Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 25 - Iscrizione del ricorso nel registro generale. Fascicolo d'ufficio del processo e fascicoli di parte.Iscrizione del ricorso nel registro generale. Fascicolo d'ufficio del processo e fascicoli di parte12. 1. La segreteria della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado iscrive il ricorso nel registro generale e forma il fascicolo d'ufficio del processo, inserendovi i fascicoli del ricorrente e delle altre parti, con gli atti e i documenti prodotti, nonché, successivamente, gli originali dei verbali di udienza, delle ordinanze e dei decreti e copia delle sentenze. 2. I fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d'ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo. Le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d'ufficio 3. 3. La segreteria sottopone al presidente della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado il fascicolo del processo appena formato.
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 71 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma modificato dall'articolo 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, a decorrere dal 1° luglio 2002. Inquadramento.L'articolo descrive gli adempimenti formali che devono essere eseguiti dalla Segreteria della Corte di giustizia tributaria seguito al deposito di un ricorso, ovvero l'iscrizione di quest'ultimo nel registro generale e la formazione del relativo fascicolo d'ufficio (iniziando con i fascicoli di parte contenenti gli atti già pervenuti), per essere successivamente sottoposto al Presidente della Corte di giustizia tributaria affinché questi lo assegni ad una delle Sezioni della stessa Corte di giustizia tributaria. La disposizione in esame costituisce l'equivalente dell'art. 168 c.p.c. che disciplina i medesimi incombenti nella procedura civile; se ne differenzia, tuttavia, non prevedendo fin dall'entrata in vigore del d.lgs. 546/1992 il deposito della nota d'iscrizione a ruolo (N.I.R.) da inserire nel fascicolo del processo. Solo qualche decennio dopo, infatti, essa è stata introdotta dall'articolo 22, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 546/1992 (così come modificato dall'articolo 2, comma 35-quater, lett. c) del d.l. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 216 del 16 settembre 2011). Iscrizione a ruolo del ricorsoL'incipit del comma 1 fa carico alla Segreteria della Corte di giustizia tributaria di iscrivere nel registro generale (R.G.R.) il ricorso non appena ricevuto in deposito. Tale adempimento dei segretari prescinde da qualsiasi verifica sulla forma o sul merito del ricorso, atteso che si tratta di un mero atto dovuto e che non preclude la possibilità di rilevarne in un secondo momento eventuali irregolarità (V. Galluzzi, in Baglione — Menchini — Miccinesi, Il nuovo processo tributario, 2004, Milano, 307); lo stesso comma 3 dell'articolo in esame, infatti, rinvia tale più approfondito esame alla competenza del Presidente della Sezione (art. 27) a cui il ricorso verrà assegnato per la trattazione dal Presidente della Corte di giustizia tributaria ai sensi dell'art. 26, dopo che il fascicolo del processo gli sarà stato sottoposto, per quanto di sua ritenuta competenza, non appena formato (Circolare del Ministero delle Finanze del 23/04/1996 n. 98/E; Circolare del Ministero delle Finanze del 18/12/1996 n. 291/E). Invero, l'art. 74 comma 4 disp. att. c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del rinvio dinamico di cui all'art. 1 comma 2) prevede poteri di controllo e certificativi in capo al cancelliere (validi exart. 9, d.lgs. n. 546/1992 per il segretario giudiziario tributario), limitati rispettivamente a controllare la mera corrispondenza tra il contenuto del fascicolo d'ufficio e l'indice riportato sulla relativa copertina, astenendosi da alcuna altra verifica sostanziale degli atti, diversa da quelle previste da disposizioni fiscali (V. Galluzzi, in Il nuovo processo tributario, 308) quale, ad esempio, il C.U.T., e certificarne la composizione (Cerino Canova, in Commentario del codice di procedura civile, di E. Allorio, II, 1, 431, nt. 14). Infine – come già anticipato (par. Inquadramento) – si segnala una originaria difformità del d.lgs. n. 546/1992 rispetto alla procedura civile, dal momento che nel contenzioso tributario non era stato previsto il deposito della nota di iscrizione a ruolo di cui all'art. 168 comma 1 c.p.c. ma di una semplice scheda riassuntiva denominata: «Nota di Deposito Atti e Documenti», poi rinnovata e resa obbligatoria — a partire dal 13 febbraio 2006 — con Ministeriale 1 febbraio 2006 n. 7927 del Ministero dell'Economia e delle Finanze. La Nota d'Iscrizione a Ruolo Tributaria (per brevità N.I.R.T.), infatti, venne introdotta dopo alcuni decenni — con propria autonoma disciplina — dall'art. 2 comma 35-quater , lett. c) del d.l. n. 138/2011 come obbligo per la parte ricorrente di depositare, all'atto della costituzione in giudizio, una nota sottoscritta (a differenza della N.I.R.) contenente la richiesta di iscrizione a ruolo del ricorso tributario (N.I.R.T.) nel registro generale dei ricorsi, al fine di consentire alla segreteria delle Commissioni tributarie di attribuire e rilasciarne al ricorrente il relativo numero. Il modello ufficiale della N.I.R.T. è scaricabile, in formato «word», dal portale della Giustizia Tributaria nella sezione relativa alla modulistica (in giustiziatributaria.gov.it/gt/modulistica). Per l'iscrizione a ruolo è dovuto anche un Contributo Unificato Tributario (conosciuto con l'acrononimo C.U.T); ai sensi dell'art. 14 del d.P.R. n. 115/2002 (in seguito T.U.S.G.); «la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo ... è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato» dovuto in base al valore della lite; «nei processi tributari, il valore della lite, determinato ai sensi del comma 5 [nunc; comma 2, come novellato dall'art. 9, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156] dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito.». Qualora la dichiarazione del valore di lite sia contenuta nella nota di iscrizione a ruolo tributaria — sottoscritta dal contribuente o da un suo procuratore già nominato con procura a margine — e non nelle conclusioni del ricorso, non si applica la sanzione indiretta della presunzione di valore più elevato (come quando manca la dichiarazione del valore della lite) in consonanza all'orientamento del Ministero della Giustizia (le cui note d'iscrizione a ruolo, peraltro, non sono sottoscritte) manifestato con nota del 29 settembre 2003 per quanto di propria competenza. Nel processo tributario, come in quello civile, l'accettazione da parte del cancelliere degli atti e documenti depositati dalla parte che si costituisce, tramite l'apposizione del timbro di cancelleria in calce all'indice del fascicolo, ai sensi dell'art. 74, quarto comma, disp. att. c.p.c., senza l'annotazione di alcun rilievo formale, fa presumere la regolare produzione degli stessi (Cass. n. 12670/2015). La sottoscrizione da parte del cancelliere, ai sensi dell'art. 74 ultimo comma disp. att. c.p.c., dell'indice dei documenti, fa presumere il regolare deposito di tutti i documenti, indicati nell'indice stesso, al momento della costituzione della parte (Cass. n. 1008/1982; Cass. n. 764/1974; Cass. n. 1035/1970). Fascicolo d'ufficio del processo e fascicoli di parteLa seconda parte del comma 1 enuncia la successiva incombenza in capo alla Segreteria della Corte di giustizia tributaria– quasi contemporanea alla prima, ossia l'iscrizione a ruolo del ricorso – che consta nella formazione del fascicolo d'ufficio del processo. La norma individua espressamente il contenuto di tale fascicolo, comprendendo al suo interno i fascicoli delle parti (con gli atti e i documenti ivi contenuti), gli originali dei verbali d'udienza, delle ordinanze e dei decreti e le sentenze in copia (in appello, anche delle impugnate sentenze di prime cure, ed in sede di riassunzione, anche di quelle con rinvio dalla cassazione) atteso l'obbligo di separata rilegatura delle sentenze, in originale. In particolare: – Fascicoli del ricorrente e delle altre parti: il fascicolo di parte contiene tutti gli atti e i documenti – inseriti in apposite sezioni separate – prodotti dalla parte a sostegno delle proprie ragioni, quindi sarà tipicamente composto per il ricorrente dal ricorso ex art. 18 (o appello ex art. 53 nel secondo grado di giudizio) unitamente all'atto impugnato ed eventualmente dall'integrazione per motivi aggiunti ex art. 24, mentre per il resistente dalle contro-deduzioni ex art. 23 comma 2 (e, se del caso, dall'appello incidentale ex art. 54 comma 2 davanti alla Corte di giustizia tributaria di 2° grado). I fascicoli di parte sono depositati presso la Segreteria della Corte di giustizia tributaria adita al momento della costituzione in giudizio, per il ricorrente unitamente al deposito o alla trasmissione a mezzo posta del ricorso ex art. 22 comma 4, mentre per il resistente tale adempimento è esso stesso strumento di costituzione in giudizio ex art. 23 comma 2. Successivamente il primo periodo del comma 2 chiarisce come i fascicoli delle parti facciano parte integrante del fascicolo d'ufficio fino alla conclusione dell'intero processo (intesa come definizione o estinzione del giudizio), solo allora verranno restituiti ai legittimi proprietari interessati oppure – in caso di mancato ritiro nei tempi comunicati dalla segreteria con annotazione in calce all'avviso di deposito (uti singuli) o con inserzione in Gazzetta ufficiale (uti universi come, ad esempio, in G.U. del 27 ottobre 2012, fg. delle inserzioni n. 127, 28) – saranno oggetto di scarto d'archivio per il conferimento alle pubbliche discariche; l'interpretazione letterale di tale norma ha indotto la parte maggioritaria della dottrina a escludere nel processo tributario la possibilità per le parti di ritirare alcunché dal proprio fascicolo durante lo svolgimento dell'intero processo (V. Galluzzi, 307 e 309), riconoscendo loro, quindi, la facoltà di chiederne al segretario il rilascio di copie, estratti, certificati ed attestati. La richiesta di ritiro del fascicolo processuale di parte può essere presentata anche telematicamente, con appuntamento C.U.P. (in giustiziatributaria.gov.it/gt/prenotazione-appuntamenti) all'ufficio giudiziario tributario depositario. Sul punto, per il rinvio dinamico di cui all'art. 1, c.2, d.lgs.546/1992, opera il primo ed il secondo comma dell'art. 2961 c.c. (Restituzione di documenti), secondo il quale I cancellieri, gli arbitri, gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori legali sono esonerati dal rendere conto degli incartamenti relativi alle liti dopo tre anni da che queste sono state decise o sono altrimenti terminate. Tale esonero si verifica, per gli ufficiali giudiziari, dopo due anni dal compimento degli atti ad essi affidati. – Originali dei verbali di udienza, delle ordinanze e dei decreti: come già anticipato poco sopra, sarà onere del segretario della Corte di giustizia tributaria quello di tenere aggiornato in tempo reale il fascicolo d'ufficio, depositandovi gli originali di tali propri atti e dei provvedimenti adottati dal giudice. – Copia delle sentenze: rispetto agli altri provvedimenti endo-processuali di cui al punto immediatamente precedente, è espressamente precisato dalla norma in esame che le sentenze sono inserite nel fascicolo d'ufficio solamente in copia, atteso che l'art. 35 disp. att. c.p.c. dispone come sia obbligo della Cancelleria (in questo caso della Segreteria della Corte di giustizia tributaria) «riunire annualmente in volumi separati gli originali delle sentenze», rilegandone gli originali in volumi separati in base all'anno di deposito; infatti, il successivo art. 53 al comma 3 precisa che dopo il deposito del ricorso in appello sarà compito della Segreteria della Corte di giustizia tributaria di 1° grado trasmettere a quella Regionale il fascicolo del processo di primo grado con al proprio interno copia autentica della sentenza impugnata. Invero, la costruzione dell'articolo suddivide implicitamente il contenuto del fascicolo d'ufficio in due sotto-gruppi in base al momento del proprio inserimento: così i fascicoli del ricorrente e delle altre parti costituiranno il primissimo contenuto del fascicolo d'ufficio, mentre solo successivamente – in correlazione con la prosecuzione del processo – sarà ulteriore compito del segretario integrarlo con i propri atti giudiziari ed i provvedimenti adottati dal giudice (ovvero i verbali d'udienza, le ordinanze, i decreti e, infine, copia autentica delle sentenze). Ne resta esclusa la minuta di dispositivo (atto a forma libera, steso e sottoscritto autograficamente dal presidente del collegio, in una - o più sedute - camerali) consegnata al magistrato designato per la stesura della motivazione, atteso che il segreto camerale sulla deliberazione (v. art. 326 c.p.) vale fino alla pubblicazione della sentenza con il deposito in segreteria. Successivamente alla pubblicazione della sentenza con il deposito in segreteria, la citata minuta di dispositivo cessa ogni valenza. A differenza del previgente articolo 20, c.5, d..P.R. 636/1972: “il dispositivo della decisione, sottoscritto dal Presidente, è depositato immediatamente nella Segreteria e le parti possono prenderne visione”, il vigente d.lgs. 546/1992 non prevede conoscenza del dispositivo della sentenza prima del deposito – pubblicazione (v. commento subart. 35 d.lgs. n. 546/1992). Illuminante sul punto la Risoluzione C.P.G.T. n. 2/2002 del 15.1.2002 “Segretezza della Camera di Consiglio e del dispositivo”, secondo la quale: «L'art. 37 D.Lgs. 546/1992, recependo le suindicate disposizioni di cui agli articoli 120 e 133, così dispone: “il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito”. Da tali disposizioni di legge, pertanto, risulta che il dispositivo delle sentenze pronunciate dalle Commissioni tributarie può giungere a conoscenza delle parti solo a seguito della comunicazione della Segreteria e questa può essere eseguita solo successivamente al deposito della sentenza già corredata dalla motivazione. Fino a quel momento il dispositivo provvisoriamente deliberato in camera di consiglio anche se annotato in appunti informali o in un brogliaccio riservato, è e deve restare segreto e non ne può essere data lettura né al termine della camera di consiglio, né successivamente, fino al momento del deposito in Segreteria della sentenza corredata di motivazione. Peraltro, lo stesso dispositivo, fino al momento della sua ufficializzazione con il deposito della sentenza, può essere riveduto e corretto ovviamente dallo stesso collegio giudicante. E ciò vale a rafforzare l'esigenza di conservarne la segretezza». Si rinvia tacitamente agli artt. 72, 73,74 disp. att. c.p.c. per quanto riguarda la formazione materiale dei fascicoli, dove viene chiarito come il fascicolo d'ufficio e i fascicoli di parte sono custoditi assieme in un'unica cartella. Il fascicolo d'ufficio del processo, ai sensi dell'art. 36 disp. att. c.p.c., sulla propria copertina deve presentare il numero del ruolo generale, l'ufficio, la sezione e il giudice incaricato della relazione, le parti con i rispettivi difensori e l'oggetto della controversia, mentre nella facciata interna sarà invece stilato un indice degli atti contenuti con indicazione della natura e della data di deposito;, infine gli atti al suo interno saranno disposti secondo l'ordine cronologico e riportanti un numero progressivo corrispondente a quello previsto dall'indice. In tema di contenzioso tributario, il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell'indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d'ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di giustizia tributaria, di cui è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369, comma 3, c.p.c., deve rispettare, a pena d'inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all'art. 366, n. 6, c.p.c., di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all'individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. n. 23575/2015). Qualora, dopo la trasmissione alla Corte di giustizia tributaria di 2° grado del fascicolo di ufficio della Corte di giustizia tributaria di 1° grado — che contiene i fascicoli delle parti, gli atti e i documenti prodotti e che devono restarvi fino al termine dell'intero processo — il giudice «ad quem» accerti che mancano in questo i verbali di causa, come l'indice degli atti depositati e i documenti stessi prodotti, come risultante dalla sentenza emessa dalla Corte di giustizia tributaria di 1° grado, correttamente il giudice di appello ordina le opportune ricerche del fascicolo di parte e dei relativi documenti da parte della segreteria, disponendo che in caso di esito negativo di tali ricerche le parti ricostituiscano il contenuto del proprio fascicolo. Non può, infatti, gravare sulle parti la conseguenza, negativa, del mancato reperimento. Specie tenuto presente che innanzi agli organi del contenzioso tributario non è previsto — come innanzi al g.o. — il ritiro del fascicolo di parte, prima della sentenza definitiva del giudizio (Cass. n. 7335/2008). In caso di mancato rinvenimento del fascicolo di ufficio, il giudice, anche a prescindere da ogni istanza delle parti, deve concedere loro un termine per la ricostituzione dello stesso e l'omissione di tale provvedimento si traduce in un vizio della sentenza da farsi valere con l'impugnazione contro la stessa; con la conseguenza che, in ipotesi di ritrovamento del fascicolo in epoca successiva alla sentenza di appello (nella specie, non impugnata per cassazione sul punto della omessa ricostituzione), questa non è suscettibile di revocazione, tenuto conto, altresì, che l'art. 395, n. 3 c.p.c. fa esclusivamente riferimento al ritrovamente di documenti decisivi, non già degli atti di causa (contemplati, invece, nella diversa ipotesi di cui al n. 4 art. cit. concernente il cosiddetto errore revocatorio) (Cass. n. 9314/1994; Cass. n. 5277/1983; Cass. n. 2129/1978). Rilascio di copieL'art. 25, comma 2, secondo alinea, d.lgs. n. 546/1992 disciplina la possibilità per le parti del processo di richiedere copie autentiche di tutto quanto contenuto nel fascicolo d'ufficio o di parte. (vds. artt. 9 e 25-bis, d.lgs. 546/1992). Tale norma non è altro che la trasposizione dell'art. 76 disp. att. c.p.c. che tutela il diritto di difesa riconoscendo espressamente alle parti un vero e proprio diritto soggettivo, ovvero quello di esaminare personalmente (o tramite i propri rispettivi difensori) il contenuto del fascicolo d'ufficio e delle altre parti e ed eventualmente di estrarne copia (vds. anche art. 744 c.p.c.) È importante chiarire che a tale fine non è più necessaria la regolare costituzione della parte, stante la modifica intervenuta con l'art. 7 della l. n. 673/1994 (Consolo e Glendi, 25); inoltre la dottrina ha precisato l'accezione di «parte» che per il caso in esame deve essere intesa nel suo senso più ampio, laddove questa non si riferisce soltanto a ricorrente e resistente principali ma anche ai terzi che possono divenire parti del processo per intervento, chiamata in causa e riunione dei procedimenti, i quali perciò sono a tutti gli effetti legittimati a esaminare ed estrarre copia dal fascicolo d'ufficio del processo (Cerino Canova in Allorio (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, II, 1, 411 e 437). L'art. 18 del d.P.R. n. 445/2000, al comma 2, stabilisce che: “L'autenticazione delle copie può essere fatta dal pubblico ufficiale dal quale è stato emesso o presso il quale è depositato l'originale, o al quale deve essere prodotto il documento, nonché da un … cancelliere…”. L'art. 58 c.p.c. stabilisce che: “il cancelliere attende al rilascio di copie e estratti autentici dei documenti prodotti, all'iscrizione delle cause a ruolo, alla formazione del fascicolo d'ufficio [c.p.c. 168] e alla conservazione di quelli delle parti”. Nel momento in cui gli atti, prodotti in originale o in copia, vengono depositati nella segreteria della Corte di giustizia tributaria, entrano a far parte del fascicolo d'ufficio ed ivi devono rimanere custoditi fino al termine del processo (art. 25, comma 2, alinea 1, d.lgs. n. 546/1992). Il deposito e la conseguente custodia dell'atto hanno lo scopo di garantirne la conservazione e di impedirne qualsiasi alterazione successiva; infatti, la regolarità formale di un atto può essere riscontrata solo con riferimento a quello che è stato depositato e custodito presso la segreteria/cancelleria. Riconosciuta necessariamente alle parti (art. 25, comma 2, alinea 2, d.lgs. n. 546/1992), facoltà di chiederne copia o estratti autentici (v. commento sub art. 9 d.lgs. n. 546/1992), è stata posta la questione se il segretario possa rilasciare copia autentica di quegli atti già depositati in forma diversa dall'originale, atteso che la dichiarazione di conformità presuppone per il pubblico ufficiale autorizzato la disponibilità ratione officii del documento originale, sia per la diretta responsabilità che assume con la propria dichiarazione di conformità della copia all'originale (Circ. Min. G.G. Ord.Giud. 4/1-S/865 del 4 marzo 1998), sia perché le copie dichiarate conformi hanno la stessa validità dei corrispondenti documenti, che possono sostituire ad ogni effetto di legge; la medesima questione si porrebbe anche per dichiarazioni di conformità all'originale di copie di copie autentiche, in considerazione del fatto che la c.d. “autenticazione” consiste nella dichiarazione della conformità della copia -da rilasciare in forma autentica- all'originale (del quale il pubblico ufficiale autorizzato non avrebbe avuto, in tal maniera, conoscenza diretta). Il segretario potrebbe quindi rilasciare copie autentiche (con la dichiarazione di conformità all'originale) solo di documenti da questi direttamente emessi o detenuti ratione officii in originale. La dichiarazione di conformità “deve essere scritta alla fine della copia, a cura del pubblico ufficiale autorizzato, il quale deve altresì indicare la data e il luogo del rilascio, il numero dei fogli impiegati, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita nonché apporre la propria firma [stesura autografa di cognome e nome] per esteso ed il timbro dell'ufficio” (art. 18 d.P.R. n. 445/2000); i fogli utilizzati dovranno essere legati in modo da costituire un unico documento, apponendovi il timbro ad olio o a secco dell'ufficio (sigillo, c.d. “tabellione”) sui punti di congiunzione. È, tuttavia, prassi di alcune Segreterie, rilasciare copia anche di documenti depositati in forma diversa dall'originale, apponendovi -con le medesime modalità- una dichiarazione del seguente tenore: “Si attesta che il presente atto, costituito da n.__ mezzi fogli, è copia del corrispondente, come depositato ed inserito nel fascicolo rubricato al n. RGR/RGA___sez___ della Corte di giustizia tributaria di 1°/2° grado ………”. In tal caso trattasi, più propriamente, di un Attestato, cioè di un documento derivato o di secondo grado che non costituisce prova di fatti o negozi giuridici, ma documenta la mera esistenza di altri documenti giuridici. Si noti che dalla lettera degli art. 25 (per atti e documenti) e 38 (per le sentenze) è espressamente previsto soltanto il rilascio di copie autentiche, non essendo menzionata l'ipotesi di copie semplici (o libere); tuttavia la prevalente dottrina ritiene pacificamente che quest'ultime siano liberamente richiedibili alla Cancelleria e che il Legislatore abbia compiutamente disciplinato soltanto il rilascio di copie autentiche per via della fondamentale funzione di quest'ultime (munite della certificazione di conformità all'originale e di cui hanno lo stesso valore, oltre alla formula esecutiva qualora si trattino di provvedimenti dell'autorità giudiziaria), mentre le copie semplici hanno il solo scopo di farne conoscere informalmente il contenuto ma difettano di valore legale (Giuliani, 199). Discorso a parte merita il caso delle sentenze, atteso che la Circolare del Ministero dell'Economia e delle Finanze 5/10/2010, n. 9/2010/DGT (seguita da nota D.G.T. del 9 settembre 2011, prot. 14407) ha chiarito come sia sempre possibile, anche per i terzi, richiederne il rilascio di copie. Riguardo alle implicazioni concernenti la privacy, occorre far riferimento al Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, con particolare riguardo agli artt. 47 (Trattamento per ragioni di giustizia) e 52 (Dati identificativi degli interessati) (v. ora quanto previsto dal Reg. UE n. 679/2016 e le novità apportate al Codice privacy dalla normativa di adeguamento di cui al d.lgs. n. 101/2018) che, relativamente alla diffusione della sentenza o del provvedimento giurisdizionale anche per finalità di informazione giuridica, definisce i casi nei quali è garantito il diritto all'anonimato delle parti in causa o degli altri soggetti comunque interessati. A tal fine vedasi “Linee guida Garante Privacy in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica - 2 dicembre 2010 (in G.U. n. 2 del 4 gennaio 2011)”. In particolare, il Garante precisa che l'art. 52 del Codice della privacy, per il cui comma 7 «è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali» pone alcune cautele alla libera diffusione dei provvedimenti giurisdizionali (evidenziando alcune ipotesi di oscuramento dei dati personali), ulteriori alle norme processuali che l'autorità giudiziaria deve applicare nello svolgimento delle proprie funzioni giurisdizionali. L'art. 52, commi da 1 a 4, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, prevede una particolare procedura per garantire il diritto all'anonimato delle parti in causa o degli altri soggetti comunque interessati, che possono depositare propria istanza - indicandone i "motivi legittimi" che la giustificano - presso la cancelleria/segreteria dell'ufficio giudiziario avanti al quale si svolge il giudizio, affinché le proprie generalità e ogni altro dato idoneo a identificarlo (art. 4, comma 1, lett. c, del Codice della privacy, v. ora art. 4 Reg. UE n. 679/2016) siano omessi in caso di riproduzione del provvedimento, rilasciato in copia. Se l'istanza è accolta si appone una annotazione sull'originale della sentenza. L'oscuramento dei dati sensibili può essere anche disposta direttamente dal giudice, in via officiosa. Sulla copia rilasciata va apposta un avviso del seguente tenore: “Con l'obbligo di oscurare ogni dato sensibile (generalità delle parti, etc.)”. V. nota D.G.T. del 9 settembre 2011, prot. 14407. Dirimente sul punto, la Corte costituzionale che, con sentenza n. 141/1998, postulando che gli atti depositati nel fascicolo di causa siano «accessibili a chiunque vi abbia interesse» e che il rito innanzi alle Commissioni Tributarie è caratterizzato dalla pubblicità della sentenza, aveva ritenuto possibile procedere anche al rilascio di copia informale delle sentenze a soggetti terzi; inoltre, secondo la Corte di giustizia tributaria per l'accesso ai documenti amministrativi, Decisione del 26 febbraio 2008, «in base alle norme che regolano il processo civile, la sentenza, una volta emessa e resa disponibile erga omnes con il deposito in cancelleria, è un atto pubblico, la cui accessibilità non incontra alcun limite, salvo l'oscuramento dei dati personali delle parti interessate, per la tutela della riservatezza delle stesse». In questa prospettiva, la stessa Cass. S.U., ord. n. 1629/2010, ha affermato, definitivamente, che «ogni cittadino ha il diritto di ottenere copia degli atti detenuti per lui da un soggetto (notaio, cancellieri, conservatori di registri, ecc.) cui la legge attribuisce la qualifica di pubblico depositario, nel senso che detiene non (soltanto) per sé (per l'esercizio di una pubblica funzione ma (anche) per il pubblico». Il Trib. di Torino, 11 giugno 2010, n. 4291, riprendendo quanto già affermato dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite con ord. n. 1629/2010 , secondo cui «la tutela giurisdizionale del diritto di ottenere il rilascio di copia degli atti detenuti dai pubblici depositari a disposizione del pubblico va esercitata presso il giudice ordinario», ha ritenuto che «allorquando la richiesta sia formulata da un soggetto che non sia stato parte in causa, l'obbligo di rilasciare le copie trova la sua fonte legislativa nell'art. 743 c.p.c.», confermando l'inesistenza di un rapporto di specialità tra l'art. 38 del d.lgs. n. 546/1992 (richiesta di una delle parti di copia della sentenza del giudice tributario) e l'art. 743 c.p.c. (rilascio di copie di atti da parte di tutti i pubblici depositari, compresi i segretari delle commissioni tributarie). Il termine previsto dall'art. 52 d.lgs. n. 196/2003, Codice privacy, per l'oscuramento dei dati identificativi delle parti di un procedimento giudiziario (“Prima che sia definito il grado del giudizio”) è tassativo ed è dunque inammissibile la istanza volta ad ottenere tale oscuramento successivamente alla pubblicazione del provvedimento, quando questo ha potuto avere una diffusione indiscriminata e senza limiti (Cass. pen. III, n. 55500/2017). Con l'art. 299 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (meglio conosciuto come «Testo Unico sulle spese di giustizia») è stata stralciato dalla norma il terzo periodo del comma 2 che prevedeva come «I richiedenti diversi dall'ufficio tributario devono corrispondere le spese del rilascio delle copie mediante applicazione e annullamento da parte della segreteria di marche da bollo nella misura stabilita con decreto del Ministro delle finanze in base al costo del servizio.»; in tal modo il rilascio delle copie autentiche di atti e documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio o di parte è disciplinato dalla normativa generale prevista per tutte le giurisdizioni dallo stesso «T.U.S.G.», il quale a sua volta all'art. 40 rimanda al Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze 27/12/2011 n. 50 per la misura specifica di tali diritti di copia (Circolare Ministero dell'Economia e delle Finanze 26/03/2012 n. 2/DF; Circolare Ministero della Giustizia 5/07/2012 n. 5659/11/12). Per quanto riguarda la modalità di pagamento dei diritti di copia, questo è assolto ordinariamente tramite l'applicazione di marche da bollo – del valore corrispondente a quello previsto dal sopra-citato Decreto per il tipo di copia (semplice o autentica) e il numero di facciate richieste – sull'istanza di rilascio. Il funzionario che abbia rilasciato copie irregolari o poco leggibili deve rinnovarle a proprie spese, ai sensi dell'art. 24 r.d. n. 25/1896. Nel processo tributario di cassazione il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell'indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d'ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di giustizia tributaria - del quale è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369, comma 3, c.p.c. - deve rispettare, a pena d'inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all'individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione gravata che aveva ritenuto legittimo un avviso di accertamento relativo ad un'attività commerciale che il contribuente asseriva erroneamente dichiarata, atteso che in sede di legittimità il ricorrente, oltre a non aver prodotto i documenti comprovanti l'avvenuta correzione del codice delle attività, neppure aveva fornito alcun dato utile ad individuare il momento processuale della relativa produzione nei gradi precedenti, precludendo la verifica della loro pregressa acquisizione, negata dalla sentenza impugnata). (Cass. sez. V ord. n. 777 del 15/01/2019 (Rv. 652190 - 01). In tema di appello nel processo tributario, il documento contenente la delega di firma del sottoscrittore dell'atto di accertamento impugnato, che sia stato prodotto, ancorché tardivamente, nel giudizio di primo grado, deve ritenersi acquisito automaticamente e ritualmente in quello di gravame, anche se depositato oltre il termine previsto dall'art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che - sebbene le modalità di produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - il documento era stato già messo a disposizione della controparte, ai fini dell'esercizio del diritto di difesa da parte della stessa, mediante l'inserimento nel fascicolo di primo grado che, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del detto decreto, resta inserito in modo definitivo in quello d'ufficio e può essere restituito solo dopo il passaggio in giudicato della decisione. (Cass. sez. VI , Ordinanza n. 16652 del 25/06/2018 (Rv. 649376 - 01)) . In tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ex art. 25, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 restano acquisiti al fascicolo d'ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d'ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369, comma 3, c.p.c., a meno che predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della Corte di giustizia tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass. n. 22726/2011). Il ricorso per cassazione fondato sull'unico motivo costituito dall'omessa pronuncia su un capo di domanda, è improcedibile, ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., se, unitamente ad esso, non sia stato depositato l'atto di appello contenente il motivo sul quale i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciare, trattandosi dell'atto su cui il ricorso si fonda, e tale onere – configurabile anche nel processo tributario, in quanto l'art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 comunque consente alle parti di ottenere copia autentica degli atti e dei documenti contenuti nei fascicoli di parte e d'ufficio, ancorché non ritirabili prima del termine del processo – non può essere adempiuto né con la richiesta di acquisizione del fascicolo d'ufficio, né col mero deposito dei fascicoli di parte, quando tale produzione non intervenga nei termini di cui all'art. 369 c.p.c. e non sia indicata la sede ove il documento può essere rinvenuto, né, infine, con la sola riproduzione, all'interno del ricorso, dei passi sui quali lo stesso è fondato (Cass. n. 2805/2011; Cass. n. 2803/2011). L'onere di depositare, nel termine perentorio fissato per il deposito del ricorso per cassazione, i documenti su cui lo stesso si fonda — imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369, comma 2 n. 4, c.p.c., nella formulazione di cui al d.lgs. n. 40/2006 — si applica anche nel processo tributario, non ostandovi l'art. 25, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, per il quale «i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d'ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo», in quanto la stessa norma prevede, di seguito, che «le parti possono ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d'ufficio», con la conseguenza che non è ravvisabile alcun impedimento all'assolvimento dell'onere predetto, potendo la parte provvedere al loro deposito anche mediante la produzione in copia, alla quale l'art. 2712 c.c. attribuisce lo stesso valore ed efficacia probatoria dell'originale, salvo che la sua conformità non sia contestata dalla parte contro cui è prodotta (Cass. n. 24940/2009; Cass. n. 23250/2010; Cass. n. 23249/2010; Cass. n. 135/2010). In materia di rilascio di copie di sentenze del giudice tributario, l'art. 38 d.lgs. n. 546/1992 disciplina soltanto la richiesta di una delle parti del giudizio, mentre qualora, come nella specie, essa provenga da un terzo estraneo alla lite, trova applicazione l'art. 744 c.p.c.; ne discende che, in mancanza di una disposizione specifica che preveda la possibilità di ricorrere ai presidenti delle commissioni tributarie, come accade invece per i giudici ordinari, in caso di rifiuto o ritardo nel rilascio di copie di atti detenuti dai segretari-pubblici depositari, l'istante può fare ricorso, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni. Tale procedimento, avente natura di volontaria giurisdizione, non pregiudica la tutela in sede contenziosa, nel rapporto con la p.a. depositaria dei documenti richiesti (Cass. n. 1629/2010). Le sentenze emesse dalle commissioni tributarie hanno natura di atti pubblici sin dal momento del loro deposito presso le rispettive segreterie. Sussiste il diritto soggettivo alla presa visione e all'estrazione di copia delle stesse a opera di qualunque soggetto giuridico, tanto più per motivi scientifici inerenti alla diffusione della cultura giuridica. La giurisdizione in materia spetta al g.o. (Trib. Torino n. 4291/2010). Vedasi anche il commento sub artt. 9, 25-bis , 67-bis e 69. BibliografiaAllorio (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, I, Torino, 1973-1980; Baglione-Menchini-Miccinesi, Il nuovo processo tributario, II, Milano, 2004; Consolo-Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, III, Padova, 2012; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, IV, Milano, 2016. |