Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 24 - Produzione di documenti e motivi aggiunti 1 2 .

Ernestino Bruschetta

Produzione di documenti e motivi aggiunti12.

1. I documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti.

2. L'integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito.

3. Se è stata già fissata la trattazione della controversia, l'interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiunti. In tal caso la trattazione o l'udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente.

4. L'integrazione dei motivi si effettua mediante atto avente i requisiti di cui all'art. 18 per quanto applicabile. Si applicano l'art. 20, commi 1 e 2, l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 5, e l'art. 23, comma 3.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 70 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento

Nell'ambito del processo tributario è centrale il principio di immodificabilità della domanda. Infatti, al ricorrente è fatto divieto, salvo naturalmente che si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio, di integrare i motivi già evidenziati nell'atto introduttivo del giudizio. L'unica eccezione, in virtù del disposto di cui all'articolo 24 del Dlgs 546/1992, è rappresentata dalla possibilità, per il ricorrente, di integrare i motivi, originariamente dedotti, nel caso in cui tale esigenza sia sorta in relazione al deposito di documenti non conosciuti, ad opera delle altre parti processuali o per ordine della Corte di giustizia tributaria. La disposizione — oltre a disciplinare la produzione dei documenti — stabilisce a quali condizioni i motivi del ricorso possono essere integrati e con quali forme ed entro quali termini a seconda delle diverse fattispecie.

È bene precisare che la sopravvenuta incostituzionalità della norma oggetto della lite, così come il suo mutamento da parte del Legislatore o la contrarietà della norma interna con il diritto europeo, non costituiscono integrazione dei motivi.

Sotto il profilo strettamente procedurale, la proposizione dei motivi aggiunti rispecchia le regole di forma ed i termini di presentazione del ricorso principale (articolo 18,21 e 22 D.Lgs. n. 546 del 1992).

Va inoltre considerato che, in vigenza della precedente disciplina sulla produzione dei nuovi documenti in appello ex art. 58 del D.Lgs 546 del 1992, attraverso la produzione di nuovi documenti non era comunque consentito introdurre surrettiziamente un motivo nuovo di ricorso rispetto a quelli già dedotti con l'atto introduttivo del giudizio: a ciò ostando il restrittivo regime di produzione di nuovi motivi previsto dal comma 2 dell'articolo 24 del D.Lgs. n. 546/1992.

A seguito dell'introduzione del divieto di produzione di nuovi documenti in appello ex art. 58 comma 1 del D.Lgs n.546 per effetto del D.Lgs 30 dicembre 2023 n. 220, il nuovo comma 2 del citato articolo recita “possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati.” 

Occorre tuttavia considerare che, quanto segue, deve essere letto alla luce dell'introduzione del processo tributario telematico e che pertanto, molti degli approfondimenti di seguito illustrati, si riferiscono alle modalità analogiche utilizzate in precedenza; tuttavia, i contenuti di detti approfondimenti possono comunque essere trasposti in linea generale e per quanto compatibili alla modalità telematica.

La produzione documentale: i documenti

L'art. 24, comma 1 stabilisce con quali forme il ricorrente — ma anche la parte resistente — possono produrre in giudizio i documenti.

Secondo quanto previsto dall'art. 22, comma 4 i documenti possono essere prodotti — oltre che in originale - anche in fotocopia e salvo l'ordine del giudice di esibizione dell'originale in caso di contestazione di conformità ai sensi dell'art. 22, comma 5, al cui specifico commento si rinvia (per tale rilievo, Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 492). Ai sensi degli artt. 19 e 31 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 il segretario della commissione tributaria non può rifiutare la produzione di documenti non in regola con l'imposta del bollo e bensì deve inviarli alla competente agenzia fiscale per la loro regolarizzazione (Finocchiaro, Finocchiaro, 492; Bartolini, Repregosi, 153).

Tra i documenti per i quali sono dettate le forme di produzione di che trattasi non rientrano i testi normativi - e nemmeno vi rientrano la giurisprudenza, la dottrina e le circolari — che sono sempre acquisibili dal giudice ex officio e in conseguenza in qualsiasi momento producili dalle parti (Finocchiaro, Finocchiaro, 492).

La produzione documentale: il termine e la forma

I documenti — che le parti possono produrre al momento della loro costituzione secondo quanto prescritto dagli artt. 22 e 23 al cui specifico commento si rinvia — possono anche essere prodotti successivamente ma «fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione», come in effetti stabilito dall'art. 32, comma 1 al cui specifico commento si rinvia (secondo Finocchiaro, Finocchiaro, 492, l'art. 32, comma 1 stabilirebbe il «termine ultimo», quindi perentorio, entro cui sarebbero possibili le produzioni documentali; conforme, Tesauro, 2013, 160). La produzione documentale successiva alla costituzione delle parti non è normativamente pregiudicata dalla circostanza che «i nuovi documenti» non siano stati precedentemente indicati in ricorso — ovvero dalla circostanza che non siano stati precedentemente indicati nelle controdeduzioni — cosicché la successiva produzione di documenti non è in alcun modo limitata (ovviamente, ma la questione riguarda più propriamente il merito della controversia, i «nuovi documenti» sarebbero inammissibili se prodotti a sostegno di «nuovi motivi» proposti in violazione dell'art. 24, comma 2 ss., il quale detta la disciplina dei cosiddetti «motivi aggiunti», per il cui commento v. più sotto; Finocchiaro, Finocchiaro, 493).

Ex art. 24, comma 1 la forma della produzione dei documenti «allegati agli atti di parte» — cioè la forma dei documenti che sono prodotti con il ricorso, con le controdeduzioni e con le memorie — consiste nell'elencarli all'interno dei ridetti «atti di parte» (secondo Finocchiaro, Finocchiaro, 493, questi documenti andrebbero, in realtà, nei suddetti «atti di parte», anche «puntualmente descritti»).

Diversamente — cioè quando i documenti vengono prodotti «separatamente» ai ridetti «atti di parte» — i documenti medesimi debbono essere elencati «in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti» (la nota andrebbe sottoscritta dalla parte che sta in giudizio personalmente, altrimenti dovrebbe essere sottoscritta dal difensore che l'assiste; così, Finocchiaro, Finocchiaro, 493). Dall'art. 24, comma 1 non è invece previsto che — oltre al deposito dell'originale o della fotocopia del documento secondo quanto stabilito dall'art. 22, comma 4 al cui commento si rinvia — debbano anche depositarsi un numero di copie del documento pari a quello delle «altre parti» che stanno in giudizio (le «altre parti», pertanto, dovranno chiedere al segretario il rilascio di «copia autentica» dei documenti, previo pagamento delle spese, al quale l'ufficio non è però tenuto; così, Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 494). In dottrina si è posto il problema delle conseguenze che possono derivare dalla omissione della «apposita nota» — ovvero dall'omesso deposito di un numero di copie in carta semplice della «apposita nota» pari a quello delle «altre parti» — affermandosi che pur in assenza di previsione di una specifica sanzione la violazione di tali prescrizioni stabilite dall'art. 24, comma 1 darebbe luogo ad una nullità processuale rilevabile dal giudiceex officio in ragione della lesione del principio del contraddittorio discendente dalla circostanza che le «altre parti» non avrebbero possibilità di difesa in relazione a documenti della cui produzione niente potrebbero sapere (salvo, così Finocchiaro, Finocchiaro, 495, che le «altre parti», difendendosi sullo specifico punto, dimostrino che sui documenti prodotti, per i quali è stata omessa la nota, ovvero per i quali sia stato depositato un numero insufficiente di copie in carta semplice della stessa, si sia concretamente realizzato il contraddittorio ex art. 101 c.p.c.; egualmente, Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 102, anche per l'osservazione per cui, in caso di rilievo della predetta violazione, il giudice non potrà tenere conto dei documenti in questo modo irritualmente introdotti in giudizio; così, anche, Tesauro, 2013, 160; nonché, Trombella, Riv. dir. trib., 2005, 927).

Secondo la dottrina l'originale della «apposita nota» — e le copie in carta semplice della stessa previste in numero pari a quello delle «altre parti» — andrebbero inseriti nel fascicolo d'ufficio per consentirne il ritiro (Finocchiaro, Finocchiaro, 494). Pur in assenza di espressa disposizione si è affermato che la parte quando ritira la copia in carta semplice della «apposita nota» — ovvero quando provvede al ritiro degli atti delle «altre parti» contenenti l'elenco dei documenti allegati — dovrebbe rilasciare ricevuta «sul fascicolo d'ufficio o sull'originale» dell'atto contenente l'elenco dei documenti (questo perché, per es., dalla ricevuta di ritiro delle controdeduzioni contenente l'elencazioni dei documenti, dovrebbe farsi decorrerebbe il perentorio termine di giorni sessanta, entro il quale esercitare il potere di integrare i motivi ai sensi dell'art. 24, comma 2 ss., al cui commento più sotto si rinvia; così, Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 494; prescindono dalla necessità della ricevuta, invece, Trombella, Riv. dir. trib. 2005, 927; Basilavecchia, 94, sostenendosi, da questi autori, che il termine perentorio di giorni sessanta per l'integrazione dei motivi stabilito dall'art. 24, comma 2, decorrerebbe automaticamente ex lege, dallo scadere del termine per la produzione dei documenti, stabilito dall'art. 32, comma 1, al cui commento si rinvia, «fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione»).

La giurisprudenza ha avuto occasione di confermare il carattere perentorio - cioè posto a pena di decadenza — del termine stabilito dall'art. 32, comma 1 per la produzione dei documenti, «fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione», con le forme prescritte dall'art. 24, comma 1 (Cass.V, n. 3661/2015; Cass. V, n. 655/2014; Cass. V, n. 20109/2012; Cass. V, n. 23580/2009; Cass.V, n. 2787/2006; tutte peraltro rese in fattispecie di produzione documentale in grado d'appello; Cass. V, n. 7329/2003).

Anche per la giurisprudenza — come per la rammentata dottrina — «i documenti non elencati negli atti di parte a cui sono allegati o, se prodotti separatamente, non elencati in apposita nota sottoscritta e depositata in originale, in violazione dell'art. 24 del d.lgs. n. 546/1992, non possono essere posti dal giudice a fondamento del proprio convincimento, a meno che la parte legittimata a far valere l'irregolarità non ne abbia accettato, anche implicitamente, il deposito, prendendone contezza ed assumendo posizione sulla loro efficacia probatoria, senza nulla eccepire relativamente alla loro irrituale produzione» (Cass. V, n. 3593/2017).

È stato inoltre precisato che il contribuente — una volta effettuata la produzione documentale nel rispetto dell'art. 24, comma 1 — non ha alcun dovere di invitare la parte resistente a prenderne visione nella segreteria della commissione tributaria (Cass. V, n. 4605/2008).

L'integrazione dei motivi: la funzione e le condizioni

Dall'art. 24, comma 2 — che ammette «l'integrazione» dei motivi del ricorso soltanto quando ciò sia reso necessario « dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione» — si è ricavata la fondamentale regola secondo cui il contribuente non può «ampliare ilpetitum» e nemmeno proporre censure diverse da quelle che già aveva proposto con i motivi di ricorso (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 496, per i quali, pertanto, non possono essere ammessi «nuovi motivi», intesi cioè a modificare l'oggetto della domanda, nonché intesi a proporre censure diverse da quelle già proposte, essendo appunto consentita la sola «integrazione» dei motivi originariamente indicati in ricorso ex art. 18, al cui specifico commento sia rinvia; in questo senso, Bellagamba, 128; Bartolini, Repregosi, Il codice, 154; diversamente, ma isolatamente, Patrone, in Il nuovo processo, a cura di Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, 103, che distingue, la «integrazione dei motivi», che spetterebbe solo al ricorrente, dai «motivi aggiunti», quindi «nuovi», che spetterebbero invece alle «altre parti»). Dall'art. 24, comma 2 — per cui appunto il contribuente può integrare i motivi del ricorso unicamente quando ciò sia reso necessario dal deposito di documenti non conosciuti — è stato fatto quindi discendere il carattere eccezionale della disposizione pertanto non applicabile fuori della fattispecie specificatamente prevista (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 496).

Quanto alle condizioni si è in primo luogo precisato che le «altre parti» — quelle cioè che ai sensi dell'art. 24, comma 2 possono depositare quei documenti sconosciuti al ricorrente che autorizzano quest'ultimo ad «integrare» i motivi — sono sia la parte resistente sia tutte le altre parti chiamate o intervenute (non, invece, il ricorrente, ciò anche se quest'ultimo produce documenti che non conosceva al momento della proposizione del ricorso; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 497; i quali autori, escludono altresì che tra le «altre parti» siano da comprendersi i contribuenti che abbiamo presentato un unico ricorso, perché in questo caso si tratterebbe in realtà di una sola parte, anche se composta da una pluralità di soggetti).

La dottrina ha inoltre evidenziato che tra la produzione dei documenti non conosciuti — e il potere di «integrare i motivi» — deve necessariamente esistere «un nesso di diretta derivazione» che ne giustifichi l'esercizio (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 497). Infine si è ritenuto che l'art. 24, comma 2 debba essere interpretato nel senso che i «documenti non conosciuti» dal ricorrente non devono essere fatti coincidere con quelli che dal medesimo non sono stati prodotti — ben potendo anche i documenti non prodotti essere in realtà conosciuti o conoscibili dal contribuente — ma che tali sono solo quei documenti non prodotti che dal contribuente non potevano essere conosciuti usando la normale diligenza (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 498; si è poi sostenuto, Pistolesi, Riv. dir. trib. 2011, 1914, che documenti sconosciuti che autorizzerebbero il contribuente ad integrare i motivi, potrebbero anche essere quelli esibiti dall'ufficio in sede di reclamo ai sensi dell'art. 17bis, al cui specifico commento si rinvia; conforme, Bruzzone, Corr. trib., 2012, 710).

La giurisprudenza ha avuto più volte occasione di affermare il principio secondo cui — fuori delle ristrette condizioni stabilite dall'art. 24, comma 2sono inammissibili «nuovi motivi» che fondandosi su fatti diversi introducano in giudizio censure che non potevano essere comprese nell'originaria domanda (Cass.V, n. 15051/2014; Cass. V, n. 23326/2013; Cass. V, n. 21779/2012; Cass. V, n. 20433/2011; Cass. V, n. 19337/2011; Cass. V, n. 13934/2011; Cass. V, n. 12442/2011; Cass. V, n. 8177/2011; Cass.V, n. 25622/2006; Cass. V, n. 18802/2006; Cass. V, n. 14026/2006, anche per rilievo che i «nuovi motivi», formulati fuori dalle previsioni di cui all'art. 24, comma 2 ss., debbono andare dichiarati inammissibili anche in caso di accettazione del contraddittorio della parte resistente; Cass. V, n. 24970/2005; v., inoltre, Cass. V, n. 13742/2015; Cass. V, n. 22662/2014; Cass. V, n. 20928/2014; Cass. V, n. 9754/2003, quest'ultime tutte rese, peraltro, in fattispecie di giudizio d'appello). Va tuttavia evidenziato che la giurisprudenza — con ciò introducendo una evidente eccezione pretoria al divieto dei «nuovi motivi» — ha ritenuto che quando in una causa di valore superiore a € 2.582,28 «la parte, dopo aver proposto personalmente il ricorso, ne sani l'irritualità munendosi di assistenza tecnica, deve essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa, senza che la stessa sia limitata da precedenti impostazioni del contribuente difesosi personalmente» (Cass. V, n. 23315/2013). È stato infine altresì ammesso contro un medesimo atto fiscale possa proporsi un secondo ricorso - quando non sia ancora scaduto il termineex art. 21 — contenente «nuovi motivi» rispetto al primo (Cass. V, n. 15441/2010; Cass. V, n. 8234/2008; questo anche se il primo ricorso sia stato estinto per rinuncia, Cass. V, n. 8182/2007).

 

 

 

 

L'integrazione dei motivi: i termini e le forme della dichiarazione del ricorrente

Secondo quanto previsto dall'art. 24, comma 2 l'integrazione dei motivi — prima che il presidente della sezione abbia fissato l'udienza di trattazione ai sensi dell'art. 30 al cui commento si rinvia — è ammessa entro il termine perentorio di giorni sessanta decorrenti dal giorno in cui il ricorrente ha avuto «notizia» del deposito del documento sconosciuto (indiscutibile, in quanto espressamente stabilito dall'art. 24, comma 2, in commento, il carattere perentorio del termine di che trattasi, quindi previsto a pena di decadenza dal potere di integrare i motivi; v. Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 498). Secondo una parte della dottrina la disposizione — che solo in apparenza sarebbe di piana applicazione — costringerebbe in realtà a distinguere tra le diverse fattispecie. Secondo questa parte della dottrina difatti se il documento sconosciuto è prodotto dalla parte resistente — ovvero dai chiamati in giudizio — il termine di giorni sessanta dovrebbe essere fatto decorrere dalla data in cui il contribuente ritira dalla segreteria della commissione tributaria la copia dell'atto in cui è elencato il documento ovvero dalla data in cui il contribuente ritira dalla segreteria della commissione tributaria la copia in carta semplice della nota in cui è elencato il documento ai sensi dell'art. 24, comma 1. Laddove invece quando il documento sconosciuto viene prodotto da chi interviene volontariamente in giudizio — atteso che costui dovrà notificare alle altre parti l'atto di intervento ai sensi dell'art. 14, comma 5, al cui specifico commento si rinvia — il termine di giorni sessanta dovrebbe essere fatto decorrere dalla data di notificazione dell'atto di intervento (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 499; Glendi, Commentario, 332, a cura di Consolo, Glendi). Diversamente — secondo altra parte della dottrina — il termine di giorni sessanta entro cui possono essere integrati i motivi del ricorso dovrebbe invece essere fatto decorrere dallo scadere del perentorio termine per la produzione dei documenti, stabilito dall'art. 32, comma 1 «fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione», al cui commento si rinvia (Trombella, Riv. dir. trib., 2005, 927; Basilavecchia, Funzione impositiva, 94).

Dall'art. 24, comma 3 è invece previsto che — quando l'udienza di trattazione sia già stata fissata dal presidente della sezione ai sensi dell'art. 30, al cui specifico commento si rinvia — «l'interessato» debba a pena di inammissibilità dichiarare «l'intenzione» di integrare i motivi del ricorso «non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza» (anche in questo caso, quindi, trattasi di un termine perentorio, in quanto espressamente stabilito a pena di inammissibilità, cioè a pena decadenza dal potere di integrare i motivi del ricorso; v., Muleo, Boll. trib. 1996, 1257). In dottrina si è a riguardo in primo luogo osservato che — seppure l'art. 24, comma 3 possa sembrare prevedere che la manifestazione dell'intenzione di integrare i motivi debba essere soltanto fatta con «dichiarazione» orale — nel caso in cui la trattazione della controversia fosse in camera di consiglio il contribuente o il suo difensore quando assistito dovrebbero invece almeno il giorno prima della trattazione camerale presentare nella segreteria della commissione tributaria una istanza scritta contenente la manifestazione dell'intenzione di avvalersi della facoltà di integrare i motivi del ricorso con contestuale richiesta di differimento dell'udienza (Finocchiaro, Finocchiaro, 499, spiegando la soluzione, in ragione della circostanza che la trattazione in camera di consiglio, non prevedendo la partecipazione delle parti, impone necessariamente l'istanza scritta; i quali autori, inoltre, escludono che l'istanza scritta in parola sia assoggettabile al termine acceleratorio di giorni cinque prima della trattazione in camera di consiglio, previsto dall'art. 32, comma 3, al cui specifico commento si rinvia, entro cui le parti possono depositare «brevi repliche scritte», questo perché il termine per l'integrazione dei motivi è, in effetti, quello appena veduto stabilito a pena di inammissibilità dall'art. 24, comma 3; v., per conformi considerazioni, Muleo, Boll. trib. 1996, 1257; nonché, Rau, Alemanno, 113).

Diversamente nell'altra ipotesi prevista dall'art. 24, comma 3 — quando cioè sia già stata fissata l'udienza di discussione — la dichiarazione con la quale manifestare l'intenzione di integrare i motivi con la contestuale richiesta di differimento dell'udienza potrà essere presentata sia con istanza scritta da depositarsi nella segreteria della commissione tributaria e sia oralmente alla stessa udienza di discussione ma sempre prima dell'inizio della discussione medesima (Finocchiaro, Finocchiaro, 500; Muleo, Boll. trib., 1996, 1257). Anche i termini previsti dall'art. 24, comma 3 sono perentori — in quanto il loro rispetto è espressamente previsto a pena di inammissibilità — cosicché anche in questo caso l'inerzia del ricorrente comporterebbe la decadenza dal potere di integrare i motivi (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 500, che anche escludono che il contribuente possa formulare la manifestazione di integrare i motivi, con contestuale richiesta di differimento dell'udienza, subordinatamente al mancato accoglimento del ricorso, anche perché in questo caso l'udienza si sarebbe da ritenersi già conclusa).

Secondo la dottrina anche nel caso di differimento dell'udienza camerale o pubblica - quindi anche quando i documenti sconosciuti siano stati depositati dopo la fissazione della trattazione in camera di consiglio o in pubblica udienza — il termine di giorni sessanta per integrare i motivi del ricorso dovrebbe essere fatto decorrere dal giorno in cui il ricorrente ha avuto notizia del deposito (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 503, che in questo modo, cioè nel senso dell'esistenza di un unitario combinato disposto, interpretano l'art. 24, comma 2 e 3, negando in particolare che il differimento dell'udienza introduca un diverso termine entro cui effettuare l'integrazione dei motivi; si è in proposito ritenuto che quando il documento sconosciuto sia stato depositato a seguito di ordine del giudice, il termine di giorni sessanta entro cui integrare i motivi del ricorso, dovrebbe farsi decorrere dallo scadere del termine fissato per la produzione, perché è da quest'ultimo che il ricorrente può sapere con certezza, recandosi come suo dovere nella segreteria della commissione tributaria, se il documento è stato depositato, così Muleo, Boll. trib. 1996, 1257; Trombella, Riv. dir. trib. 2005, 927).

Dalla natura perentoria dei veduti termini deve farsi discendere la conseguenza che il contribuente — una volta decadutonon dovrebbe perciò essere più ammesso ad integrare i motivi di ricorso in grado d'appello (così, Finocchiaro, Finocchiaro, 501, che nemmeno ammettono la rimessione in termini, causa la «forza maggiore», con opinione peraltro non più attuale, a seguito delle più recenti riforme del combinato disposto exartt. 153 e 294 c.p.c.; per l'assoluta impossibilità di integrare di motivi in grado d'appello, v. comunque Glendi, Giur. trib., 2001, 106; cui si contrappone l'altra idea, Pistolesi, L'appello, 2002, 344, secondo cui, quando le «altre parti», come sarebbe possibile ai sensi dell'art. 58, comma 2, al cui commento si rinvia, depositino documenti sconosciuti, l'integrazione dei motivi dovrebbe ritenersi possibile anche in appello). I termini di cui trattasi — avendo natura processuale — dovrebbero comunque essere assoggettati alla sospensione feriale ai sensi dell'art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742 (Finocchiaro, Finocchiaro, 503).

In tema di contenzioso tributario, la decadenza dell'Amministrazione dal potere di accertamento, non rilevabile d'ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l'integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall'art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere

ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell'Amministrazione di accettazione del contraddittorio

nel merito (Cass. Sez. V, n. 16803/2017).

Nell'Ordinanza 24 maggio 2021, n. 14165, la Corte di cassazione ha ricordato che l'art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, consente la proposizione di “motivi aggiunti” (solo) nel primo grado del processo avanti alle Commissioni tributarie alla stretta condizione che essa sia “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti ... entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l'interessato ha notizia di tale deposito”. In giurisprudenza, viene pacificamente rilevato che “nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria ex art. 32, D.Lgs. n. 546 del 1992, di un nuovo motivo di illegittimità dell'avviso di accertamento ... in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la "causa petendi" entro i cui confini si chiede l'annullamento dell'atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall'art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992" (cfr. Cass. n. 19616 del 24/07/2018; n. 31605 del 4/12/2019).  Detto orientamento si pone nel solco  interpretativo già tracciato dalla Corte di Cassazione la quale ha confermato, quindi, che il contribuente che a seguito di deposito in primo grado di documenti sconosciuti non provveda all'integrazione dei motivi nelle forme richieste dall'art. 24, comma 2 ss. — attesa la perentorietà dei termini stabiliti dal medesimo art. 24, comma 2 ss. — non può più farlo in grado d'appello per essere appunto incorso nella decadenza (Cass. V, n. 8398/2013). Accendendo a tale interpretazione, quindi, l'integrazione dei motivi può avvenire solo dinanzi la Commissione tributaria provinciale, posto che l'oggetto del processo di appello concerne il thema decidendum fissato dalle parti in primo grado (Cass.V, n. 23326/2013).

L'orientamento contrario del Supremo Collegio (Cass. V, sentenza n. 17373/2020), statuisce che la previsione di integrazione dei motivi di ricorso inserita nel capo I della normativa sul processo tributario dedicata specificatamente al procedimento di primo grado deve ritenersi applicabile anche al giudizio di appello in virtù del rimando di cui all' articolo 61 D.Lgs 546/1992.

La giurisprudenza di legittimità aveva individuato una casistica di ipotesi in cui il giudice è chiamato ad ammettere l'integrazione dei motivi che non erano proponibili al momento di notificazione del gravame in quanto l'appellante non era a conoscenza del contenuto integrale o parziale di determinati atti.  

Con la sentenza n. 17373/2020 la Cassazione ha riconosciuto il diritto del contribuente di formulare motivi aggiunti avverso gli atti impugnati, per l'assorbente considerazione che l'ufficio resistente in primo grado aveva depositato gli atti rilevanti (nella fattispecie rappresentati dalla memoria di costituzione con i relativi allegati tra cui la relata di notifica della cartella impugnata) ben oltre i termini fissati per la sua costituzione in giudizio e finanche per la produzione - entro venti giorni prima dell'udienza di discussione - di nuovi documenti ex articolo 32, comma 1, D.Lgs. 546/1992, non consentendo al ricorrente di sollevare in quella sede vizi in ordine all'avviso di ricevimento della notifica della cartella impugnata.  La Corte, muovendo dal presupposto secondo il quale l'istituto in esame ha la finalità di reintegrare il corretto contraddittorio tra le parti processuali, ha ritenuto il contribuente, il quale venga a conoscenza di atti o documenti (elemento soggettivo) a seguito del deposito in giudizio (elemento oggettivo), legittimato, in parziale deroga all'articolo 57, comma 2, D.Lgs. 546/1992, all'integrazione dei motivi anche in secondo grado laddove risulti che il ricorso in appello rappresenti il primo atto difensivo con il quale il contribuente venga posto in condizione di proporre motivi aggiunti avverso l'atto impositivo impugnato.

L'integrazione dei motivi: il provvedimento di differimento dell'udienza e le forme dell'integrazione dei motivi

Il differimento dell'udienzaex art. 24, comma 3, ultima alinea — per cui a seguito della presentazione della dichiarazione contenente l'intenzione di voler integrare i motivi del ricorso «la trattazione o l'udienza debbono essere rinviate ad altra data per consentire gli adempimenti di cui al comma seguente» — rappresenta un diritto del contribuente quando ovviamente sussistano le sopra vedute prescritte condizioni (non avendo il giudice, a questo riguardo, alcuna discrezionalità; così, Finocchiaro, Finocchiaro, 501, secondo cui, pertanto, la mancata concessione del differimento dell'udienza, nella sussistenza delle vedute prescritte condizioni, comporterebbe un vizio di attività del giudice, con la conseguente nullità processuale, da far valere con l'ordinario sistema di impugnazioni; laddove, al contrario, qualora non sussistessero le condizioni ex lege stabilite per poter integrare i motivi di ricorso, i «motivi aggiunti» dovrebbero perciò essere dichiarati inammissibili; per pressoché conformi conclusioni, v., anche, Muleo, Boll. trib., 1996, 1257; nonché, Rau, Alemanno, Il nuovo contenzioso, 113; v., inoltre, Pistolesi, L'appello, 2002, 384; nonché, Glendi, Giur. trib., 2001, 106, nel parzialmente diverso senso che il vizio darebbe luogo ad una violazione del contraddittorio, comportante la rimessione al primo giudice, ai sensi dell'art. 59, comma 1, al cui specifico commento deve farsi rinvio). Per ragioni di economia processuale è stato anche consigliato di differire l'udienza a nuovo ruolo — piuttosto che ad udienza fissa — perché ciò permetterebbe la più pronta fissazione della trattazione nell'ipotesi in cui il ricorrente avesse omesso taluno dei complessi adempimenti stabiliti dalle rammentate disposizioni entro termini prescritti a pena di inammissibilità (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 502).

Dall'art. 24, comma 4 è stabilito che l'integrazione dei motivi deve avvenire con un «atto avente i requisiti dell'art. 18 per quanto applicabile» - e da notificarsi con le forme previste per la proposizione del ricorso dall'art. 20, comma 1 e 2 al cui specifico commento si rinvia — mentre per il suo deposito nella segreteria della commissione tributaria unitamente ai documenti allo stesso allegati debbono osservarsi le forme stabilite dall'art. 22, comma 1, 2,3 e 5 per la costituzione del ricorrente ed al cui specifico commento si rinvia (Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario, 504, che, nella sostanza ritengono necessario che «l'atto di integrazione dei motivi» debba indicare ciò espressamente, per evitare il pericolo che l'atto venga scambiato dalla commissione tributaria per una memoria utilizzata in modo inammissibile per integrare i motivi del ricorso; per Tesauro, Manuale, 158, «l'atto di integrazione dei motivi», quando il contribuente sia già assistito dal difensore, non abbisognerebbe di una nuova procura). Le notifiche dell'atto di integrazione dei motivi in quanto successive all'introduzione del giudizio — fatta sempre «salva la consegna a mani proprie» — andrà eseguita nei luoghi stabiliti dall'art. 17 al cui specifico commento si rinvia (Finocchiaro, Finocchiaro, 505; oltre che nei confronti di tutte le parti che partecipano al giudizio, così Rau, Alemanno, 112).

L'art. 24, comma 4 richiama infine l'art. 23, comma 3, al cui specifico commento si rinvia, autorizzando quindi le «altre a parti» — a seguito della notificazione «dell'atto di integrazione» dei motivi del ricorso — a difendersi mediante controdeduzioni con ciò esercitando i poteri riconosciuti dalla disposizione (Russo, 484).

Bibliografia

Bartolini, Repregosi, Il codice del nuovo contenzioso tributario, Piacenza, 1996; Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2009; Bellagamba, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1993; Consolo, Glendi, (a cura di), Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012; Finocchiaro, Finocchiaro, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996; Gilardi, Loi, Patrone, Scuffi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1993; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002; Rau, Alemanno, Il nuovo contenzioso tributario, Torino, 1996; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1996; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2013.

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