Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 48 - Conciliazione fuori udienza 1 2 3 4 .

Salvatore Labruna

Conciliazione fuori udienza 1234.

1. Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia.

2. Se la data di trattazione e' gia' fissata e sussistono le condizioni di ammissibilita', la corte di giustizia tributaria pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere. Se l'accordo conciliativo e' parziale, la corte dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa5.

3. Se la data di trattazione non e' fissata, provvede con decreto il presidente della sezione.

4. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell'accordo di cui al comma 1, nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalita' di pagamento. L'accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente 67.

4-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione8.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 99 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[4] In riferimento al presente articolo, vedi all'articolo 1, comma 211, della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

[6] Per la determinazione dei tassi d'interesse di cui al presente articolo vedi l'articolo 6, comma 2, lettera e), del D.M. 21 maggio 2009.

[7] Per una proroga delle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l'articolo 149, comma 1, lettera b), del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77.

Inquadramento.

La conciliazione giudiziale è un istituto deflattivo del contenzioso tributario, fondata su un accordo tra contribuente (ricorrente) e fisco (resistente) volto ad estinguere, totalmente o parzialmente, una loro controversia già instaurata. In assenza di una previsione espressa nella procura, quella conferita da parte privata per il processo di cognizione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 83, comma 4, c.p.c. può essere data per più gradi di giudizio ma non può valere anche per proporre, né tanto meno concludere, un accordo conciliativo. Le società che partecipano al consolidato fiscale nazionale, destinatarie di un unico atto di accertamento, possono proporre la conciliazione direttamente, o tramite la consolidante, i cui effetti si produrranno in capo a tutte le società aderenti al consolidato. Con la novella introdotta dal d.lgs. n. 156/2015, il legislatore è intervenuto su perfezionamento della procedura, rateizzazione dei pagamenti, ambito sanzionatorio e spese di lite; dal 1° gennaio 2016 sono possibili conciliazioni «fuori udienza» (cd. brevi, perfezionate con la sottoscrizione dell'accordo conciliativo) ed «in udienza» (c.d. lunghe, perfezionate con la redazione del processo verbale di conciliazione), in primo ed in secondo grado —resta preclusa la conciliazione nel giudizio di legittimità ma non sembra esclusa nel giudizio di rinvio, riferendosi il nuovo testo dell'art. 48 ad un accordo conciliativo raggiunto «in pendenza del giudizio» — anche ove un precedente reclamo/mediazione non si fosse concluso positivamente, nell'ambito di un favor generalizzato verso ogni forma di soluzione transattiva alle controversie pendenti: accertamento con adesione, mediazione e conciliazione. Per la conciliazione fuori udienza l'iniziativa può essere assunta da ciascuna delle parti processuali e, acquisita l'adesione dell'altra, si provvede al deposito di un'istanza congiunta entro la data di trattazione della controversia in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza; ciò per dare efficacia all'effetto deflattivo dell'istituto. Poiché il perfezionamento dell'accordo è anticipato alla sua sottoscrizione (nel precedente regime era fissato al pagamento della somma concordata o della sua prima rata), con la novazione del rapporto tributario si arriva all'effetto processuale di cessazione della materia del contendere. In caso di inadempimento, il fisco procederà alla riscossione coattiva ed il contribuente all'esecuzione forzata. Il giudice deve procedere alla verifica di ammissibilità alla procedura conciliativa (sussistenza della giurisdizione tributaria, ammissibilità del ricorso, poteri conciliatori tc.).

La conciliazione totale della lite comporta l'estinzione dell'intero giudizio dichiarata con sentenza di cessazione della materia del contendere; quella parziale, limita l'estinzione alle questioni conciliate, dichiarata con ordinanza di parziale cessazione della materia del contendere, per la prosecuzione del processo limitatamente a quelle rimaste non conciliate. Il criterio della soccombenza per la condanna alle spese del giudizio si applica alla sentenza che definisce la prosecuzione del processo –nel caso di tentativo di conciliazione non andato in toto o in parte a buon fine- «qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall'altra parte senza giustificato motivo ... ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata»; ove il rifiuto sia stato adeguatamente motivato, sarà la Commissione a valutarne le ragioni con una prognosi postuma, riferita al momento dell'infruttuoso tentativo.

Prassi

Circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015, Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Affari Legali, Contenzioso e Riscossione: 1.11 Articoli 48, 48- bis e 48- ter – La conciliazione giudiziale.

L'articolo 10, comma 1, lettera a), della legge delega n. 23 del 2014 annovera, tra i criteri direttivi della riforma, quello di «rafforzamento e razionalizzazione dell'istituto della conciliazione nel processo tributario», nell'intento di superare la criticità legata allo scarso utilizzo di tale istituto e «anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l'amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità». In attuazione del predetto criterio, le lettere s) e t) dell'articolo 9 del decreto di riforma hanno operato una riscrittura della conciliazione giudiziale, introducendo una serie di modifiche alla disciplina, che in tal modo risulta articolata su tre norme: l'articolo 48, che rispetto alla previgente formulazione presenta la rubrica e il testo integralmente sostituiti, nonché i nuovi articoli 48- bis e 48-ter. Nello specifico, gli articoli 48 e 48-bis disciplinano separatamente le due tipologie di conciliazione, rispettivamente denominate «fuori udienza» e «in udienza», mentre l'articolo 48-ter detta disposizioni, comuni alle due tipologie di conciliazione, per la definizione e il pagamento delle somme dovute. Nell'ambito delle modifiche introdotte, le più rilevanti riguardano:

– l'estensione dell'ambito di applicazione dell'istituto al secondo grado di giudizio;

– l'individuazione di un diverso momento di perfezionamento della conciliazione e di nuove regole per il pagamento delle somme dovute;

– la determinazione del beneficio consistente nella riduzione delle sanzioni, riformulata secondo modalità più favorevoli al contribuente.

I nuovi articoli 48, 48-bis e 48-ter si applicano — in base a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 1, del decreto di riforma — ai giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2016. Si precisa che, in ordine ai predetti giudizi pendenti, se alla data del 1° gennaio 2016 la conciliazione risulta già perfezionata attraverso il pagamento delle somme dovute in unica soluzione o della prima rata, gli effetti restano disciplinati dalle norme vigenti al momento del perfezionamento.

1.11.1 Estensione dell'ambito di applicazione dell'istituto

Una prima rilevante novità è rappresentata dalla possibilità di conciliare anche le liti che si trovano nella fase di appello e non solo – come accadeva sotto la previgente disciplina — le controversie tributarie pendenti nel primo grado di giudizio. È stato infatti eliminato il riferimento al limite temporale entro cui la conciliazione poteva avere luogo, che il previgente articolo 48, comma 2, individuava nella prima udienza innanzi alla commissione tributaria provinciale. Va evidenziato che, secondo quanto chiarito dalla relazione illustrativa, l'opzione di estendere la conciliazione anche al grado di cassazione è stata esclusa dal legislatore, stante la particolare natura di tale giudizio, dal quale sono esclusi gli accertamenti in fatto. L'altra novità riguarda la possibilità di conciliare anche le controversie che ricadono nell'ambito di applicazione dell'istituto del reclamo/mediazione di cui all'articolo 17-bis del decreto n. 546, cioè le cause tributarie di valore non superiore a ventimila euro, oppure relative ad operazioni catastali, instaurate a seguito di rigetto dell'istanza di reclamo ovvero di mancata conclusione dell'accordo di mediazione. Si rinvia, sul punto, ai chiarimenti forniti nel precedente par. 1.7.

1.11.2 Conciliazione perfezionata «fuori udienza»

Con riferimento alla conciliazione «fuori udienza», l'articolo 48 prevede che, «se in pendenza di giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia». Questa tipologia di conciliazione si realizza, come nella pregressa disciplina, con il deposito in giudizio – di primo o di secondo grado – di una «istanza congiunta», cioè di una proposta di conciliazione alla quale l'altra parte abbia previamente aderito, con l'unica differenza che il soggetto deputato ad effettuare il deposito è ora individuato in ciascuna delle parti del giudizio e non più esclusivamente nell'Ufficio. L'istanza deve contenere:

– l'indicazione della commissione tributaria adita;

– i dati identificativi della causa, anche con riferimento all'Ufficio dell'Agenzia e al contribuente parti in giudizio;

– la manifestazione della volontà di conciliare, con indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici;

– la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione (ovvero, per le conciliazioni intervenute nell'ambito di controversie aventi ad oggetto operazioni catastali, gli elementi che individuano esattamente i termini dell'accordo conciliativo, quali l'indicazione del classamento o della rendita catastale rideterminati);

– la motivazione delle ragioni che sorreggono la conciliazione;

– la data, la sottoscrizione del titolare dell'Ufficio e la sottoscrizione del contribuente o, nei casi in cui vi sia obbligo di assistenza tecnica, anche del difensore. Si precisa che, in presenza di difensore, deve essere espressamente conferito nella procura il potere di conciliare e transigere la controversia.

La nuova disposizione non fissa un termine per il deposito dell'accordo di conciliazione, che invece la pregressa disciplina individuava nella data di trattazione in camera di consiglio o di discussione in pubblica udienza del giudizio di primo grado. Ciononostante, si ritiene che un limite temporale sia comunque rappresentato dal momento in cui la causa è trattenuta in decisione, superato il quale apparirebbe vanificato lo scopo deflattivo del contenzioso a cui è preordinata la conciliazione. Pertanto, il deposito della proposta preconcordata deve avvenire non oltre l'ultima udienza di trattazione, in camera di consiglio o in pubblica udienza, del giudizio di primo o di secondo grado. Ai sensi del comma 4 dell'articolo 48, la conciliazione «fuori udienza» si perfeziona «con la sottoscrizione dell'accordo», nel quale sono indicate le somme dovute, con i termini e le modalità di pagamento (oppure sono indicati gli elementi caratterizzanti la conciliazione «catastale»). La previsione che fa coincidere il perfezionamento della conciliazione con il momento in cui si formalizza, mediante un accordo sottoscritto congiuntamente, l'incontro di volontà tra Amministrazione e contribuente, rappresenta un'importante novità. Nella previgente disciplina il perfezionamento avveniva successivamente alla redazione dell'accordo e, precisamente, nel momento del pagamento dell'intera somma dovuta o della prima rata, da effettuare entro venti giorni dalla data di comunicazione del decreto presidenziale di estinzione del giudizio. Proprio la coincidenza un tempo esistente tra effettuazione del pagamento e perfezionamento della conciliazione poteva condurre a situazioni in cui l'insolvenza del contribuente e comunque l'omesso pagamento, determinando il mancato perfezionamento dell'istituto, si riverberava anche sulla declaratoria di estinzione della controversia, portando a configurare la necessità di una riattivazione del processo. Nella nuova formulazione si è, invece, stabilito il principio secondo cui l'intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente conduce alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall'accordo stesso e all'applicazione del conseguente regime sanzionatorio per l'omesso versamento. In tal senso, il comma 4 dell'articolo 48 stabilisce, altresì, che «L'accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente». La disposizione risulta modificata rispetto a quella previgente, che attribuiva efficacia di titolo per la riscossione alla proposta conciliativa preconcordata, unita al decreto di estinzione della controversia. In altri termini, l'accordo conciliativo, da un lato legittima l'iscrizione a ruolo del nuovo credito vantato dall'Amministrazione, dall'altro, qualora sia l'Amministrazione stessa a non dare esecuzione al pagamento di quanto concordato, legittima il contribuente ad esperire l'azione esecutiva davanti al giudice ordinario, analogamente a quanto previsto nella disciplina del reclamo/mediazione. Ai sensi del comma 2 dell'articolo 48, se sussistono le condizioni di ammissibilità della conciliazione, il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere, anche parziale, qualora l'accordo riguardi solo una parte della pretesa erariale, procedendo in tal caso all'ulteriore trattazione della causa. La norma stabilisce nel dettaglio le modalità con cui è dichiarata la cessata materia del contendere, nel senso che:

– se non è stata ancora fissata la data dell'udienza di trattazione, provvede il presidente della sezione con decreto;

– se invece è già stata fissata l'udienza di trattazione, provvede la commissione tributaria, provinciale o regionale, con sentenza, se la conciliazione è totale, oppure con ordinanza, se la conciliazione è parziale (in quest'ultimo caso la sentenza sarà infatti adottata al termine del giudizio di merito per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione).

La locuzione «condizioni di ammissibilità», analoga a quella riportata nella disciplina previgente, allude al potere di sindacato di legittimità del giudice, che può accertare la regolarità della proposta conciliativa e l'assenza di cause di inammissibilità previste dalla legge (ad esempio, ammissibilità del ricorso introduttivo, imposte rientranti nella giurisdizione tributaria, sussistenza del potere di conciliare, ecc.). Qualora il giudice non ravvisi le condizioni di ammissibilità, la causa verrà discussa e portata a decisione.

La Circolare n. 21/D del 23 dicembre 2015. Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Risorse proprie tradizionali: «Sul punto, diversamente dalle precedenti istruzioni diramate alle strutture territoriali con la nota prot. n. 1287/IV/04 dell'08/06/2004 dell'ex Area Affari Giuridici e Contenzioso, si evidenzia che la conciliazione non può avere ad oggetto le risorse proprie tradizionali. La ratio dell'inapplicabilità della conciliazione a tali tributi risiede nella prevalente disciplina di rango unionale che regolamenta l'accertamento, la riscossione e la messa a disposizione degli stessi in favore del bilancio dell'Unione e che limita a casi tassativi – tra i quali non rientra la conciliazione — le ipotesi in presenza delle quali gli Stati membri sono esentati dal loro obbligo di messa a disposizione degli importi accertati (art. 17, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 1150/2000 del 22 maggio 2000)» (pag. 11 della citata circolare).

Art. 17, comma 2, del Regolamento CE, EURATOM n. 1150/2000 del Consiglio del 22 maggio 2000 (in G.U. L 130 del 31 maggio 2000): «Gli Stati membri sono dispensati dall'obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultano irrecuperabili: a) per cause di forza maggiore; b) per altri motivi che non sono loro imputabili. Gli importi di diritti accertati sono dichiarati irrecuperabili con decisione dell'autorità amministrativa competente che constata l'impossibilità del recupero. Gli importi di diritti accertati sono considerati irrecuperabili al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data alla quale l'importo è stato accertato a norma dell'articolo 2 oppure, in caso di ricorso amministrativo o giudiziario, dalla pronuncia, dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva. In caso di pagamento scaglionato, il periodo massimo di cinque anni inizia a decorrere dalla data dell'ultimo pagamento effettivo nella misura in cui quest'ultimo non saldi il debito. Gli importi dichiarati o considerati irrecuperabili sono ritirati definitivamente dalla contabilità separata di cui all'articolo 6 paragrafo 3, lettera b)». Per «risorse proprie tradizionali» si intendono quelle di cui all'art. 2 della Decisione Comunità Europea del 7 giugno 2007 n. 436/2007 (in G.U.U.E. n. 163 del 23 giugno 2007), limitatamente alla parte applicabile dopo l'abrogazione operata dall'art. 10, Dec. UE n. 335 del 26 maggio 2014 (in G.U.U.E. n. L 168 del 7 giugno 2014); tale articolato rimane applicabile al calcolo ed all'adeguamento delle entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota di prelievo all'imponibile IVA determinato in modo uniforme e limitato al 50-55% del PNL o dell'RNL di ciascun Stato membro, secondo l'esercizio di riferimento. Costituiscono risorse proprie tradizionali le entrate provenienti:

– da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con Paesi terzi;

– dagli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie (IVA riscossa all'importazione);

iscritte nel bilancio generale dell'Unione europea. (Circolare n. 21/D del 23 dicembre 2015. Risorse proprie tradizionali).

Casistica

La verifica di legalità dell'accordo conciliativo da parte del giudice è meramente estrinseca, in ragione della riconosciuta natura negoziale. Pertanto, l'accordo negoziale concluso tra le parti processuali non consente di differenziare l'apporto di ciascuna parte né di sindacare distintamente la proposta o l'accettazione che ciascuna abbia formulato (Cass. n. 21325/2006).

La conciliazione giudiziale è un istituto deflattivo negoziale, riservato all'esercizio del potere dispositivo delle parti, che postula una formale contestazione della pretesa tributaria nei confronti del fisco e l'instaurazione del rapporto processuale con l'organo giudicante; consiste in un accordo tra le parti processuali, paritariamente formato, con efficacia novativa delle relative pretese, sul quale il giudice tributario è chiamato ad esercitare un mero controllo di legalità, privo di alcuna valutazione sulla congruità dell'importo concordato tra l'Ufficio e il contribuente (Cass. n. 9222/2007).

Il perfezionamento del negozio conciliativo va tenuto distinto dal fenomeno satisfattivo della pretesa tributaria. (Cass. n. 25683/2013).

Il sindaco può addivenire alla conciliazione giudiziale della lite, ex art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, solo qualora sia stato a ciò espressamente autorizzato dalla giunta comunale e non anche, pertanto, allorché la giunta lo abbia autorizzato alla sola costituzione in giudizio, per la tutela degli interessi dell'ente. Deve escludersi, infatti, che si sia a fronte di una mera proposta di conciliazione sottoposta al vaglio della Commissione provinciale per la quale non sono necessari speciali procure o particolari autorizzazioni (Cass. n. 7506/2005).

Fino alla data di trattazione in Camera di Consiglio e di discussione in pubblica udienza, è valida la conclusione negoziata di una conciliazione presentata oltre la prima udienza, dopo alcune udienze di mero rinvio; una interpretazione che ritenesse in tali casi preclusa la possibilità della conciliazione, si porrebbe in contrasto con il canone della ragionevole durata del processo e non sarebbe fondatamente sorretta dall'opposto interesse alla tutela del diritto di azione atteso che, sull'accordo delle parti a definire la lite, secondo il principio di disponibilità delle posizioni, il giudice imporrebbe, contro l'interesse delle stesse e dell'ordinamento nazionale (e comunitario) a una presa d'atto della inutilità d'una prosecuzione della vertenza, un'attività inutile e defatigante (Cass. n. 9222/2007).

Va distinta dalla conciliazione giudiziale, che può avere luogo solo davanti alla Commissione Provinciale ex art. 48, del d.lgs. n. 546/1992, la conciliazione cosiddetta abbreviata o aderita, regolata dal comma quinto del medesimo articolo, che viene raggiunta dalle parti al di fuori del processo. La proposta di conciliazione alla quale l'altra parte ha preventivamente aderito può essere depositata in giudizio sino alla data di trattazione in Camera di Consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, così come previsto dal medesimo comma quinto dell'art. 48, norma, quindi, da considerarsi derogatrice di quella generale di cui all'art. 32 dello stesso d.lgs., in tema di deposito di documenti (Cass. n. 4626/2008).

La conciliazione giudiziale, prevista dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 48, ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive e comporta la sostituzione della pretesa fiscale originaria, ma unilaterale e contestata, con una certa e concordata, tanto è vero che il relativo processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute (Cass. n. 20386/2006).

La conciliazione giudiziale comporta l'estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata dal contribuente per il carattere novativo acquisito al momento del perfezionamento, secondo le modalità previste dalla legge, in quanto solo in tale ipotesi il verbale di conciliazione, data l'acquisita incontrovertibilità di quanto in esso consacrato, potrebbe costituire titolo per la riscossione (Cass. n. 14300/2009 e Cass. n. 24932/2011).

La sentenza di estinzione del giudizio per conciliazione giudiziale é impugnabile dalla parte che si dolga dell'errore commesso dal giudice nell'interpretare la norma processuale ovvero nel rilevare la sussistenza dei presupposti della cessazione della materia del contendere, per proseguire il giudizio al fine di ottenere una pronuncia sul merito (Cass. n. 25683/2013).

La rendita catastale, determinata in virtù di una conciliazione giudiziale ex art. 48 d.lgs. n. 546 del 1992, può essere rideterminata qualora sopravvenga un mutamento delle condizioni o dei parametri posti alla base di dell'accordo che ne giustifichi il riesame. (Nel caso di specie è illegittimo il rigetto della istanza del contribuente, in quanto, successivamente all'estinzione, per intervenuta conciliazione giudiziale, di una controversia sull'attribuzione della rendita, vi era stata una variazione del saggio di redditività) (Cass. n. 7057/2014).

La determinazione della rendita catastale, effettuata in sede di conciliazione stragiudiziale,può essere disattesa dal contribuente solo in presenza di fatti nuovi, venendo in caso contrario lesa la certezza giuridica dell'istituto. Pertanto, non assume rilievo la circostanza che si tratti di conciliazione stragiudiziale poiché, al pari della conciliazione davanti al giudice tributario, l'accordo tra le parti regola e esplica i suoi effetti anche sul futuro. (C.t.p. Como, n. 70/2013).

In applicazione dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa è divenuta prassi la possibilità, nella conciliazione disciplinata dall'art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, di scomputare direttamente dalla somma originariamente richiesta in pagamento l'eccedenza di credito riconosciuta come spettante, anche per quanto concerne l'Iva, per le annualità con dichiarazione omessa (C.t.r. Lombardia, n. 1043/2014).

Alla conciliazione giudiziaria ex art. 48 d.lgs. n. 546 del 1992 riferita alla s.n.c. consegue l'automatica rideterminazione del reddito di partecipazione dei soci che acquisiscono il diritto di fruire del risultato della conciliazione. Pertanto, in assenza di impugnazione della conciliazione da parte del socio, nei suoi confronti il reddito va rideterminato sulla base di quanto ridefinito in sede di conciliazione per la società (C.t.r. Emilia Romagna, n. 50/2011).

La conciliazione concordata dalle parti con l'accordo stragiudiziale ex art. 48, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, può essere ammessa se la proposta di conciliazione, a cui le parti hanno previamente aderito, è depositata successivamente alla fissazione della data dell'udienza di trattazione della causa nel merito. In tale ipotesi, proprio perché la causa estintiva de qua è successiva alla fissazione della data dell'udienza di trattazione, l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere è disposta dal Collegio con sentenza (C.t.p. Lecco, n. 108/2013).

Per la natura transattiva della conciliazione, occorre distinguere tra effetto sostanziale: l'adempimento, ed effetto processuale: estinzione del giudizio; Poiché l'effetto processuale non è procrastinabile, in presenza di un verbale di conciliazione, la Commissione Tributaria deve dichiarare l'estinzione del giudizio. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo per la riscossione delle somme dovute (C.t.r. Sicilia, 2013 n. 21/2013).

È infondata, con riferimento agli artt. 53,97 e 104 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48 d.lgs. n. 546 del 1992 nella parte in cui non consente alla Commissione tributaria provinciale alcun giudizio sulla congruità delle imposte da versare su cui l'ufficio ed il contribuente si sono accordati, ritenuto che: a) il richiamo agli artt. 53 e 97 Cost. è inconferente, posto che ambedue tali disposizioni, nei loro rispettivi ambiti, non riguardano la tematica in sé dell'esercizio della funzione giurisdizionale; b) il principio dell'indipendenza degli organi giurisdizionali — che non trova fondamento nel richiamato art. 104 Cost. relativo alla magistratura ordinaria nel suo complesso, ma nell'art. 101 comma 2 Cost. in connessione, quanto ai giudici speciali, con l'art. 108 Cost. — non può dirsi compromesso dalla disposizione denunciata, posto che è lo stesso legislatore a limitare la cognizione riservata all'organo giudicante ad un mero controllo di legittimità, senza peraltro pregiudicare l'integrità della relativa funzione di definizione del giudizio (Corte cost. n. 433/2000).

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 sollevata sia per asserita irragionevolezza, assumendo che tale norma impedirebbe al giudice di rinviare la trattazione della causa ad altra udienza in caso di esperimento d'ufficio della conciliazione, perché, secondo le norme generali in tema di conduzione del processo, la Commissione tributaria può sempre assegnare alle parti un termine per l'esame e per l'eventuale accettazione della proposta di conciliazione; sia perché sollevata in riferimento al principio di ragionevolezza, nonché per ritenuta violazione dell'art. 3 Cost., in quanto il rimettente ha omesso di sperimentare il tentativo di dare una lettura costituzionalmente conforme della norma impugnata; ciò anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, dato che l'istituto della conciliazione giudiziale offre la possibilità di una risoluzione conveniente e rapida delle controversie nel processo, analoga a quella realizzata in sede extragiudiziaria dalla Alternative Dispute Resolution — ADR, anche in ragione della non obbligatorietà di quest'ultima (Corte cost. n. 110/2013).

Bibliografia

Consolo-Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, III, Padova, 2012; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, IV, Milano, 2016.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario