Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 68 - Pagamento del tributo [ e delle sanzioni pecuniarie] in pendenza del processo 1 2 3 4 . Pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie in pendenza del processo.Pagamento del tributo [e delle sanzioni pecuniarie]in pendenza del processo 123 4.
Pagamento del tributo e delle sanzioni pecuniarie in pendenza del processo. 1. Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della corte di giustizia tributaria di primo grado che respinge il ricorso; b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della corte di giustizia tributaria di primo grado, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della corte di giustizia tributaria di secondo grado. c-bis. per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio e per l'intero importo indicato nell'atto in caso di mancata riassunzione. Per le ipotesi indicate nelle precedenti lettere [a), b) e c)] gli importi da versare vanno in ogni caso diminuiti di quanto già corrisposto 5. 2. Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della corte di giustizia tributaria di primo grado, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente puo' richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla corte di giustizia tributaria di primo grado ovvero, se il giudizio e' pendente nei gradi successivi, alla corte di giustizia tributaria di secondo grado 6. 3. Le imposte suppletive [e le sanzioni pecuniarie] debbono essere corrisposte dopo l'ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione 7. 3-bis. Il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia 8. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 126 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Rubrica modificata dall'articolo 29, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. L'abrogazione delle parole "e delle sanzioni pecuniarie" di cui alla presente rubrica, è stata ribadita, a decorrere dal 1° gennaio 2026, dall'articolo 101, comma 2, lettera p), del D.Lgs. 5 novembre 2024, n. 173. [4] Per l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo vedi l'articolo 3, comma 2, del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 maggio 2010, n. 73. [5] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ff), numero 1), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [6] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera ff), numero 2), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016. [7] Comma modificato dall'articolo 29, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. L'abrogazione delle parole "e le sanzioni pecuniarie" di cui al presente comma, è stata ribadita, a decorrere dal 1° gennaio 2026, dall'articolo 101, comma 2, lettera p), del D.Lgs. 5 novembre 2024, n. 173. [8] Comma aggiunto dall'articolo 10, comma 2, della Legge 30 ottobre 2014, n. 161. InquadramentoLa riscossione graduale dell'imposta sub iudice ha da tempo costituito un'applicazione prudente della ordinaria esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, a cautela delle ragioni del contribuente; per questo motivo, l'estensione della sospensione cautelare introdotta dal d.lgs. n. 156/2015 per tutte le fasi processuali (primo grado, appello, ricorso per cassazione e per revocazione) e per tutte le parti del giudizio che ne abbiano interesse, anche quelle pubbliche: uffici dell'Agenzia delle Entrate/Riscossione —che ha recentemente incorporato quella del Territorio (ed Equitalia s.p.a., sostituita nelle funzioni di riscossione nazionale di cui all'art.3, c.1, d.l. 203/2005, conv. con modif. con l. 248/2005, dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione») - e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, altri residuali enti impositori di tributi –come indicati nell'art. 2, comma 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992– o emittenti degli atti di cui all'art. 19, stesso decreto, oggetto della giurisdizione tributaria, l'Agente della Riscossione ed infine i soggetti privati, titolari di «munus pubblicum» per essere stati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni (ove interessate come, ad esempio, per sospendere il rimborso dei tributi), ha fatto ritenere alla migliore dottrina non più giustificato l'aprioristico permanere della riscossione frazionata dell'imposta in pendenza di giudizio. [*GIURI*] “Il disposto dell'art. 68 cit., comma 1, che prevede come “anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi di imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato” secondo le scansioni di poi previste, “deve leggersi nel senso che il pagamento del tributo deve essere effettuato nelle forme e nei limiti di cui alle disposizioni dell'articolo citato in tutti i casi, ed “anche in deroga” alla disposizioni di leggi speciali concernenti i singoli tributi che prevedano forme di frazionamento diverse, per il caso di pendenza di giudizio tributario, da quelle previste dai commi successivi del medesimo art. 68, che regola appunto tale fattispecie” (Cass. 7831/2010; conf. n. 17904/2010). In buona sostanza, l'art. 68 cit. disciplina la riscossione frazionata del tributo controverso in relazione alla progressione dei diversi gradi di giudizio, trovando applicazione nella fase “post decisum” e non in quella “ante decisum” (così in Cass. 20669/2014), che resta invece sottoposta alle disposizioni speciali regolanti le modalità di riscossione proprie di ciascun tributo” (Cass. n. 23784/2017). “La norma in oggetto è contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992, capo 4, che regola il processo tributario, e che ha come titolo “l'esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie”. La rubrica della disposizione in parola è pagamento del tributo in pendenza di processo”. Tale collocazione e la intitolazione del disposto in oggetto rende già di per sé evidente che la norma si applica in tutti i casi in cui il tributo sia stato oggetto di impugnazione, e sia intervenuta una sentenza che abbia pronunciato su di esso (Cass. n. 7785/2008) attenendo alla esecuzione, totale o parziale, della sentenza stessa, non ancora definitiva. Per converso, la norma in questione non può che applicarsi a tutti i tributi in ordine ai quali le Commissioni tributarie siano competenti a pronunciare…“ (Cass. n. 7831/2010). Per quanto disponga solo dal momento successivo alla prima pronuncia giurisdizionale, l'articolato è «oggettivamente fuori posto perché consta di norme più sostanziali che processuali» (Glendi, 153), volte ad uniformare, «anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, ... la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio». «Quanto alla riscossione frazionata, tenuto conto della prevista sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati, sarebbe stato preferibile abolirla, non avendo senso ritardare o frazionare la piena esecuzione degli atti per i quali non sia stata concessa la sospensione cautelare. In relazione, tuttavia alla prudente direttiva contenuta nell'art. 30 della Legge Delega [legge 30 dicembre 1991, n. 413] si è previsto che il tributo oggetto di giudizio davanti alle Commissioni tributarie debba essere pagato ... nel modo previsto da detto articolo» (Relazione governativa al d.lgs. n. 546/1992). La riscossione frazionata dell'atto impositivo, della quale —dopo il ricorso e prima della sentenza della C.t.p.- il contribuente può chiedere la sospensione giudiziale ex art. 47, d.lgs. 546/1992 (poi, in virtù delle modifiche introdotte con d.lgs. n. 156/2015, anche ex art. 52 stesso decreto per gli appelli in C.t.r. ed ex art. 62-bis per i ricorsi in Cassazione ed ex art. 65, c.3-bis per quelli per revocazione) conserva la disciplina prevista dalle relative leggi d'imposta: ad esempio, è pari ad un terzo dell'intero ammontare impugnato: per le imposte sui redditi (art. 15, comma 1, d.P.R. n. 602/1973); per l'imposta sul valore aggiunto (art. 23 d.lgs. n. 46/1999 combinato con l'art. 15 d.P.R. n. 602/1973; per l'Irap (art. 30, comma. 6 d.lgs. n. 446/1997); per l'imposta complementare di registro (art. 56, comma 1, lett. a, d.P.R. n. 131/1986); per l'imposta di successione e donazione (art. 40, comma 2, parte I, d.lgs. n. 346/1990); mentre è pari all’intero ammontare per Ici, Tarsu, Tasi, Tosap, Imposta sulla pubblicità, nonché Accise e Dazi doganali. Possono essere interamente riscossi anche gli importi richiesti con cartella esattoriale a seguito di liquidazioni automatiche e controlli formali delle dichiarazioni (artt. 36-bis e ter, d.P.R. 600/1973 ed art. 54-bis d.P.R.633/1972), compresi sanzioni ed interessi, nonché con avvisi di liquidazione dell'imposta principale di registro, da versare all'atto della registrazione o (c.d. principale-postuma) richiesta dall'ufficio per omissioni o errori in sede di autoliquidazione per richieste di registrazione in via telematica. La proposizione del ricorso, invece, sospendeva l'esecuzione degli accertamenti antielusivi (già ex art. 37-bis, comma 6, d.P.R. n. 600/1973, abrogato dal d.lgs. n. 128/2015 che lo ha sostituito con il comma 10, dell'art. 10-bis, l. n. 212/2000) e sospende ancora adesso quella delle sanzioni amministrative ex art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, fino alla sentenza di primo grado, nonché delle imposte suppletive richieste con avviso di liquidazione a correzione di errori od omissioni dell'ufficio, che possono essere riscosse solo dopo l’ultima sentenza di merito (Ctp passata in giudicato o Ctr, quant’anche impugnata per cassazione) (ex art. 68, comma 3). Titolo all'esecuzione «frazionata/provvisoria/ cautelare» del fisco in pendenza del giudizio (da tenere distinta da quella del giudicato infraprocessuale o interno, che trova titolo — ex art 56, d.lgs. 546/1992 — negli autonomi capi non impugnati della sentenza) secondo alcuni autori (Tesauro, 2006, 397; Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2003, 504; contra, Russo, 311), non è la sentenza (che ne costituirebbe un mero presupposto) ma il sotteso provvedimento impositivo (autoritativo, esecutivo ed esecutorio), con la graduazione legale di cui all'art. 68 d.lgs. n. 546/1992; ciò perché la sentenza del giudice non sostituirebbe l'atto autoritativo impugnato (secondo la teoria dell'«atto costitutivo dell'obbligazione tributaria»), che resta in vita e permane quale titolo valido per l'esecuzione. Il manifesto «continuum» tra tutte le riscossioni frazionate previste per l'impugnazione giudiziale dell'atto impositivo, anche prima di un provvedimento giurisdizionale, costituisce un ulteriore argomento militante per l'esposta tesi «costitutiva» che ravvisa il titolo per la riscossione nell'atto autoritativo oggetto del giudizio e non nella relativa sentenza (come, invece, da teoria della «sentenza sostitutiva dell'atto impugnato» correlata a quella dell'«atto dichiarativo dell'obbligazione tributaria»), la cui efficacia si esaurirebbe nel determinarne la misura massima. Nell'ambito della teoria: «sentenza sostitutiva dell'atto impugnato» si può annoverare l'orientamento che postula l'effetto rescissorio della sentenza, causa della riscossione frazionata del tributo (Tremonti, 351, nt. 60). La sentenza tributaria — pur non immediatamente provvisoriamente esecutiva prima della novellazione introdotta con il d.lgs. n. 156/2015 — perimetrava l'ammontare massimo della riscossione frazionata legale di cui all'art. 68 d.lgs. n. 546/1992 per il solo fisco, anche se l'art. 49 stesso decreto escludeva espressamente l'applicabilità dell'articolo 337 c.p.c., relativo alla esecutività della sentenza non passata in giudicato. Pur tuttavia, nel caso in cui una sentenza interlocutoria — contenente parti o capi autonomi non impugnati che disponevano su restituzione dell'eccedenza di riscossione frazionata ex art. 68, comma 2, — a richiesta del ricorrente si fosse pronunciata anche per la condanna dell'ente impositore alla restituzione nei 90 giorni di legge dell'eccedenza riscossiva, la parte private vittoriosa (al maturare del relativo giudicato interno) poteva procedere direttamente all'esecuzione ex art. 479 c.p.c. o 70 d.lgs. n. 546/1992, senza ulteriori istanze amministrative o ricorsi giudiziari, adottando come spatium adimplendi di cui all'art. 70, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 quello dei 90 giorni dalla notifica della sentenza di cui al citato art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546/1992. L'attuale assetto normativo vede il pagamento del contribuente ricorrente, del tributo (art. 68, d.lgs. n. 546/1992) e della sanzione (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997) – con i relative interessi ma senza le spese del giudizio- ancora frazionato ex art. 68 e – come sopra – sospendibile con decreto/ordinanza del giudice tributario; il pagamento di parte pubblica resistente, invece, è restato dovuto per intero ex art. 69, comma 1, comprese le spese del giudizio di cui all'art. 15; in ambedue i casi può essere chiesto al giudice di voler disporre l'adeguata garanzia di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 — sottesa anche agli artt. 47, comma 5; 52, comma 6, e 62-bis, comma 5 e 65, comma 3-bis, senza essere stata prevista dalla legge delega (art. 10, comma 1, n. 10, l.11 marzo 2014, n. 23) per l'art. 69 – al fine di garantire il pagamento delle somme sospese o la ripetizione di quelle rimborsate superiori ad Euro 10.000/00 e diverse dalle spese di lite, nel caso di successiva riforma della sentenza immediatamente provvisoriamente esecutiva, ma tuttavia, non ancora definitiva. La garanzia deve essere prestata con cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore nominale, oppure con fideiussione rilasciata da una banca o da un'impresa commerciale che, a giudizio dell'ente garantito (impositore o esattore), offra adeguate garanzie di solvibilità, o, ancora, con polizza fideiussoria rilasciata da un'impresa di assicurazione. Per le piccole e medie imprese, la garanzia può essere prestata anche dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi, iscritti negli appositi albi e, per i gruppi di società con patrimonio superiore a 250 milioni di euro, con assunzione dell'obbligazione da parte della capogruppo o della controllante. L'articolo 68, comma 1, del decreto n. 546/1992 (e l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, per il pagamento della sanzione nella frazione dovuta su sentenza di primo grado: fase giudiziaria) disciplina l’esecutività delle sentenze totalmente o parzialmente favorevoli all'Ufficio. L'attuale normativa conferma il meccanismo di riscossione frazionata del tributo e dei relativi interessi in ragione degli esiti dei vari gradi di giudizio, ossia per i due terzi dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso o per l'ammontare risultante dalla sentenza che lo accoglie parzialmente e, comunque, non oltre i due terzi, e per il residuo ammontare determinato dalla sentenza della commissione tributaria regionale. Il decreto di riforma ha aggiunto, al comma 1, la lettera c-bis), allo scopo di precisare le modalità di riscossione del tributo nelle due diverse ipotesi della pendenza del giudizio di rinvio e della mancata riassunzione della causa, a seguito di una sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio. Pertanto, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni tributarie, dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio, l'imposta, con i relativi interessi (ma senza eventuali sanzioni), deve essere pagata per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado e, in caso di mancata riassunzione, per l'intero importo indicato nell'atto. In tale ultima ipotesi, in base a quanto previsto dall'articolo 63, comma 2, del decreto n. 546, se la riassunzione non avviene entro il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio o si configura una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l'intero processo si estingue. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che l'estinzione dell'intero processo comporta la caducazione di tutte le sentenze medio tempore pronunciate e il consolidamento amministrativo dell'atto già oggetto di impugnazione, con conseguente esigibilità -per intero-delle somme richieste con il medesimo atto (ex multis, Cass. n. 2519/2014, Cass. n. 16689/2013, Cass. n. 5044/2012 e Cass. n. 3040/2008). La Corte di Cassazione ha altresì chiarito che l'estinzione del processo, relativamente al giudizio di rinvio, rende inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione proposta dall'Amministrazione finanziaria (cfr. citate Cass. n. 3040/2008 e Cass. n. 5044/2012). In tal modo, il dettato della nuova lettera c-bis) si è allineato alla giurisprudenza della Corte, e la stessa relazione illustrativa al decreto di riforma ha evidenziato che «l'espressa previsione degli effetti della mancata riassunzione ha lo scopo di rendere chiare, soprattutto ai contribuenti, le conseguenze pregiudizievoli che derivano dalla mancata riassunzione del giudizio, indipendentemente da quale parte sia risultata vittoriosa in cassazione». Nel diverso caso in cui il giudizio di rinvio sia stato tempestivamente riassunto, la lettera c-bis) ha previsto che l'Amministrazione riscuota il tributo per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado, in analogia a quanto previsto per la riscossione provvisoria nei casi di impugnazione dell'atto impositivo. Sempre e comunque inutile, quindi, ogni eventuale distinzione tra il caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza Ctr (art. 62, c.1) da quello -per saltum- avverso la sentenza Ctp (art. 62, c.2-bis). Si osserva sul punto che con la Circ. n. 48/E del 24 ottobre 2011, l'Agenzia ha precisato che, quando una sentenza di appello sia stata cassata con rinvio, «è principio fermo nella giurisprudenza di legittimità e nella riflessione della pressoché unanime dottrina processualistica che il giudizio di rinvio (...) costituisce una fase nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (...) diretto e funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cass. n. 14892/2000; Cass. n. 15489/2000;Cass., n. 13833/2002; Cass. n. 1824/2005; Cass. n. 7536/2009; Cass. n. 7781/2011; Cass. n. 19701/2010)». Inoltre, in caso di riassunzione della causa, la circostanza che la sentenza cassata sia favorevole o sfavorevole all'Amministrazione, se non rilevante dal punto di vista giuridico (perché, come chiarito, tale sentenza viene caducata), è termine indicato nel comma 2 dell'articolo 68, ovvero «novanta giorni dalla notificazione della sentenza», senza che l'Ufficio abbia provveduto al rimborso. La notificazione della sentenza e il decorso dei novanta giorni costituiscono quindi condizioni per la presentazione del ricorso in ottemperanza; alla luce del chiaro dettato normativo, si ritiene che la notifica della sentenza sia a tal fine necessaria, anche ove penda appello proposto dall'Ufficio. La disposizione contiene, inoltre, una specifica previsione in ordine al giudice competente per il giudizio di ottemperanza, individuato nella commissione tributaria provinciale oppure, in caso di pendenza del giudizio in secondo grado o in cassazione, nella commissione tributaria regionale. Il combinato disposto degli articoli 68 e 70, da cui deriva la possibilità per il contribuente di ricorrere al giudizio di ottemperanza per ottenere la restituzione di quanto corrisposto in eccedenza rispetto alla sentenza della commissione tributaria, entra in vigore il 1° gennaio 2016 e, come tutte le altre norme processuali, si applica ai giudizi pendenti alla medesima data. Le disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio di cui all'articolo 68, commi 1 e 2, restano applicabili, come nella disciplina previgente, anche alla riscossione delle sanzioni. A tal fine l'articolo 10 del decreto di riforma, recante norme di coordinamento, apporta le conseguenti modifiche all'articolo 19 del d.lgs. n. 472 del 1997. Nei giudizi avverso accertamenti esecutivi, l’Ufficio riscuote le somme dovute a seguito di sentenza notificando al contribuente un’intimazione di pagamento. Fermo restando che il contribuente può chiedere all’Ufficio il riesame dell’atto in autotutela, l’intimazione può essere impugnata (previo svolgimento del procedimento di mediazione tributaria per le controversie di valore non superiore a ventimila euro) con ricorso alla Commissione tributaria provinciale per vizi propri dell’atto, come nel caso di errore di calcolo nella determinazione degli importi dovuti a seguito della sentenza. (circ. Ag. Entrate 14 maggio 2014, n. 10/E).
Per la restituzione delle sanzioni corrisposte in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza, il contribuente potrà ricorrere al rimedio dell'ottemperanza in caso di inerzia dell'ufficio decorsi novanta giorni dalla notifica della sentenza stessa. (circ. Ag. Entrate 29 dicembre 2015, n. 38/E). Articolo 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 «Pagamento del tributo in pendenza del processo». L'articolo 9, comma 1, lettera ff) del d.lgs. n. 156 del 2015 introduce nell'art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, la lettera c-bis) secondo cui, per le ipotesi di riscossione frazionata del tributo, dopo la sentenza della Corte di cassazione di annullamento con rinvio, la riscossione del tributo è consentita per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado e, nel caso di mancata riassunzione, per l'intero importo indicato nell'atto. Al riguardo, per i tributi gestiti dall'Area Dogane di questa Agenzia per i quali, come noto, non è prevista la riscossione frazionata, la modifica introdotta con la citata lettera c-bis) non rileva. Si evidenzia che per evitare l'effetto pregiudizievole della prescrizione della pretesa erariale, che potrebbe determinarsi in caso di estinzione del giudizio per mancata riassunzione dopo il rinvio disposto dalla Corte di cassazione, causa la mancata operatività — in tale ipotesi — della sospensione del termine prescrizionale nella pendenza del giudizio, gli uffici avranno cura di interrompere lo stesso termine durante la pendenza del giudizio, mediante la periodica notifica degli atti interruttivi della prescrizione stessa. Il comma 2 dell'art. 68 intende colmare un difetto di tutela per il contribuente il quale, in caso di sentenza esecutiva — anche non definitiva — favorevole al medesimo, per il mancato rimborso da parte dell'ente impositore di quanto medio tempore riscosso, era privo di mezzi di tutela specifici. Il legislatore ha introdotto per tali ipotesi il rimedio dell'ottemperanza di cui al successivo art. 70 con specifica previsione in ordine al Giudice competente che viene individuato nella Commissione Tributaria Provinciale o, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, nella Commissione Tributaria Regionale. Si segnala che l'intervento novativo in oggetto non ha apportato modifiche al comma 3-bis) del medesimo articolo 68, introdotto dall'art. 10, comma 2, della l. n. 161 del 2014, per cui il pagamento e la riscossione delle risorse proprie tradizionali e dell'IVA all'importazione rimangono disciplinati dalle norme unionali. (Circ. Ag. dog. 23 dicembre 2015, n. 21/D). La legge 30 ottobre 2014, n. 161, disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea — Legge europea 2013-bis: s«i comunica che il prossimo 25 novembre 2014 entrerà in vigore la legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis) pubblicata sulla G.U. n. 261 del 10 novembre 2014, supplemento ordinario n. 83 il cui art. 10 ha dettato disposizioni in materia di “riscossione coattiva dei debiti aventi ad oggetto entrate che costituiscono Risorse proprie ai sensi della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio” intervenendo su alcune disposizioni della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge finanziaria 2013) e sull'art. 68 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. In particolare, il primo comma del citato art. 10 interviene sulle disposizioni dell'articolo 1, comma 554, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 prevedendo che le stesse “non si applicano alle entrate che costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, né all'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione”. La modifica normativa, dettata dall'esigenza di garantire alla riscossione delle risorse proprie tradizionali i requisiti di celerità e tempestività richiesti dalla normativa dell'Unione, comporta che a decorrere dal 25 novembre l'Agente della Riscossione, a fronte di iscrizioni relative a risorse proprie tradizionali e dell'IVA all'importazione, indipendentemente dall'ammontare della somma iscritta a ruolo, debba attivare le attività esecutive e cautelari consentite senza attendere il decorso dei 120 giorni previsti dal citato comma 544. Il secondo comma dell'art. 10 interviene, invece, sull'art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, integrandolo con un comma 3-bis, il quale dispone che “Il pagamento, in pendenza di processo, delle risorse proprie tradizionali di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione resta disciplinato dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia”». (comunicazione Ag. dog. 24.11.2014). In tali casi, è sempre necessario acquisire adeguata ed integrale garanzia per la ripetizione di tutte le somme anticipate o attendere l'esito definitivo del giudizio – operando così nel diverso ambito della previsione normativa di cui all'art. 70 – onde evitare che, ad una inopinata insolvenza del contribuente definitivamente soccombente, lo Stato membro diventi finanziariamente responsabile di quanto insoluto nei confronti del bilancio dell'Unione europea. (vds. Circ. 23 dicembre 2015, n. 27/D dell'Agenzia delle dogane e Nota 24 marzo 2017, n. 31568/D dell'Agenzia delle dogane). La finalità della norma è in sostanza quella di confermare che l'assolvimento dei diritti doganali (dazi e IVA all'importazione) è sottratto all'ambito di applicazione dell'art. 68, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 così come chiarito dalla Commissione europea che – con riferimento, appunto, alla materia doganale – ne ha affermato l'incompatibilità con la pertinente normativa europea (artt. 7, 199 e 244 del Reg. Cee n. 2913/92, articolo 17, paragrafo 1, del Reg. Cee n. 1150 del 2000), nella misura in cui prevede la provvisoria esecutività delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie. Il successivo comma 3 dispone invece le seguenti modifiche al più volte citato articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228: a) l'inserimento dopo il comma 529 di un comma 529-bis il quale esclude l'applicabilità dei commi 527, 528 e 529 «ai crediti iscritti a ruolo costituiti da risorse proprie tradizionali di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della decisione 94/728/CE, Euratom del Consiglio, del 31 ottobre 1994, come riformato dalla decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e all'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione»; a seguito della suindicata novella legislativa i crediti dello Stato per risorse proprie tradizionali e IVA all'importazione, sia inferiori che superiori a 2.000 euro, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31.12.1999 non possono essere «automaticamente annullati» ma restano in carico all'Agente della Riscossione e per essi restano valide le disposizioni previste dagli articoli 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999 (comunicazione Ag. Dog. 24.11.2014). Riscossione frazionata tributi, sanzioni, accise e diritti doganaliIn tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'art. 15, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 resta applicabile in caso di accertamento non definitivo (fase amministrativa), purché già impugnato dal contribuente, e finché non venga emessa la sentenza di primo grado (fase giudiziaria) –come da disciplina dell'iscrizione nei ruoli in base ad accertamenti non definitivi— mentre il sopravvenuto art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, regola – in materia di esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie – la riscossione frazionata del tributo nella successiva fase relativa alla pendenza del processo tributario, ove sia stata già emessa almeno la decisione di primo grado (Cass. ord., n. 2640/2011). Dopo aver richiamato l'Art. 13, c.3, d.lgs. 471/1997: “Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 [pari al trenta per cento di ogni importo non versato] si applica altresi' in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”; “Va altresì precisato che l'attività di riscossione degli atti impositivi emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, è regolata dall'art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, secondo cui gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle entrate devono contenere l'intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all‘obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'articolo 15 d.P.R. n. 602 del 1973 e che l'intimazione ad adempiere al pagamento è contenuta nei successivi atti da notificare al contribuente, con la conseguenza che non è più necessaria l'iscrizione a ruolo”... “Quanto, invece, alle sanzioni, ricordato che, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 11, comma 1, l'iscrizione a ruolo comprende, oltre alle imposte e agli interessi, anche le sanzioni, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 19, comma 1, prevede che “in caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario” e, pertanto, deve ritenersi che la riscossione provvisoria delle sanzioni sia possibile solo dopo la sentenza di primo grado che respinge il ricorso, essendo consentita nel termine per proporre ricorso la sola definizione agevolata ex d.lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 2”. (Cass. n. 23784/2017). L'art. 19 d.lgs. n. 472/1997, consente la riscossione frazionata delle sanzioni antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza ad esse relativa (Cass. n. 26339/2014; conf. Cass. n. 20669/2014; Cass. n. 27201/2013). Tale disciplina va raccordata, alla riscuotibilità frazionata delle sanzioni, prevista dall'art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997: «In caso di ricorso alle commissioni tributarie anche nei casi in cui non è prevista la riscossione frazionata si applicano le disposizioni dettate dall'articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario», e, per quanto riguarda la restituzione degli importi versati a titolo di sanzione e risultati indebiti a seguito della sentenza, con il comma 6 dello stesso articolo viene fatto analogo rinvio al comma 2 dell'articolo in esame (GLENDI, 1941). Quando la pretesa tributaria viene caducata per l'intero o solo in parte, l'art. 68, comma 2, d.lgs. 546/1992 è fonte di un'obbligazione ex lege da indebito per cui l'amministrazione finanziaria è tenuta ad eseguire d'ufficio — entro il termine (spatium adimplendi) di novanta giorni dalla notificazione della sentenza- il prescritto rimborso del tributo pagato in eccedenza, maggiorato degli interessi di legge (Cass. 18027/2016). L'omesso o ritardato rimborso del tributo pagato in eccedenza, ex art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, a prescindere dalla facoltà concessa al contribuente di ricorrere al giudizio di ottemperanza a norma degli artt. 69 o 70, d.lgs. 546/1992, può dar luogo ad una condanna della amministrazione finanziaria al risarcimento del maggior danno da colpevole ritardo nell'adempimento di obbligazione pecuniaria ove il fisco debitore sia stato costituito in mora per una condotta ingiustificatamente dilatoria ex art. 1224 c.c., secondo comma (Cass. 16797/2016). In materia doganale, mancando una norma analoga a quella prevista dal d.P.R. n. 602/1973, art. 15, comma 1 che limiti l'importo iscrivibile a ruolo nella «fase amministrativa» (dopo la notifica dell'atto impositivo, non ancora definitivo perchè impugnato dal contribuente e finché non venga emessa la sentenza di primo grado), l'Ufficio può richiedere l'intero importo accertato, per eventualmente restituire, all'esito della sentenza di primo grado, quanto riscosso in eccedenza. La disciplina della riscossione del d.lgs. n. 546/1992, art. 68 opera «post decisum» e non può dunque trovare applicazione nella fase anteriore, quant'anche in pendenza del giudizio di primo grado (Cass. n. 20669/2014). La disposizione di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 1 riguardante il pagamento dei tributi in pendenza del processo, si applica solamente ai «casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo», non prevista per la riscossione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI). (Cass. n. 19016/2015; conf. Cass. n. 19015/2015; Cass. n. 7831/2010). A tal riguardo, la Cassazione (Cass. n. 14821/2010 e Cass. n. 15473/2010) ha affermato non esservi alcun contrasto tra l'art. 12 del d.lgs. n. 504/1992 e l'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992 atteso che il primo concernente la disciplina della riscossione nella fase amministrativa, il secondo la disciplina della riscossione nella fase processuale; pertanto, il Comune impositore riscuoterà per intero imposta, sanzioni ed interessi accertati, per poi, dopo la sentenza di primo grado, applicare la disciplina di riscossione prevista dall'art. 68 citato decreto. Riscossione in pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della S.C. di annullamento con rinvioÈ ius receptum (cfr. Cass. n. 14892/2000; Cass. n. 15489/2000; Cass. n. 13833/2002; Cass. n. 1824/2005; Cass. n. 7536/2009; Cass. n. 19701/2010 e Cass. n. 7781/2011) che il giudizio di riassunzione per rinvio dalla Cassazione, costituisca una fase nuova ed autonoma, che statuisca direttamente sulle questioni ed eccezioni già proposte dalle parti, non rinunciate ex art. 56, e sulle domande non definite da giudicato interno. In ragione del principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria, alla cui luce devono essere valutati gli effetti della mancata riassunzione del processo, con Cass. n. 7828/1986, la Corte di cassazione ha ritenuto che il processo tributario «si configura come un mezzo di impugnazione dell'atto di accertamento, da proporsi entro un determinato termine di decadenza, per cui, estintosi il processo e consumatosi nel contempo il mezzo di impugnazione esperito, l'accertamento acquista il requisito della definitività e, quindi, dell'intangibilità». Con sentenza, Cass. n. 3040/2008, la Corte di cassazione ha poi ritenuto che «la pronuncia di estinzione del giudizio comporta ex art. 393 c.p.c. il venir meno dell'intero processo ed, in forza dei principi in materia di impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento» perché «la pretesa tributaria vive di forza propria in virtù dell'atto impositivo in cui è stata formalizzata e l'estinzione del processo travolge la sentenza di primo grado, ma non l'atto amministrativo che — come noto — non è un atto processuale bensì l'oggetto dell'impugnazione». Pertanto, precisa la novella che, in caso di annullamento con rinvio dalla Cassazione, potrà essere riscosso solamente l'ammontare dovuto in pendenza del giudizio di primo grado —risolvendo per legge ogni precedente contrasto giurisprudenziale in materia — e che dopo, solo in caso di mancata riassunzione — estinguendosi l'intero giudizio e divenendo definitivo «per mancata impugnazione» il provvedimento già oggetto di tale giudizio- potrà essere riscossa l'intera pretesa tributaria. Infatti, l'estinzione del giudizio per mancata riassunzione — in seguito a rinvio dalla Cassazione — estingue ex art. 63, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, l'intero processo, determinando il c.d. consolidamento amministrativo — e non la «cosa giudicata» (pertanto la pretesa fiscale torna ad essere anche interamente risuscettibile di autotutela) — dell'atto impositivo originariamente impugnato. Ciò per l'effetto rescindente del giudizio di cassazione (Cfr. Cass. n. 17372/2002) secondo la quale l'effetto estintivo determina l'inefficacia di tutte le sentenze emesse nel corso dell'intero processo, non essendo concepibile il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado «essendo questa definitivamente caduta ex art. 393 c.p.c. senza possibilità di reviviscenza a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado (Cass. n. 11881/1993)» e Cass. n. 119/1980: «Poichè l'opposizione avverso l'ingiunzione fiscale integra una mera azione di accertamento negativo della legittimità della pretesa tributaria, l'eventuale estinzione di tale processo di opposizione (nella specie, per mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio), non può implicare estinzione dell'obbligazione tributaria, la quale vive di forza propria per effetto dell'ingiunzione stessa, ed in essa trova titolo costitutivo». Anche per Cass. n. 5279/1988, la mancata riassunzione non determina l'estinzione della sola fase processuale nella quale è stata emessa la sentenza cassata ma dell'intero processo «col conseguente venir meno della decisione di primo grado, poiché le uniche pronunzie che resistono all'estinzione del giudizio di rinvio sono quelle già coperte da giudicato interno, in quanto non investite da appello o ricorso per cassazione, in base ai principi della formazione progressiva del giudicato (ex multis, Cass. n. 465/1983)». Inoltre, «Osserva la Corte che, con riferimento all'interpretazione dell'articolo 393 c.p.c. ed in particolare al quesito se l'estinzione del giudizio di rinvio determini sempre l'estinzione dell'intero giudizio e la perdita di effetti della sentenza di primo grado ovvero se così avvenga soltanto nei casi di cassazione per i motivi di cui ai numeri 3 e 5 dell'articolo 360 e non anche nei casi di cassazione per i motivi di cui al n. 4, la soluzione di gran lunga prevalente, in dottrina e in giurisprudenza, è nel primo senso e cioè nel senso che in tutti i casi di cassazione con rinvio è esclusa l'applicabilità dell'articolo 338 c.p.c e la sentenza di primo grado perde sempre definitivamente ogni effetto con la pronunzia della sentenza di appello (salva l'ipotesi che sia dichiarata — in appello o in cassazione, l'inammissibilità dell'appello). La soluzione adottata dalla quasi totalità della dottrina e della giurisprudenza è strettamente legata alla lettera dell'articolo 393 c.p.c. ed è nel senso che la sentenza di appello sostituisce sempre ed irreversibilmente la sentenza di primo grado la quale non è mai soggetta a reviviscenza, senza possibilità di distinguere tra sentenza di appello cassata per i vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell'articolo 360 e sentenza di appello cassata per vizio di cui al n. 4 e quindi senza possibilità di distinguere, a tal fine, tra rinvio proprio e improprio o tra rinvio restitutorio e rinvio prosecutorio (distinzione che invece potrebbe aver rilevanza in tema di poteri delle parti e del giudice nel giudizio di rinvio) e tra cassazione e annullamento (Cass. n. 23596/2011). Secondo Cass. n. 13808/2014, però, «l'estinzione del giudizio tributario, per inattività delle parti, intervenuta in appello, in un giudizio già definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione del contribuente, determina la cristallizzazione della situazione giuridica sostanziale, come definita dalla sentenza di merito oggetto di impugnazione, che passa in giudicato. In tale ipotesi, infatti (distinta da quella relativa al giudizio di rinvio a seguito di cassazione della sentenza resa in appello), il fenomeno estintivo non può mantenere in vita il provvedimento impositivo impugnato, ormai travolto e sostituito dal titolo giudiziale che ne ha annullato gli effetti» applicando l'art. 338 c.p.c. (estinzione del solo giudizio d'appello), per il richiamo di cui all'art. 49 d.lgs. n. 546/1992, anziché l'art. 63, comma 2 d.lgs. n. 546/1992 (estinzione dell'intero processo). Nelle ipotesi di cui all'art. 59, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, la sentenza d'appello che rimette al giudice di prime cure per l'integrazione del contradittorio, ha natura esclusivamente rescindente come quella di cassazione con rinvio di cui all'art. 383, c.p.c. A seguito del passaggio in giudicato della sentenza di rimessione della causa al primo grado, la segreteria della Commissione tributaria regionale, nei successivi trenta giorni (termine ordinatorio), trasmette d'ufficio il fascicolo del processo alla segreteria della Commissione Tributaria Provinciale, senza necessità di riassunzione ad istanza di parte, ed il giudice di primo grado provvede ex officioalla prosecuzione del giudizio (Campeis-De Pauli, 2002). Viene, così, evitato il pericolo che il processo si estingua per inattività delle parti dopo la sentenza di rimessione come avviene, invece, nel processo civile in virtù del disposto del terzo comma dell'art. 307 c.p.c. (Santoro, n.7). L'impugnazione può essere volta alla riforma totale o parziale della sentenza; le questioni non espressamente dedotte nel giudizio d'impugnazione (tantum devolutum quantum appellatum) sono da intendere rinunciate ex art 56, d.lgs. n. 546/1992 e, pertanto, le afferenti singole parti o capi autonomi della sentenza diventano definitive (Cass. n. 850/1998) come giudicato infraprocessuale ad efficacia preclusiva generale – c.d. «giudicato interno» – destinato a sopravvivere anche all'eventuale estinzione del processo, atteso che l'efficacia regolamentare del giudicato delle Commissioni tributarie sull'atto amministrativo è intrinseca alla propria struttura e niente affatto equivalente a quella conformativa del giudicato amministrativo, prevista dall'art. 4, comma 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E; tutto ciò da distinguere dalla più limitata «efficacia panprocessuale», cioè l'efficacia vincolante nei successivi processi in cui sia riproposta la stessa domanda – quale quella delle pronunce della Corte di Cassazione sulle questioni di giurisdizione e competenza – che è un'efficacia del tutto priva dell'autorità di cosa giudicata. A seguito di una sentenza tributaria di cassazione con rinvio, trova applicazione l'art. 68, comma 2, che dispone il rimborso d'ufficio entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, anziché —in ragione del suo carattere impugnatorio- l'art. 389 c.p.c., che disciplina l'ipotesi di domande di restituzione e riduzione in pristino conseguenti alla cassazione della sentenza. Ove non venga erogato il prescritto rimborso, non si può adire direttamente il giudice tributario senza avere prima formulato richiesta di rimborso in sede amministrativa e solo successivamente si può impugnare il diniego, anche tacito (Cass. n. 7222/2016). Tuttavia, secondo l’ultimo alinea dell’art.68, c.2, introdotto dal d.lgs. 156/2015, è possibile adire direttamente il giudice per l’ottemperanza (vds. anche art. 69, c.4). L'articolo 10, comma 3, lett. a) punto 3) del d.lgs. n. 156/2015, infine, modifica il comma 6 dell'art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, in materia di rimborso, a seguito di sentenza, delle somme eventualmente corrisposte in eccedenza dal contribuente a titolo di sanzione, operando un rinvio alla disciplina contenuta nel novellato articolo 68, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a mente del quale il rimborso deve essere effettuato entro novanta giorni dalla notifica della sentenza decorsi i quali il contribuente potrà esperire il rimedio del giudizio di ottemperanza di cui all'articolo 70 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015, n. 21/D).
Rilevato che il comma 2 dell'articolo in esame prescrive la rimborsabilità d'ufficio delle somme per tributi già corrisposte in eccedenza rispetto a quelle poi risultate dovute per sentenza della commissione tributaria provinciale (ed ovviamente — nonostante non sia stato espressamente previsto per i tributi a differenza di quanto invece previsto per le sanzioni dall'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 472/1997 — anche della commissione tributaria regionale), non può revocarsi in dubbio che il legislatore abbia avuto consapevolezza di possibili precedenti pagamenti della pretesa tributaria; ciò corrisponde al pensiero più volte espresso dalla Cassazione (Cass. n. 12791/2011 e Cass. n. 7339/2003) nonché dalla stessa amministrazione finanziaria (cfr. la Circ. min. 23 aprile 1997, n. 98/E). Nel caso di sentenza in toto o in parte sfavorevole, il contribuente sarà tenuto a versare in saldo l'ammontare di tributo, sanzioni ed interessi gradualmente previsto dall'art. 68, al netto delle somme già pagate. Relativamente al rapporto intercorrente tra l'iscrizione a ruolo provvisoria, in pendenza di giudizio, e quella definitiva conseguente alla sentenza non più impugnabile, rigorosi termini di decadenza sono previsti per le sole iscrizioni definitive. La Cass. n. 5765/2000 ha invece ritenuto che l'intervenuta decadenza dell'ufficio per le iscrizioni a ruolo definitive non possa trascinare con sé la precedente iscrizione a titolo provvisorio del tributo perché la legittimità propria dell'iscrizione provvisoria a ruolo non è «inficiata dalla tardività della iscrizione a ruolo della residua parte del tributo non ancora riscossa, essendo la decadenza conseguente a tale tardiva emissione della cartella limitata alla sola fase di riscossione di una parte del tributo e non potendo quindi influenzare le fasi precedenti, svoltesi regolarmente». L'articolo 10, comma 3, lett. a) punto 3) del d.lgs. n. 156/2015, infine, modifica il comma 6 dell'art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, in materia di rimborso, a seguito di sentenza delle somme eventualmente corrisposte in eccedenza dal contribuente a titolo di sanzione, operando un rinvio alla disciplina contenuta nel novellato articolo 68, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a monte del quale il rimborso deve essere effettuato entro novanta giorni dalla notifica della sentenza decorsi i quali il contribuente potrà esperire il rimedio del giudizio di ottemperanza di cui all'articolo 70 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Circ. Ag. Dog. 23 dicembre 2015, n. 21/D). Riscossione/restituzione di risorse proprie tradizionali U.E.Omesso pagamento frazionato del contribuente in pendenza di un processo, ex post di vittoria (Cass. V, n. 10388/2011): “E' dunque necessario chiedersi se la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 – irrogata in relazione alla omissione del versamento di una frazione dell'IVA accertata dall'Ufficio, previsto a titolo provvisorio dal d.P.R. n. 633 del 1972 art. 60, comma 2, n. 1), – possa essere applicata anche qualora l'intera debenza dell'IVA risulti esclusa dal successivo annullamento giurisdizionale dell'avviso di accertamento o rettifica. … Si veda, in proposito, il seguente stralcio della motivazione della sentenza di questa Corte n. 4768 del 1998; << il pagamento di un terzo dell'imposta … con i relativi interessi, se il contribuente propone ricorso contro l'accertamento … non prevede l'acquisizione in via definitiva di detto importo, ma solo a titolo provvisorio, essendo subordinata all'esito del giudizio, dato che l'amministrazione finanziaria ha diritto di trattenere l'importo pagato solo se l'esito del giudizio sia a lei favorevole … diversamente deve procedere entro sessanta giorni dalla notificazione della decisione o della sentenza al rimborso di quanto percepito in più del dovuto>>.… l'obbligo di versamento del contribuente è stato sostituito dalla riscossione mediante ruoli. In conclusione, il versamento frazionato del tributo previsto dall'abrogato d.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, n. 1), assolveva ad una funzione esclusivamente provvisoria; esso cioè costituiva un mero acconto sulla somma dovuta a titolo di imposta. Acconto che, una volta che il giudice tributario avesse definitivamente accertato l'ammontare dell'imposta dovuta, avrebbe dovuto essere, secundum eventum litis, restituito in tutto o in parte al contribuente o, al contrario, dal medesimo contribuente integrato fino a concorrenza dell'intero importo dovuto. Sulla scorta di tali premesse, il Collegio osserva che l'essenziale connotazione di provvisorietà che caratterizza il versamento frazionato previsto dal d.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, n. 1), non può non ripercuotersi sulla interpretazione della disciplina sanzionatoria che presidia l'obbligo di effettuare il versamento stesso, orientandola verso un approdo ermeneutico che renda anche la sanzione partecipe della medesima provvisorietà che connota l'obbligo tributario dalla stessa presidiato. Infatti, una volta formatosi il giudicato sulla non debenza dell'imposta, come sarebbe irragionevole pretendere che il contribuente effettui egualmente, in ottemperanza al disposto del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, un versamento frazionato che avrebbe diritto di ripetere immediatamente ai sensi del quarto comma dello stesso articolo – egualmente sarebbe irragionevole irrogare una sanzione per l'omissione di detto versamento. La disciplina sanzionatoria deve pertanto essere interpretata in coerenza con l'ontologica provvisorietà dell'obbligo di versare una frazione del tributo accertato e, quindi, la sanzione comminata per la violazione di tale obbligo deve ritenersi risolutivamente condizionata al definitivo accertamento della debenza, almeno, della frazione che doveva essere pagata provvisoriamente, in pendenza di impugnazione dell'accertamento. In definitiva, quindi, ritiene il Collegio che l'obbligo di corrispondere la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 2, sull'omesso versamento di somme dovute a titolo provvisorio ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 2, deve intendersi risolutivamente condizionato all'esito del giudizio tributario, quindi limitato solo alle somme, di cui si sanziona l'omesso versamento a titolo provvisorio, che risultino dovute in via definitiva”. [*GIURI*] Regolare pagamento frazionato del contribuente in pendenza di un processo, ex post di soccombenza. (Cass. V, n. 8131/2016): “Osserva la ricorrente [agenzia delle entrate] (ric. pag. 10) che <<se il ricorso del contribuente contro l'atto impositivo nella parte in cui questo esige il pagamento di una maggiore imposta venga integralmente respinto in entrambi i gradi di merito, la sanzione per ritardato versamento dell'imposta stessa diviene definitivamente dovuta, essendosi avverato il rischio di soccombenza che il contribuente ha accettato nel momento in cui ha proposto il ricorso>>. … In base a questa disciplina [l'art. 13 D.Lgs. 471/97], la sanzione amministrativa del 30% presuppone la mancata esecuzione alle prescritte scadenze, in tutto o in parte, dei versamenti di imposta dovuti; e ciò̀ (secondo comma) anche nelle ipotesi di tributi non iscritti a ruolo. Si tratta, come esattamente rilevato dalla commissione tributaria regionale, di disposizione nella specie non applicabile, essendo in causa incontroverso che … corretta deve ritenersi l'affermazione contenuta nella sentenza qui impugnata (pag. 2) secondo cui quanto richiesto dall'amministrazione finanziaria [pagamento frazionato] era stato dai contribuenti corrisposto nei termini previsti, così che ad essi non poteva essere addebitata nessuna ulteriore sanzione per il ritardo. … La circostanza che i contribuenti abbiano proposto ricorso in sede giurisdizionale rende certamente provvisoria la destinazione delle somme frazionatamente pagate fin visto l'esito del giudizio, ma non legittima l'ufficio ad esigere l'ulteriore sanzione dei 30% dell'imposta dovuta; sanzione che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la legge ricollega non già̀ al verificarsi del 'rischio--soccombenza' in giudizio, ma appunto al mancato versamento di quanto intimato. Ciò̀ risponde del resto a quanto (correttamente) precisato nelle 'avvertenze al contribuente' contenute nell'avviso di liquidazione dell'imposta, secondo cui "la sanzione pecuniaria pari al 30% delle imposte dovute ex articolo 13, secondo comma, D.Lgs. 471/97" si sarebbe resa applicabile in caso di mancato pagamento entro il termine di 60 giorni dalla data di notifica dell'avviso, "qualora non venga proposto ricorso"….Questa conclusione trova conferma, e non smentita, in quanto stabilito da Cass. 10388/11 (riportata dall'agenzia delle entrate). Tale decisione --‐ emessa in tema di versamento frazionato dell'IVA in forza del previgente art. 60, comma 2, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 --‐ ha infatti affermato la provvisorietà̀, in una con quella del pagamento frazionato del tributo, anche del versamento frazionato a titolo di sanzione comminata dall'art. 13, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471. Ciò̀, però, nel senso del venir meno del presupposto di tale sanzione, ove applicata per il mancato versamento della frazione di tributo dedotto in giudizio, in ipotesi di finale accoglimento del ricorso del contribuente. Sicché̀ trova conferma la circostanza che la sanzione ex art.13 2^ co. cit. sia appunto applicabile, come osservato nella sentenza di legittimità̀ in esame, "per l'omissione di detto versamento" (frazionato); per cui l'obbligo sanzionatorio su tale omesso versamento deve ritenersi, ex art.13 2^ co. cit., "risolutivamente condizionato all'esito del giudizio tributario e quindi limitato solo alle somme, di cui si sanziona l'omesso versamento a titolo provvisorio, che risultino dovute in via definitiva". Si tratta dunque di affermazione che corrobora --‐ sebbene a contrario --‐ l'inapplicabilità̀ della sanzione alla presente fattispecie, caratterizzata dal regolare adempimento frazionato in corso di giudizio. Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna della agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del presente giudizio di cessazione, liquidate come in dispositivo”. Riscossione/restituzione di risorse proprie tradizionali U.E.Particolare cautela viene usata dal legislatore per quanto riguarda le riscossioni/restituzioni di risorse proprie tradizionali di cui all'art. 2, par. 1, lett. a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e dell'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione — che restano disciplinate dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia- per le quali è sempre necessario acquisire adeguata ed integrale garanzia per la ripetizione di tutte le somme anticipate o attendere l'esito definitivo del giudizio onde evitare che, ad una inopinata insolvenza del contribuente definitivamente soccombente, lo Stato membro diventi finanziariamente responsabile di quanto insoluto nei confronti del bilancio dell'Unione europea (vds. Circ. 23 dicembre 2015, n. 27/D dell'Agenzia delle dogane e Nota 24 marzo 2017, n. 31568/D dell'Agenzia delle dogane). Per «risorse proprie tradizionali» si intendono quelle di cui all'art. 2 della Decisione Comunità Europea del 7 giugno 2007 n. 436/2007 (in G.U.U.E. n. 163 del 23 giugno 2007), limitatamente alla parte applicabile dopo l'abrogazione operata dall'art. 10, Dec. UE n. 335 del 26 maggio 2014 (in G.U.U.E. n. L 168 del 07 giugno 2014); tale articolato rimane applicabile al calcolo ed all'adeguamento delle entrate provenienti dall'applicazione di un'aliquota di prelievo all'imponibile IVA determinato in modo uniforme e limitato al 50-55% del PNL o dell'RNL di ciascun Stato membro, secondo l'esercizio di riferimento. Costituiscono risorse proprie tradizionali le entrate provenienti: – da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con Paesi terzi; – dagli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie (IVA riscossa all'importazione); iscritte nel bilancio generale dell'Unione europea. BibliografiaBaglione, Menchini, Miccinesi, Il nuovo processo tributario: commentario, Milano, 2004; Campeis-De Pauli, Il manuale del processo tributario, Padova, 2002; Chindemi, Labruna, Ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “COVID-19” che impattano sulla giustizia tributaria, in ilTributario.it, 11 novembre 2020 Chindemi e. LabrunaD.l. 28 ottobre 2020, n°137, c.d. “decreto ristori”; d.p.c.m. 3 novembre 2020 e d. mef 6 novembre 2020, n°44: ultime misure governative volte al contenimento della diffusione contagiosa “covid-19” che impattano sulla giustizia tributaria in ilTributarista.it del 10 novembre 2020; Consolo, Glendi, Commentario breve alle leggi del processo tributario, Padova, 2012; Gaffuri, Lezioni di diritto tributario: Parte generale e compendio della parte speciale, Padova, 2002; Giuliani, Codice del contenzioso tributario, Milano, 2016; Glendi, L 'esecuzione delle sentenze e la disciplina transitoria, in Il nuovo processo tributario, a cura di Tosi - Viotto, Padova, 1999, 153; La Rosa, Principi di diritto tributario, Torino, 2009, 365; Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2017; Tremonti, Imposizione e definitività nel diritto tributario, Milano, 1977; Russo, Manuale di diritto tributario: Il processo tributario, Milano, 2005; Santoro, Tematiche ricorrenti in grado d'appello, in Quaderni del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, 2002, n. 7. |