Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 42 - Effetti della sospensione e dell'interruzione del processo 1 2 .1. Durante la sospensione e l'interruzione non possono essere compiuti atti del processo. 2. I termini in corso sono interrotti e ricominciano a decorrere dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo seguente. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 91 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Inquadramento.Nella norma in commento, il legislatore disciplina unitamente gli effetti della sospensione e dell'interruzione del processo tributario, riassumibili: a) nella preclusione al compimento di atti processuali; b) nell'arresto del decorso dei termini correnti al momento della sospensione, destinati a ricominciare la loro decorrenza, nella loro interezza, con la presentazione della istanza di cui all'art. 43. Nell'ipotesi di interruzione o sospensione del processo, l'attività del giudice è circoscritta al solo compito dichiarativo dell'interruzione o della sospensione, senza possibilità alcuna di spaziare nell'ambito del processo a ricercarvi, anche se sollecitato dalla parte interessata, se sussistesse, già prima della dichiarazione o notificazione dell'evento interruttivo, una causa di estinzione o decadenza preclusiva del giudizio di merito: poiché la dichiarazione di siffatte cause postula la persistenza del rapporto processuale che la legge di rito considera invece per l'evento di cui sopra, ipso iure interrotto (Galluzzi, 439). Pertanto, in forza della norma in esame, oltre all'arresto del decorso dei termini correnti al momento della sospensione (destinati a ricominciare la loro decorrenza, nella loro interezza, con la presentazione della istanza per la prosecuzione del giudizio), non possono essere compiuti nuovi atti processuali, nemmeno quelli diretti alla riattivazione del processo, se compiuti prima che sia rimossa la causa che ha determinato la stasi processuale. Possono, al contrario, essere compiuti atti strumentali alla tutela cautelare quando l'amministrazione proceda alla riscossione provvisoria delle somme contestate dal contribuente, posto che, per ottenere la sospensione degli effetti di un atto amministrativo tributario, si richiede semplicemente la pendenza del giudizio avente ad oggetto tale atto (Marini, 511). Tale affermazione si fonda sull'applicazione estensiva dell'art. 48 c.p.c., (Trisorio Liuzzi, 641), che consente al giudice, nel caso di sospensione del procedimento conseguente alla proposizione del regolamento di competenza, di autorizzare la parte al compimento di atti urgenti. Tale regola si può considerare espressione di un principio generale operante in ordine a tutte le ipotesi di sospensione e anche nel processo tributario in virtù del secondo comma dell'art. 1 d.lgs. n. 546/1992 (Bellagamba, 153). In presenza di sospensione del processo (art. 39 d.lgs. n. 546/1992), tuttavia, essendo inibito il compimento di atti processuali, a seguito della trattazione dell’istanza cautelare la corte di giustizia tributaria non potrà fissare d’ufficio la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 47, sesto comma, d.lgs. n. 546/1992 (MARINI, 2005, 1046). È necessario, inoltre, aggiungere che la stasi del processo è, in alcuni casi particolari, solo parziale; in tali ipotesi, infatti, sebbene sia inibita la sua normale progressione, il processo continua tuttavia in una sede particolare. Ciò accade quando è proposto il regolamento di giurisdizione o il regolamento di competenza oppure la querela di falso o, ancora, è sollevata questione di legittimità costituzionale o di compatibilità con il diritto comunitario (Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2009, 350). L'obbligo di rimanere inerti stabilito dalla norma in commento concerne, peraltro, soltanto le attività che sono dirette a far progredire il giudizio e che producono effetti per le controparti, facendo sorgere obblighi o oneri in capo ad esse (ad esempio, perché costituiscono atti in relazione ai quali è concessa la possibilità di replica), non quelle che riguardano i rapporti meramente interni tra la parte ed il suo difensore, per cui, ad esempio, è valida la procura rilasciata al nuovo difensore nel periodo della sospensione (Tesauro, 2014, 187). L'articolo in esame disciplina gli effetti, identici, che conseguono alla sospensione ed all'interruzione del processo tributario, concretizzandoli nel divieto di compiere qualsiasi attività processuale. Il processo resta, quindi, pendente in una condizione di quiescenza (Cass.S.U., n. 93/12601; Cass. n. 95/6431; Cass. n. 424/1997). Detto altrimenti, in forza della norma in esame, in seguito al provvedimento di sospensione o di interruzione, il processo entra in una fase di stasi nella quale restano preclusi gli atti di impulso processuale, eccetto quelli rivolti alla riattivazione del processo, dopo che sia rimossa la causa che ha determinato la stasi processuale, non essendo invece consentito il loro compimento prima di tale rimozione (Cass. n. 4427/2004), e quelli volti a provocare la dichiarazione dell'interruzione. Peraltro, si arrestano i termini in corso, che ricominciano a decorrere, nella loro interezza, dal momento di presentazione dell'istanza per la prosecuzione del giudizio. Anche secondo la giurisprudenza, sono preclusi solo atti processuali idonei a riverberare effetti sulle controparti (ivi comprese memorie cui consegue il potere di replica), ma non atti meramente interni tra la parte e il difensore. In forza di tale assunto, la Suprema corte ha confermato l'ammissibilità della procura alle liti rilasciata durante l'interruzione o la sospensione del processo (Cass. n. 2618/1999). Gli effetti della sospensione e dell'interruzione sugli atti processuali.Gli atti posti in essere prima dell'evento interruttivo o del provvedimento che dispone la sospensione conservano la loro efficacia. Al contrario, gli atti processuali eventualmente compiuti nel periodo in cui il processo è sospeso o interrotto sono inopponibili alla parte colpita dall'evento sfavorevole e nulli (Muleo, 150; Della Valle, 614; Galluzzi, 440). Ad ogni modo, occorre dar conto di un diverso orientamento dottrinale secondo il quale, gli atti processuali eventualmente posti in essere durante la sospensione o l'interruzione sono inefficaci, pur convertendosi l'inefficacia in motive di gravame che deve essere fatto valere davanti al giudice dell'impugnazione (Gilardi, 236; Bellagamba, 157). L'inopponibilità non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma deve essere dedotta dal soggetto interessato costituendo un'eccezione processuale in senso proprio (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 619; Bruzzone, 465). Il vizio procedurale derivante dalla illegittimità degli atti eseguiti dopo l'evento interruttivo o il provvedimento di sospensione si riflette sulla sentenza, che è parimenti affetta da invalidità, denunciabile, a pena di preclusione, in sede di gravame (Socci, Sandulli, 281). Al riguardo, si pone il problema delle conseguenze del rilievo, nel grado successivo, del vizio conseguente alla illegittima prosecuzione del processo, con compimento di atti non urgenti nonostante la stasi processuale. Tale vizio può verificarsi sia che il presidente o il collegio rifiuti di disporre la sospensione o dichiarare l'interruzione pur risultandone i presupposti, sia che, disposta la sospensione o dichiarata la interruzione, vengano posti in essere atti processuali. Sembra possibile ritenere che la soluzione sia diversa tra l'ipotesi della prosecuzione nonostante l'interruzione, e quella della prosecuzione nonostante la sospensione. La prima delle ipotesi prospettate appare più grave, in quanto lesiva della integrità del contraddittorio. Ebbene, laddove il difetto consista nella prosecuzione del processo di prima istanza nonostante l'interruzione, la corte di giustizia tributaria di secondo grado dichiara nulla la sentenza della provinciale, ma, poiché, per effetto della violazione dell'obbligo di fermare l'attività processuale, si è giunti alla pronuncia della sentenza di prime cure senza rispettare la parità del contraddittorio, sembra più corretto, nel caso specifico, che la regionale rinvii la causa alla provinciale, ex art. 59, affinché il processo in primo grado sia nuovamente celebrato, consentendo alla parte menomata dall'evento lesivo di esercitare compiutamente, anche in quella fase, i suoi diritti difensivi (Gaffuri, 617). Nel caso di prosecuzione nonostante la sospensione (o la causa di sospensione non rilevata) appare maggiormente sostenibile la ricorrenza di una ipotesi rientrante nel secondo comma dell'art. 59, con la conseguenza che la corte di giustizia tributaria di secondo grado dovrebbe trattenere la causa e giudicare nel merito (previa sospensione del processo in appello, se la causa di sospensione non è ancora venuta meno) in virtù del principio della conversione dei vizi della sentenza in motivi di gravame. Se il giudice investito del gravame, infine, è la Cassazione, la stessa annulla la sentenza con rinvio. Gli atti del processo (ivi compresa la sentenza) eventualmente compiuti dopo il verificarsi del fatto interruttivo, quando questo opera automaticamente senza bisogno di dichiarazioni o comunicazioni, sono nulli (Cass. n. 8720/1998; Cass. n. 3279/1997; Cass. n. 11204/1993; Cass. n. 5923/1991; Cass. n. 4382/1989) e inopponibili nei confronti della parte colpita dall'evento interruttivo. La nullità è opponibile soltanto dalla parte colpita dall'evento e non è pertanto rilevabile d'ufficio. Invero, come affermato dalla Corte (Cass. n. 8409/1996), poiché le norme sull'interruzione del processo per morte o impedimento del procuratore sono volte a tutelare la parte nei cui confronti l'evento si è verificato, questa è la sola legittimata a dolersi della mancata interruzione e a dedurre l'inefficacia nei suoi confronti della sentenza che sia stata emessa, nonostante l'interruzione, al pari di ogni altro atto processuale. Il principio è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo dell'unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito determinano l'automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altri parti non ne hanno conoscenza, con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, la quale può essere impugnata per tale motivo, ma solo dalla parte colpita dagli eventi sopra descritti, poiché le norme che disciplinano l'interruzione sono finalizzate alla sua esclusiva tutela (Cass. n. 23486/2021). Come anticipato, gli atti eventualmente compiuti successivamente all'interruzione o alla sospensione del processo sono invece inopponibili alla parte colpita dall'evento. L'inopponibilità costituisce oggetto di eccezione processuale in senso proprio e come tale può essere dedotta dalla parte interessata, ossia la parte nei cui confronti si è verificato l'evento e alla cui tutela avrebbe dovuto risultare funzionale l'interruzione. La giurisprudenza intervenuta sul punto ha chiarito che, anche nel nuovo processo tributario, essendo l'istituto della interruzione del processo regolato secondo le linee del codice di rito civile, è applicabile il principio, formatosi sulla disciplina corrispondente per il processo civile ordinario, secondo cui le norme che disciplinano l'interruzione del processo sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento, con la conseguenza che difetta d'interesse l'altra parte a dolersi dell'irrituale continuazione del processo (Cass. n. 7007/2001; Cass. n. 7216/2001). Ne consegue che, essendo le norme che disciplinano l'interruzione del processo preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l'unica legittimata a dolersi dell'irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva, la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, né essere eccepita dall'altra parte come motivo di nullità (Cass. n. 17199/2016). In caso di decesso del ricorrente nelle more del giudizio di primo grado, prima dell'udienza di discussione, tale circostanza impone l'automatica interruzione del processo ex art. 40, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. Di conseguenza, la sentenza è improduttiva di effetto nei confronti degli eredi e deve ritenersi nulla (C.t.r. Toscana 26 giugno 2000, n. 28). Sulla nullità degli atti del processo compiuti dopo l'evento interruttivo, la Suprema corte ha affermato che la morte come la radiazione o la sospensione dell'unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito (intervenuta, nella specie, tra l'udienza di precisazione delle conclusioni e quella di discussione) determina automaticamente l'interruzione del processo anche se il giudice e le altre parti non ne hanno avuto conoscenza (e senza, quindi, che occorra, perché si perfezioni la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell'evento), con la preclusione di ogni ulteriore attività processuale, che se compiuta è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza, con la conseguenza che la nullità che vizi la sentenza di appello, potrà essere dedotta e provata per la prima volta nel giudizio di legittimità a norma dell'art. 372 c.p.c. e che, nel caso di accoglimento del ricorso, la sentenza ai sensi dell'art. 383 dello stesso codice, dovrà essere cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, nella stessa fase in cui si trovava il processo alla data dell'evento interruttivo (Cass. n. 8720/1998; Cass. n. 3279/1997). Anche in assenza, a seguito della acquisizione della notizia, da parte della corte di giustizia tributaria di primo grado, del sopravvenuto fallimento, di una formale dichiarazione di interruzione del processo, non sussiste l'eccepito vizio di nullità della sentenza in quanto la finalità al cui soddisfacimento l'istituto della interruzione è preposto (assicurare il contraddittorio tra parti capaci di stare in giudizio) è stata comunque assicurata: infatti nessuna attività processuale è proseguita, e per converso la Ctp ha disposto il rinvio per trattazione all'udienza ordinando la notifica dell'atto di ricorso alla curatela del fallimento (il soggetto munito della necessaria capacità processuale e cioè il curatore del fallimento è stato dunque messo in condizione di agire in giudizio e ha ritenuto di non farlo rimanendo contumace) (C.t.r. Toscana, 22 ottobre 2015 n. 1831). Le nullità sono oggetto di eccezione in senso stretto e dunque non sono rilevabili d'ufficio; esse pertanto si convertono in motivi di gravame che possono essere fatti valere dinanzi al giudice dell'impugnazione dalla parte colpita dall'evento interruttivo (Cass. n. 3929/1984). A tale proposito, qualora il giudice d'appello appuri che la sentenza di primo grado è viziata a cagione del mancato arresto del processo, esso deve trattenere la causa e pronunciarsi nel merito, per effetto della conversione delle ragioni di censura della sentenza in motivi di gravame, non rientrando tale difetto tra le ipotesi in cui la controversia deve essere rimessa al giudice della fase anteriore (in tal senso, con riferimento al processo civile: Cass. n. 8870/1998), fatta eccezione, ancora una volta, in forza dell'art. 59, nel caso in cui il vizio consista nell'aver negato l'adozione di un provvedimento di interruzione, poiché, in tal caso, la sentenza è stata pronunciata in una situazione di disparità tra le parti contendenti, una delle quali, colpita dall'evento lesivo, non ha potuto difendersi adeguatamente. Ancora, la Cassazione ha, al riguardo, precisato che in applicazione, da un lato, del principio di conversione delle cause di nullità della sentenza in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c.), e, dall'altro, di quello della tassatività delle ipotesi di remissione al primo giudice (di cui all'art. 354 c.p.c.), il giudice di appello, che dichiari la nullità della sentenza per la mancata interruzione ipso iure del processo in dipendenza della morte del procuratore costituito, deve trattenere la causa e deciderla nel merito (Cass. n. 8870/1998). In senso conforme si pone Cass. ord., n. 3546/2016, secondo cui la mancata interruzione del processo a causa della morte dell'unico difensore della parte costituisce un'ipotesi di nullità relativa che comporta non la rimessione della causa al primo giudice, in quanto estranea alle ipotesi tassative di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., ma la decisione nel merito da parte del giudice di appello su tutte le questioni controverse. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di secondo grado che, a fronte dell'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per mancata interruzione del processo, ha accolto la domanda subordinata disponendo la rinnovazione della prova testimoniale, e deciso nel merito esaminando tutte le questioni inerenti alla causa). Il difetto in cui sia incorsa la decisione di secondo grado per violazione della disciplina sull'interruzione può essere denunciato anche davanti alla Cassazione; a tale proposito, si sostiene in giurisprudenza (Cass. n. 5575/1997) che la nullità della sentenza d'appello (derivante nella specie, dall'essere stata emessa nonostante il decesso, in corso di causa, dell'unico procuratore delle parti) non può essere rilevata d'ufficio in sede di legittimità né essere ivi utilmente dedotta con le memorie presentate ai sensi dell'art. 378 c.p.c. (che hanno funzione meramente illustrativa di quanto esplicitato in ricorso), ma può essere dichiarata solo in quanto abbia formato oggetto di specifico motivo di censura, dovendo essere fatta valere, conformemente al principio di cui all'art. 161, comma 1, c.p.c., nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso per cassazione. Nel caso di accoglimento del ricorso, la sentenza dovrà essere cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado di quello davanti al quale pendeva il processo nel momento in cui si è avverato l'evento interruttivo (Cass. n. 3279/1997). Nel caso di evento sospensivo, pare ragionevole ipotizzare il rinvio davanti alla corte di giustizia tributaria di secondo grado. Questo tipo di vizio non può essere rilevato di ufficio neppure in sede di legittimità, né dedotto con la memoria difensiva rassegnata ai sensi dell'art. 378 c.p.c. (Cass. n. 5575/1997 cit.). Ancora, sulla nullità della sentenza eventualmente emessa dopo il verificarsi del fatto interruttivo, la Cassazione ha ritenuto che la sentenza emessa nonostante l'interruzione del processo che consegue automaticamente alla morte del procuratore della parte (ancorché verificatasi dopo il rinvio della udienza di discussione), al pari di ogni altro atto processuale compiuto precedentemente ad essa e dopo il giorno del decesso, è affetta da nullità insanabile e pertanto non può produrre effetto alcuno nei confronti della parte colpita dall'evento interruttivo. Peraltro, dopo la cassazione della sentenza di appello, emessa malgrado l'interruzione automatica del processo per la morte del procuratore di una delle parti, la riassunzione deve essere compiuta davanti al giudice di rinvio, ad istanza della parte che vi abbia interesse, entro il termine annuale di cui all'art. 392 c.p.c., e non in quello fissato dall'art. 305 dello stesso codice con decorrenza dalla conoscenza del fatto interruttivo (Cass. n. 1200/1992). Circa la produzione della prova dell'evento interruttivo, la giurisprudenza ha sostenuto che a norma dell'art. 372 c.p.c. può essere prodotto nel giudizio di cassazione il documento comprovante un evento interruttivo operante ope legis e non dichiarato nel giudizio di merito (nella specie, provvedimento di sospensione del procuratore dall'esercizio professionale), in quanto fra i documenti che riguardano la nullità della sentenza sono compresi non solo quelli relativi a nullità strettamente formali riguardanti la sua sottoscrizione, la composizione o costituzione del collegio, le qualità o condizioni del giudice, il procedimento deliberativo, ma anche quelli relativi a nullità, di carattere derivato, discendenti dall'irregolare costituzione del rapporto processuale o dal suo venir meno nel corso del giudizio (Cass. n. 1360/1980; Cass. n. 11204/1993). Tenuto conto che la morte, la radiazione o la sospensione del procuratore della parte costituita provocano l'automatica interruzione del processo, senza necessità di dichiarazioni o notifiche, per la presunzione di legge che detti eventi siano noti a tutte le parti ed al giudice, con la conseguenza che la omessa dichiarazione, da parte del giudice, dell'interruzione automatica importa la nullità di tutti gli atti successivi e della sentenza che definisce il giudizio. Detta nullità, ove riguardi una sentenza pronunciata in grado di appello, può essere provata, con la produzione dei documenti relativi all'evento interruttivo, davanti alla Corte di Cassazione la quale, accertato l'evento, deve annullare la sentenza impugnata e rinviare la causa davanti allo stesso giudice che l'ha pronunciata, nella medesima fase processuale in cui era pervenuta al momento della interruzione e, cioè, rispettivamente davanti all'istruttore od al collegio (Cass. n. 2449/1989). Gli effetti della sospensione e dell'interruzione sui termini processualiIl secondo comma della norma in commento dispone che l'interruzione e la sospensione del processo comportano l'interruzione dei termini in corso, i quali cominciano a decorrere ex novo dalla data di presentazione dell'istanza di cui al successivo art. 43. Pertanto, in ogni caso di interruzione o di sospensione, le parti del processo tributario, una volta presentata l'istanza di trattazione prevista dall'art. 43 del d.lgs. n. 546/1992, vengono sostanzialmente rimesse in termini. Tale disposizione è stata sospettata di illegittimità costituzionale da quella dottrina che ha osservato che la ripresa della decorrenza dei termini si verifica anche nei confronti della parte che non ha presentato l'istanza di trattazione e che può ignorare l'avvenuta presentazione di tale istanza ad opera dell'altra parte (Menchini, Miccinesi, 226). La scelta del dies a quo per il rinnovato computo dei termini è stata ritenuta infelice anche sotto altro profilo: invero, poiché la decorrenza dei termini è legata alla mera presentazione dell'istanza di trattazione, la parte è esposta alla negligenza del giudice nel fissare la data dell'udienza ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 546/1992. Si è dunque rilevato che ben più opportuno sarebbe stato adottare una soluzione analoga a quella prevista dall'art. 298 c.p.c., il quale, al contrario, dispone che i termini interrotti ricominciano a decorrere dal giorno della nuova udienza fissata dal giudice dopo la sospensione o l'interruzione del processo (Galluzzi, 443). L'istanza di riassunzione, proposta prima della cessazione della causa che ha determinato la sospensione del giudizio o prima del passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito una questione pregiudiziale, è inefficace, stante il disposto dell'art. 298 c.p.c. in quanto non idonea a riattivare il processo; sono pertanto nulli tutti gli atti successivamente compiuti (Cass. ord., n. 24692/2015). Nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza declinatoria della competenza, l'atto di riassunzione che sia stato posto in essere malgrado la pendenza di impugnazione avverso la suddetta decisione, dinanzi al giudice indicato come competente, è nullo in quanto effettuato durante la sospensione del giudizio; non rileva la corretta individuazione del giudice davanti al quale è compiuto poiché la successiva conferma di tale designazione da parte della Cassazione non ha efficacia sanante (Cass. n. 6512/2014). Durante la sospensione del processo, secondo l'art. 298 c.p.c. non possono essere compiuti atti del procedimento; è conseguentemente inefficace, in quanto funzionalmente inidonea a provocare la riattivazione del processo, nonché causa di nullità per derivazione degli eventuali atti successivi, l'istanza di riassunzione proposta prima della cessazione della causa di sospensione o prima del passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito la causa pregiudiziale, senza che rilevi, ai fini del superamento della sanzione di nullità, il sopravvenuto venir meno della medesima causa (Cass. n. 3718/2013). L'art. 298 c.p.c. implica il divieto anche di quegli atti processuali diretti alla riattivazione del processo se compiuti prima del passaggio in giudicato della decisione definitiva della causa pregiudiziale che, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ha provocato la sospensione. In tali ipotesi deve essere dichiarata nulla la sentenza emessa nel processo sospeso (Cass. n. 4427/2004). 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