Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 67 bis - Esecuzione provvisoria 1 2

Salvatore Labruna

Esecuzione provvisoria12

 

1. Le sentenze emesse dalle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado sono esecutive secondo quanto previsto dal presente capo3.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 125 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Articolo inserito a norma dell'articolo 9, comma 1, lettera ee), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° giugno 2016.

Inquadramento

La novella introdotta dal d.lgs. n. 156/2015 con l'art. 67-bis interviene sulla esecutività delle sentenze tributarie, prima differenziata a seconda della parte ivi vittoriosa: a) immediatamente provvisoriamente esecutive per una riscossione frazionata se favorevoli alla parte pubblica (art. 68, d.lgs. n. 546/1992); b) esecutive solo dopo il passaggio in giudicato se di condanna dell'ufficio al rimborso o di aggiornamento degli atti catastali (art. 69 e 69-bis, d.lgs. 546/1992). L'esecutività di una sentenza non è una questione di natura sostanziale ma processuale; infatti “tutte le questioni concernenti il problema se esista o meno un titolo esecutivo, o se il credito sia o meno liquido ed esigibile, può riguardare soltanto la legittimità dell'esecuzione” forzata e non del titolo. (Cass. S.U. n. 7578/2006; poi confermato da Cass. S.U. n. 16390/2011 e Cass. S.U. n. 10320/2016). Quindi, la provvisoria esecutività di una sentenza impugnabile può essere apprezzata solo in funzione di quanto previsto dagli artt. 474 ss. c.p.c., quale presupposto della procedura di esecuzione forzata, all'apposizione della formula esecutiva (art. 475 c.p.c.) ed alla notifica di atto di precetto (art. 478 c.p.c.). Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 758/2017, la provvisoria esecutività della sentenza tributaria svolge i propri effetti su ogni aspetto della pronuncia giudiziaria, e quindi anche oltre l'orizzonte dell'esecuzione forzata (nel caso di specie, impossibilità per l'Amministrazione Finanziaria di intraprendere azioni a cautela del proprio credito, provvisoriamente annullato dalla sentenza tributaria esecutiva).

Nessun sostanziale effetto negli altri casi, in cui maturava un'eccedenza di quanto già versato a titolo di riscossione frazionata, atteso che il termine di 90 giorni previsto dall'art. 68, comma 2, d.lgs. 546/1992 per la restituzione era meramente ordinatorio e la relativa esecuzione forzata postulava che il contribuente creditore dovesse prima chiedere in via amministrativa la restituzione dell'eccedenza dei precedenti pagamenti frazionati per poterne poi impugnare l'eventuale diniego ex art. 19, comma 1, lett. g) d.lgs. n. 546/1992 (Cass. n. 20616/2008); dovevano poi seguire una sentenza di condanna al rimborso ed un giudizio di ottemperanza o esecuzione civile.

Secondo alcuni autori, invece, poiché il diritto alla restituzione dell'eccedenza nasce dalla legge, per la relativa esecuzione non necessitava il passaggio in giudicato di cui al previgente art. 69 d.lgs. 546/1992 (nella formulazione in vigore fino al 31 maggio 2016). Si poteva, comunque, procedere direttamente con un ricorso per l'ottemperanza (o con un'azione esecutiva civile) nei soli casi in cui la sentenza dalla quale scaturiva l'eccedenza, contenesse anche un'autonoma disposizione di condanna dell'ufficio al relativo rimborso; solo allora, per la restitutio ex lege fatta propria dall'ordine del giudice, diventavano esperibili tutte le azioni di esecuzione di cui agli artt. 69 (nella formulazione in vigore fino al 31 maggio 2016) e 70 d.lgs. 546/1992.

La tutela del contribuente era tanto defaticante che si è detto come la norma rappresentasse «una lancia senza punta» poiché, in effetti, bisognava acquisire un titolo giudiziale esecutivo, efficacemente azionabile. Sulla materia regolata dagli artt. 68, 69, 69-bis e 70, citato decreto, fu sollevata una questione di legittimità costituzionale, dichiarata tuttavia infondata dalla Corte cost. con Ordinanza n. 316/2008. «È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 70, d.lgs. 546/1992, sollevata, in riferimento all'art. 76 Cost., nella parte in cui non consente al contribuente vittorioso in primo grado di richiedere, in pendenza di appello o di termine per proporre appello, l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza non passata in giudicato, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale. La norma denunciata, nel disporre che il giudizio di ottemperanza da esso previsto si applica solo alle sentenze tributarie passate in giudicato, detta una regola identica a quella che vige per le sentenze emesse dal giudice civile, alle quali il giudizio di ottemperanza si applica solo se siano passate in giudicato» (Corte cost. n. 316/2008).

La tesi dominante, infatti, non ravvisava alcuna asimmetria tra parte pubblica e parte privata (art. 111 cpv. Cost.: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale») atteso che, da un lato, la parte pubblica eseguiva —solo parzialmente- gli atti impositivi sottesi, dotati di quella particolare forza giuridica, denominata autoritatività (o autoritarietà od anche imperatività), immanente nell'esercizio di un potere pubblico come quello fiscale fino all'annullamento dell'atto che la esprime, e dall'altro, tale limitata esecuzione della pretesa fiscale non poteva comunque superare la misura di quanto confermato in una sentenza priva di effetto sostitutivo, con una modulazione ex lege -a cautela delle ragioni fiscali- contemperata dalle istanze del ricorrente volte alla sospensione della riscossione medio tempore, ex artt. 47, d.lgs. n. 546/1992, sulla base di parametri riconducibili ai concetti di fumus boni iuris e periculum in mora.

«Quanto alla riscossione frazionata, tenuto conto della prevista sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati, sarebbe stato preferibile abolirla, non avendo senso ritardare o frazionare la piena esecuzione degli atti per i quali non sia stata concessa la sospensione cautelare. In relazione, tuttavia alla prudente direttiva contenuta nell'art. 30 della Legge Delega [legge 30 dicembre 1991, n. 413] si è previsto che il tributo oggetto di giudizio davanti alle Commissioni tributarie debba essere pagato ... nel modo previsto da detto articolo» (Relazione governativa al d.lgs. n. 546/1992). Tale differenza viene invece riequilibrata con l'asimmetrica introduzione di una immediata totale provvisoria intera esecutività delle sentenze a favore del contribuente (ivi comprese le spese del giudizio di cui all'art. 15), mantenendo invece la precedente riscossione frazionata del tributo (art. 68, d.lgs. n. 546/1992) e della sanzione (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997) – ma senza comprendere le relative spese del giudizio – per quelle favorevoli alla parte pubblica: uffici dell'Agenzia delle Entrate/Riscossione – che ha recentemente incorporato quella del Territorio ed Equitalia s.p.a., sostituita nelle funzioni di riscossione nazionale di cui all’art.3, comma1, d.l. 203/2005, conv. con modif. con l. 248/2005, dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione»,) – e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, altri residuali enti impositori di tributi – come indicati nell'art. 2, comma 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992 – o emittenti degli atti di cui all'art. 19, stesso decreto, oggetto della giurisdizione tributaria, l'Agente della Riscossione ed infine i soggetti privati, titolari di «munus pubblicum» per essere stati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni. Il vantaggioso riconoscimento al contribuente della totale esecutività delle sentenze favorevoli, mantenendo invece la riscossione frazionata per quelle favorevoli alla Amministrazione, che restano prive della esecutività della condanna alle spese di lite fino al passaggio in giudicato, trova fondamento nella opportuna prevedibilità delle entrate tributarie, gravemente compromessa dalla restituzione di somme – anche ingenti – a seguito dell'esito definitivo del giudizio.

Inoltre, secondo un minoritario orientamento, l’esecuzione forzata civile di cui all’art. 475, c.p.c., come già tributariamente prevista dal previgente art. 69, d.lgs. 546/1992, sopravvive –nunc in virtù del permanente rinvio dinamico di cui all’art. 1, c.2, d.lgs. 546/1992- per tutti i provvedimenti liquidatori di compensi per il Commissario ad acta (sentenza ex art. 70, c.7, d.lgs.546/1992 ed ordinanze ex art. 70, c. 8, stesso decreto; vds. anche parere Avvocatura generale dello Stato, c.s. 25554704, sez. III, reso il 14 ottobre 2005 al M.E.F., qui in annotazione all’art. 70, paragr. 6.5).

 

Esecutività della sentenza secondo quanto previsto dal capo IV, d.lgs. n. 546/1992

Non si comprende la scelta (in deroga peraltro alla voluntas legis espressa nella delega) di circoscrivere il riconoscimento della provvisoria esecutività alle sole sentenze in tema di atti impositivi e di rimborso, con la conseguente esclusione di altre pronunce, quali, ad esempio, quelle di annullamento dei provvedimenti di cancellazione dall'albo delle ONLUS. Non paiono inoltre condivisibili le ragioni che hanno indotto il Legislatore delegato a ridurre il novero degli strumenti processuali a disposizione del contribuente per ottenere l'esecuzione delle sentenze ad esso favorevoli. Non sembra, infatti, compatibile con le direttive recate dalla legge delega (che prevedeva, testualmente, un «rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente») l'eliminazione della possibilità di accedere all'esecuzione forzata civile della sentenza di condanna dell'Amministrazione, costituente titolo esecutivo per ottenere la ripetizione delle imposte e delle sanzioni versate ovvero il recupero delle spese sostenute. Il fatto che gli istituti attinti dal processo civile possano essere meno efficaci dell'ottemperanza non costituisce, invero, un'argomentazione idonea a giustificare una siffatta riduzione di tutela. Ugualmente criticabile appare poi la scelta di subordinare il pagamento delle somme oggetto di rimborso, in caso di importi superiori a € 10.000/00, alla prestazione di idonea garanzia. Tale limitazione, infatti, secondo le prime stime, comporterà una significativa delimitazione delle fattispecie in cui risulterà conveniente, per il contribuente, adire il giudice dell'ottemperanza. (Leo, 2015). I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art.8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. n. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio.

Inoltre, secondo un minoritario orientamento, l'esecuzione forzata civile di cui all'art. 475, c.p.c., come già tributariamente prevista dal previgente art. 69, d.lgs. 546/1992, sopravvive –nunc in virtù del permanente rinvio dinamico di cui all'art. 1, c.2, d.lgs. 546/1992- per tutti i provvedimenti liquidatori di compensi per il Commissario ad acta (sentenza ex art. 70, c.7, d.lgs.546/1992 ed ordinanze ex art. 70, c. 8, stesso decreto; vds. anche parere Avvocatura generale dello Stato, c.s. 25554704, sez. III, reso il 14 ottobre 2005 al M.E.F., qui in annotazione all'art. 70, paragr. 6.5). Tuttavia, secondo il Tribunale di Palermo, Sezione IV Civile, procedura N. 5868/ 2016 R.G. Esecuzioni (ordinanza del 24/12/2016): “Il D.lgs. 156/2015 ha apportato significative modifiche al Capo IV del D.lgs. 546/1992 relativo all'esecuzione delle sentenze tributarie sulla base del principio della immediata esecutorietà estesa a tutte le parti in causa delle sentenze della Commissione tributaria che ora sono pertanto immediatamente esecutive come le sentenze adottate nel giudizio civile e nel giudizio amministrativo. L'intervento riformatore, pur avendo eliminato l'inciso "salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo", non ha tuttavia escluso la possibilità del ricorso alla giurisdizione ordinaria. Infatti, sia l'art. 69 che l'art. 70 del D.lgs. 50/1992 stabiliscono che in caso di mancata esecuzione il contribuente "può" richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale e pertanto il giudizio di ottemperanza si pone in termini di concorrenzialità con il ricorso alla giurisdizione ordinaria e al giudice dell'esecuzione. D'altra parte, una lettura costituzionalmente orientata della norma, impone di ritenere che il previsto ricorso al giudizio di ottemperanza non costituisce l'unica possibilità per far valere il diritto ad agire esecutivamente per conseguire l'adempimento dell'obbligo portato dal titolo esecutivo nel doveroso rispetto del diritto della parte a non vedere compresso, ritardato, reso più difficile e più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale e al fine di non creare (soprattutto per le sentenze fiscali di condanna al pagamento di somme di denaro) un'irragionevole disparità di trattamento del creditore nelle fattispecie di esecuzione di sentenze fiscali rispetto all'esecuzione delle sentenze civili o amministrative con conseguente contrasto con gli art. 3,24 e 113 Cost.. Inoltre, l'interpretazione delle citate nel norme nel senso di ritenere la giurisdizione della Commissione tributaria come esclusiva per l'esecuzione di sentenze di condanna al pagamento di somme a favore del contribuente si porrebbe in contrasto con l'art. 102 Cost. che vieta l'istituzione di giudici speciali che nell'interpretazione costante della Corte Costituzionale ha portato a ritenere che poiché la Commissione tributaria è organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione (ex plurimis: sentenze n. 64 del 2008 e n. 50 del 1989; ordinanze n. 144 del 1998, n. 152 del 1997, n. 351 del 1995), le modificazioni dell'oggetto della giurisdizione è consentita solo se "non snaturi" la materia originariamente attribuita alla cognizione del giudice speciale. La Corte Costituzionale ha poi precisato che il legislatore ordinario ¬nel modificare la disciplina di tali organi giurisdizionali - incontra il duplice limite costituzionale «di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite» a dette giurisdizioni «e di assicurare la conformità a Costituzione» delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 1998) con la conseguenza che il mancato rispetto del limite di «non snaturare» le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell'istituzione di un "nuovo" giudice speciale, espressamente vietata dall'art. 102 cost. L'identità della "natura" delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita «revisione» dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un "nuovo" giudice speciale. In coerenza con i sopra evidenziati principi e con specifico riferimento alla materia devoluta alla cognizione dei giudici tributari, la Corte Costituzionale ha rilevato, in numerose pronunce, che la giurisdizione del giudice tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura tributaria del rapporto» (sentenze n. 238 e n. 141 del 2009; n. 130 e n. 64 del 2008; ordinanze n. 300 e n. 218 del 2009; n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006) e pertanto l'attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Ora, com'è noto, la domanda di esecuzione di una sentenza di condanna della pubblica amministrazione al pagamento di somme di denaro introduce una controversia ordinaria di diritto soggettivo che non riguarda il rapporto tributario, la cui tutela in fase esecutiva non può non competere al giudice ordinario, in quanto una diversa lettura delle norme che attribuisse in via esclusiva l'esecuzione di tali sentenze alla Commissione tributaria si porrebbe in contrasto con la Costituzione”. Del medesimo avviso il Presidente del Tribunale di Palermo che, con decreto del 23 aprile 2018, così si pronuncia sul ricorso ex art. 745 c.p.c., iscritto al n. 1157/2018, R.G.V.G.: “rilevato che l'art, 743 c.p.c. dispone: "Qualunque depositario pubblico, autorizzato a spedire copia degli atti che detiene, deve rilasciarne copia autentica, ancorché l'istante o i suoi autori non siano stati parte nell'atto, sotto pena dei danni e delle spese, salve le disposizioni speciali della legge sulle tasse di registro e bollo"; rilevato altresì che, a noma dell'art. 745, secondo comma, c.p.c., "nel caso di rifiuto o di ritardo da parte dei pubblici depositari di cui all'articolo 743, l'istante, può ricorrere al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni"; considerato che - come affermato dalla Suprema Corte a sezioni unite "in mancanza di una disposizione specifica che preveda la possibilità di ricorrere ai presidenti delle commissioni tributarie, come accade invece per i giudici ordinari, in caso di rifiuto o ritardo nel rilascio di copie di atti detenuti dai segretari-pubblici depositari, l'istante può fare ricorso, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni" (Cass. civ. n. 1629/2010); visto che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 745 c.p.c., la decisione va assunta "sentito il pubblico ufficiale"; rilevato che, con provvedimento del 13 marzo 2018 (comunicato a mezzo posta elettronica certificata il successivo 22 marzo), i responsabili di Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo e della Commissione Tributaria Regionale per Ia Sicilia sono stati invitati a presentare eventuali deduzioni in ordine al ricorso di ……………entro il 9 aprile 2018; preso atto che, a seguito di ciò, è stata depositata una memoria difensiva dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo nell'interesse del "Ministero dell'Economia e delle Finanze - Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia e Commissione Tributaria Provinciale di Palermo"; rilevato che, in data 19 aprile 2018, è intervenuto il deposito di un'ulteriore memoria difensiva da parte di …..; ritenuto che, ai sensi dell'art. 38, primo comma, D.Lgs. 546/1992 (cd. Codice del processo tributario), "ciascuna parte può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza e la segreteria è tenuta a rilasciarle entro cinque giorni dalla richiesta, previa corresponsione delle spese"; osservato che l'art. 69, primo comma, del medesimo decreto (come novellalo dall'art. 9, primo comma, lett. gg, D.Lgs. 156/2015) prevede che "le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente 1...1 sono immediatamente esecutive"; rilevato che la ricorrente risulta aver presentato, in data 16 gennaio 2018, presso le competenti segreterie, richieste di rilascio di copia ín forma esecutiva delle sentenze sopra indicate; considerato che, ad oggi, non risulta che alcuna copia sia stata rilasciata; ritenuto che tale contegno non appare legittimo, in disparte ogni considerazione concernente la persistenza (o meno) del diritto di procedere ad esecuzione forzata ordinaria in forza delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente emesse dalle commissioni tributarie, all'indomani della modifica dell'art. 70 D.Lgs. 546/1992 operata dall'art. 9, primo comma, lett. ii, n. 1, D.Lgs. 156/2015 (che ha soppresso le parole: "Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo"), dovendo la relativa questione essere esaminata - e risolta - dall'autorità giudiziaria; considerato che non appare decisivo, nel caso in esame, il fatto che la sentenza n. 5148/9/2014 della Commissione Tributaria Provinciale sia intervenuta anteriormente all'entrata in vigore del novellato art. 69, primo comma, D.Lgs, 546/1992, posto che le statuizioni della sentenza in questione sono state confermate integralmente della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia con la pronuncia n. 108/12/2018, immediatamente esecutiva in quanto emessa nella vigenza del testo riformato; ritenuto, peraltro, che "la sentenza di appello si sostituisce alla sentenza impugnata nei casi di conferma o di riforma in cui ha per oggetto il contenuto della pretesa sostanziale dedotta in giudizio e non l'operato del giudice, con la conseguenza che, in tali casi, il titolo esecutivo da notificare per promuovere l'esecuzione forzata è costituiti) dalla stessa sentenza di secondo grado" (Cass. civ. n. 7537/2009; in tal senso, cfr. anche Cass. civ. n. 6438/1992); considerato, ancora, che "anche in caso di conferma, la sentenza d'appello si sostituisce a quella di primo grado e diviene unico titolo esecutivo; ne consegue che la perdita di efficacia della sentenza di primo grado, quale comando suscettibile di esecuzione forzata, coinvolge necessariamente anche il termine dilatorio connesso al suo passaggio in giudicato" (Cass. civ. n. 2591/1979); rilevato, pertanto, che il ricorso ex art. 745 c.p.c. di …merita accoglimento limitatamente alla richiesta di rilascio di una copia in forma esecutiva della sentenza n. 108/12/2018 della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia (l'unica ad essere munita di efficacia esecutiva); rammentato, in proposito, che 'il decreto reso dal Presidente dei tribunale, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., su ricorso avverso il rifiuto del cancelliere di rilasciare copia di sentenza non è impugnabile con ricorso per cassazione, a norma dell'art. 171 cost., trattandosi di atto di volontaria giurisdizione, che è adottato sulla base dell'audizione di detto cancelliere e senza necessità di instaurazione del contradditorio con il soggetto passivo del diritto alla copia e che, pertanto, non si traduce in statuizioni sul diritto stesso, non ravvisabili in valutazioni di tipo meramente delibativo, le quali lasciano impregiudicato quel diritto e la sua tutelabilità in sede contenziosa nel rapporto con l'amministrazione depositaria del documento" (Cass. civ. n. 9234/1996; cosi anche Cass. civ. n. 10109/1993); ritenuto che, stante il carattere non contezioso del presente procedimento, non va emessa alcuna statuizione sulle spese processuali, a nulla rilevando - in questa sede - il mero interesse della ricorrente ad una quantificazione delle stesse in previsione della futura proposizione dì una causa risarcitoria, P.Q.M. disattesa ogni altra richiesta, ordina al responsabile della Segreteria della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia il rilascio, in favore di una copia in forma esecutiva della sentenza n. 108/12/2018 depositata il 10 gennaio 2018”. Vedasi anche annotazioni degli artt. 9, paragr. 2: “Assistenza all'attività giudiziaria”, 25, paragr. 4: “Richiesta di copie” e 69, paragr. 5: “Spedizione in forma esecutiva della sentenza”.

L'introdotta esecutività della sentenza, induce a ritenere che — conformemente a quanto accade nel processo civile- essa statuisca direttamente sul rapporto d'imposta, sostituendo l'atto impugnato, oggetto del giudizio, ed accertando le conseguenze legali connesse al verificarsi del presupposto d'imposta. «La “vexata quaestio” se le CC.TT. siano giudici dell'atto impugnato o del sotteso rapporto d'imposta è direttamente correlata ad un'altra questione dottrinale, e cioè se l'obbligazione tributaria nasca dal provvedimento d'accertamento al quale sarebbe da attribuire efficacia costitutiva o, invece, derivi dalla legge e l'accertamento tributario avrebbe efficacia dichiarativa. Una composizione della dicotomia è stata avanzata ... intendendo l'impugnazione dell'atto impositivo come eventuale “veicolo d'accesso” al successivo giudizio di merito (se presente nel petitum per il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato). Pertanto, se il petitum si limita alla dichiarazione di inesistenza, nullità o all'annullamento dell'atto impugnato, non si può istaurare un processo d'accertamento sull'esistenza (an debeatur) dell'obbligazione tributaria.» (Labruna, 6); nunc cfr. art. 30, comma 1, lett. c, legge delega n. 413/1991: «identificazione degli atti e dei rapporti tributari dei quali il giudice tributario conosce». Alla diversa efficacia riconosciuta all'atto impositivo consegue quella del giudizio sulla relativa impugnazione (efficacia costitutiva: impugnazione-annullamento, mentre efficacia dichiarativa: impugnazione-merito); prima della novella d.lgs. n. 156/2015, la relativa sentenza non provvisoriamente esecutiva era priva di effetti sostitutivi ma arginava gli effetti propri dell'atto autoritativo impugnato, perimetrando l'ammontare massimo della riscossione frazionata legale, di cui all'art. 68 d.lgs. 546/1992.

Secondo risalente e costante giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 16171/2000), il processo tributario non è annoverabile tra quelli di mera impugnazione-annullamento, bensì tra quelli di impugnazione-merito perché, dopo ogni «rimozione giuridica» — diversa da motivi formali — dell'atto impugnato, deve regolamentare il rapporto d'imposta con una pronuncia giurisdizionale nel merito, sostitutiva dell'atto amministrativo nella misura della citata rimozione, volta a quantificare, entro i limiti fissati dai petita formulati dalle parti in causa, la giusta pretesa tributaria, vds. Cass. S.U., n. 25790/2009 (e Cass. n. 26157/2013; Cass. n. 6918/2013 e Cass. n. 13034/2012). La domanda di annullamento per vizi formali propri dell'atto impugnato, resta pregiudiziale e dirimente, rispetto alla ulteriore cognizione sul merito del rapporto tributario sotteso, per dar luogo ad una pronuncia caducatoria di annullamento di tipo costitutivo-demolitorio, priva di alcun bisogno di conformazione obbligatoria al giudicato, con possibilità rinnovatoria dell'atto viziato.

L'attuale orientamento giurisprudenziale ha da molto tempo superato sia la presunzione di legittimità dell'atto amministrativo, secondo la quale un atto produce effetti se è conforme alla fattispecie legale; se non è conforme e produce egualmente effetti «significa che esso è considerato dalla legge in possesso dei requisiti da essa medesima richiesti, cioè legittimo» (G. Treves, Presunzione di legittimità degli atti amministrativi, Padova, 1936), sia la concezione dell'accertamento come «provocatio ad opponendum», secondo alcuni autori, già inconciliabile con la riforma del 1992.

Riscossione/restituzione di risorse proprie tradizionali U.E.

Particolare cautela viene usata dal legislatore per quanto riguarda le riscossioni/restituzioni di risorse proprie tradizionali di cui all'art. 2, par.1, lett. a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione —che restano disciplinate dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia- per le quali è sempre necessario acquisire adeguata ed integrale garanzia per la ripetizione di tutte le somme anticipate o attendere l'esito definitivo del giudizio onde evitare che, ad una inopinata insolvenza del contribuente definitivamente soccombente, lo Stato membro diventi finanziariamente responsabile di quanto insoluto nei confronti del bilancio dell'Unione europea. (vds. Circ. 23 dicembre 2015, n. 27/D dell'Agenzia delle dogane e Nota 24 marzo 2017, n. 31568/D dell'Agenzia delle dogane). Per «risorse proprie tradizionali» si intendono quelle di cui all'art. 2 della Decisione Comunità Europea del 7 giugno 2007 n. 436/2007 (in G.U.U.E. n. 163 del 23 giugno 2007), limitatamente alla parte applicabile dopo l'abrogazione operata dall'art. 10, Dec. UE n. 335 del 26 maggio 2014 (in G.U.U.E. n. L 168 del 07 giugno 2014); tale articolato rimane applicabile al calcolo ed all'adeguamento delle entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota di prelievo all'imponibile IVA determinato in modo uniforme e limitato al 50-55% del PNL o dell'RNL di ciascun Stato membro, secondo l'esercizio di riferimento.

Costituiscono risorse proprie tradizionali le entrate provenienti:

– da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con Paesi terzi;

– dagli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie (IVA riscossa all'importazione);

iscritte nel bilancio generale dell'Unione europea.

Bibliografia

Consolo, Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, Milano, 2016; Baglione, Menchini, Miccinesi, Il nuovo processo tributario: commentario, Milano, 2004; Campeis-De Pauli, Il manuale del processo tributario, Padova, 2002; Glendi, L'esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il nuovo processo tributario, a cura di Moschetti, Padova, 1999, 153; S.Labruna, in Il Finanziario, n° 5, 1990, 6; Leo, La «novella» del contenzioso tributario, in IlTributario.it 2015; Santoro,Tematiche ricorrenti in grado d'appello, in Quaderni del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, anno 2002, n. 7; Treves, Presunzione di legittimità degli atti amministrativi, Padova, 1936..

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