Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 58 - (Nuove prove in appello) 1 2 3 .

Francesca Picardi

(Nuove prove in appello)123.

1. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

2. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati.

3. Non è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell'articolo 14 comma 6-bis 4.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 112 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[4] La Corte Costituzionale, con sentenza 27 marzo 2025, n. 36, (in Gazz. Uff. 2 aprile 2025, n. 14), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma,  limitatamente alle parole «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti,».

Inquadramento.

L'art. 58, nell'originaria formulazione, prima della modifica apportata dal d.lgs. n. 220/2023, stabiliva che «il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti». La nuova disciplina è in vigore in data 4 gennaio 2024 e si applica ai giudizi instaurati, in primo ed in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo.  In proposito deve sottolinearsi che l'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220/20023 stabilisce che «Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all'articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto», tra cui rientra appunto la nuova formulazione dell'art. 58, introdotta dall'art. 1, comma, 1, lett. bb.

Non sussistono ancora applicazioni giurisprudenziali, sicché il commento attuale si riferisce all'art. 58 nella precedente formulazione, che continua (e continuerà) ad operare nei giudizi instaurati sino al 4 gennaio 2024.

La riformulazione dell'articolo comporta un avvicinamento della disciplina del giudizio tributario a quella del giudizio civile, in cui, tuttavia, la deroga al generale divieto di nuove prove e nuovi documenti in appello è consentita solo nel caso in cui la parte dimostri di non averli potuti proporre o produrre per causa non imputabile (cfr. art. 345, ultimo comma, c.p.c.: «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile»). Si realizza, invece, un maggiore allineamento con l'appello del giudizio amministrativo (v. art. 104 c.p.a., ai sensi del quale nel giudizio di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile; possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati). In particolare il comma 2 della nuova disposizione, ai sensi del quale «possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti impugnati», riproduce il contenuto dell'art. 104, comma 3, del codice del processo amministrativo ed introduce una novità nel giudizio tributario, in cui la possibilità della proposizione di motivi nuovi era prevista solo con riferimento al giudizio di primo grado dall'art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, salvo il dubbio della possibilità di una rimessione in termini in virtù dell'applicazione dell'istituto generale di cui all'art. 153, secondo comma, c.p.c.

La nuova disciplina è funzionale, da un lato, ad una ratio acceleratoria, costringendo le parti alla produzione di tutti i documenti sin dal primo grado, e, dall'altro, deflattiva, escludendo la possibilità di un appello diretto esclusivamente ad integrare il materiale probatorio. Nello stesso senso si muove l'ultimo comma della nuova disposizione, che chiarisce che il divieto della produzione di nuovi documenti si estende anche a tutti gli atti di conferimento del potere impositivo, agli atti rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione, alle notifiche del provvedimento impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità. Del resto, il legislatore è intervenuto, aggiungendo il comma 6-bis all'art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992 (che introduce una nuova ipotesi di litisconsorzio necessario e stabilisce che «in caso di vizi della notificazione eccepiti nei riguardi di un atto presupposto emesso da un soggetto diverso da quello che ha emesso l'atto impugnato, il ricorso è sempre proposto nei confronti di entrambi i soggetti») proprio per fare in modo che la documentazione rilevante, ai fini della dimostrazione della legittimità della pretesa tributaria, sia prodotta sin dal primo grado.

Per quanto concerne la sua applicazione, la disposizione transitoria di cui all'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220/2023 non risulta chiara, in quanto l'uso della congiunzione «e» può indurre a ritenere che essa operi solo nei giudizi in cui il cui ricorso introduttivo (di primo grado) sia notificato dopo il 4 gennaio 2024. I giudici di merito sembrano, tuttavia, orientarsi nel senso che sia sufficiente la proposizione dell'appello in epoca successiva al 4 gennaio 2024.

Deve segnalarsi che la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, con ordinanza del 9 luglio 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma terzo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come inserito dall'art. 1, comma 1, lettera bb) del d. lgs. n. 220 del 2023, per contrarietà agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, della Costituzione. Ad avviso del giudice campano la disposizione, nella nuova formulazione, è immediatamente applicabile ai giudizi di appello instaurati successivamente alla sua entrata in vigore, sicché la questione della sua legittimità costituzionale assume rilevanza nel giudizio a quo. Invero, come già rilevato, la disposizione transitoria di cui all'art. 4 del d.lgs n. 220 del 2023 non è chiarissima, in quanto l'uso della congiunzione «e» pone il dubbio della necessaria instaurazione del giudizio non solo in grado di appello e di legittimità, ma anche in primo grado in epoca anteriore alla novella, ai fini dell'applicazione della nuova disciplina. Se la disposizione transitoria fosse interpretata in questo senso si escluderebbe il radicale mutamento del regime processuale in corso di causa, che costituisce una delle criticità evidenziate nell'ordinanza in esame, e, nel contempo, verrebbe meno la rilevanza della questione nel giudizio a quo, pendente in primo grado prima dell'entrata in vigore della novella, visto che la sentenza impugnata risale al luglio 2023. Ad ogni modo, il giudice remittente ha ritenuto che il nuovo art. 58, nell'attribuire, in via generale, al giudice dell'appello tributario, il potere di valutare il carattere indispensabile, ai fini della decisione, della nuova produzione documentale in secondo grado (comma 1) e, nel contempo, nell'escluderlo per una serie di documenti a dimostrazione della legittimità della pretesa tributaria (comma 3), è di per sé irragionevole e contraddittoria;  viola il principio della necessaria parità processuale delle parti, ponendo l'amministrazione finanziaria, pregiudicata nel suo diritto di difesa, in una situazione deteriore rispetto a quella del contribuente, senza una valida e chiara giustificazione; realizza, altresì, una indebita intromissione del legislatore nell'esercizio del potere giurisdizionale (di valutazione del carattere indispensabile dei nuovi documenti ai fini della decisione o delle ragioni della omessa produzione in primo grado). Per completezza va evidenziato che, nel caso in esame, l'Amministrazione ha prodotto in secondo grado la documentazione relativa alla prova della notifica delle cartelle impugnate, documentazione che ricade appunto nel comma 3 dell'art. 58 nella nuova formulazione (Non è mai consentito il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell'articolo 14 comma 6-bis).

Per un primo commento della nuova disposizione e per i problemi connessi ai suoi rapporti con il procedimento cautelare, v. R.SUCCIO, Il nuovo processo tributario dopo il D.Lgs.220/2023, in Il Quotidiano giuridico 17 gennaio 2024.

La disposizione in esame, nel proibire l'introduzione in appello di nuove prove, completa sul piano istruttorio il divieto di ius novorum di cui al precedente art. 57 e corrisponde, sia pure con significative differenze, all'art. 345, comma 3, c.p.c., introdotto dalla l. n. 353 del 1990, entrata in vigore in data 30 aprile 1995, che, salva la possibilità di deferire sempre il giuramento decisorio, nell'originaria versione, prevedeva «non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile», e, come modificato dall'art. 46, comma 18, della l. n. 69 del 2009 e dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in l. n. 134 del 2012, stabilisce «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile».

Invero, nell'appello tributario lo sbarramento istruttorio è alquanto elastico, attesa la rilevante deroga al divieto di nuove prove costituita dall'ammissibilità, senza alcun limite, della produzione di ulteriori documenti, non consentita, invece, nell'appello ordinario. Come è stato osservato, tale eccezione alla regola generale finisce per neutralizzare l'enunciazione del principio (Longo) o, comunque, anche in considerazione della natura essenzialmente documentale del processo tributario, col ridimensionare fortemente la discontinuità, enfatizzata dall'art. 79 del d.lgs. n. 546 del 1992, rispetto alla previgente disciplina del d.P.R. n. 636 del 1972, che non poneva alcuna limitazione all'acquisizione di nuove prove in secondo grado (Giannoncelli, 810). In definitiva, le prove che non possono essere chieste per la prima volta in appello sono quelle previste dall'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, ad eccezione della consulenza tecnica d'ufficio, che non ha finalità strettamente ed esclusivamente probatorie, e, cioè, non può essere sollecitato il potere riconosciuto al giudice tributario di richiedere dati, informazioni, chiarimenti, relazioni agli organi tecnici dell'Amministrazione, agli enti pubblici o alla Guardia di Finanza (Santi Di PaolaTambasco, 2103; 64; sul punto, si veda anche Cass. V, n. 26392/2010, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, l'istanza con la quale l'Ufficio solleciti l'esercizio dei poteri istruttori di ufficio, di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, al fine di acquisire gli allegati alla dichiarazione dei redditi del contribuente, è inammissibile, sia perché si tratta di documenti già in possesso dell'Amministrazione finanziaria che ha formulato la richiesta, ed è, quindi, in contrasto con l'art. 6 l. n. 212 del 2000, sia perché manca il presupposto, che consente di derogare al canone ordinario di distribuzione dell'onere della prova e legittima l'esercizio del potere di ufficio, costituito dall'impossibilità di una delle parti di acquisire i documenti in possesso dell'altra, sia, infine, quando, come nella specie, la predetta istanza sia formulata nel giudizio di appello, in ragione della possibilità per le parti di produrre, anche in questa sede, nuovi documenti, nel rispetto del contraddittorio, ai sensi dell''art. 58, comma 2).

Può, inoltre, aggiungersi che la differenza rispetto al giudizio civile è destinata ad accentuarsi in considerazione dei recenti interventi del legislatore, che rendono sempre più rigidi i limiti di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c. La difforme impostazione risponde, del resto, alla diversa vocazione dei due processi, essendo caratterizzato quello civile dal principio dispositivo a differenza di quello tributario, in cui vi è, in considerazione della rilevanza pubblicistica della materia, un impulso inquisitorio, in parte attenuato con l'abrogazione dell'art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 (è sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia), ad opera dell'art. 3 bis, comma 5, del d.l. n. 203 del 2005, convertito in l. n. 248 del 2005. La novella del 2005 ha comportato il superamento del dibattito relativo al coordinamento tra gli art. 7, comma 3, e 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, per il quale, pertanto, è sufficiente rinviare a Pistolesi, Santi Di PaolaTambasco, 346.

La giurisprudenza ha sottolineato l'inapplicabilità al contenzioso tributario dell'art. 345, comma 3, c.p.c. alla luce del fondamentale principio di specialità di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, in forza del quale nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria prevale quest'ultima, per cui non può trasferirsi tout court il principio dell'inammissibilità dei «nuovi mezzi di prova» e, quindi, anche delle produzioni documentali, desumibile da tale disposizione, in quanto l'art. 58, oltre a consentire al giudice d'appello di valutare la possibilità di disporre «nuove prove», fa espressamente «salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti»  (Cass. V, n. 3611/2006),  più recentemente v. Cass. V, n. 27774/2017, secondo cui, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 - in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima - non trova applicazione la preclusione di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c., essendo la materia regolata dall'art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado).

Relativamente al processo civile, come chiarito da Cass. S.U., n. 8203/2005, l'art. 345, comma 3, c.p.c., anche nel testo originario, anteriore alle modifiche del 2009, fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi, non richiesti in precedenza, da intendersi comprensivo anche dei documenti, la cui produzione in appello è, dunque, subordinata agli stessi limiti posti da tale disposizione, consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione, ferma la necessità, a pena di decadenza, della loro specifica indicazione nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva o che la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo. Recentemente Cass. S.U., n. 10790/2017, ha precisato, superando i contrasti interpretativi insorti sul punto, che costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.

Tale ultimo orientamento sicuramente influenzerà anche l'interpretazione dell'art. 58 ed in particolare la definizione di prova necessaria, ma non sembra possa giustificare un ripensamento della posizione espressa da Cass. V, n. 25464/2015 e Cass. V, n. 13152/2014, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, a seguito dell'abrogazione dell'art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, al giudice di appello non è consentito ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti, dovendo, invece, essergli riconosciuto il potere di ordinarne ex officio l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c.

Deve, infine, ricordarsi che l'omessa o intempestiva risposta all'invio, da parte dell'Amministrazione finanziaria, del questionario previsto, in sede di accertamento fiscale, dall'art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973, per fornire dati, notizie e chiarimenti, che assolve alla funzione di assicurare, giusta i canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria, un dialogo preventivo tra Fisco e contribuente e, pertanto, favorire la definizione delle reciproche posizioni onde evitare l'instaurazione del contenzioso giudiziario, è legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa, sicché in tale ipotesi non trova applicazione l''art. 58, comma 2, che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del giudizio tributario di appello.

Qualora il giudizio di primo grado si sia svolto di fronte alla Commissione tributaria di primo grado sotto l'anteriore disciplina dettata dal d.P.R. n. 636 del 1972, la Commissione tributaria regionale può disporre nuove prove, senza che vi osti il divieto di cui all'art. 58, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che il successivo art. 79 espressamente sancisce che «le disposizioni di cui all'art. 58, comma 1», cioè quelle che ostano alla disposizione di nuove prove in secondo grado, «non si applicano ai giudizi già pendenti in grado di appello davanti alla Commissione tributaria di secondo grado e a quelli iniziati dinanzi alla commissione regionale se il primo grado si è svolto sotto la disciplina della legge anteriore (Cass. V, n. 1381/2002).

Cass. V, n. 28976/2023 ha precisato che, in tema di istruttoria nel processo tributario, l'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che fa salva la produzione di nuovi documenti, non si applica nel giudizio riassunto a seguito di cassazione con rinvio della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, trovando applicazione la disciplina specifica del successivo art. 63, comma 4, in base al quale, essendo sostanzialmente chiusa l'istruzione, è preclusa l'acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento o dall'impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore.

La nozione di prova nuova

La prova nuova è quella non precedentemente dedotta, sicché il divieto non investe le istanze istruttorie già articolate in primo grado, che possono sempre essere reiterate (Pistolesi, 340, che sottolinea la necessità di un'esplicita riproposizione, non potendo la commissione tributaria regionale disporre ex officio l'assunzione della prova in difetto di apposita istanza di parte). In proposito va, tuttavia, sottolineato che qualora il mezzo istruttorio sia stato oggetto di rigetto nella sentenza di primo grado e sul punto non sia stata sollevata con l'appello alcuna censura, la mera riproposizione dell'istanza risulta inammissibile per violazione del giudicato interno formatosi (Marzo, 341).

Prova nuova è, dunque, quella diversa ed ulteriore da altra già dedotta in primo grado, ma anche la medesima su un fatto diverso (così Longo, 709). Si discute, invece, della possibilità di qualificare come nuova la prova per la quale in primo grado si sia verificata a carico della parte una decadenza (sul punto v. Giannoncelli, 2016).

All’esito delle modifiche dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, apportate dalla l. n. 130 del 2022, e della conseguente ammissibilità, nel processo tributario, della prova testimoniale (da assumersi con le forme di cui all’art. 257-bis c.p.c.) dovrebbe valere anche in questa sede l'orientamento secondo cui il requisito di novità della prova sussiste non solo quando venga dedotto un mezzo di prova diverso da quello espletato in prime cure, ma anche allorché, pur trattandosi dello stesso mezzo di prova già assunto in primo grado, esso verta su fatti diversi, essendo necessario che la prova abbia ad oggetto circostanze non aventi alcuna connessione con quelle già dedotte (Cass. I, n. 5090/2004, che ha escluso la sussistenza della novità e, dunque, negato l'ammissibilità della prova testimoniale richiesta in appello perché, pur vertendo su circostanze non comprese nei capitoli della prova espletata in primo grado, concerneva gli stessi fatti oggetto delle deposizioni testimoniali ivi rese).

Relativamente alle prove precedentemente articolate in primo grado, che non sono nuove e, dunque, tendenzialmente non ricadono nel divieto in esame, tuttavia, va ricordata l'interpretazione, fondata sugli artt. 189,345 e 346 c.p.c., ma suscettibile di applicazione anche nel contenzioso tributario, secondo cui l'istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata – interpretazione ritenuta compatibile da Cass. VI, n. 10748/2012 con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130), con gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto non determina alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di «difendersi provando», subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell'istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato.

Ad ogni modo, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, a prescindere dall'applicabilità della presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 c.p.c., che riguarda solo le domande e eccezioni, non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riformulate, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall'art. 359 c.p.c. (cfr., tra le altre, Cass. III, n. 14135/2000 e Cass. III, n. 17904/2003; v., inoltre, la recente Cass. II, n. 5812/2016, secondo cui, in osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado). Appare, pertanto, superato l'orientamento secondo cui l'appellante, che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per l'accoglimento delle domande proposte (rigettate dal primo giudice), a differenza della parte appellata vittoriosa in primo grado, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande e già ritualmente proposte in primo grado essendo tale riproposizione insita nella richiesta di accoglimento delle domande stesse (Cass., sez. lav., n. 2756/1999).

Le eccezioni alla regola generale

In virtù del secondo comma della disposizione in esame, in appello è ammissibile la produzione di qualsiasi documento, anche se preesistente allo svolgimento del precedente grado ed ivi non prodotto o irritualmente e tardivamente prodotto: ciò vale sia per la parte costituita in primo grado sia per quella contumace, con le uniche limitazioni derivanti dalle decadenze previste dalle specifiche leggi d'imposta o dalla disciplina dell'attività di accertamento e più in generale dalla struttura del processo tributario, sicché, ad esempio, non è consentita la produzione di documenti strumentali alla dimostrazione di domande o eccezioni nuove vitata si sensi del precedente art. 57 (Giannoncelli, 818). Da tale indiscriminata possibilità di produrre nuovi documenti in appello discende, ad avviso di autorevole dottrina, il riconoscimento del diritto del contribuente di integrare i motivi spesi in primo grado, nel rispetto dei termini e delle modalità di cui all'art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992 (così Pistolesi, 343).

Per quanto concerne, invece, gli altri mezzi di prova, vale il divieto generale di cui all'art. 58, comma 1, a cui si sottraggono solo le prove necessarie ai fini della decisione o quelle che la parte dimostri di non aver potuto fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. Sono qualificate come necessarie e, quindi, ammissibili in appello 1) le prove dirette a dimostrare fatti posti a fondamento di questioni assorbite in primo grado, in conseguenza dell'accoglimento di altre questioni preliminari o pregiudiziali, che assumano attualità e rilevanza in appello; 2) i fatti già allegati, ma non adeguatamente valutati in considerazione della concreta decisione assunta; 3) quelle la cui esigenza sorga nello stesso giudizio di appello, ad esempio, per confutare l'attendibilità di nuovi documenti prodotti o per dimostrare l'inesistenza dei fatti costitutivi delle eccezioni in senso lato rilevate d'ufficio per la prima volta in questo grado di giudizio; 4) quelle che possono dimostrare la sussistenza o insussistenza di fatti che altrimenti sarebbero stati accertati in base al criterio della ripartizione dell'onere della prova (Santi Di PaolaTambasco, 66).

Resta da verificare se, alla luce della recente Cass. S.U., n. 10790/2017, tra le prove necessarie possono includersi anche quelle relativamente alle quali la parte sia incorsa in decadenza.

Le prove non necessarie, come, ad esempio, quelle che possono colmare le lacune della difesa che avrebbero potute essere acquisite in primo grado su impulso della parte non costituita, possono, invece, essere ammesse solo se la parte dimostri di non averla potuta fornire in primo grado per causa ad essa non imputabile.

Va, tuttavia, sottolineato che, in ragione della natura prevalentemente documentale del processo tributario, le eccezioni di cui al comma 1 dell'art. 58 restano di marginale ed esigua applicazione.

Come chiarito da Cass. VI, n. 22776/2015, l'art. 58 consente la produzione nel giudizio di appello di qualsiasi documento, pur se già disponibile in precedenza (così anche, Cass. V, n. 17921/2021, secondo cui, nel processo tributario, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, la parte può produrre in appello prove documentali, anche se preesistenti al giudizio di primo grado e pure se, in quest'ultimo giudizio, era rimasta contumace; v. anche , Cass . V, n. 14567/2021, secondo cui è consentito alla parte, rimasta contumace in primo grado, produrre per la prima volta nel secondo grado l'originale dell'atto impositivo notificato - e di cui era contestata dal contribuente l'avvenuta notifica- atteso che tale produzione integra una mera difesa, volta alla confutazione delle ragioni poste a fondamento del ricorso della controparte, mentre il divieto di proporre eccezioni nuove, di cui all'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto).Difatti, alla luce del principio di specialità espresso dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima, non trova applicazione la preclusione alla produzione documentale di cui all'art. 345, comma 3, c.p.c.: così Cass. V, n. 7714/2013, che ha precisato che il documento contenente la dichiarazione di un terzo non è escluso come fonte di prova, non ostandovi il divieto di prova testimoniale di cui all'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 cit., trattandosi di fonte di prova documentale, diversa da quella testimoniale sia in sé, in quanto «res» cartacea, sia per il diverso regime processuale, circoscritto al rispetto del principio del contraddittorio per la sua produzione. Sul differente contenuto dell'art. 58 rispetto all'art. 345, comma 3, c.p.c. si rinvia a Cass. V, n. 2027/2003, secondo cui, in tema di appello avverso le decisioni delle commissioni tributarie di primo grado, l'art. 58, comma secondo, fa salva la facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti indipendentemente dalla impossibilità dell'interessato di produrlo in prima istanza per causa a lui non imputabile: requisito richiesto dall'art. 345 ultimo comma c.p.c., ma non dal citato art. 58, per cui costituisce erronea applicazione della norma in parola l'affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio d'appello tributaria risulta illegittima ove non sia stata provata l'impossibilità incolpevole di versarla agli atti del giudizio di primo grado.

Va sottolineato che l'irrituale produzione di un documento nel giudizio di primo grado non assume rilievo nella definizione della controversia, salvo eventualmente per quanto riguarda la regolamentazione delle spese processuali, visto che, comunque, il documento può essere legittimamente valutato dal giudice di appello, in applicazione dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (così Cass. VI, n. 30537/2017e Cass. V, n. 6914/2011).  E' rimasto, invece, isolato il contrario precedente, che escludeva la possibilità di produrre, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, i documenti tardivamente ed irritualmente prodotti in primo grado ( Cass.V, n. 13317/2011). Invero, non può negarsi che il sistema processuale - che fissa dei termini per la produzione della documentazione in primo grado, ma ne consente il superamento con la produzione della documentazione nel giudizio di appello - presenta profili di incoerenza, che sono, però, giustificati dall'esigenza, propria del settore tributario, di una piena ed effettiva verifica del rapporto, al fine di realizzare il principio di capacità contributiva.

Riguardo alla posizione del contumace, in tutto analoga relativamente alla produzione di nuovi documenti a quella della parte già costituita in primo grado, può rinviarsi a Cass. V, n. 18962/2005, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi. Peraltro, qualora tali difese non siano concretamente esercitate, nessuna altra conseguenza sfavorevole può derivarne al resistente, sicché deve escludersi qualsiasi sanzione di inammissibilità per il solo fatto della tardiva costituzione della parte resistente, cui deve riconoscersi il diritto, garantito dall'art. 24 della Costituzione, sia di difendersi, negando i fatti costitutivi della pretesa attrice o contestando l'applicabilità delle norme di diritto invocate dal ricorrente, sia di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, facoltà esercitabile anche in appello ai sensi dell'art. 58 del d.lgs. medesimo.

In definitiva, pertanto, nel processo tributario, poiché l'art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 consente la produzione in appello di qualsiasi documento, la stessa può essere effettuata anche dalla parte rimasta contumace in primo grado, poiché il divieto posto dall'art. 57 del detto decreto riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto (Cass. V, n. 29568/2018).

Cass. V, n. 6772/2023 ha precisato che l'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, in base al quale in grado d'appello è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti, è applicabile non solo allorché tali documenti costituiscano, di per sé, una prova ai sensi degli artt. 2699-2720 c.c., ma altresì quando i medesimi siano utilizzati quali meri elementi indiziari, che, da soli o unitamente ad altri, in quanto dotati delle caratteristiche previste dall'art. 2729 c.c., siano idonei a fondare una praesumptio hominis.

Ad avviso di Cass. VI, n. 20535/2014 e Cass. V, n. 2739/2009, però, nel giudizio di appello tributario, riassunto a seguito di rinvio della Corte di cassazione, è inammissibile la produzione di nuovi documenti, fatta eccezione per quelli che non si siano potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore, stante la natura di «giudizio chiuso» riconosciuta al grado di rinvio.

Deve, inoltre, segnalare che recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non solo possibile, ma necessaria la produzione del documento in appello nell'ipotesi in cui sia stato irritualmente acquisito in primo grado: nel processo tributario, allorché un documento venga acquisito attraverso un illegittimo ordine giudiziale di sua esibizione a fronte di una lacuna probatoria della parte che ne viene onerata, quest'ultima, nel susseguente giudizio d'appello, ha l'onere di provvedere alla produzione del medesimo documento, già entrato nel fascicolo dell'ufficio, non potendo semplicemente limitarsi a richiamarlo, salvo che non alleghi la sua unicità e anche in tal caso dimostrando di averne previamente richiesto il rilascio di copia alla segreteria dell'ufficio giudiziario senza ricevere tempestiva risposta od ottenendo un diniego (così Cass. V, n. 17172/2023). 

In senso contrario, tuttavia, si è pronunciata subito dopo Cass. V, n. 34756/2023, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, ove un documento venga acquisito attraverso un illegittimo ordine giudiziale di esibizione a fronte di una lacuna probatoria della parte onerata, quest'ultima, nel susseguente giudizio d'appello, in applicazione dei principi della verità materiale e dell'agevolazione probatoria, può limitarsi a richiamarlo, senza che sia necessario produrlo con le modalità di cui all'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, poiché esso è già entrato nel fascicolo d'ufficio ed è a disposizione della controparte, che può esercitare il suo diritto di difesa.

Modalità di introduzione delle prove e di produzione dei documenti

La formulazione di nuove istanze istruttorie e la produzione di nuovi documenti, laddove ammessa, deve avvenire, in virtù del rinvio generale operato dall'art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 con le stesse modalità e secondo gli stessi termini previsti per il primo grado di giudizio – in particolare nel rispetto degli artt. 22, comma 4, ai sensi del quale «unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma art. 23, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato, se notificato, ed i documenti che produce, in originale o fotocopia»,  comma 3, ai sensi del quale «nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi», art. 24, comma 1, ai sensi del quale «i documenti devono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero, se prodotti separatamente, in apposita nota sottoscritta da depositare in originale ed in numero di copie in carta semplice pari a quello delle altre parti», art. 32, comma 1, ai sensi del quale «le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'art. 24, comma 1» (Giannoncelli, 820).

Ad avviso di Pistolesi, 362, a differenza di quanto avviene per la produzione di nuovi documenti, «non vi sono limiti o termini tassativi entro i quali le parti possono formulare le proprie istanze probatorie», atteso che, per quanto riguarda il ricorrente, non vi è nessun previsione in tal senso e, per quanto riguarda il resistente, non è collegata alcuna sanzione di inammissibilità alla mancata indicazione delle prove di cui intende valersi, pur prescritta dall'art. 23, sicché, sussistendone i presupposti, le parti potranno formulare nuovi mezzi istruttori sino all'udienza di discussione. Parimenti possono essere prodotti in ogni momento, anche nel corso della discussione della causa, i precedenti giurisprudenziali, le leggi o gli articoli di dottrina, in quanto non costituiscono documenti (Santi Di PaolaTambasco, 69).

Come precisato da Cass. V, n. 655/2014 e da Cass. V, n. 18103/2021l'art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti consentiti dall'art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata, stante il richiamo operato dall'art. 61 alle norme relative al giudizio di primo grado, entro il termine previsto dall'art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza con l'osservanza delle formalità di cui all'art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria e, quindi, sanzionato con la decadenza, per lo scopo che persegue e la funzione (rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio) che adempie. Resta, pertanto, inibito al giudice di appello fondare la propria decisione sul documento tardivamente prodotto anche nel caso di rinvio meramente «interlocutorio» dell'udienza, su richiesta del difensore, o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva, essendo la sanatoria a seguito di acquiescenza consentita con riferimento alla forma degli atti processuali e non anche relativamente all'osservanza dei termini perentori (così Cass. V, n. 2787/2006). così Cass. V, n. 2787/2006).

Tale posizione è stata confermata anche recentemente da Cass. V, n. 29087/2018, secondo cui nell'ambito del processo tributario, l'art. 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall'art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata - stante il richiamo operato dall'art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado - entro il termine previsto dall'art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza, con l'osservanza delle formalità di cui all'art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, pur in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d'ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell'udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva. Cass. V, n. 17164/2018 ha ulteriormente puntualizzato che, nel processo tributario, le parti possono produrre in appello nuovi documenti, anche ove gli stessi comportino un ampliamento della materia del contendere e siano preesistenti al giudizio di primo grado, purché ciò avvenga, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio nei confronti delle altre parti, entro il termine di decadenza di cui all'art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Va, però, segnalato che, secondo Cass. V, n. 5429/2018, fermo restando che la produzione di nuovi documenti in appello debba avvenire, ai sensi dell'art. 32, entro venti giorni liberi antecedenti l'udienza, l'inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d'ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e "ritualmente" nel giudizio di impugnazione. La posizione de qua risulta confermata anche da Cass. VI, n. 16652/2018, secondo cui In tema di appello nel processo tributario, il documento contenente la delega di firma del sottoscrittore dell'atto di accertamento impugnato, che sia stato prodotto, ancorché tardivamente, nel giudizio di primo grado, deve ritenersi acquisito automaticamente e ritualmente in quello di gravame, anche se depositato oltre il termine previsto dall'art. 32, atteso che - sebbene le modalità di produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - il documento era stato già messo a disposizione della controparte, ai fini dell'esercizio del diritto di difesa da parte della stessa, mediante l'inserimento nel fascicolo di primo grado che, ai sensi dell'art. 25, comma 2, del detto decreto, resta inserito in modo definitivo in quello d'ufficio e può essere restituito solo dopo il passaggio in giudicato della decisione. Del resto, alla medesima soluzione era pervenuta già in passato Cass. V, n. 24398/2016 , affermando che, in tema di contenzioso tributario, il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in appello, nel rispetto delle modalità previste dall'art. 32, ed in forma analoga nell'art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove lo stesso sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e quest'ultimo sia depositato all'atto della costituzione unitamente a quello di appello, si deve ritenere raggiunta - ancorché le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge - la finalità di mettere quel documento a disposizione della controparte, così da consentirle l'esercizio del diritto di difesa, onde l'inosservanza del citato art. 32 deve ritenersi sanata. Sembra, dunque, superata Cass. V, n. 3661/2015, secondo cui il giudice di appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado purché acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui all'art. 32, comma 1, e Cass. V, n. 26115/2020, secondo cui nel processo tributario i fascicoli di parte sono inseriti in modo definitivo nel fascicolo d'ufficio fino al passaggio in giudicato della sentenza, ex art. 25 del d.lgs. n. 546 del 1992, e non possono essere ritirati dalle parti, che possono solo acquisire copia autentica dei documenti e degli atti ivi contenuti; ne consegue che la documentazione depositata tardivamente nel giudizio di primo grado è utilizzabile in appello, ove acquisita al fascicolo processuale, purché depositata entro il termine perentorio di cui all'art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992.

Ad ogni modo, come chiarito da Cass. V, n. 8927/2018, in tema di contenzioso tributario, pur potendo le parti, ai sensi dell'art. 58, comma 2, produrre in appello nuovi documenti, anche ove preesistenti al giudizio di primo grado, tale condotta può essere considerata ai fini della regolamentazione delle spese di lite, nella quale sono ricomprese, ex art. 15 del detto decreto, quelle determinate dalla violazione del dovere processuale di lealtà e probità. Nello stesso senso si sono pronunciate Cass. VI, n. 30537/2017 Cass. V, n. 6914/2011 secondo cui l'irrituale produzione di un documento nel giudizio di primo grado, non rilevata dal giudice, non assume rilievo nella definizione della controversia, salvo eventualmente per quanto riguarda la regolamentazione delle spese processuali, in quanto, comunque, il documento può essere legittimamente valutato dal giudice di appello, in applicazione dell'art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992

Cass. V, n. 8313/2018 ha chiarito che l'art. 58, comma 2, consente il deposito, in sede di gravame, dell'atto impositivo notificato, trattandosi di mera difesa, volta a contrastare le ragioni poste a fondamento del ricorso originario, e non di eccezione in senso stretto, per la quale opera la preclusione di cui all'art. 57  del detto decreto, mentre Cass., VI, n. 22965/2017  ha puntualizzato che, nel processo tributario, le perizie estimative, prodotte, singolarmente o nel contesto di scritti difensivi, dal contribuente o da organi tecnici dell'amministrazione, hanno contenuto di allegazione difensiva a contenuto tecnico e possono, pertanto essere prodotte, nel contesto di memoria difensiva, nel rispetto del termine di dieci giorni prima dell'udienza pubblica di discussione della causa in appello, ex artt. 58, comma 2, e 32, comma 2. Analogamente in passato, Cass. V, n. 23590/2011 ha ritenuto che, nel processo tributario, atteso che l'art. 58, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello, è ammissibile la produzione, nel predetto grado, anche dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, di una consulenza tecnica di parte, che, costituendo semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, può essere prodotta sia da sola che nel contesto degli scritti difensivi.

Bibliografia

Antico, Il documento entrato nel processo in modo illegittimo impone una nuova produzione in appello, in Il Fisco, 2023, 2830Giannoncelli, Sub art. 58, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a cura di Tesauro, Padova, 2016, 808; Longo, Sub art. 58, in AA.VV., Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2012, 340; Marzo, Nuove prove in appello, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, a cura di Loconte-Sellitto, Torino, 2016; Pistolesi, L'appello nel processo tributario, Torino, 2002; Santi Di Paola – Tambasco, Le impugnazioni delle sentenze tributarie, Santarcangelo di Romanga, 2103; Succio, Il nuovo processo tributario dopo il D.Lgs.220/2023, in Il Quotidiano giuridico 17 gennaio 2024; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2014; Tundo, Le nuove prove in appello. I rapporti tra l'art. 345 c.p.c. e l'art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, in AA.VV., Codice del processo tributario. Diritto e pratica, a cura di Uckmar-Tundo, 2007, Piacenza.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario