Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 43 - Ripresa del processo sospeso o interrotto 1 2 .

Annamaria Fasano
aggiornato Salvo Labruna
Stefano Didoni

Ripresa del processo sospeso o interrotto12.

1. Dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell'art. 30.

2. Se entro sei mesi da quando è stata dichiarata l'interruzione del processo la parte colpita dall'evento o i suoi successori o qualsiasi altra parte presentano istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, quest'ultimo provvede a norma del comma precedente.

3. La comunicazione di cui all'art. 31, oltre che alle altre parti costituite nei luoghi indicati dall'art. 17, deve essere fatta alla parte colpita dall'evento o ai suoi successori personalmente. Entro un anno dalla morte di una delle parti la comunicazione può essere effettuata agli eredi collettivamente o impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti del processo. La parte colpita dall'evento o i suoi successori possono costituirsi anche solo presentando documenti o memorie o partecipando alla discussione assistiti, nei casi previsti, da difensore incaricato nelle forme prescritte.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 92 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento.

L'art. 43 regola le modalità e i termini a mezzo dei quali il processo riprende il suo corso naturale dopo la sospensione o l'interruzione dello stesso.

La norma in commento nel disciplinare le modalità con cui «riassumere» o «proseguire» il processo sospeso o interrotto, ricalca, sostanzialmente, in forme semplificate, discostandosene, la disciplina prevista dagli articoli 297,302,303 e 305 c.p.c. (Di Paola, 966).

In proposito, con riferimento agli articoli 297 e 305 c.p.c. si deve rilevare che gli stessi sono stati modificati dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 prevedendo il dimezzamento del termine da sei a tre mesi per la prosecuzione o riassunzione del processo dalla cessazione della causa di sospensione e dall'interruzione.

Sull'argomento la recente circolare n. 17/E del 31 marzo 2010 dell'Agenzia delle entrate ha chiarito che i novellati artt. 297 e 305 c.p.c. non sono applicabili al processo tributario poiché il d.lgs. n. 546/1992 prevede una disciplina espressa in merito alle materie in commento con la conseguenza che prevale la norma speciale contenuta nell'art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 per cui il termine per la prosecuzione/riassunzione del processo tributario, in caso di interruzione o sospensione è di sei mesi rispettivamente dalla dichiarazione dell'interruzione o della cessazione della causa di sospensione.

In tema di contenzioso tributario, la riassunzione della controversia interrotta avviene con la mera presentazione dell'istanza di trattazione al presidente della sezione, da effettuarsi nel termine di sei mesi dal provvedimento che dichiara l'interruzione, spettando alla segreteria della corte di giustizia tributaria l'onere di comunicare alle parti la data della nuova udienza (Cass. Ord., n. 12672/2015; Cass. n. 22135/2014; Cass. n. 21128/2011; Cass. ord. n. 30374/2017). Pertanto, non può essere dichiarata l'estinzione del processo ove la parte istante non abbia provveduto a notificare alla controparte il decreto di fissazione dell'udienza entro il termine eventualmente richiesto dal giudice (Cass. ord. n. 11661/2021).

La manifestazione della volontà della parte di dare corso al giudizio può essere espressa anche in forme non sacramentali. Tuttavia, essa non è integrata dalla mera nomina di un nuovo difensore ad opera della parte colpita dall'evento interruttivo, poiché tale atto assume rilevanza unicamente per le notificazioni e le comunicazioni degli atti in caso di eventuale prosecuzione della lite (Cass. ord. n. 27815/2020). Secondo la giurisprudenza, l'istanza non deve essere previamente notificata alle altre parti (Cass. n. 12672/2015, Cass. n. 25383/2018).

La mancata riassunzione del giudizio determina l'estinzione per inattività delle parti, che può essere dichiarata anche d'ufficio ai sensi dell'art. 45, terzo comma, d.lgs. n. 546/1992 (Cass. ord. n. 29569/2018), con conseguente definitività dell'atto impugnato, se l'estinzione si verifica in primo grado o in sede di rinvio ai sensi dell'art. 63 d.lgs. n. 546/1992. Se l'estinzione si verifica nel secondo grado di giudizio, l'effetto è il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. n. 22368/2015, Cass. n. 27815/2020, Cass. n. 14156/2022).

L'eventuale proroga dei termini previsti dalla normativa in materia di condoni non si applica ai termini per la riassunzione del processo sospeso o interrotto (Cass. n. 8627/2022). (Nel caso di specie la SC ha chiarito che in tema di giudizio tributario, la sospensione legale del termine "di riassunzione", disposta per le controversie definibili dall' art. 6, undicesimo comma, d.l. n. 119/2018, riguarda il termine per la "riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio", di cui agli artt. 63 d.lgs. n. 546/1992 e 392 c.p.c., e non si applica al termine per la presentazione dell'istanza di trattazione necessaria per la ripresa del processo di merito, sospeso o interrotto, di cui agli artt. 43 e 45 d.lgs. n. 546/1992).

La ripresa del processo sospeso

Il primo comma della norma in commento dispone che, a seguito della cessazione della causa che ha determinato la sospensione del processo, quest'ultimo continua se, entro sei mesi da tale data, viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al Presidente della sezione della corte di giustizia tributaria che ha in carico il processo, il quale, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 546/1992, fissa la trattazione della causa in camera di consiglio o, laddove sia stata presentata istanza per la discussione in pubblica udienza, la data della nuova udienza.

Secondo l'orientamento prevalente, nonostante la lettera della norma, il termine semestrale comincia a decorrere non già dalla data di cessazione della causa di sospensione, ma dal momento in cui le parti del processo hanno legale conoscenza (tramite comunicazione, notificazione o pubblicazione) della cessazione della causa di sospensione (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 623).

A sostegno della tesi appena esposta, la dottrina pone le conclusioni cui è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza n. 34 del 1970 che ha dichiarato costituzionalmente illegittima l'analoga disposizione contenuta nell'art. 297, comma 1, del codice di procedura civile, nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla data di cessazione della causa di sospensione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano conoscenza.

L'interpretazione data dalla Corte Costituzionale dell'art. 297, comma 1, c.p.c. è stata ritenuta dalla dottrina prevalente estensibile anche alla norma in commento.

Pertanto, si ritiene che anche nel processo tributario, in ossequio a quanto disposto dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, il dies a quo del termine per la riassunzione deve essere individuato nel momento in cui le parti del processo sospeso hanno legale conoscenza della cessazione della causa di sospensione (Galluzzi, 446; sul punto si veda anche Marini, 1243).

Ad ogni modo, il problema della conoscenza della cessazione della causa di sospensione non è sempre grave. Detto altrimenti, l'assunzione quale dies a quo del momento di acquisizione della piena e legale conoscenza della cessazione della causa di sospensione esplica pratica rilevanza solo nell'ipotesi in cui le parti del giudizio pregiudiziale siano parzialmente diverse da quelle del giudizio pregiudicato. Quanto appena detto sta a significare che, per la parte del processo tributario che non sia anche parte del processo pregiudiziale, il termine decorrerebbe dal momento in cui la stessa abbia avuto conoscenza del passaggio in giudicato della pronuncia attraverso qualunque atto idoneo a procurare tale conoscenza.

Al contrario, per coloro che siano parti dell'uno e dell'altro giudizio, il termine semestrale decorrerebbe comunque dal momento del passaggio in giudicato, essendo i soggetti del processo sempre in grado di conoscere il perfezionamento di tale fatto processuale attraverso l'uso dell'ordinaria diligenza (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 624; Trisorio Liuzzi, 614).

Analogamente, non si pone un problema di conoscenza nel caso di sospensione per elevazione di questione di costituzionalità, atteso che il giudice a quo, ricevuta la decisione della Corte Costituzionale, è tenuto a darne comunicazione alle parti (Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2009, 335).

L'istanza di trattazione, necessaria per la riassunzione del giudizio sospeso, deve contenere tutti gli elementi indispensabili per consentire al Presidente di sezione di assumere i provvedimenti necessari. A tal riguardo, si ritiene che l'istanza di trattazione debba contenere: a) i dati identificativi del processo (corte di giustizia tributaria, sezione, parti e numero di registro generale); b) l'indicazione della causa di sospensione; c) l'indicazione del fatto che ha determinato la cessazione della causa di sospensione; d) la sollecitazione alla fissazione dell'udienza per la trattazione e la decisione della controversia; e) la sottoscrizione del difensore o della parte che sta in giudizio personalmente.

Si ritiene, peraltro, che all'istanza in questione debba essere allegata la documentazione comprovante la cessazione della causa di sospensione.

La forma suggerita dalla legge per aversi la prosecuzione o riassunzione del processo (a seconda che sia provocata dalla parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo o dalla parte avversaria) è stata individuata dalla Cassazione nel ricorso al giudice da notificare dall'una all'altra parte per la fissazione della data di trattazione del ricorso; ma se altrimenti si ottenga comunque la nuova comparizione delle parti non può dirsi nulla o inefficace la ripresa del processo, dato che lo scopo voluto dalla legge è stato ugualmente raggiunto (Galluzzi, 445).

Come anticipato, l'istanza di trattazione deve essere presentata al Presidente della sezione della corte di giustizia tributaria il quale, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 546/1992, provvede a fissare la trattazione in camera di consiglio o in pubblica udienza e a nominare il relatore.

La dottrina ritiene che, in difetto di tempestiva riassunzione del processo entro il termine di sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione, il processo si estingue a norma dell'art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992.

Più in particolare, il termine di sei mesi è tassativo e deve essere rispettato a pena di decadenza. La sua scadenza senza che sia stata presentata l'istanza di trattazione provoca l'estinzione del processo (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 624), con la conseguenza che se si estingue il processo di primo grado l'atto impugnato diventa definitivo. Se, invece, si estingue il processo di secondo grado, l’effetto è il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, essendo compatibile con il processo tributario la regola per cui l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito già pronunciate (TESAURO,  212-213).

Secondo la Suprema corte il processo sospeso o interrotto (nella specie, per la morte del procuratore della parte) è legittimamente riassunto, oltre che con comparsa o con ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, anche con citazione della parte ad udienza fissa, atto, quest'ultimo, corredato di tutti i requisiti formali necessari al raggiungimento dello scopo previsto dalla norma di cui all'art. 297 c.p.c. (attivazione della parte prima dello spirare del termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio), a condizione che, avuto riguardo alla oggettiva volontà manifestatavi, la detta citazione risulti (inequivocamente) funzionale alla prosecuzione dello stesso giudizio e non anche alla introduzione de un nuovo procedimento. Ne consegue che, all'atto della costituzione del nuovo procuratore della parte, il cancelliere è tenuto a riattivare il processo inserendo la causa nel ruolo dell'udienza fissata davanti all'originario giudice istruttore, e non può procedere ad una nuova iscrizione del procedimento nel ruolo generale, pena la nullità dell'atto e di tutti quelli ad esso successivi, promuovendo, conseguentemente, giusto disposto degli artt. 168 e 168-bis c.p.c., la designazione di un nuovo (e, in ipotesi, diverso) giudice istruttore, ed incardinando, così, un (formalmente) autonomo giudizio (Cass. n. 1838/1998; Cass. n. 26977/2007; Cass. n. 9000/2015).

Al fine della valida riassunzione del processo sospeso o interrotto, non è influente che la parte istante vi abbia provveduto, anziché con comparsa o il ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, con citazione della parte ad udienza fissa, la quale possiede tutti i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'art. nell'art. 297 c.p.c., consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio, che può essere perseguito anche attraverso un atto di citazione che sia notificato alla controparte prima della scadenza del termine medesimo (Cass. n. 13857/2001; Cass. n. 13857/2001; Cass. n. 27183/2007; Cass. n. 9000/2015).

Quanto, poi, agli elementi indispensabili che l'istanza di trattazione deve contenere al fine di consentire al Presidente di sezione di assumere i provvedimenti necessari, la Suprema corte ha precisato che, ai fini della validità dell'atto riassuntivo del giudizio non è necessario che in esso siano riprodotte tutte le domande della parte in modo specifico, ma soltanto che sia richiamato l'atto introduttivo in base al quale è determinabile per relationem il contenuto dell'atto riassunto ed il provvedimento in virtù del quale avviene la riassunzione (Cass. n. 6255/1999; Cass. n. 5892/2001; Cass. n. 13597/2004; Cass. n. 22436/2011).

La prosecuzione del giudizio sospeso, nella stessa fase in cui venne deliberata la sospensione, costituisce la regola nel nostro sistema processuale, la cui ratio ben si comprende, rappresentando la sospensione del processo una parentesi che si apre, per poi richiudersi, durante lo svolgimento del giudizio, che deve pertanto continuare il suo corso esattamente nella medesima situazione procedurale in cui si trovava allorché la sospensione venne disposta. Così pacificamente è in ogni caso di sospensione, e in particolare nel caso di sospensione imposta dalla necessità di attendere la definizione da parte della Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale di una legge, ipotesi assolutamente analoga a quella che si configura allorché la pregiudiziale sia di competenza della Corte di Giustizia CEE, riguardando l'interpretazione del diritto comunitario, e la conseguente compatibilità con esso del nostro diritto nazionale. Ovviamente, una volta riassunto il processo, qualora si versi già nella fase della decisione, può emergere la necessità di garantire l'esercizio del diritto di difesa in relazione al fatto nuovo maturato, e alla cui realizzazione era agganciata la disposta sospensione, e in tal caso il giudice dovrà provvedere a soddisfare detta esigenza rimettendo il giudizio nella precedente fase processuale (Cass. n. 24244/2004; Cass. ord. n. 5186/2012).

La ripresa del processo interrotto

La ripresa del processo interrotto è disciplinata dall'art. 43, comma secondo, del d.lgs. n. 546/1992 a norma del quale la stessa avviene se, entro sei mesi da quando è stata dichiarata l'interruzione del processo, la parte colpita dall'evento o i suoi successori o qualsiasi altra parte presentano istanza di trattazione al Presidente di sezione della corte di giustizia tributaria.

La norma in commento dispone esplicitamente che il termine di sei mesi entro cui i soggetti legittimati devono presentare l'istanza di trattazione decorre dalla data della dichiarazione giudiziale dell'interruzione, ritenuta necessaria sia in caso di interruzione automatica, sia in caso di interruzione conseguente alla dichiarazione del difensore (Di Paola, 970).

Da un'analisi più attenta della norma in commento è possibile notare come la disciplina contenuta nella stessa si discosti da quella contenuta nell'analoga disposizione di cui all'art. 305 c.p.c., ai sensi del quale il processo deve essere riassunto entro tre mesi (termine, quest'ultimo, dimezzato ai sensi del nuovo art. 305 c.p.c., così come modificato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69) dalla data in cui si è verificata la fattispecie interruttiva.

Al riguardo, giova ricordare che, a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 139 del 15 dicembre 1967 e n. 159 del 6 luglio 1971, per i casi di morte, sospensione o radiazione dall'albo del difensore e per i casi di morte o di perdita della capacità della parte prima della costituzione, la disposizione civilistica è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui fa decorrere il termine per la riassunzione del processo interrotto dalla data in cui si è verificato il fatto interruttivo anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto effettiva conoscenza.

Ebbene, la dottrina intervenuta sul punto ha segnalato che, anche in relazione all'art. 43, comma secondo, del d.lgs. n. 546/1992, si possono prospettare profili di illegittimità costituzionale. Invero, mentre il decreto presidenziale dichiarativo dell'interruzione viene comunicato alle parti a mezzo di comunicazione prevista dall'art. 41, comma secondo, del d.lgs. in commento, per l'ordinanza della corte di giustizia tributaria che dichiara l'interruzione non è prevista alcuna comunicazione, di conseguenza il termine per la ripresa del processo potrebbe decorrere inutilmente all'insaputa delle parti interessate (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 627).

In relazione a tale situazione, si prospetta, in dottrina, l'alternativa tra il riconoscimento della possibilità di una applicazione analogica delle suindicate sentenze della Corte Costituzionale e la necessità della rimessione al giudice delle leggi della questione di illegittimità costituzionale dell'art. 43 nella parte in cui fa decorrere il termine, anche nelle ipotesi di eventi interruttivi concernenti il difensore o la parte costituita personalmente, dalla data della dichiarazione dell'interruzione che sia effettuata ad opera della corte di giustizia tributaria, anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza.

Più in particolare, secondo un'opinione dottrinale, nella predetta eventualità, il profilo di incostituzionalità prospettato potrebbe essere superato applicando in via analogica l'interpretazione che la Corte Costituzionale ha fornito con riguardo all'art. 305 c.p.c., ovvero ritenendo che il dies a quo del termine utile per la riassunzione del processo decorra dalla data in cui le parti abbiano avuto conoscenza dell'ordinanza della corte di giustizia tributaria, anziché dalla data della interruzione effettuata ad opera della Commissione (Menchini, Miccinesi, 228).

Al contrario, secondo una diversa interpretazione dottrinale, poiché la norma consente solo un'interpretazione nel senso della sua incostituzionalità, non resta che sollecitare una nuova pronuncia del giudice delle leggi (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 628).

I soggetti legittimati a presentare la richiesta di trattazione per la ripresa del processo sono, oltre alla parte del giudizio che ha subito l'arresto, anche i soggetti legittimati a subentrare alla parte che ha subito l'evento pregiudizievole.

Detto altrimenti, è la parte colpita dall'evento, i suoi successori o qualsiasi altra parte (anche la parte resistente), entro il termine perentorio di sei mesi, a dover presentare istanza di trattazione al Presidente di sezione della Commissione. Nel caso di pluralità di successori, è sufficiente la proposizione dell'istanza da parte di uno solo di essi, ferma restando l'esigenza della successiva integrazione del contraddittorio (Bellagamba, 156).

Ad ogni modo, giova ricordare che la stessa istanza può essere presentata al Presidente della corte di giustizia tributaria in tutti i casi in cui questi non abbia provveduto all'assegnazione della causa ad alcuna delle sezioni (Russo, 221).

Vale sottolineare come la fine dell'interruzione e la ripresa del processo dipendano univocamente dalla costituzione in causa della persona (o delle persone) legittimata a costituirsi (in luogo della parte venuta meno, divenuta incapace, o del rappresentante legale o del procuratore che ha perduto la legittimazione) e dalla presentazione dell'istanza di trattazione; ovvero nel caso della parte non colpita dall'evento, dalla presentazione della semplice istanza di ripresa (Gobbi, 512 ss.).

L'istanza deve contenere il riferimento al giudizio interrotto e l'indicazione del fatto che legittima la ripresa del processo, nonché la domanda di fissazione dell'udienza di trattazione. Il tutto accompagnato dalla sottoscrizione.

Presentata l'istanza al Presidente della sezione della corte di giustizia tributaria tributaria, quest'ultimo, a norma dell'art. 30 del d.lgs. in commento, provvede a fissare la trattazione in camera di consiglio (art. 33) o in pubblica udienza (art. 34) e a nominare il relatore. Di ciò viene, poi, data comunicazione a cura della segreteria non meno di trenta giorni prima.

Ai sensi dell'art. 43, comma terzo, del d.lgs. n. 546 del 1992, tale comunicazione è fatta oltre che alle parti costituite nei luoghi indicati dall'art. 17 dello stesso decreto, anche personalmente alla parte colpita dall'evento, in tal modo, assicurando alla parte (e soprattutto ai suoi successori che potrebbero non avere alcuna notizia del processo) la conoscenza diretta della ripresa del giudizio.

Inoltre, una peculiare disciplina è prevista nel caso di interruzione dovuta alla morte di una delle parti. In situazioni da tal fatta, l'art. 43, comma terzo, del d.lgs. in commento prevede che, entro un anno dalla morte della parte, la segreteria può validamente comunicare l'avviso di trattazione agli eredi collettivamente ed impersonalmente nel domicilio eletto dal defunto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dallo stesso e risultante dagli atti del processo.

La comunicazione collettiva, comporta la finzione giuridica per cui tanto gli eredi noti che quelli ignoti si considerano presenti in giudizio, senza la necessità di integrare il contraddittorio (Gobbi, 513).

A ben vedere, la norma è finalizzata ad agevolare il lavoro della segreteria che, nel breve termine, potrebbe incontrare difficoltà non indifferenti nell'individuazione di tutti gli eredi, compromettendo in tal modo la regolare ricostituzione del contraddittorio.

Appare, infatti, evidente che, se la comunicazione può essere fatta impersonalmente a tutti gli eredi, il contraddittorio sarà regolarmente ricostruito, anche in difetto di costituzione di uno o più di questi, visto che l'unica conseguenza sarebbe la dichiarazione di contumacia di coloro che non si siano ritualmente costituiti (Di Paola, 974).

Al contrario, laddove fosse necessaria la comunicazione a tutti gli eredi singolarmente ed uno di questi fosse sconosciuto alla segreteria, la conseguente mancata costituzione in giudizio comporterebbe la necessaria integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992 con inevitabili ripercussioni sulla durata del processo (Ebreo, Petrucci, Il processo tributario. Commentario, quadri riassuntivi, formulario, tariffario, Novara, 1998, 147).

Peraltro, al fine di agevolare il ripristino del contraddittorio, l'ultima parte del terzo comma dell'art. 43 consente alla parte colpita dall'evento interruttivo e ai suoi successori di costituirsi anche solo mediante la presentazione di memorie o partecipazione alla discussione, con l'assistenza del difensore, nei casi e nelle forme previsti dalla legge.

La norma tributaria non prevede l'ipotesi della prosecuzione mediante costituzione volontaria ad opera della parte colpita dall'evento o dal soggetto in sua vece legittimato. Ad ogni modo, giova sottolineare che, pur se non prevista dall'art. 43, in dottrina è ammessa, anche con riferimento al processo tributario, la prosecuzione del processo interrotto mediante costituzione volontaria ad opera della parte colpita dall'evento o dei suoi successori (la prima provvedendo alla sostituzione del difensore, i secondi costituendosi personalmente o tramite difensore se necessario: si rinvia, sul tema, agli artt. 299 e 300 c.p.c.), in forza del rinvio alle norme del codice di procedura civile contenuto nell'art. 1, comma secondo, del d.lgs. n, 546 del 1992 (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 626).

Infine, la mancata tempestiva presentazione dell'istanza di trattazione nel termine di sei mesi dalla dichiarazione di interruzione del processo, determina, ai sensi dell'art. 45 del d.lgs. n. 546 del 1992, l'estinzione del processo (Gobbi, 514).

Nel caso di interruzione del processo per effetto della morte di una parte — costituita a mezzo procuratore — la notificazione dell'atto riassuntivo, entro un anno dalla morte, può essere fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi della parte defunta, nell'ultimo domicilio del defunto, ai sensi dell'art. 303, secondo comma, c.p.c. sicché, in tale ipotesi, tutti gli eredi, noti o ignoti, sono partecipi del processo, che prosegue, eventualmente nella loro contumacia, senza che sussista un difetto di integrità del contraddittorio (Cass. n. 217/2015; Cass. n. 256/2016).

In caso di morte della parte, quindi, la notificazione tempestivamente effettuata, impersonalmente e collettivamente, nei confronti degli eredi, ex art. 303 c.p.c., è idonea a validamente riassumere il giudizio ed integrare il contraddittorio anche nei confronti di colui che, a seguito di rinunzia all'eredità effettuata dal proprio dante causa, originario chiamato all'eredità della parte deceduta, succeda a quest'ultima per rappresentazione, non rilevando che la rinunzia sia avvenuta oltre l'anno dalla morte del «de cuius», posto che, in caso di successione per rappresentazione, la chiamata all'eredità deve considerarsi avvenuta, per il rappresentante, fin dal momento di apertura della successione medesima (Cass. n. 18319/2015). La Corte (Cass. n. 22870/2015) ha specificato, poi, che nell'ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa «legitimatio ad causam» si trasmette all'erede, ma il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all'eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.; ne consegue che i chiamati all'eredità, pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sufficiente all'instaurazione del rapporto processuale la notifica di un atto di riassunzione nei confronti di coloro i quali si trovavano nello stato di fatto legittimante la successione, in virtù dei rispettivi rapporti di coniugio e di filiazione con la parte defunta, in assenza di circostanze ostative evincibili dagli atti e non essendo stata trascritta, prima della notifica della riassunzione, la rinunzia all'eredità dedotta dal coniuge).

La riassunzione può provenire anche ad opera della parte non colpita dall'evento interruttivo (Cass. 8051/2017). Al pari di quanto sostenuto in dottrina, secondo la Suprema corte, in presenza di una pluralità di successori è sufficiente la proposizione dell'istanza da parte di uno solo di essi, salva l'esigenza di una successiva integrazione del contraddittorio ove gli stessi succedano in litisconsorzio necessario (Cass. n. 10224/2018).

Si è invero affermato che qualora nel corso del giudizio di primo grado si sia verificata l'interruzione del processo per morte di una delle parti, con conseguente subingresso congiunto ipso iure di tutti gli eredi della stessa (litisconsorzio necessario per ragioni processuali), è sufficiente, ai fini della ricostituzione del rapporto processuale, l'atto di prosecuzione volontaria compiuto da alcuni soltanto degli eredi o l'atto di riassunzione (comprensivo della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione) compiuto nei confronti di alcuni soltanto dei medesimi, salva la successiva integrazione del contraddittorio, ex art. 102, comma 2, c.p.c., nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo od ai quali non sia stato notificato l'atto di riassunzione (Cass. n. 3060/1984; Cass. n. 8452/1995; Cass. n. 779/1997).

Si è precitato, inoltre, che in tema di litisconsorzio facoltativo, ove all'interruzione del processo per morte di uno dei creditori o condebitori non segua l'atto di riassunzione effettuato nel termine previsto nei confronti dei suoi eredi, il processo prosegue solo per i rapporti processuali relativi alle parti regolarmente citate, mentre, con riguardo alla parte deceduta, si estingue in applicazione del principio di cui all'art. 1306 c.c., per cui, anche in caso di rapporto plurisoggettivo solidale, sono possibili le azioni di un solo contitolare o verso un solo contitolare, dirette a perseguire l'adempimento dell'obbligazione (Cass. n. 21170/2015).

Nel diverso caso in cui il debitore sia dichiarato fallito nelle more dell'opposizione da lui proposta contro il decreto ingiuntivo e venga conseguentemente dichiarata l'interruzione del processo, il creditore opposto ha interesse alla riassunzione allo scopo di farne dichiarare l'estinzione, onde munire il decreto di efficacia esecutiva e renderlo opponibile al debitore una volta tornato «in bonis» (Cass. n. 23394/2015).

Dal provvedimento che provvede a dichiarare l'interruzione, nel caso di specie per morte della parte privata (d.lgs. n. 546 del 1992, art. 41), decorre il termine di sei mesi entro il quale una delle parti deve presentare istanza di trattazione al presidente della sezione che provvede ad emettere il provvedimento di cui all'art. 30 (art. 43, comma 2). Il Presidente cioè provvede alla nomina del relatore e alla fissazione della data di trattazione la cui comunicazione è onere della segreteria ai sensi dell'art. 31. Si veda in termini la sentenza Cass. n. 5612/2015, secondo cui ai sensi dell'art. 43, nel processo tributario la riassunzione della controversia interrotta (nel caso di specie per morte della parte) avviene con la mera presentazione al presidente della sezione di istanza di trattazione, spettando alla segreteria della corte di giustizia tributaria l'onere di comunicare alle parti la data della nuova udienza (Cass. ord. n. 12672/2015).

Ancora, sempre in tema di interruzione del processo tributario, la dichiarazione di fallimento della società contribuente appellata, intervenuta prima della costituzione in giudizio, ma in pendenza del termine per la costituzione e per la proposizione dell'eventuale appello incidentale, previsto dagli artt. 23 e 54, comma primo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determina l'interruzione automatica del processo e comporta, laddove la curatela non si sia costituita e l'evento interruttivo non sia stato rilevato dal giudice, l'invalidità delle attività processuali eventualmente svolte nella ritenuta contumacia della parte, mentre la successiva fase della prosecuzione è disciplinata dall'art. 43, comma secondo, del d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede la decorrenza del termine sempre dal momento della dichiarazione dell'interruzione, dovendosi così ritenere che un provvedimento del giudice, dichiarativo dell'evento interruttivo, è sempre necessario ai fini del computo del termine per la riassunzione del giudizio (Cass. n. 21108/2011).

Bibliografia

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