Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 69 - Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente 1 2 3 4

Salvatore Labruna

Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente1234

1. Le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive. Tuttavia il pagamento di somme dell'importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, puo' essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilita' dell'istante, alla prestazione di idonea garanzia.

2. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emesso ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati il contenuto della garanzia sulla base di quanto previsto dall'articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la sua durata nonche' il termine entro il quale puo' essere escussa, a seguito dell'inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi.

3. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all'esito definitivo del giudizio.

4. Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta.

5. In caso di mancata esecuzione della sentenza il contribuente puo' richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla corte di giustizia tributaria di primo grado ovvero, se il giudizio e' pendente nei gradi successivi, alla corte di giustizia tributaria di secondo grado.

 

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 127 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Articolo modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera f), del D.L. 8 agosto 1996, n. 437, e successivamente sostituito dall'articolo 9, comma 1, lettera gg), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° giugno 2016.

[4]  In riferimento al presente articolo vedi il D.M. 6 febbraio 2017.

Inquadramento

L'articolo in esame – come novellato dal d.lgs. n. 156/2015 – introduce e disciplina l'immediata esecuzione delle sentenze di condanna emesse a favore del contribuente, ancorché non passate in giudicato ma provvisoriamente esecutive ex art. 67-bis, d.lgs. 546/1992, per l'impugnazione di atti impositivi e/o dinieghi su istanze di rimborso di tributi nonché per le controversie indicate al precedente articolo 2, comma 2, relative all'aggiornamento degli atti catastali, già disciplinate dal soppresso art. 69-bis stesso decreto. Tuttavia, vale anche per l'esecuzione delle sentenze di condanna a favore del contribuente quanto già derogato dall'art. 68, comma 3-bis, per quanto riguarda le risorse proprie tradizionali di cui all'art. 2, par. 1, lett. a), della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e l'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione, che restano disciplinate dal regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, come riformato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, e dalle altre disposizioni dell'Unione europea in materia. In tali casi, è sempre necessario acquisire adeguata ed integrale garanzia per la ripetizione di tutte le somme anticipate o attendere l'esito definitivo del giudizio —operando così in un ambito diverso dalla previsione normativa di cui all'art. 70- onde evitare che, ad una inopinata insolvenza del contribuente definitivamente soccombente, lo Stato membro diventi finanziariamente responsabile di quanto insoluto nei confronti del bilancio dell'Unione europea (vds. Circ. 23 dicembre 2015, n. 27/D dell'Agenzia delle dogane e nota 24 marzo 2017, n. 31568/D dell'Agenzia delle dogane).

Secondo la circolare n. 38/2015 dell'Agenzia delle Entrate, punto 1.15.2: «In base al dettato dell'articolo 12, comma 1, del decreto di riforma, il nuovo disposto degli articoli 67-bis e 69, nonché l'abrogazione dell'articolo 69-bis di cui si dirà oltre, si applicano a decorrere dal 1° giugno 2016. Ancorché la norma sull'entrata in vigore non specifichi null'altro sulla operatività delle suddette disposizioni, si ritiene che — per la loro applicazione — occorra far riferimento alle sentenze depositate a decorrere dal 1° giugno 2016. Inoltre, il medesimo articolo 12, comma 2, prevede che fino all'approvazione del richiamato decreto ministeriale, previsto dal comma 2 dell'articolo 69 relativamente alla disciplina della garanzia, «restano applicabili le previgenti disposizioni» dell'articolo 69. In altre parole, le nuove disposizioni della norma in commento si applicano con riferimento alle sentenze depositate dal 1° giugno 2016 oppure dalla data del suddetto decreto ministeriale, se approvato successivamente. Per le sentenze già depositate alla data del 1° giugno 2016 (e, in mancanza del decreto ministeriale, anche per quelle depositate successivamente a tale data) rimane in vigore il precedente testo dell'articolo 69, ai sensi del quale per i giudizi aventi ad oggetto un diniego espresso o tacito alla restituzione di tributi e relativi accessori versati spontaneamente, la sentenza di condanna dell'ufficio al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio, non è immediatamente esecutiva e deve essere eseguita solo dopo il passaggio in giudicato».

Prima della novella di cui al d.lgs. n. 156/2015, la limitazione per il contribuente della tutela esecutiva —o mediante ottemperanza- alle sole sentenze del giudice tributario passate in giudicato, prevista dai previgenti artt. 69 e 70, non implicava che dovesse esistere una tutela residuale del giudice ordinario al riguardo; per le eccedenze di cui all'art. 68, relative alle sentenze non definitive, doveva prima esperirsi il procedimento amministrativo di rimborso, contro il cui rifiuto è ammessa soltanto l'impugnativa dinanzi alle commissioni tributarie (Cass.S.U., n. 14331/2005).

Secondo alcuni autori, con la novellata formulazione dell'articolato in rassegna, si è posto fine al previgente evidente sostanziale squilibrio in cui —ai sensi dell'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992- l'immediata provvisoria esecuzione (dell'atto impugnato) operava in via graduale solo a favore del fisco; infatti, le sentenze di condanna del fisco al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali non erano esecutive se non al passaggio in giudicato. Sulla materia regolata dagli artt. 68, 69, 69-bis e 70, citato decreto, fu sollevata una questione di legittimità costituzionale, dichiarata infondata dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 316/2008.

Di diverso avviso altri autori, secondo i quali tutto ciò è l'effetto naturale dell'efficacia esecutiva che accompagna l'atto impositivo fino al suo eventuale definitivo annullamento, negando ogni effetto sostitutivo alla sentenza; tale esecuzione provvisoria dell'atto — oggetto del giudizio — è modulata (riscossione frazionata) ex legea cautela delle ragioni dell'amministrazione finanziaria e, contemperata con le istanze di giustizia del ricorrente, può essere attualmente sospesa exartt. 47 o 62-bis, d.lgs. n. 546/1992, sulla base di parametri quali il «grave e irreparabile danno» che, nell'art. 52, stesso decreto, sono previsti in via alternativa o concorrente —secondo il criterio della “compresenza asimmetrica”, efficacemente descritto in dottrina e giurisprudenza con la metafora dei “vasi comunicanti”- insieme a quelli dei «gravi e fondati motivi» per la sospensione dell'esecutività della sentenza ancora sub iudice.

L'attuale assetto normativo, conseguente alla novella introdotta dal d.lgs. n. 156/2015, prevede ancora medio tempore il pagamento frazionato della pretesa tributaria impugnata dal contribuente (tributo ex art. 68, d.lgs. n. 546/1992 e sanzione ex art. 19, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, con i relative interessi ma senza le spese del giudizio), come sopra sospendibile con decreto/ordinanza del giudice tributario; mentre invece il pagamento a carico di parte pubblica resistente è dovuto sempre per intero (con i relative interessi ed eventuali spese del giudizio) ex art. 69; in determinati casi (pagamento di somme dell'importo superiore a 10.000 euro, diverse dalle spese di lite ... tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell'istante) può essere chiesta da controparte al giudice la prestazione dell'adeguata garanzia di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 al fine di garantire il pagamento delle somme sospese o la ripetizione di quelle rimborsate superiori ad Euro 10.000/00 e diverse dalle spese di lite, nel caso di successiva riforma della sentenza immediatamente provvisoriamente esecutiva, ma tuttavia, non ancora definitiva.

Termini e Competenza

Quando l'impugnazione del contribuente trova accoglimento e la pretesa tributaria che ne è l'oggetto viene caducata in toto o in parte, entro il termine di 90 giorni dalla notificazione della sentenza provvisoriamente esecutiva, l'amministrazione soccombente è tenuta a eseguire d'ufficio il prescritto rimborso delle somme indebitamente trattenute, corrispondendone i relativi interessi. Una formale richiesta di rimborso di tributi, sanzioni, interessi (e della ripetizione di spese di lite eventualmente già pagate) eccedenti la successiva statuizione del giudice ha dunque un valore meramente sollecitatorio, a nulla rilevando ai fini dell'eventuale ricorso in ottemperanza ex art. 69, comma 2, ultimo alinea d.lgs. n. 546/1992 (Cass. n. 18027/2016).

Il comma 4 fissa lo spatium adimplendi per l'ufficio soccombente nei 90 giorni dalla notifica della sentenza da eseguire, in consonanza al precedente art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (e, per altri versi, all'art. 21, comma 2) a condizione che non sia dovuta la garanzia disciplinata con Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, che può essere disposta solo dal giudice (della sentenza provvisoriamente esecutiva o di quella, successiva ed eventuale, per l'ottemperanza ex art. 69, comma 1, secondo alinea) per tributi, sanzioni ed interessi, ma che non serve per la ripetizione delle spese di lite. Ove disposta, il dies a quo è quello della prestazione della citata garanzia. Ogni eventuale «validazione del rimborso», «disposizione di pagamento», «dettaglio interrogazione rimborsi» etc., costituiscono atti interni di contabilità –da consumare nei termini dello spatium adimplendi assicurato dalla legge- non sono affatto idonei ad assicurare l'effettiva, completa ed immediata disponibilità delle somme per il creditore procedente. Non potendosi in alcun modo ritenere eseguito l'«adempimento», non sussistono neppure i presupposti per una dichiarazione di estinzione del giudizio di ottemperanza per cessazione della materia del contendere ex art. 46, d.lgs. n. 546/1992 (C.t.r. Lombardia, n. 6738-01-2016).

Il comma 5, in parziale deroga all'art. 70, comma 1 d.lgs. n. 546/1992 —che continua a disciplinare esaustivamente il giudizio d'ottemperanza limitatamente alle sentenze passate in giudicato- ma in consonanza al precedente art. 68, comma 2, per i giudizi pendenti nei gradi successivi al primo assegna la competenza alla Commissione tributaria regionale.

Garanzia

La piena funzionalità dell'articolo in rassegna, segnatamente per quanto disposto al secondo periodo del comma 1 ed al correlato comma 2, consegue solo all'emanazione del Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, entrato in vigore il 28 marzo 2017, per disciplinare il contenuto della garanzia sulla base di quanto già previsto per l'IVA dall'art. 38-bis, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa; infatti, per le somme superiori a € 10.000/00, diverse delle spese di lite, è nella discrezionalità del giudice subordinarne il rimborso — nel dispositivo della sentenza immediatamente esecutiva (se già oggetto di specifica domanda) o in quella successiva d'ottemperanza — alla prestazione della garanzia di cui al citato comma 2 per l'importo dovuto e nella misura richiesta, tenuto conto delle condizioni di solvibilità del contribuente. I costi della garanzia vanno anticipati dal contribuente, per restare poi a carico della parte soccombente – come già previsto anche dall'art. 8, comma 4, l. n. 212/2000 — all'esito definitivo del giudizio.

La garanzia deve essere prestata con cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore nominale, oppure con fideiussione rilasciata da una banca o da un'impresa commerciale che, a giudizio dell'ente garantito (impositore o esattore), offra adeguate garanzie di solvibilità, o, ancora, con polizza fideiussoria rilasciata da un'impresa di assicurazione. Per le piccole e medie imprese, la garanzia può essere prestata anche dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi, iscritti negli appositi albi e, per i gruppi di società con patrimonio superiore a 250 milioni di euro, con assunzione dell'obbligazione da parte della capogruppo o della controllante. Tale cautela — sottesa anche agli artt. 47, comma 5, 52, comma 6,  62-bis, comma 5 e 65, comma 3-bis, d.lgs. n. 546/1992,ma non prevista dalla legge delega (art. 10, comma 1, n. 10, l. 11 marzo 2014, n. 23) per l'art. 69 – è volta a garantire il pagamento delle somme sospese o la ripetizione di quelle rimborsate, nel caso di successiva riforma della sentenza in sede di gravame o cassazione.

La cautio iudicatum solvi è una cauzione che, qualora non sia prestata dall'opponente, non produce l'estinzione del processo (differenziandosi in tal modo dalla cautio pro expensis), ma fa cessare la sospensione dell'esecuzione mediante la revoca del provvedimento cautelare della sospensione, col quale detta cauzione si pone nello strettissimo rapporto di una cautela di fronte ad un'altra cautela, o, come si dice, di controcautela (Corte cost. n. 40/1962, a proposito della questione di legittimità costituzionale dell'art. 624, primo comma, c.p.c., in riferimento all'art. 24, primo comma, della Costituzione). L'adozione di tale «controcautela», quindi, funzionale al contemperamento degli interessi delle controparti per controbilanciare la pericolosità intrinseca ai provvedimenti cautelari, deve conseguire ad una prudente, seppur sommaria, valutazione del giudice sulle circostanze, a garanzia del diritto costituzionale di azione e difesa tutelato dall'art. 24 Cost., e del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

Sul piano processuale generale, la cauzione deve essere inserita nell'ampio novero degli istituti cautelari, potendosi definire come cautela imposta ai fini dell'ottenimento di un provvedimento che possiede sovente anch'esso natura cautelare, o che presenta comunque un coefficiente di pericolo eventuale derivante dalla sua esecuzione. Determinante appare l'apprezzamento del giudice nell'esercizio del potere cauzionale; la cauzione ha un precipuo carattere strumentale e caduco, ed è disposta dal giudice in presenza di un sia pure generico periculum in mora, quale effettiva controcautela,“onere processuale volto a conseguire ulteriori risultati di ordine processuale” (De Petris). Il Codice di Procedura Civile, cui ricorrere nelle ipotesi di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, disciplina l'istituto della cauzione all'art. 119 c.p.c., inserito nel Titolo V, rubricato: «dei poteri del giudice», all'art. 86 disp. att. c.p.c. (ove dispone che: «Il documento contenente la prova del versamento è inserito nel fascicolo d'ufficio»), ed all'art. 155 Disp. Att. c.p.c. ove attribuisce al cancelliere la certificazione di prestata cauzione.

Ogni cauzione può essere imposta solo nei casi (tassativamente) previsti dalla legge e sempre come accessoria al provvedimento di accoglimento del ricorso cautelare (decreto inaudita altera parte, ordinanza a seguito di udienza di comparizione delle parti, ordinanza di conferma ex art. 669-sexies, ordinanza di modifica ex art. 669-decies, ordinanza emessa a seguito dello svolgimento di fase di reclamo ex art. 669-terdecies e, in procedura tributaria, exartt. 47, comma 5, 52, comma 6,  62-bis, comma 5, e 65, comma 3-bis, d.lgs. n. 546/1992); il relativo provvedimento giudiziale ha forma di ordinanza revocabile e reclamabile, priva di natura decisoria e, pertanto, non impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 5406/1986). Il termine di prestazione, di natura ordinatoria e non perentoria, può essere prorogato ad istanza di parte, da depositarsi prima dello spirare del termine inizialmente concesso, ai sensi dell'art. 154 c.p.c. La mancata prestazione della cauzione nel quantum e/o nel termine prescritti determina l'inefficacia originaria del provvedimento cautelare emesso ab origine unitamente all'ordine cauzionale. (App. Genova 25 marzo 2002, G.M. 2003, 681).

«Premesso che in virtù dell'art. 69, d.lgs. n. 546/1992, come novellato dall'art. 9, comma1, lett. gg), d.lgs. 156/2015, in attuazione dell'art.10, comma 1, legge delega n. 23/2014, le sentenze di condanna in favore del contribuente (depositate —e non deliberate poiché non è prevista dal d.lgs. 546/1992 la pubblicazione del dispositivo, a differenza di quanto previsto dal previgente art. 20, comma 5, d.P.R. n. 636/1972-- a far data dal 1° giugno 2016, secondo la disposizione transitoria di cui all'art. 12, comma 1, del citato decreto n. 156/15) “sono immediatamente esecutive”; che, “nei giudizi aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito ad una istanza di rimborso di somme superiori a diecimila euro, gli Uffici provvedano a fornire al giudice eventuali elementi in loro possesso idonei ad incidere negativamente sul giudizio di solvibilità del contribuente, al fine di ottenere, in caso di soccombenza, la previsione di una idonea garanzia”» (Circ. Ag. Entrate n. 38/2016) e che l'ufficio inadempiente nulla ha argomentato sulle “condizioni di solvibilità dell'istante” né ha formulato istanza di sospensione dell'esecuzione della sentenza ai sensi dell'art. 62-bis, d.lgs. n. 546/1992, non può revocarsi in dubbio che l'emanazione del decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, entrato in vigore il 28 marzo 2017, valga solo a ridisciplinare il contenuto della garanzia eventualmente necessaria per l'esecuzione della sentenza (come anche per la sua sospensione ex artt. 52 o 62-bis, che però non sono fattispecie limitate dal legislatore ad importi superiori ad Euro 10.000, ove diverse dalle spese di lite) sulla base di quanto già previsto per l'IVA dall'art. 38-bis, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell'inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite, protrattasi per un periodo di 3 mesi. Pertanto, postergare l'applicazione del novellato articolo 69, d.lgs. n. 546/1992, al 28 marzo 2017 – data di entrata in vigore del citato decreto MEF n. 22/2017 — assecondando l'interpretazione avanzata da parte resistente sulla disposizione transitoria di cui all'art. 12, comma 2, del citato decreto n. 156/15, presenterebbe una congerie di insuperabili aporie logiche quale quella di una esecuzione sempre (persino nei casi di importo non superiore ad Euro 10.000) subordinata all'emanazione di un decreto volto a disciplinare il contenuto della garanzia – presupposto ai soli casi necessitati di prestazione cauzionale — anche quando — nei casi di importo superiore ad Euro 10.000 — il giudice non disponga alcuna garanzia, costringendo l'interprete ad una ermeneutica costituzionalmente orientata volta ad evitare censure di patente incostituzionalità. Inoltre, la tesi che l'entrata in vigore dell'immediata esecuzione, introdotta dalla novella all'art. 69, d.lgs. 546/1992, possa essere sine die differita dal legislatore delegato — consegnando al MEF (parte processuale “oggettivamente” controinteressata) una condizione potestativa quale l'emissione di un proprio decreto — confligge inevitabilmente anche con il diverso termine fisso del 1 gennaio 2016, previsto per l'entrata in vigore degli artt. 47, 47-bis, 52 e 62-bis che fanno tutti anch'essi riferimento (vds. artt.47, comma 5; 47-bis, comma 3; 52, comma 6 e 62-bis, comma 5) alla medesima garanzia di cui all'art. 69, comma 2 — peraltro, eccedendo nella delega che, come conferita dall'art.10, comma1, n. 10, legge n. 23/2014, non prevede tale garanzia — senza esserne condizionati nella vigenza come invece, erroneamente opinando, lo sarebbe l'art. 69, d.lgs. n. 546/1992. Concludendo, per le somme superiori a Euro 10.000, diverse delle spese di lite, è nella discrezionalità del giudice il subordinarne il rimborso — nel dispositivo della sentenza immediatamente esecutiva o in quella d'ottemperanza- alla prestazione della garanzia di cui al citato comma 2, tenuto conto delle condizioni di solvibilità del contribuente.

Tale cautela è volta a garantire la ripetizione delle somme pagate, nel caso di successiva riforma della sentenza in sede di gravame/impugnazione». (C.t.r. Lombardia n. 3849-10-2017. Vds. Quotidiano del Fisco-Sole24ore, 9/10/2017).

Vds. Anche C.t.r. Lombardia 108-01-2018.

«Nell'ambito delle Amministrazioni dello Stato, il dirigente responsabile della spesa, in assenza di disponibilità finanziarie nel pertinente capitolo di bilancio per eseguire provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali, deve disporre il pagamento mediante emissione di uno «speciale ordine di pagamento» da scritturare al conto sospeso «collettivi». Le modalità di emissione dello «speciale ordine di pagamento» sono disciplinate dal d.m. 1 ottobre 2002 (che ha sostituito il precedente decreto attuativo del 2 aprile 1997). Recentemente, la facoltà di avvalersi di tale procedura è stata accordata dal MEF anche alle Agenzie fiscali e, per esse, ai commissari ad acta nominati dal giudice per l'esecuzione delle sentenze di condanna contro l'Amministrazione finanziaria (Mulone, La Banca d'Italia e la tesoreria dello Stato, Ottobre 2006). Attesane la natura giurisdizionale, l'attività commissariale per l'emissione degli Speciali Ordini di Pagamento in conto sospeso (S.O.P.) non necessita mai di alcuna autorizzazione amministrativa. (Labruna, 663).

Atti «impeditivi» dei pagamenti al contribuente in sede di ottemperanza: r.d. 2440/1923 e d.P.R. 602/1973

Gli atti «impeditivi» dei pagamenti al contribuente nel giudizio di ottemperanza (la compensazione legale e giudiziale, il fermo amministrativo ex art. 69, u.c., r.d. n. 2440/1923, la sospensione del pagamento ex art. 48-bis, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 ed il pignoramento presso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602/1973), sono possibili esiti del riscontro di carichi pendenti in capo al contribuente. Le compensazioni legale e giudiziale sono inconciliabili con la natura stessa del giudizio di ottemperanza; è ammessa solo la compensazione volontaria (C.t.r. Lombardia n. 2850/01/2017). La compensazione cui tende il fermo amministrativo, infatti, come ogni altra misura impeditiva al pagamento, presuppone un accertamento di merito precluso in un giudizio a cognizione sommaria quale quello di ottemperanza (Cass. n. 18208/2010 e Cass. n. 25696/2009); ciò vale anche in sede fallimentare (Cass. n. 13681/2005) in quanto «il giudice può solo provvedere in ordine all'esecuzione del giudicato e non anche in relazione a profili cognitivi estranei all'individuazione del contenuto e della portata del giudicato; pertanto, è precluso a detto giudice disporre un'eventuale compensazione in sede fallimentare tra credito emerso dal giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, potendo detta compensazione avvenire solo su precisa domanda del contribuente rivolta all'ufficio». In un giudizio di ottemperanza, ogni eventuale contro credito vantato non può essere opponibile in una compensazione che non sia volontaria, che deve essere formalizzata extragiudiziariamente direttamente tra le parti, allegata alla relazione del giudice-componente delegato/ commissario ad acta nominato ed acquisita al fascicolo d'ufficio per documentare l'avvenuto adempimento. Il fermo amministrativo di cui all'art. 69, u.c., r.d. n. 2440/1923 (ed all'art. 23 d.lgs. n. 472/1997, che prevede l'applicazione di tale misura sui crediti vantati dai contribuenti a garanzia del pagamento delle sanzioni amministrative anche loro semplicemente contestate o irrogate e/o di maggiori tributi accertati, ancorché in via non definitiva), è un provvedimento cautelare di carattere soprassessorio — espressione della c.d. autotutela esecutoria — emesso nell'esercizio di un potere autoritativo atto a degradare il diritto soggettivo del privato ad interesse legittimo. Tale autotutela esecutoria fa eccezione all'istituto della compensazione ex art. 1241 c.c. ed alla stessa disciplina dell'adempimento, tanto da impedire al creditore la costituzione in mora dell'amministrazione statale debitrice per cui, fin dalla data della formale adozione del fermo (che sospende sine die il pagamento del controcredito al cittadino-contribuente) non maturano interessi moratori. «In sostanza, l'Amministrazione creditrice richiede l'emissione di un provvedimento (appunto il fermo amministrativo), da notificare alle altre Amministrazioni dello Stato e alle tesorerie, con lo scopo di impedire che siano effettuati pagamenti già disposti e consentire quindi di soddisfare il proprio credito. Di norma, tali provvedimenti vengono emanati a cura del MEF e comunicati ai destinatari per il tramite della Direzione delle Entrate. In presenza di «fermo», la sezione sospende il pagamento del titolo e lo restituisce all'Amministrazione emittente.» (Atti Banca d'Italia e Tesoreria dello Stato, Ottobre 2006). Il fermo amministrativo – adottabile, pro concurrenti quantitate, autonomamente da ogni Amministrazione dello Stato (e non locale) anche se condannata al pagamento — ha lo scopo di legittimare la sospensione, in via cautelare e provvisoria, del pagamento di un proprio debito certo, liquido ed esigibile nell'attesa che maturino le condizioni per eccepire la compensazione con ragioni di credito erariale (un controcredito ancora solo potenziale) che l'Amministrazione dello Stato, considerata nella sua unità, vanta nei confronti del medesimo creditore. Per evitare che l'esercizio di tale autotutela esecutoria, possa costituire un ingiustificato privilegio per l'amministrazione debitrice, non è sufficiente una «mera» ragione creditoria ma occorre che il controcredito atteso versi già in una condizione complessiva tale da poter far ritenere «ragionevole» (fumus boni juris) la pretesa dell'amministrazione. È l'amministrazione competente per il credito erariale garantito – e non quella debitrice «fermata» — che può pronunciare l'estinzione delle contrapposte obbligazioni per compensazione del debito. La giurisdizione sul fermo amministrativo appartiene allo stesso giudice di cognizione del credito erariale (potenziale) garantito dal fermo e non del debito erariale «fermato», atteso lo stretto legame tra la misura cautelativa del credito ed il diritto per la cui provvisoria tutela essa è concessa (T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 1316/2011). Costante e consolidata giurisprudenza di legittimità esclude ogni rilevanza ostativa del fermo amministrativo opposto in un giudizio di ottemperanza; infatti, Cass.S.U., n. 18208/2010; Cass. S.U., n. 30058/2008; Cass. V, n. 8846/2016; Cass. V, n. 11962/2012; Cass. V, n. 11450/2011; Cass. V, n. 25696/2009; hanno precisato che il fermo amministrativo può essere efficacemente adottato e validamente opposto solo nel corso del giudizio di cognizione. Pertanto, il giudice collegiale/monocratico dell'ottemperanza (o un giudice-componente delegato o un suo ausiliario come il commissario ad acta) non deve arrestarsi davanti ad un fermo amministrativo — sul credito da rimborsare per sentenza da eseguire in ottemperanza — opposto dall'amministrazione inadempiente dopo tale sentenza, anche ove il creditore procedente per l'ottemperanza non acconsentisse alla usuale richiesta, della stessa amministrazione debitrice, di offrire «volontarie» garanzie alternative (di adeguato importo e durata) nelle forme e con le modalità di cui al citato decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs. n. 546/1992). La sospensione del pagamento di cui all'art. 48-bis, comma 1, d.P.R. n. 602/1973, al fine di consentire una preventiva verifica di insussistenza di inadempienze esattoriali del beneficiario per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni superiori a diecimila euro, così come il pignoramento speciale dei crediti presso terzi di cui all'art. 72-bis, d.P.R. n. 602/1973, provvedimento amministrativo prescrittivo che non costituisce atto processuale di espropriazione forzata, volto alla realizzazione del credito fiscale con una procedura coattiva, alternativa a quella disciplinata dal Codice di Procedura Civile, sono anch'essi funzionali ad una conseguente eventuale compensazione obbligatoria. In ogni caso, poiché in materia tributaria vige una giurisdizione generale ed esclusiva ratione materiae (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992) che non può non comprendere la cognizione di ogni eventuale accessorio del tributo: interessi, sanzioni, spese etc. le Cc.Tt. — incidenter tantum — lo conosceranno in via incidentale ex art. 2 comma 3 d.lgs. n. 546/1992 per disapplicarlo exartt. 4 e 5, l. n. 2248/1865 (C.t.r. Lombardia n. 2850/01/2017).

Spedizione in forma esecutiva della sentenza

La completa sostituzione contenutistica del previgente articolato, anche in rubrica, che prevedeva espressamente la spedizione in forma esecutiva a norma dell'articolo 475 c.p.c., della sentenza tributaria passata in giudicato, coniugata alla modifica del comma 1 del successivo articolo 70, ablativa laddove recitava: «salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo», milita per l'inapplicabilità del rinvio dinamico di cui all'articolo 1, comma 2, stesso decreto, al fine di unificare ogni esecuzione tributaria nel solo giudizio di ottemperanza; infatti, la procedura di cui al novellato art. 70 del d.lgs. n. 546/1992, è attualmente applicabile anche alle ipotesi di sentenza provvisoriamente esecutiva: ex art. 67-bis (vds. anche artt. 15, comma 2-quater, 17-bis, comma 6, 44, comma 2; 48, comma 4; 48-bis, comma 3; 68, comma 2 e 69, comma 5, stesso decreto). Tuttavia, l'esecuzione forzata civile di cui all'art. 475 c.p.c., come già tributariamente prevista dal previgente art. 69, d.lgs. n. 546/1992, sopravvive –nunc in virtù del permanente rinvio dinamico di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992- quantomeno per tutti i provvedimenti più avanti indicati.

Secondo Glendi «la parziale abrogazione [l'art. 69, d.lgs. n. 546/1992 è stato abrogato con efficacia 1 giugno 2016 dal d.lgs. n. 156/2015] delle norme del Codice di procedura civile, che prevedono la fruibilità dell'esecuzione forzata ivi contenuta (artt. 474 ss. c.p.c.) per tutte le sentenze costituenti titolo esecutivo anche nei confronti della Pubblica amministrazione, con la consequenziale privazione del contribuente di un vero e proprio diritto soggettivo all'accesso alla giustizia ordinaria a seguito di una ottenuta sentenza esecutiva di condanna dell'amministrazione a restituire quanto indebitamente trattenuto, avrebbe dovuto essere normativamente sancita per le vie ordinarie o su delega del Parlamento, non già tramite un provvedimento delegato deliberato di straforo senza che la Legge delega contenga il pur minimo supporto abilitativo in tal senso».

Non paiono peraltro condivisibili le ragioni che hanno indotto il Legislatore delegato a ridurre il novero degli strumenti processuali a disposizione del contribuente per ottenere l'esecuzione delle sentenze ad esso favorevoli. Non sembra, infatti, compatibile con le direttive recate dalla legge delega (che prevedeva, testualmente, un «rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente») l'eliminazione della possibilità di accedere all'esecuzione forzata della sentenza di condanna dell'Amministrazione, costituente titolo esecutivo per ottenere la ripetizione delle imposte e delle sanzioni versate ovvero il recupero delle spese sostenute. Il fatto che gli istituti attinti dal processo civile possano essere meno efficaci dell'ottemperanza non costituisce, invero, un'argomentazione idonea a giustificare una siffatta riduzione di tutela (Leo, La «novella» del contenzioso tributario, in IlTributario.it).

 Il Tribunale di Palermo,  IV,  n. 5868/ 2016, dispone che : “una lettura costituzionalmente orientata della norma, impone di ritenere che il previsto ricorso al giudizio di ottemperanza non costituisce l'unica possibilità per far valere il diritto ad agire esecutivamente per conseguire l'adempimento dell'obbligo portato dal titolo esecutivo nel doveroso rispetto del diritto della parte a non vedere compresso, ritardato, reso più difficile e più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale e al fine di non creare (soprattutto per le sentenze fiscali di condanna al pagamento di somme di denaro) un'irragionevole disparità di trattamento del creditore nelle fattispecie di esecuzione di sentenze fiscali rispetto all'esecuzione delle sentenze civili o amministrative con conseguente contrasto con gli art. 3,24 e 113 Cost.”. Presidente del Tribunale di Palermo, decreto del 23 aprile 2018, sul ricorso ex art. 745 c.p.c.,: «come affermato dalla Suprema Corte a sezioni unite "in mancanza di una disposizione specifica che preveda la possibilità di ricorrere ai presidenti delle commissioni tributarie, come accade invece per i giudici ordinari, in caso di rifiuto o ritardo nel rilascio di copie di atti detenuti dai segretari-pubblici depositari, l'istante può fare ricorso, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni" (Cass.  n. 1629/2010); …..'il decreto reso dal Presidente dei tribunale, ai sensi dell'art. 745 c.p.c., su ricorso avverso il rifiuto del cancelliere di rilasciare copia di sentenza non è impugnabile con ricorso per cassazione, a norma dell'art. 171 Cost., trattandosi di atto di volontaria giurisdizione, che è adottato sulla base dell'audizione di detto cancelliere e senza necessità di instaurazione del contradditorio con il soggetto passivo del diritto alla copia e che, pertanto, non si traduce in statuizioni sul diritto stesso, non ravvisabili in valutazioni di tipo meramente delibativo, le quali lasciano impregiudicato quel diritto e la sua tutelabilità in sede contenziosa nel rapporto con l'amministrazione depositaria del documento" (Cass. n. 9234/1996; cosi anche Cass. n. 10109/1993); … P.Q.M. disattesa ogni altra richiesta, ordina al responsabile della Segreteria della Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia il rilascio, in favore di una copia in forma esecutiva della sentenza n. 108/2018 depositata il 10 gennaio 2018».

Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. V: Apposizione della formula esecutiva, ai fini dell'esecuzione del decreto di liquidazione del CTU, adottato in pendenza di giudizio: “E' stato, ancora, richiesto parere in ordine alla necessità del rilascio di copia con apposizione della formula esecutiva, ai fini dell'esecuzione del decreto di liquidazione del CTU, adottato in pendenza di giudizio, indipendentemente dalla decisione di merito. Al riguardo, l'Avvocatura, condividendo quanto rilevato dalla Scrivente, afferma che la procedura per la liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice è interamente regolata dalle disposizioni del Testo Unico in materia di spese di giustizia (D.P.R. n. 115/2002). Ne deriva che le Commissioni Tributarie, in mancanza di ragioni ostative, hanno l'obbligo di rilasciare, al CTU che la richieda, copia con formula esecutiva del decreto motivato di pagamento che, ai sensi dell'art. 168 del D.P.R. n. 115/2002, costituisce "titolo provvisoriamente esecutivo''; ciò indipendentemente dal passaggio in giudicato dalla sentenza che definisce il giudizio in cui il consulente tecnico ha prestato la propria opera professionale. Qualora l'interessato presenti istanza di rilascio di copia munita di formula esecutiva alla Segreteria della Commissione tributaria, quest'ultima, in assenza di ulteriori ragioni ostative, dovrà provvedere sulla stessa in senso positivo, anche la fine di evitare di esporre l'amministrazione finanziaria a cause risarcitorie promosse dal CTU”. Erano già «legittime e fondate» secondo il precedente parere dell'Avvocatura Generale dello Stato C.S. 25554704 Sez. III, reso il 14 ottobre 2005 al M.E.F., tutte le istanze con le quali «i commissari ad acta richiedono, a loro favore, il rilascio di copia, munita della formula esecutiva, dell'ordinanza con la quale è stata dichiarata la chiusura del procedimento tributario di ottemperanza ed indicato il compenso spettante al suddetto organo» visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria» e che l'art. 70, comma 9, d.lgs. n. 546/1992 stabilisce come «tutti i provvedimenti di cui al presente articolo (sentenze, ordinanze e decreti. n.d.R.) sono immediatamente esecutivi». Parimenti legittimi e fondati sono i relativi ricorsi per ottemperanza proposti contro l'ente inadempiente al pagamento del compenso, liquidato a favore del Commissario ad acta con ordinanza di chiusura del procedimento; infatti, ex art. 70, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, «per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse, può chiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti». In questo caso trattasi di ordinanza immediatamente esecutiva, caratterizzata da un contenuto spiccatamente decisorio tipico della sentenza (impugnabile peraltro anche per cassazione: Cass. n. 3435/2005), che liquida la sola misura di un compenso già posto a carico della parte inadempiente con la sentenza di nomina del Commissario ad acta.

Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. IV. Apposizione della formula esecutiva per l'esecuzione dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa a tale fase di giudizio ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/92: “E' stato, inoltre, sottoposto al vaglio dell'Avvocatura la questione circa la necessarietà o meno dell'apposizione della formula esecutiva, ai fini della sua esecuzione, sulla copia dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/1992. In merito, l'Avvocatura rileva in primis che la nuova disciplina del processo tributario non prevede espressamente le modalità di esecuzione coattiva di un'ordinanza cautelare di condanna alle spese di lite favorevole al contribuente. Tuttavia, avendo il legislatore eliminato in radice la possibilità per il contribuente di avvalersi delle forme dell'esecuzione forzata civile, l'Avvocatura ritiene che non siano applicabili le disposizioni del c.p.c. alle ordinanze cautelari in materia tributaria. Inoltre, in base all'art. 15, comma 2-quater del d.lgs. 546/1992, la pronuncia sulle spese, contenuta nell'ordinanza cautelare, è assimilabile ad una pronuncia di merito avendo acquisito una peculiare “stabilità” anche dopo la sentenza che definisce il giudizio nel merito, salva diversa statuizione espressa del giudice. D'altro canto, conformemente all'esigenza di garantire effettività della tutela giurisdizionale, l'Avvocatura ritiene che all'ordinanza cautelare, anche nella statuizione sulle spese della fase, debba essere attribuita provvisoria esecutività, e di regola non necessita dell'apposizione di formula esecutiva neanche nel processo civile. Alla luce di queste considerazioni, sembrano sussistere, nella fattispecie in esame, i presupposti per l'applicazione in via analogica (principio dell'analogia legis) del rimedio dell'ottemperanza ex art. 70 d.lgs. n. 546/1992 anche ai fini dell'esecuzione coattiva della condanna alle spese contenuta nell'ordinanza cautelare, senza, dunque, la necessità della previa apposizione della formula esecutiva. Soluzione questa, fra l'altro, applicata anche nell'ambito del processo amministrativo, nel quale è espressamente previsto il rimedio dell'”attuazione” delle misure cautelari, modellato sull'istituto dell'ottemperanza. Diverso orientamento, invece, visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria» e che le procedure disciplinate dagli artt. 69 e 70, d.lgs.546/1992, non ammettono all'ottemperanza tributaria atti diversi dalle sentenze, nonostante il contenuto spiccatamente decisorio in punto di spese (v. art. 15, comma 2-quater) e l'efficacia ultrattiva alla relativa successiva sentenza di merito, ove questa non disponga espressamente diversamente, ammette che le ordinanze emesse ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 47, comma 5, 52, comma 6, 62-bis, comma 5 e 65, comma 3-bis, d.lgs. n. 546/1992, possano essere rilasciate munite della formula esecutiva a norma dell'art. 475 c.p.c. nella considerazione che, a differenza delle ordinanze cautelari, le citate ordinanze ex art. 70, comma 8, d.lgs. n. 546/1992 liquidano la sola misura di un compenso già posto a carico della parte inadempiente con la sentenza di nomina del Commissario ad acta.

Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. VI. Apposizione della formula esecutiva su una sentenza che liquidi le spese di giustizia ex art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 a favore dell'ente impositore/agente della riscossione con distrazione delle somme dovute in favore del difensore antistatario di un agente della riscossione: “ nel caso di distrazione delle spese di lite, il relativo credito diventa credito personale del difensore distrattario che, infatti, in caso di riforma della sentenza, è tenuto personalmente alla restituzione delle spese legali alla parte originariamente soccombente che le abbia a lui corrisposte (cfr., tra le tante, Cass. 1526/2016,  Cass. n. 8215/2013). Ne consegue, che poiché il soggetto debitore è il privato contribuente rimasto soccombente nel giudizio da questi promosso contro l'agente della riscossione, nel caso di distrazione delle spese di lite in favore del difensore dell'agente, quest'ultimo difensore non può avvalersi né dell'iscrizione a ruolo ex art. 15, comma 2-sexies d.lgs. n. 546/1992 (essendo questa prevista solo per la riscossione di somme di pertinenza dell'agente della riscossione e/o dell'ente impositore), né del giudizio di ottemperanza ex art. 70 d.lgs. cit., esperibile solo nei confronti dell'ente pubblico impositore. Il difensore distrattario dell'agente della riscossione, al fine di ottenere il recupero coattivo delle sue spettanze a carico del contribuente soccombente, dunque, potrà esclusivamente avvalersi dell'espropriazione forzata secondo le forme del codice di procedura civile: in tale eventualità, le Segreterie delle Commissioni tributarie, a richiesta dell'interessato, dovranno rilasciare copia della sentenza munita di formula esecutiva, previa verifica del suo passaggio in giudicato, in applicazione della speciale regola, dettata a favore del contribuente, di cui all'art. 15, comma 2-sexies cit.: ” Nel caso in cui l'antistatario sia il difensore di parte privata, secondo il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7441 del 12 ottobre 2010: “il giudizio di ottemperanza deve ritenersi ammissibile non solo per l'esecuzione della parte della pronuncia contenente la condanna al pagamento delle spese di giudizio, ma anche quando esse siano liquidate in favore del difensore distrattario della parte vittoriosa”. Ed infatti, a seguito di tale statuizione “si instaura un rapporto obbligatorio tra detto difensore e la parte soccombente, che legittima il primo a proporre per il relativo adempimento un autonomo giudizio di ottemperanza, che non può che tendere, anche nei suoi riguardi, a far conseguire tutta l'utilità scaturente dalla pronuncia giurisdizionale ed illegittimamente negata dall'Amministrazione con un comportamento omissivo”. Anche il TAR di Bari, Sez. II, sentenza n. 909/2016 in virtù del provvedimento di distrazione delle spese processuali in favore del difensore con procura della parte vittoriosa, “s'instaura, fra costui e la parte soccombente, un rapporto autonomo rispetto a quello fra i contendenti che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d'opera professionale fra il cliente vittorioso ed il suo procuratore. Ne deriva che il difensore distrattario è l'unico legittimato ad intimare il precetto di pagamento dell'importo delle spese e degli onorari e, analogamente, a chiedere l'esecuzione del giudicato con il rito dell'ottemperanza in sede di giudizio amministrativo” (Conf. Cass.  III, 12 novembre 2008, n. 27041; T.A.R. Lazio Sez. II, 24 febbraio 2015, n. 3275 e TAR Torino Sez. I, 5 novembre 2014, n 1682). Vedasi anche annotazione dell' art. 70, - Segue. b) Legittimazione attiva”.

La copia della sentenza rilasciata in forma esecutiva deve contenere: l'attestazione di conformità all'originale, la sottoscrizione del cancelliere e il sigillo della cancelleria, mentre non sono prescritte l'indicazione della data e del luogo di rilascio, delle generalità e della qualifica del rilasciante, né la sottoscrizione dei fogli intermedi, né l'apposizione di timbri di congiunzione degli stessi (Cass. n. 1625/1998). Il rilascio della copia del titolo in forma esecutiva a persona diversa da quella nel cui favore il titolo fu emesso non dà luogo a nullità o inefficacia del titolo stesso, ma costituisce una irregolarità da far valere a norma dell'art. 617 c.p.c. Alla medesima irregolarità, da denunciare negli stessi modi, dà luogo la circostanza che il rilascio del titolo in forma esecutiva, per quanto avvenuto nei confronti di uno dei soggetti nel cui favore fu emesso, sia stato poi notificato al debitore, antecedentemente o contestualmente al precetto, da altro soggetto nel cui favore il titolo stesso fu emesso (Cass. n. 9297/1999).

Vedasi anche annotazioni degli artt. 9, paragr “Assistenza all'attività giudiziaria”, 25, paragr.: “Richiesta di copie” e 67-bis, paragr.: “Esecutività della sentenza secondo quanto previsto dal capo IV, d.lgs. n. 546/1992”.

 

 

 

 

Bibliografia

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