dalla sospensione feriale dei termini processuali le cause di opposizione all'esecuzione, non si applica ai ricorsi promossi contro le cartelle di pagamento «atteso il carattere eccezionale di tale norma non suscettibile di interpretazione analogica e l'esistenza di una specifica disciplina per l'esecuzione forzata tributaria la cui tutela giudiziaria è affidata alle Commissioni tributarie», con la conseguenza che anche al perentorio termine di giorni sessanta stabilito dall'art. 21, comma 1 per proporre ricorso contro le cartelle deve applicarsi la sospensione feriale dei termini processuali ex art. 1 l. n. 742/1969 (Cass. V, n. 15643/2014). Il termine per la proposizione del ricorso contro il «rifiuto tacito»Oltre al rifiuto espresso «della restituzione di tributi, sanzioni, interessi e altri accessori non dovuti» — la notifica del quale secondo le ordinarie vedute regole farà decorrere il termine di giorni sessanta stabilito dall'art. 21, comma 1 per la proposizione del ricorso — l'art. 19, comma 1, lett. g) dispone che possa anche impugnarsi il «rifiuto tacito» delle medesime restituzioni. E per il quale «rifiuto tacito» l'art. 21, comma 2 disciplina la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso in modo affatto diverso (per Tesauro, 147, in relazione alla teoria costitutiva, v. art. 18, «formalmente» può impugnarsi solo il rifiuto espresso, perché soltanto quest'ultimo può essere oggetto di annullamento, mentre il «rifiuto tacito», non consistendo in atto, comporterebbe soltanto l'accertamento del diritto al rimborso; per Glendi, L'oggetto, 313, che pure partecipa alla teoria costitutiva, si tratterebbe invece di una vera e propria impugnazione d'atto). Per questa particolare fattispecie l'art. 21, comma 2 dispone infatti che — scaduto il termine dilatorio di giorni novanta decorrente dalla presentazione della domanda di restituzione senza che l'ufficio abbia provveduto al rimborso — si formi il «rifiuto tacito» delle restituzioni contro il quale potrà proporsi ricorso (Finocchiaro, Finocchiaro, 453, anche per l'osservazione secondo cui la domanda di restituzione non è atto del processo, cosicché non solo sarebbe «sufficiente che pervenga all'ufficio» senza seguire speciali forme, ma anche che la stessa non dovrebbe essere necessariamente presentarsi con l'assistenza tecnica richiesta dall'art. 12; al termine dilatorio in parola, non essendo processuale, bensì amministrativo, non dovrebbe perciò applicarsi la sospensione feriale dei termini prevista dall'art. l. n. 742/1969). Quando non sia stata presentata domanda di restituzione — o quando non sia trascorso il termine dilatorio di giorni novanta — il ricorso eventualmente proposto andrebbe dichiarato inammissibile non essendosi formato alcun «rifiuto tacito» contro il quale possa essere proposto ricorso (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 453, che, comunque, ritengono che ciò non «consumerebbe» il diritto al rimborso, ben potendo il contribuente proporre la domanda che non si era presentata, nonché proporre un nuovo ricorso scaduto il termine di giorni novanta; così, anche, per Tesauro, 149; diversamente, per Bellagamba, 123, per il quale in questi casi il ricorso sarebbe invece soltanto improcedibile, in attesa della decisione dell'ufficio; così, anche per Bafile, 104; nonché, Giovannini, Il ricorso e gli atti impugnabili, in Il processo tributario, 366, a cura di Tesauro; per Bartolini, Repregosi, 143, questi ricorsi sarebbero in realtà del tutto improponibili). La domanda di restituzione — intesa come presupposto per la formazione di un «rifiuto tacito» contro cui proporre ricorso — non è invece necessaria nei casi in cui al rimborso deve provvedere l'amministrazione «d'ufficio» come per es. accade quando l'eccedenza di imposta emerga dalla dichiarazione (in questi casi, in effetti, siamo al di fuori del versamento indebito per il quale è prevista la domanda di restituzione dell'indebito, alla quale seguirà o il rifiuto espresso ovvero quello «tacito» contro i quali proporre ricorso; Falsitta, I, 476; Batistoni Ferrara, in Riv. dir. trib., 1996, 816; Tabet, in Rass. trib., 1988, 461, con la conseguenza che in queste ipotesi non è configurabile decadenza alcuna, ma soltanto la prescrizione decennale del diritto al rimborso). Quanto al rapporto tra il generale termine di decadenza biennale stabilito dall'art. 21, comma 2 in commento — e il termine di mesi quarantotto stabilito dall'art. 38 d.P.R. n. 602/1973 per i «versamenti diretti» — la dottrina in generale ritiene che il primo termine di decadenza riguardi nella sostanza tutti gli indebiti conseguenti ad atti di autoliquidazione e mentre il secondo termine di quarantotto mesi riguardi soltanto gli errori commessi in fase di versamento che non pongano in discussione an e t quantum dell'obbligazione tributaria (Falsitta, I, 473; Tabet, Rass. trib., 1988, 446; Russo, 378). Per la dottrina unanime il ricorso contro il «rifiuto tacito» delle restituzioni sarà da proporsi — con l'assistenza tecnica quando richiesto ex art. 12 — nelle ordinarie forme ex art. 20 al cui specifico commento si rinvia (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 453). Il contrasto si è invece creato sulla esistenza stessa di un termine processuale entro il quale a pena di inammissibilità deve essere proposto il ricorso contro il «rifiuto tacito» delle restituzioni. Questo perché per parte degli autori l'art. 21, comma 2 non avrebbe previsto alcun termine processuale per proporre ricorso contro il «rifiuto tacito» — limitandosi soltanto a disporre che la domanda di restituzione deve essere presentata entro i termini di decadenza stabiliti per ciascuna legge d'imposta o in mancanza «dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione» — con la conseguenza che il termine entro cui proporre ricorso sarebbe in questo caso soltanto quello di prescrizione decennale del diritto al rimborso ex art. 2946 c.c.e da eccepirsi in giudizio dall'ufficio secondo le comuni regole (Bellagamba, 112; Bartolini, Repregosi, 144; Finocchiaro, Finocchiaro, 455, nella sostanza riproponendo la disciplina della previgente legge processuale tributaria, pur osservando che il ricorso contro il «rifiuto tacito» deve andare respinto quando, pur essendo stato presentato entro il termine decennale di prescrizione, la domanda di rimborso sia stata presentata scaduti i termini di decadenza stabiliti da ciascuna legge d'imposta ovvero scaduto il termine generale di decadenza biennale stabilito dall'art. 21, comma 2). Laddove invece — per altra dottrina — anche per il ricorso proposto contro il «rifiuto tacito» delle restituzioni dovrebbe applicarsi il termine di giorni sessanta stabilito a pena di inammissibilità dall'art. 21, comma 1 e con decorrenza dallo scadere del termine dilatorio di giorni novanta dalla presentazione della domanda (con significativa innovazione, rispetto all'anteriore regola processuale, così Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 95; Blandini, Il nuovo processo, 43). Di recente, la Corte di Cassazione nell'Ordinanza n. 36482/2023 ha evidenziato un principio fondamentale nei casi di richieste di rimborso di imposte dirette stabilendo che “in tema di rimborso di versamenti effettuati in relazione ad imposte dirette non dovute, la disciplina di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 che prevede la possibilità di presentare la relativa richiesta entro il termine di quarantotto mesi, si applica esclusivamente se tali versamenti non risultavano dovuti fin dall'origine; quando, invece, il diritto alla restituzione sia sorto in data posteriore a quella del pagamento dell'imposta, è applicabile il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, disposizione di carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo cui l'istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione” (sul punto, cfr. anche Cass. 11/12/2019, n. 32309). In linea di continuità con il consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui “vertendosi in tema di rimborso di versamenti effettuati per imposte dirette non dovute e tali divenute in forza di normativa successiva al pagamento – la dedotta decadenza va riferita, non alla disposizione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, evocato dall'Agenzia ricorrente, ma a quella, residuale, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, che prevede la decadenza nel termine di due anni dalla data del pagamento o, se posteriore, da quella in cui è si è verificato il presupposto della restituzione (cfr. Cass. 3575/10, 10838/05)” (Cass. 20/12/2012, n. 23589, ex plurimis). Viene, anzi, con riferimento alla specifica vicenda (e a quelle ancora in contestazione) coniato il principio di diritto per cui “All'istanza di rimborso dell'eccedenza d'imposta versata sui redditi relativi agli anni 2002, 2003, 2004 e 2005, formatasi per effetto della l. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1011, che disponeva la riduzione del 50 % delle imposte suddette per i residenti nei comuni della provincia di Catania colpiti dal sisma e da eventi vulcanici dell'ottobre 2002, si applica il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, a decorrere dall'1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006. Fermo restando quanto sinora osservato, deve peraltro rilevarsi che, come evidenziato dalla ricorrente (nella pronuncia da ultimo citata n.d.r.), la stessa istanza sarebbe comunque tardiva ove pure fosse calcolata dalla proroga (al 30 giugno 2008) del termine per la definizione agevolata disposta dalla L. n. 31 del 2008, art. 36-bis, comma 2, e tanto più ove fosse computata dalla data di entrata in vigore (1 marzo 2008) di quest'ultima norma, che tale proroga ha disposto”. D'altro canto si rammenta che in ordine alla determinazione del dies a quo dal quale computare il termine per il rimborso, la Corte ha avuto già modo di chiarire (Cass. 12/09/2023, n. 26380) che, per un'analoga vicenda (sisma 1990), è stato via via prorogato il termine per la definizione agevolata delle imposte dirette (dovute nei limiti del 10 %) per gli anni 1990-1992, fino a portarlo al 31 marzo 2008 a mezzo del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 3-quater, comma 2. In seguito, a mezzo della norma di natura interpretativa (Cass. n. 5498/2020, ma già Cass., n. 6644/2019, Cass., n. 4291/2018, Cass. n. 18205/2016) portata dalla l. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, si è espressamente stabilito che coloro che avessero versato, per i ridetti anni d'imposta, un importo maggiore del 10 %, avrebbero avuto diritto al rimborso da instarsi nel termine biennale decorrente dall'entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 La giurisprudenza ravvisa una fattispecie di «rifiuto tacito» — assoggettandola pertanto alla disciplina di cui all'art. 21, comma 2 — anche nell'ipotesi di rimborso parziale per la parte eccedente quella restituita (Cass. VI, n. 12791/2014; Cass. V, n. 14846/2008; Cass. V, n. 12336/2005). Inoltre va considerata quella giurisprudenza per cui se l'ufficio, dopo il formarsi di un «rifiuto tacito» contro il quale pure sia stato proposto ricorso ai sensi dell'art. 21, comma 2, rompendo la sua inerzia. notifica al contribuente un «espresso rifiuto», anche contro quest'ultimo deve essere proposto ricorso entro il termine perentorio stabilito dall'art. 21, comma 1 pena la sua definitività (Cass. VI, n. 12791/2014). Ad ogni modo occorre pur sempre un rifiuto espresso alla domanda rimborso — ovvero un «rifiuto tacito» — in mancanza dei quali il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. V, n. 21356/2012; Cass. V, n. 6724/2008). In effetti la tempestiva domanda — che ai sensi dell'art. 21, comma 2 è quella presentata entro i termini di decadenza stabiliti da ciascuna legge d'imposta ovvero in mancanza di quello biennale ivi previsto — costituisce presupposto indispensabile per la formazione del «rifiuto tacito» contro cui proporre ricorso (questo anche in caso di successivo riconoscimento ad opera della Corte unionale, Cass. S.U., n. 13676/2014; ovvero, anche in caso di successiva sentenza della Corte cost. che riconosca il diritto, Cass. VI, n. 15530/2016; ovvero, anche in caso omesso recepimento di direttiva europea, Cass. V, n. 13329/2011; queste sentenze, anche per l'affermazione del principio secondo cui la decorrenza per presentare la domanda di restituzione è quella prevista a pena di decadenza da ciascuna legge d'imposta o in mancanza quella biennale prevista dall'art. 21, comma 2; la mancanza del presupposto della domanda di rimborso, per es. perché presentata fuori dei termini stabiliti a pena di decadenza, può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado, quindi anche nel giudizio di cassazione, in quanto in nessun caso disponibile, v. Cass. V, n. 25500/2011; Cass. V, n. 24056/2011; Cass. V, n. 22319/2010). Tuttavia anche per la giurisprudenza la domanda di restituzione non è necessaria — quale presupposto per la formazione del «rifiuto tacito» contro il quale poter proporre ricorso secondo la disciplina contenuta nell'art. 21, comma 2 — nei casi in cui il rimborso deve essere operato «d'ufficio» dall'amministrazione (Cass. V, n. 4559/2017; Cass. V, 28/09/2016, n. 19115; Cass. V, n. 20678/2014; Cass. V, n. 15229/2012; con conseguente semplice assoggettabilità alla prescrizione decennale del diritto, senza alcuna previsione di decadenza dal suo esercizio; inoltre occorre osservare come per la giurisprudenza, il riconoscimento in sentenza di somme da rimborsare al contribuente, «determina la nascita di un'obbligazione ex lege da indebito», con la conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale, senza quindi sottoposizione alle decadenze previste dall'art. 21, comma 2, in caso di «rifiuto tacito» alla restituzione, v. Cass. V, n. 18027/2016). Per la giurisprudenza — differentemente che per la sopra veduta dottrina — il termine di decadenza per la proposizione della domanda di rimborso previsto dall'art. 38 d.P.R. n. 602/1973 riguarda soltanto «l'ipotesi in cui il relativo versamento non sia dovuto ab origine, mentre quando il diritto alla restituzione sia sorto solo in data posteriore a quella del pagamento della stessa deve trovare applicazione l'art. 21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, avente carattere residuale e di chiusura del sistema» (Cass. VI, n. 82/2014; Cass. V, n. 3575/2010; Cass. V, n. 26886/2009). Diversamente che per la veduta dottrina in giurisprudenza è pacifico che una volta scaduto il termine dilatorio di giorni novanta — previsto dall'art. 21, comma 2 — il ricorso contro il «rifiuto tacito» può proporsi entro il termine di prescrizione decennale del diritto al rimborso (Cass. VI, n. 22997/2016; Cass. V, n. 21356/2012; Cass. V, n. 6724/2008). BibliografiaBafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994; Bartolini, Repregosi, Il codice del nuovo contenzioso tributario, Piacenza, 1996; Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993; Blandini, Il nuovo processo tributario, Milano, 1996; Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2010; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996; Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1993; Glendi, L'oggetto del processo tributario, Padova, 1984; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2013; Tesauro (a cura di), Il processo tributario. Giurisprudenza sistematica del diritto tributario, Torino, 1998. |