Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 23 - Costituzione in giudizio della parte resistente 1 2 .

Ernestino Bruschetta
aggiornato da Alessandra Leo

Costituzione in giudizio della parte resistente12.

1. L'ente impositore, l'agente della riscossione ed i soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 nei cui confronti è stato proposto il ricorso si costituiscono in giudizio entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale 3.

2. La costituzione della parte resistente è fatta mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio e i documenti offerti in comunicazione.

3. Nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 69 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera n), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Inquadramento

L'art. 23 detta la disciplina delle forme della costituzione in giudizio della parte resistente — ed essenzialmente consistenti nel deposito delle controdeduzioni — forme che sono necessarie per poter partecipare «attivamente» al processo. La parte resistente può però scegliere di non costituirsi subendo «passivamente» l'altrui attività processuale secondo almeno talune regole stabilite dal codice di procedura civile per il caso di contumacia del convenuto.

Occorre tuttavia considerare che, quanto segue, deve essere letto alla luce dell’introduzione del processo tributario telematico e che pertanto, molti degli approfondimenti di seguito illustrati, si riferiscono alle modalità analogiche utilizzate in precedenza; tuttavia, i contenuti di detti approfondimenti possono comunque essere trasposti in linea generale e per quanto compatibili alla modalità telematica.

La costituzione della parte resistente: la funzione, la parte resistente e la forma

Ex art. 23, comma 1 la parte resistente se vuole partecipare «attivamente» al processo ha — come del resto hanno anche tutti i terzi chiamati in lite (Finocchiaro, Finocchiaro, 477; Scuffi, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Scuffi, 143) — l'onere di costituirsi in giudizio mediante il deposito nella segreteria della commissione tributaria del «proprio fascicolo» che deve contenere le «controdeduzioni» in tante copie quante sono le parti e i documenti offerti in comunicazione (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 477; la definizione della costituzione in giudizio della parte resistente è quindi, nella sostanza, identica a quella, comunemente accolta in dottrina, della costituzione del convenuto nel processo civile ordinario, v. Mandrioli, II, 41). Dall'art. 23, comma 1 è inoltre previsto che la parte resistente debba costituirsi — con le suddette formalità — «entro sessanta giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale» a seconda della scelta di notificazione del ricorso fatta dal contribuente ai sensi dell'art. 20 (v. infra).

L'art. 23, comma 1 precisa — a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 9, comma 1, lett. n), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, con effetto a decorrere dal 1 gennaio 2016, secondo quanto stabilito dall'art. 12, comma, stesso d.lgs. n. 156/2015 — che parti resistenti sono l'impositore ovvero l'agente della riscossione ovvero i «soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni» i quali debbono essere iscritti all'albo di cui all'art. 53 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (la modifica dell'art. 23, comma 1, in commento, è in relazione alle altre modifiche che il medesimo art. 9, comma 1, lett. b) c) d) d.lgs. n. 156/2015 aveva apportato agli artt. 4, 10 e 11, comma 2, al cui specifico commento si rinvia, «al fine di aggiornare le denominazioni degli enti impositori e dei soggetti svolgenti attività di riscossione, che risultavano ormai superate rispetto alla riforma dell'Amministrazione finanziaria che aveva portato all'istituzione delle Agenzie fiscali e all'attuale assetto della riscossione dei tributi, caratterizzato dalla presenza dei cosiddetti agenti della riscossione (le società del Gruppo Equitalia e la società Riscossione Sicilia) e dei cosiddetti concessionari privati della riscossione (ossia i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del d.lgs. n. 446/1997, abilitati ad effettuare attività di liquidazione, accertamento dei tributi, nonché di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni)», v. Circ. 29 dicembre 2015, n. 38/E, n. 1.2; «denominazioni», peraltro, ancora una volta superate a seguito della soppressione del concessionario nazionale per la riscossione Equitalia S.p.A.exartt. 1 ss. d.l. 22 ottobre 2016, n.193, conv., con modif., in l. 1 dicembre 2016, n. 225, con il passaggio della funzione di riscossione nazionale, in precedenza appunto assegnata alla medesima Equitalia S.p.A. ex art. 3, comma 1, d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv., con modif., in l. 2 dicembre 2005, n. 248, al nuovo ente «Agenzia delle Entrate-Riscossione», anche per gli enti locali, dal 1 luglio 2017).

Ex art. 23, comma 2 le forme della costituzione in giudizio della parte resistente debbono farsi essenzialmente consistere nel deposito delle controdeduzioni - la forma e il contenuto dell'atto di controdeduzioni saranno quelli normalmente prescritti dall'art. 125 c.p.c. (Socci, Sandulli, Manuale, 153) — le quali controdeduzioni secondo il medesimo art. 23, comma 2 debbono essere contenute nel «proprio fascicolo» in tante copie quante sono le parti del processo assieme ai documenti offerti in comunicazione (comprendendosi nel numero delle parti, ai fini della determinazione del numero delle copie da inserire «nel proprio fascicolo», anche la stessa parte resistente, così Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 479; questi autori, anche per la precisazione che, una volta depositate le copie «a loro destinate», le altre parti del giudizio possono ritirarle anche prima dello scadere del termine di giorni sessanta, stabilito dall'art. 23, comma 1 per la costituzione del resistente; secondo, Fransoni, 441, a cura di Tesauro; nonché, Muleo, Boll. trib., 1996, 1256, in mancanza del numero di copie richiesto, il deposito del «proprio fascicolo» contenente le controdeduzioni dovrebbe, dalla segreteria della commissione tributaria, ritenersi irricevibile; per una semplice irregolarità, sempre sanabile, sono, invece, Giovanardi, Codice, 441, a cura di Ukmar, Tundo; nonché, Ficarelli, Giur. trib., 201, 439).

Parte della dottrina sostiene che anche la parte resistente — identicamente quella ricorrente, v. sub art. 22 n. 2. — possa costituirsi trasmettendo alla segreteria della commissione tributaria a mezzo posta il «proprio fascicolo» contenente le controdeduzioni e i documenti offerti in comunicazione (favorevoli, anche in ragione della possibilità di applicazione analogica dell'art. 22, Vullo, Commentario, 322, a cura di Consolo, Glendi; Glendi, Corr. trib., 2006, 427; contrari, Giovanardi, Codice, 442, a cura di Ukmar, Tundo; Basilavecchia, Corr. trib., 2006, 107, che segnala i gravi argomenti che ostano alla trasmissione a mezzo posta).

Per la più recente giurisprudenza la mancanza di un numero di copie di controdeduzioni pari al numero delle parti processuali — nonché la mancanza di sottoscrizione delle stesse — debbono essere eccepite dal ricorrente nella sua prima difesa successiva ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. pena la sanatoria della nullità (Cass. V, n. 5957/2007; diversamente, per Cass. V, n. 15858/2001, secondo cui, invece, la violazione in parola sarebbe priva di sanzione, non potendosi applicare l'art. 73 disp. att. c.p.c., che prevede sì il rifiuto del cancelliere, ma in differente fattispecie).

La giurisprudenza — pur osservando che l'art. 23 non prevede che la parte resistente possa depositare il «proprio fascicolo» contenente le controdeduzioni spedendolo a mezzo posta alla segreteria della commissione — ha peraltro ammesso ciò in grado d'appello seguendo una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 23 e 54 (Cass. V, n. 17953/2012).

La costituzione della parte resistente: i poteri della parte resistente

Secondo quanto previsto dall'art. 23, comma 3 la parte resistente con la sua costituzione — che come sopra ricordato essenzialmente consiste nel deposito delle controdeduzioni — può partecipare «attivamente» al processo sia prendendo posizione «sui motivi dedotti dal ricorrente», sia indicando le prove di cui intende avvalersi, sia proponendo le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e sia infine «instando, se del caso, per la chiamata dei terzi in causa».

La dottrina è nel senso che tra le difese che la parte resistente costituita può esercitare non sarebbe da comprendersi quella della sostituzione della motivazione dell'atto fiscale impugnato che ne sia mancante — e nemmeno quella di correggere oppure integrare la insufficiente motivazione dello stesso — e questo perché la motivazione dell'atto fiscale costituirebbe un elemento di forma del medesimo la cui mancanza o carenza ne comporterebbe l'illegittimità (Tesauro, 2013, 155; Finocchiaro, Finocchiaro, 480; Bartolini, Repregosi, 151; Bellagamba, 127; ammettendosi, quindi, da questi autori, soltanto la possibilità di indicare quelle prove che siano rilevanti in relazione ai fatti che fondano la motivazione dell'atto fiscale impugnato).

L'esercizio dei poteri processuali di che trattasi rappresenta una facoltà processuale — come del resto rappresenta una facoltà processuale anche il deposito dei documenti offerti in comunicazione — facoltà che incidendo esclusivamente sul merito della controversia non integra una formalità necessaria alla costituzione della parte resistente (tanto è vero che, l'omesso esercizio dei suddetti poteri processuali, non viene in alcun modo sanzionato, come osservato da Blandini, 51; il quale evidenzia, però, che la difesa della parte resistente dovrà essere necessariamente puntuale, cioè precisa circa le contestazioni, circa l'allegazione dei fatti contrari e circa la proposizione delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, essendo ciò necessario per aversi un normale e ordinato contraddittorio difensivo).

Nel silenzio dell'art. 23, comma 3, in dottrina è controverso se la parte resistente possa o meno proporre domande riconvenzionali, dipendendo la soluzione in massima parte a seconda dell'opzione scelta tra teoria costitutiva e teoria dichiarativa del processo tributario, nel senso che se il giudizio tributario è come quello amministrativo soltanto inteso all'annullamento degli atti fiscali illegittimi, il potere di proporre le domande riconvenzionali andrà in coerenza escluso; diversamente se si intende il processo tributario come predisposto all'accertamento del rapporto tributario (per la negativa, Tesauro, 2013, 155; Finocchiaro, Finocchiaro, 480; Bafile, Il nuovo processo, 128; Glendi, 539; Fransoni, 443, a cura di Tesauro; Giovanardi, Codice, 459, a cura di Ukmar, Tundo; per la positiva, Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 101; Bellagamba, 127; sulle teorie costitutiva e dichiarativa del processo tributario, v. sub art. 18 n. 2.; nonché, in generale, sulla potere di proporre domanda riconvenzionale nel giudizio tributario, v. ancora sub art. 18).

L'esercizio dei poteri riconosciuti alla parte resistente dall'art. 23, comma 3 — poteri da far valere con le controdeduzioni — costituisce per la giurisprudenza una facoltà il cui mancato utilizzo non comporta ovviamente alcuna sanzione che non sia la decadenza dall'esercizio degli stessi (Cass. V, n. 7329/2003).

Con riferimento alla facoltà di esercizio della parte resistente dei poteri di cui all'art. 23, comma 2 deve essere rammentato che — attesa l'indisponibilità della pretesa tributaria — il principio di non contestazioneexart. 115, comma 2, c.p.c. può esclusivamente riguardare «i profili probatori del fatto non contestato» con la conseguenza che il giudice potrà negare l'esistenza di un fatto non contestato dalla parte resistente soltanto in base a prove ritualmente acquisite al processo (Cass. VI, n. 9732/2016; Cass. V, n. 2196/2015; diversamente, cioè nel senso che il principio di non contestazione riguardava, senza restrizioni, anche la parte resistente, con orientamento non più attuale, v. Cass. V, n. 7827/2010; Cass. V, n. 1540/2007; v., anche, perché nella sostanza basata su identici principi, Cass. VI, n. 21034/2012, secondo cui, anche se le controdeduzioni non rispettano i «requisiti di forma» stabiliti dall'art. 23, comma 2, ciò non equivale al riconoscimento del diritto del contribuente). Del resto è altresì consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo cui la decadenza sostanziale del contribuenteanche se non eccepita dalla parte resistente — deve essere rilevata d'ufficio dal giudice ai sensi dell'art. 2968 c.c. atteso che la pretesa fiscale è sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. V, n. 20978/2013; Cass. V, n. 25500/2011; Cass. V, n. 791/2011).

La cassazione è sempre stata costante nel ritenere inammissibili nel processo tributario le domande riconvenzionali «da chiunque proposte» (Cass. V, n. 4145/2015; Cass. V, n. 20516/2006; Cass. V, n. 4334/2002; peraltro, con riferimento all'ingiunzione doganale, nonché all'ingiunzione fiscale, la giurisprudenza aveva ammesso la possibilità di domande riconvenzionali, ciò giustificando con il carattere di giudizio di accertamento dei suddetti procedimenti speciali; v. sub art. 18).

Se è vero che con le controdeduzioni non è consentito alla parte resistente sostituire la motivazione dell'atto fiscale impugnato quando mancante — ovvero correggerla o integrarla quando insufficiente (Cass. V, n. 15912/2011; Cass. V, n. 27065/2008) — debbono invece essere sempre ammesse argomentazioni giuridiche diverse da quelle contenute nell'atto fiscale impugnato ​(Cass.V, n. 17811/2016; Cass. V, n. 29613/2011; Cass. V, n. 10797/2010; Cass. V, n. 22567/2004; Cass.V, n. 13056/2004; come, del resto, debbono essere sempre consentite alla parte resistente le «mere difese» consistenti nella contestazione dei fatti allegati dal contribuente, v. Cass. V, n. 15026/2014)

 

La costituzione della parte resistente: il termine e la costituzione tardiva

Ex art. 23, comma 1 il termine di giorni sessanta - entro cui è prescritto che la parte resistente debba costituirsi e per il computo del quale debbono seguirsi le regole di cui all'art. 155 c.p.c. (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 478; questi autori, anche per l'osservazione secondo cui, trattandosi di un termine processuale, lo stesso subirà la sospensione feriale ai sensi dell'art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742; su quest'ultima questione, v. Fransoni, Il processo tributario, 440, a cura di Tesauro) — decorre come sopra anticipato dal giorno in cui il ricorso è stato notificato a mezzo ufficiale giudiziario exartt. 137 ss. c.p.c. oppure dal giorno in cui il ricorrente lo ha direttamente consegnato oppure dal giorno in cui è stato ricevuto quando il ricorrente lo abbia direttamente spedito a mezzo posta (quindi, sempre con decorrenza dal giorno nel quale la parte resistente ha avuto conoscenza del ricorso, cioè anche in caso di diretta spedizione postale del plico ai sensi dell'art. 20, al cui specifico commento si rinvia; così, Finocchiaro, Finocchiaro, 479).

Anche se l'art. 23, comma 1 non stabilisce a pena di inammissibilità il termine di giorni sessanta entro cui la parte resistente deve compiere le formalità di costituzione — formalità come veduto ancora previste dal medesimo art. 23, comma 1 — in dottrina è lo stesso controversa la sua natura perentoria dalla quale far eventualmente discendere non tanto l'impossibilità che la parte resistente possa costituirsi tardivamente e bensì la più limitata anche se altrettanto grave conseguenza che la parte resistente che si costituisce tardivamente non possa più esercitare i poteri processuali di cui all'art. 23, comma 3 per essere appunto incorsa nella decadenza (per il carattere perentorio, stabilito a pena di decadenza, del termine fissato per la costituzione della parte resistente, rilevabile d'ufficio, sono Tesauro, 155; Finocchiaro, Finocchiaro, 481; nonché, Bartolini, Repregosi, 150; Fransoni, Il processo tributario, 455, a cura di Tesauro; Giovanardi, Codice, 460, a cura di Ukmar, Tundo; secondo questi autori, appunto, la parte resistente può sì costituirsi tardivamente, per taluni di essi autori la tardiva costituzione della parte resistente non sarebbe però ammessa dopo l'inizio dell'udienza di trattazione, ma ciò comporterebbe la decadenza dall'esercizio dei poteri processuali di cui all'art. 23, comma 1 e 2, sicché la parte resistente costituitasi tardivamente potrebbe al più proporre «mere difese», nonché depositare documenti e memorie nei termini di cui all'art. 32, al cui specifico commento si rinvia; per Russo, 469, la tardiva costituzione della parte resistente potrebbe invece avvenire anche in pubblica udienza, per quest'ultima dottrina la ridetta tardiva costituzione precluderebbe alla parte resistente, quanto meno, la chiamata di terzi in giudizio; di radicale contrario avviso, invece, Bafile, 128; nonché, Bellagamba, 126, per i quali la tardiva costituzione della parte resistente, che per questi autori potrebbe anche avvenire alla udienza di trattazione, non pregiudicherebbe l'attività difensiva prevista all'art. 23, comma 2, con la conseguenza che la parte resistente tardivamente costituita potrebbe per es. sollevare eccezioni non rilevabili d'ufficio, depositare documenti ecc.).

Tale ricostruzione si basa sul tenore letterale dell'art. 23 comma 1 che non prevede, a differenza del precedente art. 22, comma 1, relativo alla costituzione del ricorrente, la sanzione dell'inammissibilità in caso del mancato rispetto del termine indicato nonché sull'esigenza di salvaguardare il diritto alla difesa di cui all'art. 24 Cost. Il problema potrebbe, piuttosto, presentarsi per gli interessi del ricorrente, spesso semplice persona fisica, in quanto permette, all'ente creditore di costituirsi a ridosso della trattazione della causa, rendendo difficoltose le controdeduzioni di parte instante. La costituzione tardiva nel contenzioso tributario non prevede, quindi, la decadenza ex articolo 167 c.p.c., poiché il rinvio a quest'ultimo, ex articolo 1, comma 2, del D.lgs 546/92, è previsto per quanto non disposto dalla legge che regolamenta il processo tributario, cioè, nel caso specifico, dall'articolo 23, che ammette perfino la mancata costituzione. Potrebbe profilarsi una disparità di trattamento della parte resistente rispetto alla parte ricorrente, al riguardo, occorre osservare che la diversità della ratio, sottesa agli artt. 22 e 23 del D.Lgs 546 del 1992, giustifica il differente regime previsto, dal momento che la costituzione in giudizio della parte ricorrente, avendo il giudizio tributario a oggetto atti amministrativi, costituisce un elemento necessario ai fini dell'instaurazione del rapporto processuale. Non sussisterebbe nemmeno la violazione dell'articolo 111 della Costituzione dal momento che dalla natura ordinatoria del termine in questione non discende un pregiudizio alle esigenze del contraddittorio, in quanto, la costituzione della parte resistente può avvenire "non sine die, bensì con modalità e tempi compatibili con le esigenze di difesa delle altre parti processuali", non essendo la natura ordinatoria del termine di costituzione del resistente idonea a pregiudicare il diritto di difesa della parte ricorrente. Secondo la recente giurisprudenza di legittimità, dalla quale non vi è motivo di discostarsi “nel processo tributario, la violazione del termine previsto dall'art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la costituzione in giudizio della parte resistente comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell'avversa pretesa, di contestare l'applicabilità delle norme di diritto invocate e di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del detto decreto(Cass.V, n. 2585/2019)

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 144 del 2006, statuendo sulla questione di legittimità costituzionale sollevata nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione all'art. 22 dello stesso decreto legislativo, promosso con ordinanza del 22 luglio 2003 dalla Commissione tributaria regionale di Napoli (procedimento tributario vertente tra Sollauto s.r.l. contro il Comune di Napoli, iscritta al n. 532/2005), stabiliva che la questione risultava manifestamente infondata, sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Cost., essendo la diversa disciplina delle conseguenze derivanti dalla tardiva costituzione evidente riflesso della ben diversa posizione che, specie in un processo di tipo impugnatorio come quello tributario, la legge coerentemente attribuisce al ricorrente ed al resistente. Il Giudice delle leggi statuiva ulteriormente che la questione è manifestamente infondata anche quanto alla violazione dei principi del giusto processo, potendo la tardiva costituzione del convenuto dar luogo, se così prevede la legge e nei limiti in cui lo prevede, a decadenze sia di tipo assertivo che probatorio, ma mai ad una irreversibile dichiarazione di contumacia, del tutto sconosciuta all'ordinamento. In altri termini, la giurisprudenza costituzionale ha espressamente ammesso la tardiva costituzione della parte resistente quale «riflesso» della diversa posizione di quest'ultima rispetto al ricorrente — per il quale ricorrente la tardiva costituzione sarebbe invece impossibile stante la peculiare forma della sua costituzione che deve avvenire ai sensi dell'art. 22 mediante deposito del ricorso notificato entro il termine perentorio stabilito dall'art. 21 — cosicché per la Corte cost. la tardiva costituzione della parte resistente può soltanto dar luogo alle decadenze assertive e probatorie ex lege previste e giammai ad un'irreversibile contumacia (così, Corte cost. n. 144/2006, in modo conforme alla prevalente dottrina, appena sopra rammentata).

Coerentemente la cassazione ha così affermato che la «costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell'art. 23 d.lgs. n. 546/1992, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l'applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 d.lgs. n. 546/1992» (Cass. V, n. 27474/2016; Cass. V, n. 2925/2010, anche per l'importante affermazione, che ben può la parte resistente costituirsi tardivamente alla pubblica udienza, partecipando alla discussione orale, ma facendo valere solo «mere difese»; Cass. V, n. 24457/2008; Cass. V, n. 18962/2005; Cass. V, n. 21212/2004).

Ed altrettanto coerentemente la cassazione ha affermato che seppure costituitasi tardivamente — ma anteriormente alla fissazione della data di trattazione ai sensi dell'art. 30 al cui specifico commento si rinvia — la parte resistente avrebbe dovuto ricevere l'avviso di trattazione di cui all'art. 31 cosicché in mancanza il processo doveva giudicarsi affetto da nullità (Cass. VI, n. 4712/2013; Cass. V, n. 21059/2007, quest'ultima resa in fattispecie di giudizio d'appello).

La contumacia della parte resistente

La parte resistente ricevuta la notificazione del ricorso potrebbe anche scegliere di non costituirsi ponendosi in tal caso il problema - nel silenzio della legge tributaria — della applicazione del processo contumaciale disciplinato dal codice di procedura civile ed eventualmente in quale misura (che la parte resistente possa decidere di non costituirsi, è ammesso dalla unanime dottrina; tra gli altri, Tesauro, 2013, 155; Russo, 469; BatistoniFerrara, Bellè, 106; Finocchiaro, Finocchiaro, 481; Bafile, 127).

Secondo autorevole dottrina non vi sarebbe incompatibilità assoluta tra la disciplina del processo contumaciale del convenuto prevista dal codice di procedura civile ed il «contenzioso tributario» (giusto l'ampio rinvio al codice di procedura civile contenuto nell'art. 1, comma 2, salva la generale clausola di compatibilità; Finocchiaro, Finocchiaro, 481). Cosicché si è per es. ritenuto applicabile l'art. 291, comma 1, c.p.c. — soprattutto perché pronunciare sentenza senza disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso viziata da nullità darebbe luogo alla violazione del contraddittorio imposto invece dall'art. 101 c.p.c. norma di rilevanza costituzionale — mentre per la medesima dottrina sarebbe inapplicabile l'art. 292 c.p.c. non potendosi comunicare o notificare alla parte resistente contumace l'ammissione dell'interrogatorio e del giuramento in quanto tali prove non sono previste dal rito tributario e perché i nuovi motivi sarebbero aggiunti in violazione dell'art. 24 con dovere del giudice di dichiararli inammissibili ex officio (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 482, che sembrano, inoltre, seppure con qualche perplessità, ritenere applicabile l'istituto della rimessione in termini del contumaceexart. 294 c.p.c.; favorevoli alla applicazione delle regole del processo contumaciale stabilite dal codice di procedura civile al processo tributario, salve le diverse vedute circa la compatibilità ex art. 1, comma 2, sono, inoltre, Giovanardi, Codice, 462, a cura di Ukmar, Tundo; nonché, Socci, Sandulli, 149; Fransoni, Il processo tributario, 468, a cura di Tesauro; Glendi, Giust. trib., 1998, 556). Secondo altra dottrina, invece, il processo contumaciale previsto dal codice di procedura civile, non potrebbetout courtapplicarsi alla parte resistente non costituitasi, (così, Russo, 469, stante il silenzio della legge processuale tributaria, nonché per il fatto che la parte resistente «non costituita» non partecipa in alcun modo al processo, come testimonierebbero le disposizioni che, v. più sotto, non consentono alcuna comunicazione e notificazione alla parte resistente rimasta «contumace»; in questo senso, anche Bafile, 129; Falsitta, I, 593).

Alla parte resistente «contumace» — cioè non costituitasi ai sensi dell'art. 23 in commento — non dovrà comunicarsi l'avviso di fissazione dell'udienza di trattazione che dall'art. 31 è difatti previsto soltanto per le parti costituite e nemmeno dovrà notificarsi l'istanza di fissazione della pubblica udienza di discussione che dall'art. 33 è di nuovo prevista solo per le parti costituite e neanche dovrà comunicarsi il dispositivo della sentenza depositata che l'art. 37 ancora una volta prevede unicamente per le parti costituite ed infine ai sensi dell'art. 44 la rinuncia al ricorso estinguerà il giudizio senza accettazione della parte resistente non costituitasi (Tesauro, 2013, 155; Russo, 469; Fransoni, 458, a cura di Tesauro; BatistoniFerrara, Bellè, 107).

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la mancata costituzione della parte resistente in primo grado — non comportando alcuna sanzione processuale — non preclude alla ridetta parte resistente di contestare in appello l'esistenza dei fatti che il contribuente aveva allegato a sostegno del ricorso (Cass. V, n. 22010/2013).

Bibliografia

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