Decreto legislativo - 19/06/1997 - n. 218 art. 9 bis - Soggetti aderenti al consoiidato nazionale 1Soggetti aderenti al consoiidato nazionale1 Art. 9-bis 1. Al procedimento di accertamento con adesione avente ad oggetto le rettifiche previste dal comma 2 dell'articolo 40-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , partecipano sia la consolidante che la consolidata interessata dalle rettifiche, innanzi all'ufficio competente di cui al primo comma dell'articolo 40-bis stesso, e l'atto di adesione, sottoscritto anche da una sola di esse, si perfeziona qualora gli adempimenti di cui all' articolo 9 del presente decreto siano posti in essere anche da parte di uno solo dei predetti soggetti. 2. La consolidante ha facolta' di chiedere che siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili le perdite di periodo del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. [Nell'ipotesi di adesione all'invito, ai sensi dell' articolo 5, comma 1-bis , del presente decreto, alla comunicazione ivi prevista deve essere allegata l'istanza prevista dal comma 3 dell'articolo 40-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 ; in tal caso, il versamento delle somme dovute dovra' essere effettuato entro il quindicesimo giorno successivo all'accoglimento dell'istanza da parte dell'ufficio competente, comunicato alla consolidata ed alla consolidante, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza.] L'istanza per lo scomputo delle perdite di cui al comma 3 dell'articolo 40-bis citato deve essere presentata unitamente alla comunicazione di adesione di cui all'articolo 5- quater del presente decreto; l'ufficio competente emette l'atto di definizione scomputando le stesse dal maggior reddito imponibile2. [1] Articolo inserito dall'articolo 35, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78. Vedi il comma 4 dello stesso articolo. [2] Comma modificato dall'articolo 21, comma 1, lettera d), del D.Lgs 12 giugno 2025, n. 81. InquadramentoCompetente alla definizione è l'Ufficio delle entrate nella cui circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale, in forza di quanto disposto dall'art. 4 del d.lgs. n. 218/1997, ferme restando le specificazioni di cui al comma 2 del medesimo citato articolo. Il deposito dell'istanza di accertamento con adesione ad un ufficio territorialmente incompetente è però idoneo a determinare la sospensione del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale, sia in quanto detto ufficio è tenuto a trasmettere l'istanza a quello competente in conformità alle regole della leale collaborazione tra organi della stessa Amministrazione, sia per l'esigenza di sollecita decisione sui diritti delle parti ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. V, n. 8178/2019). In forza dell'art. 5 del d.lgs. n. 218/1997 (di seguito, «d.lgs. n. 218»), attualmente in vigore, ai fini dell'avvio del procedimento di accertamento con adesione, l'Ufficio invia al contribuente un invito a comparire. In esso sono indicati i periodi di imposta suscettibili di accertamento, il giorno ed il luogo della comparizione per definire l'accertamento con adesione, le maggiori imposte e ritenute ed i maggiori contributi, con indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla loro determinazione, nonché le sanzioni e gli interessi dovuti. Il contribuente, destinatario dell'invito di cui innanzi, non è obbligato a presentarsi e tale inottemperanza non è autonomamente sanzionabile, ferma restando la potestà dell'Ufficio di procedere alla notifica di atti di accertamento o rettifica sulla base degli elementi a disposizione (Circ. Min. Finanze 8 agosto 1997, n. 235/E). L’art. 5 bis del citato d.lgs. n. 218 (articolo inserito nel 2008 e successivamente abrogato dall’art. 1, comma 637, lett. c, n. 2, dell l. n. 190 del 2014) disciplinava l’adesione ai verbali di contestazione ed in merito Cass. V, n. 18985/2019 ha chiarito che, per effetto del detto art. 5 bis e del’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, nell'ipotesi di inadempimento del contribuente nel versamento delle relative somme, la sanzione del 30% non si applica sugli importi non versati e determinati in sede di definizione e, quindi, comprensivi di sanzioni; subendo, diversamente, il contribuente un ingiustificabile aggravio delle sanzioni. L'art. 4-octies introdotto nel d.l. 30 aprile 2019, n. 34, in sede di conversione (ad opera della l. 28 giugno 2019, n. 58), ha disciplinato l'«obbligo di invito al contraddittorio», con disposizioni che trovano applicazione con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020. È stato in particolare introdotto nell'art. 5 d.lgs. n. 218/1997 il comma 3-bis, in forza del quale, in deroga al termine ordinario, qualora tra la data di comparizione (di cui al comma 1, lett. b, dello stesso art. 5) e quella di decadenza dell'Amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni. Oltre alla modifica del successivo art. 6, comma 2 (nel quale il riferimento non è più al precedente art. 5 bensì ai precedenti artt. 5 e 5-ter), l'art. 4-octies del d.l. n. 34/2019 ha poi introdotto nel d.lgs. n. 218 del 1997 l'art. 5-ter, disciplinante proprio l'«invito obbligatorio» (al contraddittorio). Il contribuente nei cui confronti siano stati effettuati accessi, ispezioni e verifiche finalizzati all'accertamento dell'imposta sui redditi o dell'IVA, con apposita istanza in carta libera, può chiedere all'Ufficio la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell'eventuale definizione con le forme del procedimento in esame (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 218). Sempre con istanza in carta libera (con indicazione del proprio recapito, anche telefonico) ed anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi al Giudice tributario, può chiedere la definizione con le forme dell'accertamento con adesione il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall'invito di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 218 (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218). L'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione, ex lege , sospende, per un periodo di novanta giorni, il termine decadenziale previsto per l'impugnazione dell'avviso di accertamento o di rettifica (pari a sessanta giorni, ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992) e quello per il pagamento dell'IVA accertata. Parimenti, l'iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte accertate dall'Ufficio può essere effettuata, sempre che ne ricorrano i relativi presupposti, solo successivamente alla scadenza del detto termine di sospensione. Tanto statuisce il comma 3 dell'art. 6 del d.lgs. n. 218, il quale prosegue prevedendo che l'impugnazione dell'atto comporta rinuncia all'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione. Attivata la procedura di cui all'indicato art. 6, comma 2, entro quindici giorni l'Ufficio formula al contribuente l'invito a comparire (anche telefonicamente o telematicamente) ed all'atto del perfezionamento delle definizione l'avviso di accertamento o di rettifica originario perde efficacia (art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218). La detta sospensione del termine di impugnazione, conseguente alla presentazione dell'istanza di formulazione della proposta di accertamento con adesione, opera per l'atto impositivo oltre che con riferimento al provvedimento sanzionatorio. Ciò in caso di contestazione dell'illecito tributario, pur se adottato e notificato con atto separato dall'avviso di accertamento, ove, trattandosi di una violazione sostanziale, la condotta risulti strumentale all'inadempimento dell'obbligazione tributaria (Cass. V, n. 18377/2017). Al termine di sospensione relativo alla procedura di accertamento con adesione, qualora scadente in giorno festivo, non è applicabile il principio della proroga di diritto al successivo giorno non festivo, di cui all'art. 155 c.p.p. (Cass. V, n. 2278/2017). In forza dell'art. 7-quater aggiunto al d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, in sede di conversione, dalla l. 1 dicembre 2016, n. 225 (in vigore dal successivo 3 dicembre 2016), i termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione si intendono invece cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale. Il verbale di constatazione di mancato accordo, per giurisprudenza consolidata, non incide poi sulla sospensione di cui innanzi, così come la mancata convocazione da parte dell'Ufficio non ha riflessi in termini di riduzione delle sanzioni. Con riferimento ai requisiti essenziali dell'atto di accertamento con adesione rileva infine la questione inerente l'atto scritto ma non sottoscritto ed il problema della funzione sanante del versamento di quanto in esso previsto. In tema di rapporti tra l’istituto in esame ed il consolidato nazionale, Cass. V, n. 30348/2019, ha chiarito che l'accertamento con adesione di primo livello della consolidata, in base alla disciplina previgente alle modifiche apportate (al consolidato) dall'art. 35 d.l. n. 78 del 2010 (conv., con modif., in l. n. 122 del 2010), produce effetti nei confronti della consolidante che abbia dichiarato, in qualunque forma, di volerne profittare, ancorché non abbia partecipato al procedimento per adesione o non abbia tempestivamente impugnato l'avviso di accertamento di secondo livello, divenuto perciò definitivo. Trova difatti applicazione, in via analogica, in ragione del vincolo di solidarietà esistente tra consolidante e consolidata, il disposto di cui all'art. 1304, comma 1, c.c. A tali fini, non rileva che la dichiarazione della consolidante sopravvenga quando l'avviso di accertamento notificatole sia divenuto definitivo, in quanto l'imponibile della consolidata, rettificato in conseguenza dell'atto di definizione con adesione di primo livello, costituisce il presupposto dell'imposta di gruppo e delle sanzioni contenute nell'accertamento di secondo livello. In applicazione di quanto innanzi la Suprema Corte ha ritenuto che la richiesta della consolidante di ottenere la riliquidazione dell'IRES di gruppo, con gli interessi e le sanzioni collegate, in conformità all'accertamento di primo livello definito con adesione della consolidata, costituisse manifestazione della volontà di avvalersi di esso. Il contraddittorio endoprocedimentale finalizzato all'accertamento con adesioneIn forza dell'art. 5 del d.lgs. n. 218/1997, attualmente in vigore, ai fini dell'avvio del procedimento di accertamento con adesione, l'Ufficio invia al contribuente un invito a comparire. In esso sono indicati i periodi di imposta suscettibili di accertamento, il giorno ed il luogo della comparizione per definire l'accertamento con adesione, le maggiori imposte e ritenute ed i maggiori contributi, con indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla loro determinazione, nonché le sanzioni e gli interessi dovuti. non è obbligato a presentarsi e tale inottemperanza non è autonomamente sanzionabile, ferma restando la potestà dell'Ufficio di procedere alla notifica di atti di accertamento o rettifica sulla base degli elementi a disposizione (Circ. Min. Finanze 8 agosto 1997, n. 235/E). Il comportamento omissivo del contribuente, dunque, seppure non direttamente sanzionabile, viene colpito da una sanzione indiretta, essendogli preclusa (sia nel caso di inottemperanza che nel caso in cui il procedimento si concluda con esito negativo) la possibilità di richiedere ed instaurare di sua iniziativa il procedimento di adesione (exart. 6 del d.lgs. n. 218/1997), qualora l'Ufficio proceda alla notifica dell'avviso di accertamento (Fusconi, 1569, 1570 e 1571). Quella di cui innanzi è norma disciplinante il c.d. contraddittorio endoprocedimentale finalizzato all'accertamento con adesione, non avente quindi natura processuale né impositiva (ex plurimis: Cass. V, n. 15877/2016; Cass. V, n. 17598/2010). Con quanto ne consegue in ordine alle modalità di notificazione (c.d. semplificata) del relativo invito al contribuente da parte dell'Ufficio (e relative paventate ripercussioni in termini di compatibilità costituzionale) oltre che in merito ai rapporti tra l'accertamento con adesione ed il «condono fiscale» (di cui alla l. 27 dicembre 2002, n. 289). L'instaurazione del detto contraddittorio preventivo da parte del Fisco è comunque facoltativa e non obbligatoria, preordinata alle sole funzioni di garantire la necessaria trasparenza dell'azione amministrativa e di consentire al contribuente un'immediata cognizione delle questioni rilevanti, garantendogli uno spatium deliberandi in vista dell'accertamento con adesione (ex plurimis, per il riferimento allo spatium deliberandi, Cass. V, n. 16347/2013). Il contribuente può difatti sempre attivare il procedimento di accertamento con adesione, ove abbia ricevuto un avviso di accertamento o di rettifica con assenza di preventivo contraddittorio (ex art. 6 del d.lgs. n. 218/1997). Ne consegue il carattere unicamente informativo dell'invito in esame, avente ad oggetto la possibilità di aderire, che, pertanto, non richiede l'osservanza di particolari modalità, essendo normalmente comunicato mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (o notificato ex art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973) solo ai fini di quanto previsto dall'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218/1997 (come anche ritenuto da Circ. Min. Finanze 8 agosto 1997, n. 235/E). In tali termini si è espressa Cass. V, n. 444/2015, escludendo nella specie la nullità dell'avviso di accertamento per vizio di notifica dell'invito ex art. 5 del d.lgs. n. 218/1997chiarendo che solo nel caso degli accertamenti fondati sugli studi di settore l'art. 10, comma 3-bis, della l. n. 146/1998, prescrive che nelle ipotesi di cui al comma 1, cioè quelle inerenti accertamenti basati sugli studi di settore, l'Ufficio, prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 218/1997 (in senso difforme, nella giurisprudenza di merito ma antecedentemente al citato arresto di legittimità del 2015, si veda Comm. trib. reg. Umbria 8 marzo 2007, n. 2; occorre precisare che l'art. 1, comma 410, della l. 30 dicembre 2004, n. 311, ha previsto che le disposizioni del detto comma 3-bis abbiano effetto a decorrere solo dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004). Nonostante quanto innanzi evidenziato il difetto degli elementi peculiari di cui al citato art. 5 non è senza conseguenze. Il contribuente perde il diritto a formulare la relativa istanza, ai sensi dell'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 218/1997, qualora sia già stato reso destinatario di un invito a comparire, da parte dell'Amministrazione finanziaria, contenente tutti gli elementi previsti all'art. 5, comma 1, del citato decreto. Sicché, ove tali elementi peculiari difettino, l'istanza in parola non è preclusa e rimane suscettibile di determinare l'effetto della sospensione per novanta giorni del termine di impugnazione dell'avviso. In applicazione del principio Cass . V, n. 30577/2017 ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto l'ammissibilità dell'istanza di accertamento con adesione avanzata dal contribuente a fronte di un invito a comparire che non presentava un contenuto specifico, palesandosi genericamente assimilabile all'invito ordinario ex art. 32 del d.P.R. n. 600/1973. In merito alla facoltatività della notifica dell'invito in esame parte della dottrina dissente. Nell'ipotesi disciplinata dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 218/1997 (accertamento con adesione ad istanza dell'Ufficio) sussiste l'obbligo della rituale notifica dell'invito (come esplicitamente chiarito dalla Circ. Min. Finanze n. 235/E del 1997). Ciò in quanto alla parte destinataria dell'invito è preclusa la possibilità di avvalersi del procedimento concordatario, di cui all'art. 6, comma 2, nel caso in cui l'Ufficio, instauratosi o meno in contraddittorio e, comunque, in caso di esito negativo dello stesso, notifichi l'avviso di accertamento. Conseguentemente, eventuali irregolarità riconducibili alla notifica dell'invito potrebbero ripercuotersi sulla legittimità dell'accertamento emesso dall'Ufficio in caso di mancata risposta del contribuente (Fusconi, 1571). L'«obbligo di invito al contraddittorio» è stato invece previsto (dall'attuale art. 5-ter d.lgs. 218/1997) in forza dall'art. 4-octies introdotto nel d.l. 30 aprile 2019, n. 34, in sede di conversione (ad opera della l. 28 giugno 2019, n. 58). L'Ufficio, in particolare, (comma 1 dell'art. 5-ter cit.) fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire di cui all'articolo 5 per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento (con esplicita esclusione per gli avvisi di accertamento parziale di cui all'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 nonché gli avvisi di rettifica parziale previsti dall'articolo 54, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 633/1972). In caso di mancata adesione, poi, l'avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio (comma 3) ed in tutti i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l'Ufficio può notificare direttamente l'avviso di accertamento non preceduto dall'invito in oggetto. Al di fuori dalla detta ultima ipotesi, invece, (comma 4) il mancato avvio del contraddittorio mediante l'invito obbligatorio al contraddittorio comporta l'invalidità dell'avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato (restano esplicitamente ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell'emissione di un avviso di accertamento. Il contraddittorio nell'accertamento con adesione e la compatibilità con i principi comunitari (ora dell'U.E.)Lo schema utilizzato dal d.lgs. n. 218 per l'attuazione del contraddittorio endoprocedimentale, secondo quanto già evidenziato nel paragrafo precedente, è stato ritenuto aderante alle considerazioni della stessa giurisprudenza di legittimità e da essa ritenute in linea con i principi sanciti dalla Corte di giustizia della Comunità europea (ora Corte di giustizia dell'UE), inerenti, più in generale il contraddittorio endoprocedimentale. Si evidenzia in particolare la differente posizione che il privato viene ad assumere, rispetto alla P.A., nel processo e nelle procedure di tipo giustiziale, da un lato, e nel procedimento amministrativo, dall'altro, oltre che la diversa esigenza cui il contraddittorio assolve nel processo e nel procedimento amministrativo. Occorre difatti distinguere il principio del contraddittorio inteso come espressione del diritto di difesa nel processo, declinato nel duplice senso di contrapposizione argomentativa alle tesi sostenute dalla parte avversa e di deduzione e partecipazione alla formazione della prova, dall'intervento del privato nel procedimento amministrativo. Inteso, quest'ultimo, come facoltà di introduzione di ulteriori elementi, in fatto ed in diritto, a completamento della fattispecie concreta sulla quale la P.A. è chiamata a provvedere in funzione dell'attuazione dell'interesse pubblico e, dunque, come «collaborazione» del privato, nella fase istruttoria, diretta all'acquisizione di tutti gli elementi conoscitivi indispensabili all'esercizio della potestà autoritativa. Il principio del contraddittorio, che trova la sua massima applicazione nel giudizio, postula la contrapposizione delle partie la necessità di un soggetto terzo che garantisca la «parità delle armi» fin dalla fase preliminare dell'introduzione dei fatti rilevanti che costituiscono il caso controverso e, successivamente, anche nel corso dell'acquisizione e formazione delle prove di tali fatti. L'intervento del privato nel procedimento amministrativo, invece, si realizza nell'ambito dell'esercizio di poteri autoritativi, inserendosi pertanto in un rapporto che non è paritetico bensì di supremazia/soggezione. Esso costituisce uno dei vari segmenti di cui si compone la sequenza di atti che, dalla fase dell'iniziativa (d'Ufficio o del privato), perviene, attraverso le diverse fasi del procedimento (istruttoria, costitutiva della decisione e quindi integrativa dell'efficacia) all'emanazione del provvedimento in quanto espressione della potestà autoritativa della P.A. Se, dunque, nel primo caso il contraddittorio è essenziale alla struttura del processo (il privato e la P.A. sono parti essenziali del rapporto processuale collocate sullo stesso piano), nel secondocostituisce una mera eventualità, in quanto la partecipazione del privato alla formazione del provvedimento amministrativo dipende esclusivamente dalla rilevanza riconosciuta a tale intervento dalle singole norme di legge che prevedono e disciplinano lo specifico procedimento amministrativo (tanto se trattasi di soggetto destinatario dell'atto, quanto se trattasi di soggetto che dall'atto potrebbe subire comunque un pregiudizio). Il riferimento è, in particolare, all'art. 7, comma 1, della l. 7 agosto 1990, n, 241, per il quale è la legge che determina quali soggetti debbano intervenire nel procedimento. Ciò premesso, Cass. V, n. 14026/2012, ha rilevato che il procedimento impositivo, in relazione all'aspetto in esame, rimane sottratto alla disciplina generale del procedimento amministrativo, dettata dalla l. n. 214 del 1990, in ragione dell'espressa deroga disposta, per i procedimenti tributari, dall'art. 13, comma 2, della l. n. 241 del 1990. Tale disposizione difatti esclude l'applicazione nella materia tributari,a in particolare, delle norme concernenti la comunicazione di avvio del procedimento, l'intervento nel procedimento ed i diritti dei partecipanti al procedimento (dall'art. 7 all'art. 10). Sicché, necessita verificare quale ambito sia riservato dalle norme tributarie all'attuazione del principio del contraddittorio (e dell'intervento collaborativo del contribuente) nel procedimento impositivo. Con particolare riferimento al procedimento di accertamento con adesione, ha proseguito la citata Suprema Corte, il pieno rispetto del contraddittorio del contribuente, secondo lo schema delineato dagli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 218, realizza un efficace strumento di garanzia dell'effettività del diritto di difesa. Essendo, a tal fine, del tutto indifferente se tale contraddittorio si sia svolto anteriormente (art. 5) oppure successivamente alla notifica dell'avviso di accertamento (art. 6). Ciò tenuto conto che, nel secondo caso, sia il termine per l'impugnazione in sede giurisdizionale dell'atto impositivo sia i termini per eseguire il pagamento dell'imposta sia la stessa iscrizione a ruolo delle somme liquidate sono «sospesi», per un periodo di novanta giorni, proprio in funzione dell'attuazione del contraddittorio con il contribuente. Quest'ultimo, pertanto, può fornire ulteriori dati ed informazioni volti a rideterminare correttamente la pretesa tributaria ovvero a sollecitare l'esercizio dei poteri di autotutela della P.A., per la revoca o l'annullamento d'ufficio dell'avviso di accertamento emesso, ove gli elementi forniti dimostrino l'infondatezza della pretesa. L'iter logico-giuridico di cui innanzi ha confermato pertanto l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità che ritiene legittima l'utilizzazione da parte dell'Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari e dei dati risultanti dagli altri rapporti ed operazioni intrattenuti dalla banca con il contribuente, anche nel caso di mancata preventiva convocazione di quest'ultimo al fine di giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica. Nessuna norma impone difatti, in via generale, l'obbligo di previa convocazione del contribuente in sede amministrativa prima dell'accertamento, non subendo pregiudizio il diritto di difesa del contribuente che può essere esercitato, senza limitazioni, sia nella fase successiva all'accertamento, in sede di definizione con adesione e di attivazione dei poteri di autotutela della P.A., sia nella sede contenziosa. Proprio in forza di tali argomentazioni la Suprema Corte non ha ravvisato l'ipotizzato contrasto con i principi comunitari ed in particolare con quelli di cui alla Corte di giustizia CE 18 dicembre 2008, in causa C-349/2007. Di conseguenza, è stata esclusa l'opportunità di rimettere alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell'art. 267 del Trattato UE, la questione pregiudiziale relativa alla compatibilità delle inerenti norme tributarie con i principi del diritto comunitario (ex plurimis: Cass. V, n. 14026/2012, in materia di accertamento IRPEF, IVA ed IRAP). Il Giudice di legittimità in proposito ha ritenuto non deponente in senso difforme quanto statuito da Cass. V, n. 14105/2010 in materia di contraddittorio doganale, per la quale il diritto al contraddittorio e di difesa anche nella fase amministrativa è «un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l'Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo» (in adesione a Corte di giustizia CE, 18 dicembre 2008, in causa C-349/07). Per tale statuizione del 2010, difatti, in materia doganale, l'ingiunzione di pagamento emessa, ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, all'esito del procedimento di revisione dell'accertamento previsto dall'art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, è stata ritenuta illegittima se l'operatore interessato (nella specie l'importatore) non sia stato ascoltato e messo in condizioni di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali l'Amministrazione intenda fondare la sua decisione. Il diritto al contraddittorio e di difesa anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente riconosciuto dal codice doganale comunitario, si evince difatti dalle espresse previsioni del citato art. 11 e costituisce «un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l'Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo» (cfr. Corte di giustizia CE, 18 dicembre 2008, in causa C-349/07). Nella giurisprudenza comunitaria è indiscussa l'affermazione della tutela ed effettività delle garanzie di difesa, alle quali va ricondotto anche il principio del contraddittorio. Ciò in quanto i diritti fondamentali desunti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalle indicazioni dei trattati internazionali cui gli Stati membri hanno aderito costituiscono «parte integrante dei principi giuridici generali dei quali la Corte di giustizia garantisce l'osservanza (Corte di giustizia CE, 18 dicembre 2008, in causa C-349/07). Occorre però considerare che, in tema di tributi “armonizzati”, la regola per cui i soggetti destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la sua decisione. Necessita in particolare che al contribuente sia assegnato un termine ragionevole per presentare le proprie osservazioni in modo da consentire alla P.A. di adottare le propria decisione tenendo conto anche degli elementi offerti dal contribuente. In forza dei paragrafi 36-38 della sentenza Corte di giustizia CE, 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, le peculiari modalità di realizzazione dell'effettività del contraddittorio sono però demandate alle leggi degli Stati membri (in senso conforme si veda anche la più recente Cass. V, n. 25767/2014, in tema di avviso di accertamento dell'IVA emesso utilizzando movimentazioni di conti correnti bancari ma senza preventiva comunicazione all'interessato). L'impostazione di cui innanzi potrebbe ritenersi in linea con l'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2015 in materia di contraddittorio endoprocedimentale. Le Sezioni Unite (Cass. S.U. , n. 24823/2015) hanno difatti chiarito che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Ammministrazione finanziaria è gravata da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'innvalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa (c.d. prova di resistenza”), esclusivamente per i tributi “armonizzati”. Per i tributi “non armonizzati” non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un'analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. Sicché, occorrerebbe valutare alla luce dell'evidenzaito successivo approdo delle Sezioni Unite, l'impostazione innanzi esplicitata. Per essa, difatti, la disciplina dell'accertamento con adesione comunque garantirebbe adeguatamente l'esigenza del contraddittorio endoprocedimentale, nei termini già innanzi chiariti, peraltro, tanto con riferimento ai tributi “armonizzati” quanto in merito a quelli non “armonizzati”. In senso negativo sembra essersi espressa Comm. trib. prov. Savona 21 luglio 2017, n. 341, per la quale, nell'ambito della disciplina dei tributi “armonizzati”, esiste un obbligo generalizzato al contraddittorio endoprocedimentale, sanzionato, in caso di violazione, con la nullità dell'atto impositivo. Tale obbligo non può essere assorbito dalla fase precedente, quale fase conclusiva del processo verbale di constatazione, né tanto meno può essere confuso con la facoltà di inoltrare istanza di accertamento con adesione, fase successiva all'avviso di accertamento. Per la recente Cass. V, n. 4581/2018, invece, in tema di IVA, l'Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare ai fini di accertamento le risultanze dei conti correnti bancari e i dati derivanti da altri rapporti ed operazioni intercorsi tra la banca ed il contribuente, anche in assenza di preventivo interpello dello stesso, non imposto da alcuna norma e la cui mancanza non determina una lesione del diritto di difesa. L’ordinanza in esame motiva argomentando dalla possibilità del contribuente non solo di azionare un procedimento contenzioso ma anche di attivare la procedura di definizione con adesione, nell'ambito della quale, oltre a beneficiare della sospensione dei termini di impugnazione, di pagamento e di iscrizione a ruolo dell'imposta, ha la possibilità di fornire all'Amministrazione finanziaria dati ed informazioni per sollecitare un intervento in autotutela (si veda, in senso conforme, Cass. V, n. 25765/2014). Cass. VI-V, n. 14227/2020 evidenzia che l'unitarietà dell'accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, comporta l'estensione del contraddittorio processuale a tutti i soci ai sensi dell'art. 14 d. lgs. n. 546 del 1992, ma non anche di quello endoprocedimentale, per il quale non sussiste un litisconsorzio necessario analogo a quello processuale. Ne consegue che la proposizione tempestiva dell'istanza di adesione da parte del singolo socio, al quale sia stato notificato l'accertamento riguardante la società, non è idonea a rimettere in termini quest'ultima rispetto all'istanza di adesione dalla stessa non tempestivamente formulata, determinando la definitività dell'accertamento, diversamente da quanto accade invece in caso di tempestiva istanza di adesione proposta dal socio con riguardo al reddito di partecipazione allo stesso imputato per trasparenza, avendo egli, in tal caso, autonomo interesse ad attivare tale modalità alternativa di possibile definizione del contenzioso tributario, ancorché la società non si sia avvalsa della medesima opzione quanto al reddito ad essa contestato. Proprio in forza dei rapporti improntati a collaborazione e buona fede è stata ritenuta ritenuta lesiva degli stessi la condotta dell'Ufficio che, dopo aver emesso, in base alla proposta accettata dal contribuente, gli atti di accertamento con adesione per alcune annualità di imposta, proceda, repentinamente, senza motivazione e nonostante il tempestivo e regolare adempimento degli atti già emanati, all'emissione per le restanti annualità, pure oggetto della proposta, di avviso di accertamento per l'originaria pretesa, sicché, in relazione al legittimo affidamento sulla regolare definizione della procedura di accertamento con adesione, è inesigibile la maggiore pretesa costituita dalla differenza tra gli importi concordati e quelli richiesti (Cass. V, n. 12372/2008). Omesso avviso della facoltà di avvalersi dell'accertamento con adesione e nullità dell'atto impositivoOltre a quanto già evidenziato nei paragrafi precedenti circa il contraddittorio endoprocedimentale in tema di accertamento con adesione, preme sottolineare che la nullità dell'atto impositivo (da intendersi in questo caso l'originario avviso di accertamento o di rettifica) in ragione della mancanza in esso dell'avviso, rivolto al contribuente, della facoltà di avvalersi dell'accertamento con adesione, non può argomentarsi neanche dagli artt. 6 del d.lgs. n. 218 e 7, comma 2, della l. n. 212 del 2000 («statuto dei diritti del contribuente»). Trattasi, in particolare, di disposizioni che impongono all'Amministrazione finanziaria di indicare l'organo e l'autorità amministrativa presso la quale è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela. L'art. 7, comma 2, citato, difatti, prescrive che gli atti dell'Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: l'Ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato ed il responsabile del procedimento; l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere li riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. In tale elencazione non può ritenersi compreso anche l'avviso, rivolto al contribuente, della facoltà di avvalersi dell'accertamento con adesione, sicché, in considerazione della tassatività delle cause di nullità, non è dato inferire la nullità dell'atto impositivo dalla dedotta omissione (Cass. V, n. 13322/2016). In senso difforme si sono pronunciate, ancorché precedentemente all'indicato arresto della Suprema Corte del 2016, Comm. trib. prov. Siracusa 21 maggio 2004, n. 289 e Comm. trib. prov. di I grado Trento 28 novembre 2003, n. 95, ritenendo nullo l'avviso di accertamento non riportante l'indicazione della possibilità di procedere mediante accertamento con adesione, sempre che l'Ufficio non abbia dato seguito all'istanza del contribuente nel senso della definizione con la citata procedura. Sul punto però si vedano le considerazioni di cui al paragrafo precedente. Notificazione semplificata dell'invito a comparireL'art. 20 della l. 8 maggio 1998, n. 146, ha modificato l'art. 14 della l. 20 novembre 1982, n. 890, introducendo la previsione che la notificazione degli avvisi e degli atti che per legge devono essere notificati al contribuente può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli Uffici finanziari. Fermo restando, ove ciò risulti impossibile, che la notifica può essere effettuata, come già previsto, a cura degli Ufficiali giudiziari, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall'Amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla stessa l. n. 890 del 1982 (oltre che mediante ricorso alle modalità di notifica previste da singole leggi d'imposta, tra le quali, ad esempio, l'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte sui redditi). Sicché, a decorrere dall'entrata in vigore della citata l. n. 146 del 1998, è stata concessa agli Uffici finanziari la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale (ex plurimis: Cass. VI, n. 1207/2014; Cass. V, n. 17598/2010; Cass. V, n. 15284/2008). Il notificante è difatti abilitato alla notificazione dell'atto senza l'intermediazione dell'ufficiale giudiziario (parimenti a quanto stabilito per la notifica degli atti processuali dall'art. 16, comma 3, del d.lgs. 546 del 1992) ma con quella dell'ufficiale postale, cioè con modalità semplificata. Ad essa, peraltro, non si applicano le disposizioni della l. n. 980 del 1982, concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli Ufficiali giudiziari (o, eventualmente, i messi comunali e i messi speciali autorizzati), bensì le norme concernenti il servizio postale ordinario. In applicazione del principio, Cass. V, n. 17598/2010 ha confermato la sentenza che aveva ritenuto valida la notifica dell'invito al contraddittorio endoprocedimentale, ai fini dell'accertamento con adesione, ex art. 5 del d.lgs. n. 218, effettuata con raccomandata, non ritirata presso l'ufficio postale, senza che ad essa fosse seguito l'invio della raccomandata informativa previsto dall'art. 8 della l. n. 890 del 1982, così come risultante dall'intervento di Corte cost., n. 346/1998. La detta Suprema Corte ha altresì chiarito che le conclusioni di cui innanzi non sono tali da destare dubbi di legittimità costituzionale. Ciò in virtù della spiccata peculiarità della materia tributaria oltre che in ragione della natura dell'atto (l'invito al contraddittorio endoprocedimentale finalizzato all'accertamento con adesione), né processuale né impositiva. Si veda, negli stessi termini, con riferimento ai tributi locali, Cass. V, n. 2690/2002, in merito all'art. 51 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, il quale stabilisce che gli avvisi di accertamento possono essere inviati anche a mezzo di lettera raccomandata. Con riferimento alla materia del contenzioso tributario, si vedano altresì, negli stessi termini: Cass. V, n. 17723/2006, anche per l'insussistenza di dubbi di compatibilità con gli artt. 3 e 24 Cost. dell'art. 16, comma 3, del d.lgs. 546 del 1992; Cass. V, n. 13812/2007, in senso conforme a quella in precedenza citata, e Cass. V, n. 1906/2008 (per la giurisprudenza di merito si veda, in senso conforme, proprio con riferimento alla notifica dell'invito al contraddittorio endoprocedimentale finalizzato all'accertamento per adesione, Comm. trib. reg. Palermo 29 marzo 2008, n. 18). L'istanza del contribuente di formulazione della proposta di accertamento con adesioneIl contribuente nei cui confronti siano stati effettuati accessi, ispezioni e verifiche finalizzati all'accertamento dell'imposta sui redditi o dell'IVA, con apposita istanza in carta libera, può chiedere all'Ufficio la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell'eventuale definizione con le forme del procedimento in esame (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 218). Sempre con istanza in carta libera (con indicazione del proprio recapito, anche telefonico) ed anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi al Giudice tributario, può chiedere la definizione con le forme dell'accertamento con adesione il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica non preceduto dall'invito di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 218 (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218). L'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione, ex lege, sospende, per un periodo di novanta giorni, il termine decadenziale previsto per l'impugnazione dell'avviso di accertamento o di rettifica (sessanta giorni ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992) e quello per il pagamento dell'IVA accertata. Parimmenti, l'iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli delle imposte accertate dall'Ufficio può essere effettuata, sempre che ne ricorrano i relativi presupposti, solo successivamente alla scadenza del detto termine di sospensione. Tanto statuisce il comma 3 dell'art. 6 del d.lgs. n. 218, il quale prosegue prevedendo che l'impugnazione dell'atto comporti rinuncia all'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione. Attivata la procedura di cui all'indicato art. 6, comma 2, entro quindici giorni l'Ufficio formula al contribuente l'invito a comparire (anche telefonicamente o telematicamente) ed all'atto del perfezionamento delle definizione l'avviso di accertamento o di rettifica originario perde efficacia (art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218). L'art. 6 del d.lgs. n. 218 consente dunque al contribuente di presentare apposita istanza di accertamento con adesione, chiedendo l'instaurazione del contraddittorio per discutere delle violazioni contestate con l'atto notificato e pervenire ad una definizione concordata della pretesa fiscale. L'istanza, redatta in carta libera, preferibilmente sugli appositi modelli reperiti anche nel sito internet dell'Agenzia delle entrate, deve contenere il riferimento all'atto avverso il quale è proposta e l'indicazione del recapito, anche telefonico del contribuente. Considerato che il quarto comma del citato articolo consente all'Ufficio di formulare l'invito a comparire anche telefonicamente, è opportuno indicare il proprio indirizzo email, soprattutto se la parte (o il suo procuratore) dispongano della PEC (posta elettronica certificata). L'istanza può essere indifferentemente consegnata o spedita all'Ufficio che ha emesso l'atto impositivo nel rispetto del termine di legge, uguale a quello previsto per proporre ricorso giurisdizionale (Fusconi, 1569, 1570 e 1571). In merito al contenuto dell'istanza del contribuente, ex artt. 6 o 12 del d.lgs. n. 218, una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che quella non contenente una proposta per definire l'accertamento con adesione, scaricando sull'Ufficio il compito di elaborarla, integri “abuso del diritto”, in violazione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti con il Fisco, di cui all'art. 10 della l. n. 212 del 2000 («Statuto dei diritti del contribuente») Ne conseguirebbe l'inidoneità alla produzione dei relativi effetti sospensivi, di cui ai citati artt. 6 o 12 (quest'ultimo con riferimento alle altre imposte indirette diverse dall'IVA). Tali finalità meramente dilatorie, in particolare, conferirebbero un indebito vantaggio al contribuente che si troverebbe a fruire della sospensione dei termini per ricorrere, pur senza avere la concreta e reale volontà di avviare un effettivo dialogo con l'Amministrazione finanziaria. A ciò conseguirebbe peraltro il rischio di dare alle norme una lettura incostituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., in ragione dello sperequato trattamento tra coloro che attivano pretestuosamente la procedura de qua e coloro che ciò non facciano, per i quali non opererebbe l'effetto sospensivo di cui innanzi (in questi termini si vedano: Comm. trib. reg. Lazio 21 gennaio 2014, n. 14, la quale, invero, si riferisce alla particolare fattispecie caratterizzata dalla notifica dell'atto impositivo preceduta dall'invito a comparire ed argomenta dalla circostanza per cui l'invito al contraddittorio descrive già dettagliatamente i rilievi dell'imposta; si vedano altresì quelle citate e da Cardillo, passim, in particolare «Comm. trib. prov. Torino, n. 54.01.15», e da Piccolotto, passim, in particolare «Comm. trib. reg. Venezia, n. 154/22/2011», in tale ultima ipotesi, caratterizzata dalla mancata presentazione del contribuente in seguito all'invito dell'Ufficio conseguente all'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione, in realtà, si tratta di istanza di accertamento con adesione presentata da parte del curatore di società fallita ed in assenza della necessaria autorizzazione). In merito potrebbe però in questa sede rilevarsi che l'orientamento in esame sembrerebbe non perfettamente in linea con la lettera della legge e con la ratio dell'istituto, nell'interpretazione datane dalla Consulta e dalla giurisprudenza di legittimità. Sotto il primo versante, in particolare, gli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218 ricollegano gli effetti sospensivi alla presentazione dell'istanza, che, redatta in carta libera, deve contenere il recapito anche telefonico del contribuente, e che, in realtà, perlomeno nella fattispecie di cui al comma 1 del citato art. 6, si tratta di richiesta diretta all'Ufficio ed avente ad oggetto la formulazione, da parte di quest'ultimo, di una proposta di accertamento ai fini dell'eventuale adesione. Circa la difficile compatibilità dell'interpretazione di cui innanzi con ratio e finalità dell'istituto e, quindi, con la stessa finalità del previsto termine di sospensione, sembrerebbe appena il caso di rilevare che, per Corte cost. n. 140/2011 (e la successiva giurisprudenza di legittimità), il procedimento di accertamento con adesione ha la finalità di prevenire l'impugnazione dell'atto di accertamento tributario notificato, favorendo l'instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere ad una definizione concordata e preventiva della controversia. A tal fine non appare irragionevole la previsione di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, idoneo a consentire un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione, durante il cui decorso il contribuente e l'Ufficio hanno agio di valutare liberamente la situazione eventualmente allacciando, sciogliendo e riannodando trattative. Non è sembrato irragionevole alla Consulta neppure che la disposizione denunciata preveda che solo il contribuente possa far cessare la sospensione del termine di impugnazione, mediante una formale ed irrevocabile rinuncia a detta istanza ovvero proponendo ricorso avverso l'atto di accertamento. Ipotesi, quest'ultima, equiparata dalla legge alla rinuncia all'istanza di accertamento con adesione (ultimo periodo dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218). Rinviando, per le ulteriori argomentazioni oltre che per i corollari che la Suprema Corte ne trae, ai successivi paragrafi, in particolare a quello dedicato agli effetti del verbale di constatazione di mancato accordo, deve in questa sede comunque rilevarsi che la Consulta, prima, e la giurisprudenza di legittimità, poi, hanno statuito quanto innanzi con riferimento a fattispecie non sovrapponibile a quella in esame, in quanto non caratterizzata da condotta abusiva posta in essere in violazione dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti con il fisco. Cass. VI-V, n. 14227/2020 evidenzia che l'unitarietà dell' accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, comporta l'estensione del contraddittorio processuale a tutti i soci ai sensi dell'art. 14 d. lgs. n. 546 del 1992, ma non anche di quello endoprocedimentale, per il quale non sussiste un litisconsorzio necessario analogo a quello processuale. Ne consegue che la proposizione tempestiva dell'istanza di adesione da parte del singolo socio, al quale sia stato notificato l'accertamento riguardante la società, non è idonea a rimettere in termini quest'ultima rispetto all'istanza di adesione dalla stessa non tempestivamente formulata, determinando la definitività dell'accertamento, diversamente da quanto accade invece in caso di tempestiva istanza di adesione proposta dal socio con riguardo al reddito di partecipazione allo stesso imputato per trasparenza, avendo egli, in tal caso, autonomo interesse ad attivare tale modalità alternativa di possibile definizione del contenzioso tributario, ancorché la società non si sia avvalsa della medesima opzione quanto al reddito ad essa contestato. Sempre in tema di istanza del contribuante, Cass. sez. V, n. 29487/2021, che chiarito che in caso di sequestro dell'azienda disposto ai sensi degli artt. 2-ter, 2-sexies e 2-septies, l. n. 575 del 1965 (nel testo applicabile ratione temporis), il contribuente è legittimato ad impugnare gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti, con riferimento ai debiti fiscali già sorti prima del sequestro. Spetta invece al custode giudiziario, per l'intervenuto spossessamento dei beni a carico del contribuente, la legittimazione ad inoltrare all'Agenzia delle entrate l'istanza di accertamento con adesione di cui all'art. 6, d.lgs. n. 218 del 1997, rientrando tale incombente nell'attività di gestione ed amministrazione del complesso aziendale, comprensivo anche dell'attività di salvaguardia dell'integrità patrimoniale e reddituale, per il debito potenzialmente gravante sui beni amministrati, da tutelare nell'ambito dell'accordo negoziale di tipo pubblicistico, rappresentato dal procedimento con adesione. Le condizioni di tempestività dell'istanza del contribuente ai fini dell'effetto sospensivoIl d.lgs. n. 218 non disciplina le modalità di presentazione dell'istanza di definizione mediante accertamento con adesione, che può essere formulata dal contribuente anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi al Giudice tributario (ex artt. 6 e 12 d.lgs. 218). Ne conseguono dubbi interpretativi circa l'individuazione del momento a partire dal quale si realizza l'effetto sospensivo del termine di impugnazione nel caso di spedizione a mezzo posta, oltre che gli altri effetti sospensivi di cui al citato art. 6 (parimenti per l'art. 12 del d.lgs. n. 218). Dalla prassi, l'istanza ex art. 6 del d.lgs. n. 218 spedita a mezzo posta è considerata proposta alla data di spedizione soltanto quando vengano rispettate le modalità per la presentazione del ricorso innanzi al Giudice tributario dall'art. 20 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, cioè mediante spedizione di plico raccomandato senza busta chiusa e con avviso di ricevimento. Ciò difatti garantirebbe la certezza della data dell'invio (perché apposta dall'ufficio postale direttamente sull'atto). In caso di spedizione in busta chiusa, invece, si dovrebbe considerare come data di proposizione il giorno di ricezione da parte del destinatario. In forza del citato art. 20, in particolare, la spedizione del ricorso a mezzo posta deve essere fatta in plico raccomandato senza busta chiusa e con avviso di ricevimento ed in tal caso il ricorso si intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate. riconoscendo al contribuente la possibilità di avvalersi del servizio postale, non ha precisato se in tale evenienza, ai fini della tempestività dell'istanza, assuma rilevanza la data di spedizione della stessa o quella in cui essa perviene all'ufficio competente. Della questione se ne è successivamente occupata l'Agenzia delle entrate-Direzione Regionale della Lombardia-, con la circolare n. 11 del 4 aprile 2001, dopo aver sottolineato che nell'ordinamento giuridico italiano non esiste un principio generale in base al quale sia attribuita rilevanza, ai fini della tempestività di un atto spedito per posta, alla data di spedizione anziché a quella di ricezione (citando Cass. I, n. 9523/1997 e Corte cost., n. 342/1987). Sicché, ha concluso la detta circolare, l'istanza con la quale si sollecita l'Ufficio competente ad attivare il procedimento di accertamento con adesione, spedita per posta entro il prescritto termine, nel caso in cui pervenga all'Ufficio competente quando detto termine sia spirato, deve essere ritenuta senz'altro tardiva e, pertanto, non produttiva dell'effetto sospensivo di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218. In merito è intervenuta la Direzione Centrale dell'Agenzia delle entrate (Circ. Ag. Ent. 8 aprile 2002, n. 28) che, ulteriormente argomentando e specificando quanto evidenziato dalla citata circ. n. 11 del 2001, ha chiarito che l'istanza ex art. 6 del d.lgs. n. 218 spedita a mezzo posta è considerata proposta alla data di spedizione soltanto quando vengano rispettate le modalità di cui all'art. 20 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, cioè mediante spedizione di plico senza busta. Solo ciò garantirebbe la certezza della data dell'invio, perché apposta dall'ufficio postale direttamente sull'atto. In caso di spedizione in busta chiusa, invece, si dovrebbe considerare come data di proposizione il giorno di ricezione da parte del destinatario. La citata Direzione centrale argomenta delle stesse sentenze poste alla base della ricostruzione operata dalla circ. n. 11 del 2001 Tali sentenza metterebbero in luce che, accanto a normative che equiparano la data di spedizione (per posta) della dichiarazione a quella di presentazione (come avviene per i tributi di maggior rilievo), permangono altre norme che non prevedono detta equiparazione. Sicché, in materia di presentazione di dichiarazioni tributarie, non esisterebbe effettivamente un principio di carattere generale tale da attribuire rilievo sempre al momento della spedizione. Prendendo però in considerazione, sempre nel settore tributario, la materia dei ricorsi, non è dubbio, per la Circ. n. 28 del 2002 in esame, che la data di spedizione sia equiparata a quella di presentazione (art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992) ed è altrettanto certo che tale regola valga sia che si tratti di ricorsi giurisdizionali che amministrativi (richiamando Corte cost., n. 121/1985). In conclusione, l'Agenzia delle entrate non ha ravvisato motivi che impediscano di poter considerare tempestiva l'istanza di adesione spedita per posta, entro il suddetto termine di sessanta giorni, purché vengano pienamente rispettate le modalità prescritte dal medesimo art. 20. Ciò in quanto l'istanza di accertamento con adesione deve precedere l'impugnazione dell'avviso di accertamento o di rettifica e dovendo considerare il termine di sessanta giorni per l'impugnazione rispettato anche assumendo quale data del ricorso quella di spedizione (in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, in forza del citato art. 20), stante l'evidente connessione dei due adempimenti. zia delle entrate, poi, che, sulla base di tale interpretazione, anche il termine di sospensione di novanta giorni di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 decorre dalla data (certa) di spedizione dell'istanza e che, nei diversi casi in cui il contribuente non si attenga alle modalità di presentazione già dette (plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento) troverà applicazione la citata Circ. n. 11/2001. Sull'argomento è intervenuta nel 2017 la Suprema Corte, concludendo nel senso per il quale la tempestività dell'istanza di cui agli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218 va determinata, ai fini dell'effetto sospensivo del termine per impugnare l'atto impositivo, con esclusivo riguardo al suo invio entro il sessantesimo giorno dalla notifica di quest'ultimo, a prescindere dalla data di ricezione eventualmente successiva (Cass. V, n. 3335/2017). La data di spedizione dell'istanza, quindi, è il momento determinativo dell'impedimento della decadenza dalla possibilità di avanzare istanza di accertamento con adesione. Non è stata difatti ritenuta condivisibile l'opposta tesi (che si fonda sulla natura recettizia dell'atto) per la quale l'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 farebbe decorrere dalla «presentazione dell'istanza» di accertamento con adesione la sospensione di novanta giorni del termine di impugnazione dell'atto impositivo, con la conseguenza che la tempestività dell'istanza andrebbe riferita solo alla data del pervenimento all'Ufficio. Pur prescindendo dall'applicabilità al caso di specie dell'art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992 fuori dalla sua sfera di riferimento costituita dal processo tributario, la citata Suprema Corte ha desunto la possibilità di rivolgere istanze all'Amministrazione finanziaria a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento dall'art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241 (in particolare dall'art. 3 del d.m. di attuazione n. 678 del 1994, abrogato e sostituito dal d.p.c.m. n. 147 del 2011). La natura recettizia delle istanze, peraltro, non interferirebbe con la diversa problematica del se (quando non sia precluso dalla legge l'invio mediante lettera raccomandata) debba guardarsi, per l'impedimento di una decadenza a carico dell'istante, all'invio della lettera raccomandata. Nel senso di ammettere tale possibilità sovviene difatti il principio per il quale nell'ambito dei rapporti con la P.A., anche di natura fiscale, i termini stabiliti per la presentazione di istanze da parte dei privati sono osservati qualora le stesse siano spedite in tempo utile a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. Conforta in merito altresì il principio generale secondo cui, poiché gli atti impeditivi delle decadenze vengono in considerazione in funzione delle conseguenze suscettibili di determinarsi a carico del diritto che deve essere esercitato, per legge o per contratto, entro un dato termine, il verificarsi dell'effetto impeditivo non può essere subordinato alla ricezione degli atti da parte del destinatario. La qualifica e la disciplina degli atti quali recettizi è difatti correlata ad esigenze di tutela del destinatario non rilevanti dall'angolo visuale di cui trattasi (ove viene in rilievo la tutela della posizione, anche e soprattutto, del mittente interessato ad impedire la decadenza). Fermo restando che l'obbligo della P.A. di provvedere (e qui rileva invece il piano della recettizietà) sorge soltanto con la effettiva ricezione dell'istanza (c.d. principio di scissione degli effetti della comunicazioni e notificazioni ecc. ecc.). In senso contrario all'applicazione dei detti principi generali non sembrerebbero emergono peraltro elementi dalla stessa giurisprudenza di legittimità in merito all'effetto sospensivo che la «presentazione» dell'istanza determina, a norma degli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218, sul termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto impositivo (Cass. V, n. 3335/2017 che fa esplicito riferimento a: Cass. V, n. 18377/2015; Cass. V, n. 13242/2015; Cass. V, n. 3762/2012; Cass. VI, n. 3368/2012 e Cass. V, n. 28051/2009). In senso conforme alla citata sentenza del 2017, circa l'applicazione dei detti principi con riferimento alle notificazioni a mezzo posta in materia processuale civile si veda Cass. III, n. 5967/2005. Con riferimento al contenzioso tributario si veda altresì, ex plurimis, Cass. V, n. 3333/2017, circa il termine decadenziale per la proposizione dell'appello innanzi alla Commissione tributaria regionale. Per tale ultima sentenza, a seguito di Corte cost., n. 477/2001 e di Corte cost., n. 28/2004, che hanno inciso sull'art. 8 della l. 890 del 1982 (poi anche emendato legislativamente), la notificazione a mezzo posta deve ritenersi tempestiva per il notificante al solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge. Rimanendo sempre fermo in ogni caso, per il destinatario, il principio in forza del quale la produzione degli effetti che alla notificazione stessi sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio nei suoi confronti (circa l'applicazione dei detti principi in tema di rimborso della tassa di concessione governativa per l'iscrizione delle società nel registro delle imprese, al fine di verificare la tempestività della relativa istanza in riferimento al termine di decadenza triennale di cui all'art. 13, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, si vedano, ex plurimis: Cass. V, n. 1247/2004; Cass. V, n. 10476/2003 e Cass. V, n. 7920/2003). In senso contrario all'applicazione dei detti principi generali, per Cass. V, n. 3335/2017 , non emergono elementi dalla stessa giurisprudenza di legittimità in merito all'effetto sospensivo che la «presentazione» dell'istanza determina, a norma degli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218, sul termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto impositivo (il rinvio e a: Cass. V, n. 18377/2015; Cass. V, n. 13242/2015; Cass. V, n. 3762/2012; Cass. VI-V, n. 3368/2012; Cass. V, n. 28051/2009). Il riferimento specifico è, in particolare, a Cass. V, n. 17314/2014 la quale, con riferimento all'art. 12 del d.lgs. n. 218, si è già espressa nel senso della rilevanza, ai fini del decorso del termine di sospensione in esame, della spedizione della raccomandata, pur se in busta chiusa e senza avviso di ricevimento, contenente l'istanza di accertamento con adesione Ciò in quanto il citato art. 12 prescrive unicamente la forma scritta (in carta libera e con indicazione del recapito, anche telefonico), disciplinando, solo indirettamente, il termine, per la relativa proposizione («anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi alla Commissione tributaria provinciale» che, ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, è di sessanta giorni dalla notifica dell'atto stesso). Né, del resto, sarebbe ammissibile l'estensione analogica dell'art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha concluso Cass. V, n. 17314/2014 La Suprema Corte ha in particolare argomentato dalla diversa funzione assolta dalla suddetta istanza rispetto al ricorso giurisdizionale, stante il principio di tassatività delle cause di decadenza dall'impugnazione (per il quale si veda anche Cass. II, n. 7352/2006). A ciò ha aggiunto la diversa funzione cui sottende il requisito di foram previsto dal citato art. 20, per la corretta proposizione del ricorso giurisdizionale, rispetto a quello (la sola forma scritta dell'istanza di accertamento con adesione) che quella proposizione del ricorso mira invece ad evitare. Il Giudice di legittimità ha così mostrato di non condividere, sul punto, il parere espresso dalla citata Circ. Ag. Ent. 8 aprile 2002, n. 28 Per quest'ultimo (parere), invece, deriverebbe l'applicazione analogica di una causa di decadenza che, exartt. 22 e 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, è prevista unicamente con riferimento al ricorso giurisdizionale proposto a mezzo posrta che sia stato spedito alla Commissione tributaria provinciale con raccomandata in busta chiusa e priva di avviso di ricevimento (per l'assunto per il quale le circolari dell'Agenzia delle entrate, con le quali l'amministrazione finanziaria interpreti una norma tributaria, anche quando contengano una direttiva agli Uffici gerarchicamente subordinati, sono interpretazione che l'Amministrazione finanziaria fornisce alla norma tributaria, anche quando contengano una direttiva agli Uffici gerarchicamente subordinati, esprimendo solo un parere non vincolante per il contribuente, oltre che per gli stessi Uffici e a fortiori per il Giudice, si vedano, ex plurimis: Cass. V, n. 17314/2014; Cass. V, n. 6699/2014 e Cass.S.U., n. 23031/2007). È successivamente intervenuta Cass. V, n. 18426/2021, per la quale l'istanza di accertamento con adesione spedita a mezzo posta, in busta chiusa e senza avviso di ricevimento, è tempestiva, anche ai fini della decorrenza del termine di sospensione di novanta giorni contemplato dall'art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218/1997, purché l'invio avvenga entro il sessantesimo giorno dalla notifica dell'atto impositivo. Tuttavia, qualora la notificazione dell'istanza non vada a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, quest'ultimo, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla spedizione, deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, in difetto, alcun effetto potendosi riconoscere alla originaria spedizione. La dottrina che ha analizzato l'orientamento di Cass. V, n. 17314/2014 ha mostrato di condividere le argomentazioni della Suprema Corte anche in considerazione del nuovo indirizzo operativo delineato dall'Agenzia delle Entrate. Finalizzato, quest'ultimo, alla diminuzione della conflittualità nei rapporti con il contribuente mediante il diffuso ricorso agli istituti deflattivi del contenzioso (tra i quali proprio l'accertamento con adesione), come ribadito anche nella premessa dalla Circ. Ag. Ent. 6 agosto 2014, n. 25/E, recante gli indirizzi operativi di prevenzione e contrasto dell'evasione per l'anno 2014 (Denaro, 3574 e 3576). Premesso quanto innanzi precisato in merito alla rilevanza della data di spedizione, la Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza in materia di contenzioso tributario, ha altresì chiarito che la spedizione a mezzo posta raccomandata in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all'atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati. Questo principio varrebbe dunque anche in ordine all'istanza ex art. 6, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 218, e, quindi, sembrerebbe potersi aggiungere in qusta sede,, anche con riferimento all'istanza ex art. 12 del medesimo decreto (Cass. V, n. 3335/2017). Tale orientamento effettivamente mutua quello di legittimità in materia di contenzioso tributario e proprio con particolare riferimento all'art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992. Il riferimento è a Cass. V, n. 15309/2014 per la quale, nel processo tributario, la spedizione del ricorso o dell'atto d'appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all'atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta, come invece previsto dal citato art. 20, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati Essendo comunque onere del ricorrente o dell'appellante dare la prova dell'infondatezza della contestazione formulata (in senso conforme Cass. V, n. 19864/2016, oltre che le precedenti: Cass. V, n. 13666/2009, con riferimento all'atto d'appello, e Cass. V, n. 17702/2004, in ordine al ricorso introduttivo). In senso sostanzialmente conforme alle conclusioni alle quali è pervenuta Cass. V, n. 3335/2017, sempre con riferimento all'istanza di cui al citato art. 6, per la giurisprudenza di merito antecedente si veda Comm. trib. reg. Milano 20 marzo 2012, n. 40. Essa, in applicazione analogica dell'art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha affermato che l'invio dell'istanza in busta, in luogo del plico senza busta, configura una mera irregolarità che, in mancanza di contestazione sul relativo contenuto, non impedisce l'operatività del principio per il quale un atto spedito a mezzo del servizio postale si intende presentato da parte dell'istante al momento della spedizione in forza del principio di scissione degli effetti delle comunicazioni. Da ultimo, l'orientamento di legittimità di cui innanzi, circa (le condizioni di rilevanza) della data di spedizione, potrebbe ritenersi ulteriormente sviluppato daCass. S.U., n 13452/2017eCass. S.U., n. 13453/2017, i cui principi di diritto, pur se relativi ad ipotesi non sovrapponibile a quella in esame, potrebbero ritenersi suscettibili di applicazione al caso de quo. La Suprema Corte, difatti, ha chiarito che, nel processo tributario, non costituisce motivo d'inammissibilità del ricorso (o dell'appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l'appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l'avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione Ciò a condizione che nell'avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall'ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l'avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione. In loro mancanza, invece, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull'avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell'appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall'agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto (o della sentenza). La dottrina che ha commentato l'arresto di legittimità di Cass. V, n. 3335/2017mostra di condivide la tesi per la quale l'istanza di accertamento con adesione inviata a mezzo posta si considera presentata al momento della spedizione, ai fini della tempestività della stessa, con riferimento al termine implicito costituito dal termine di impugnazione dell'atto impositivo (sessanta giorni dalla notifica di quest'ultimo, ex art. 21 del d.lgs n. 546 del 1992) oltre che ai fini del prodursi dell'effetto sospensivo di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218. Tali conclusioni sono in particolare ritenute coerenti con la regola di diritto vivente per la quale la notificazione a mezzo posta deve ritenersi tempestiva per il notificante al solo compimento delle formalità direttamente impostegli dalla legge. Pur restando fermo, per il destinatario, il principio per il quale la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio nei suoi confronti. A ciò si aggiunge che il detto principio risulta positivizzato nell'art. 16, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale dispone che qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione ed i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l'atto è ricevuto (Cancedda, 1087 e 1089). L'istanza, in ogni caso, deve essere presentata prima dell'impugnazione dell'avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale e l'impugnazione dell'atto nel corso del procedimento di adesione comporta rinuncia all'istanza. Stante il tenore letterale della norma ed avuto riguardo al combinato disposto degli art. 18, comma 1, e 20, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, si ritiene che qualora il contribuente notifichi il ricorso all'Ufficio competente ma nei successivi trenta giorni non si costituisca in giudizio, l'eventuale presentazione dell'istanza di adesione non dovrebbe impedire l'apertura del contraddittorio. Ciò in considerazione del fatto che l'adempimento della costituzione in giudizio è richiesto a pena di inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza alcuna possibilità di sanatoria. Deve ritenersi, infatti, che il momento fattuale e temporale in cui si concretizza l'eventuale causa ostativa della presentazione del ricorso si verifichi con l'iscrizione della causa a ruolo,giacché, sino a quel momento, non si è concretamente e formalmente incardinato alcun procedimento giurisdizionale (Fusconi, 1569 e 1571). Il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio di cui innanzi, nel caso di notificazione mediante servizio postale universale, comunque, deve ritenersi decorrente non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario o dall'evento che la legge considera equipollente alla ricezione (Cass.S.U., n. 13452/2017 e Cass.S.U., 13453/2017). La (non) applicabilità al termine di sospensione del principio della proroga di diritto ex art. 155 c.p.c.Al termine di sospensione relativo alla procedura di accertamento con adesione, qualora scadente in giorno festivo, non è applicabile il principio della proroga di diritto al successivo giorno non festivo, di cui all'art. 155 c.p.p. Ciò è statuito da Cass. V, n. 2278/2017, pur nondisconoscendo il carattere di principio generale della proroga della scadenza di un termine, che cade in giorno festivo, al successivo giorno non festivo (di cui agli artt. 155, comma 4, c.p.c. e 2963, comma 3, c.c.). Per converso, nel confermarlo, ne ha circoscritta l'applicabilità in termini coerenti con contenuto e ratio del principio stesso, che attiene alla scadenza di un termine, mentre nella fattispecie in esame trattasi dell'inizio del decorso del termine (ad esempio quello per impugnare l'avviso originario) o dell'ulteriore decorso alla fine di un periodo di sospensione. La presentazione dell'istanza di definizione con le forme dell'accertamento con adesione (artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218), difatti, non comporta l'inefficacia dell'avviso ma solo la sospensione del termine di impugnazione per un periodo di novanta giorni. Spirato taleSpatium deliberandi, senza che sia definita la procedura in esame, l'avviso diviene definitivo se non impugnato nel residuo termine. Tale termine di sospensione, peraltro, non è dissimile da quello per il normale consolidamento del silenzio rifiuto (art. 2 l. n. 241 del 1990 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992), dovendosi quindi considerare coerente con l'ordinamento generale ritenere tacitamente rigettata l'istanza di accertamento con adesione una volta che sia spirato quel termine dalla presentazione dell'istanza senza che l'Ufficio abbia risposto (Cass. VI-V, 15401/2017; Cass. V, n. 2278/2017; Cass. V, n. 993/2015; Cass. V, n. 28051/2009). La tesi di cui innanzi, come esplicitato dalla stessa Suprema Corte, non è tale da negare l'assunto per il quale il termine di sospensione in oggetto avrebbe la finalità di garantire un concreto spatium deliberandi, in vista dell'accertamento con adesione. La finalità sottesa alla sospensione non è difatti tale da rendere l'ultimo giorno del detto spatium un termine finale, cioè un termine la cui scadenza determini l'acquisto o la perdita di un diritto o la decadenza dall'esercizio di una facoltà. Sicché, non ricorre la ragione giustificatrice dell'applicazione dell'art. 155, comma 4, c.p.c., di consentire al titolare del diritto o della facoltà un estremo atto di esercizio che non sarebbe possibile se l'ultimo giorno cadesse in giorno festivo (Cass. V, n. 2278/2017, che, sul punto, richiama l'orientamento di legittimità in merito al computo dei termini di sospensione feriale ed alla non applicabilità del principio della proroga di diritto al giorno non festivo; per il concetto di termine finale si veda anche Cass. IV, n. 1000/1993, mente per la ratio del principio della proroga al giorno non festivo si vedano anche: Cass. III, n. 6242/1981; Cass. III, n. 5864/1982 e Cass. III, n. 12944/1995). Istanza del contribuente e sospensione del termine di impugnazioneLa sospensione del termine di impugnazione (art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992), conseguente alla presentazione dell'istanza di formulazione della proposta di accertamento con adesione (artt. 6, comma 3 e 12 d.lgs. n. 218), opera per l'atto impositivo oltre che con riferimento al provvedimento sanzionatorio. Ciò in caso di contestazione dell'illecito tributario, anche se adottato e notificato con atto separato dall'avviso di accertamento, ove, trattandosi di una violazione sostanziale, la condotta risulti strumentale all'inadempimento dell'obbligazione tributaria (Cass. V, n. 18377/2017). Cass. V, n. 18377/2017 ha motivato in particolare in forza dell'interpretazione logico-sistematica del complesso normativo disciplinante il procedimento di accertamento con adesione, di cui al d.lgs. n. 218, letto alla luce della ratio legis dell'istituto Ravvisando quest'ultima nella risoluzione preventiva di conflitti potenziali con i contribuenti tale da assicurare un'entrata certa ed immediata all'Erario ed evitare inutile esercizio di attività amministrativa e difficoltà connesse ai tempi del contenzioso. L'argomento logico si fonda sulla considerazione della circostanza per la quale la contestazione dell'illecito si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con l'accertamento dell'imposta, sicché, il procedimento di definizione dell'accertamento con adesione del tributo non potrebbe non involgere anche la sanzione. Tale relazione di pregiudizialità necessaria tra l'accertamento dell'obbligazione d'imposta e la fattispecie illecita correlata all'imposta evasa trova peraltro riconoscimento in termini, più generali, nella stessa giurisprudenza di legittimità che ha affermato l'obbligo del giudice di merito di sospensione necessaria del processo avente ad oggetto l'impugnazione dell'atto irrogativo della sanzione tutte le volte in cui la condotta illecita dipenda dall'accertamento dell'inadempimento dell'obbligazione tributaria (sul punto si veda Cass. S.U., n. 14814/2008). A supporto delle argomentazioni logiche di cui innanzi possono porsi riscontri di tipo sistematico nelle disposizioni del d.lgs. n. 218, inerenti gli effetti della procedura con riferimento alle sanzioni. In particolare, l'art. 5, comma 2, ricollega alla definizione del procedimento con adesione l'applicazione delle sanzioni comminate per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione, commesse nel periodo di imposta, nonché per le violazioni concernenti le dichiarazioni relative allo stesso periodo, in misura ridotta (parimenti l'art. 5-bis, successivamente abrogato, con riferimento al caso di adesione a verbale di constatazione). L'art. 15 dello stesso decreto prevede poi la riduzione delle sanzioni irrogate per le violazioni indicate nel precedente art. 2, comma 5, nel caso di rinuncia da parte del contribuente ad impugnare l'avviso notificatogli ed a presentare istanza di accertamento con adesione. Tali ultime precisazioni di ordine sistematico hanno altresì portato la citata Suprema Corte a chiarire che il nesso di interdipendenza debba essere accertato in concreto, ricorrendo un nesso di pregiudizialità tra debito d'imposta ed illecito finanziario non in assoluto ma soltanto nel caso in cui la condotta illecita si rifletta direttamente sull'inadempimento dell'obbligazione tributaria essendo quindi strumentale ad esso. Tale ultima ipotesi si verifica in ogni caso di violazioni c.d. «sostanziali», definibili «a contrario» rispetto alla definizione delle «violazioni meramente formali» (contenuta nell'art. 6, comma 5-bis, del d.lgs. n. 472 del 1997 ed introdotta dall'art. 7 del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32). Queste ultime difatti non sono punibili e rispondono a due concorrenti requisiti del non arrecare pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo (si veda, ex plurimis, per la distinzione tra le violazioni sostanziali e quelle formali ed in merito ai due requisiti caratterizzanti le seconde, Cass. V, n. 5897/2013; per il riscontro della detta distinzione nella giurisprudenza comunitaria e dell'Unione europea si vedano: Corte di giustizia CE, Sosnowska, C-25/07; Corte di giustizia CE, Ecotrade, C-95/07 e C-96/07-; Corte di giustizia UE, EMS-Bulgaria Transport, C-284/11). La ricostruzione sistematica ben si concilia poi con la ratio legis del procedimento di accertamento con adesione, avuto riguardo agli effetti benefici di cui può fruire il contribuente aderente: Tra essi si collocano in maniera precipua la riduzione delle sanzioni collegate al tributo e ciò impone di ricondurre nella disciplina sospensiva del termine di decadenza per l'impugnazione anche il provvedimento sanzionatorio, ancorché adottato e notificato separatamente dall'avviso di accertamento, sempre che la violazione contestata integri una condotta materiale strumentale all'evasione dell'imposta accertata. Le argomentazioni logico-sistematiche di cui innanzi resistono peraltro al mero argomento letterale di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 218 che, nell'individuazione dell'ambito oggettivo di operatività dell'istituto in esame fa riferimento all'«accertamento delle imposte». Tale norma difatti si limita a definire il perimetro di applicazione dell'«adesione» del contribuente, secondo le disposizioni dello stesso d.lgs. n. 218, in base al criterio oggettivo della natura del tributi. A ciò Cass. V, n. 18377/2017 ha aggiunto che se interpretata letteralmente, nel senso di escludere i provvedimenti sanzionatori delle violazioni relative ai tributi ricadenti nell'ambito di applicazione dell'accertamento con adesione, il citato art. 1 desterebbe dubbi di legittimità costituzionale per ingiustificata disparità di trattamento, nell'applicazione del medesimo «procedimento di accertamento con adesione». Essa si riscontrerebbe tra i contribuenti cui è notificato un atto impositivo contestuale alla sanzione e quelli invece ai quali sono notificati atti separati, onerati della previa proposizione dell'opposizione all'atto di contestazione dell'illecito, esclusivamente al fine di poter richiedere la riduzione della sanzione in esito al procedimento di adesione. Il detto onere di introduzione del giudizio integrerebbe un adempimento non richiesto dal procedimento di cui al d.lgs. n. 218, tale da innescare un inutile contenzioso, con pregiudizio ai principi costituzionali di pari trattamento di situazioni identiche e di efficienza dell'azione amministrativa (artt. 3 e 97 Cost.). Il connesso problema dell'atto sanzionatorio separato dall'avviso di accertamento origina dalla «facoltà» attribuita all'Ufficio finanziario dall'art. 17, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (conv. con modif. dalla l. 15 luglio 2011, n. 111), di emettere un provvedimento impositivo distinto dal «collegato» provvedimento irrogativo di sanzione, notificati separatamente al contribuente (il detto d.l. n. 98 del 2011 ha poi reso unitari i provvedimenti di accertamento e di applicazione della sanzione). Tale facoltà, però, ha chiarito la Suprema Corte, non è di ostacolo alla riconducibilità dell'effetto sospensivo del termine di impugnazione ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 ad entrambi gli atti collegati. A ciò si aggiunga la considerazione per la quale la non contestualità dell'avviso di accertamento e del provvedimento sanzionatorio determina l'applicazione della disciplina ordinaria di irrogazione della sanzione (art. 16 del d.lgs. n. 462 del 1997). Essa impone all'Ufficio la previa notifica al contribuente dell'atto di contestazione dell'illecito tributario (a differenza della fattispecie di cui al successivo art. 17, per la quale è prevista la irrogazione della sanzione «senza contestazione»). In caso di mancata definizione agevolata della controversia (comma 3, art. 16 cit.), tale disciplina peraltro consente al contribuente di produrre, nel termine di impugnazione dell'atto, «deduzioni difensive» volte a contestare l'esistenza o gli elementi costitutivi dell'illecito (comma 4, art. 16 cit.), insorgendo in tal modo l'obbligo dell'Ufficio di provvedere, motivando a pena di nullità anche in ordine a tali deduzioni – comma 7, art. 16 cit. (in questi termini Cass. V, n. 18377/2017, per la quale l'istanza di formulazione della proposta di accertamento con adesione presentata in relazione all'avviso di accertamento ed al collegato atto di contestazione dell'illecito, in quanto rivolta a conseguire anche il beneficio della riduzione della sanzione, deve ritenersi pienamente idonea ad assolvere contestualmente tanto la funzione di atto di iniziativa del procedimento di accertamento con adesione, ex artt. 6, comma 1 e 2, e 12 del d.lgs. n. 218, quanto la funzione di atto di «deduzioni difensive», di cui all'art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 462 del 1997). In senso nettamente difforme si è invece espressa la successiva Cass. V, n. 20864/2020. Tale ordinanza, in particolare, esclude che l'istituto dell'accertamento per adesione in esame trovi applicazione nel caso di atto di contestazione delle sanzioni, anche se emesso contestualmente ad un avviso di accertamento relativo ai tributi cui le sanzioni si riferiscano, sicché l'eventuale proposizione. Per un primo commento alla detta statuizione si veda Russo, Atto di contestazione delle sanzioni escluso dal procedimento di adesione, in Il fisco, 2020, 40, pag. 4088 e ss. L'autore, dopo aver dato atto del contrasto nella giurisprudenza di legittimità segnato dalla citata ordinanza del 2020, evidenzia, da un punto di vista processuale, che la proposizione di due ricorsi, uno contro l'atto impositivo e l'altro contro l'atto di contestazione delle sanzioni, comporta che la decisione della causa accessoria (sulla irrogazione della sanzione) dipenderà dall'esito della causa principale (sulla sussistenza della fondatezza dell'accertamento), nel senso che l'accertamento negativo della violazione esclude la possibilità di applicare la sanzione, il che equivale a dire che la pregiudizialità di carattere sostanziale tra le due pretese si traduce in una pregiudizialità di carattere processuale che pur condiziona l'esito del giudizio dipendente. Sempre circa l'effetto sospensivo, invero con riferimento all'intera disciplina dell'accertamento con adesione Cass. V, n. 18397/2020, ha chiarito che l'art. 6, commi 2 e 3, d.lgs. n. 218 del 1997, è applicabile solo ove l'istanza di accertamento con adesione sia presentata nei confronti di un atto accertativo e non anche a seguito di liquidazione exart. 36 bis, d.P.R. n. 600 del 1973, non essendo questa fondata su una ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, ma su un mero controllo formale effettuato con procedure automatizzate. La dottrina concorda con l'orientamento di legittimità di cui innanzi, riconoscendo un nesso di stretta pregiudizialità tra l'accertamento dell'imposta dovuta da parte del contribuente e la contestazione dell'illecito, al quale consegua l'irrogazione della relativa sanzione, in tutti i casi in cui la condotta punibile sia strumentale all'inadempimento dell'obbligazione tributaria ed anche nel caso di dissociata emissione e notifica di tali atti. Si concorda in particolare con tutte le argomentazioni sottese all'iter logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte e si aggiunge che l'attuale previsione normativa (art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, come modificato dal d.l. n. 98 del 2011), rendendo unitari i provvedimenti (l'accertamento e quello di applicazione della sanzione), da un lato conferma la correttezza delle dette argomentazioni e dall'altro elimina i problemi che, sul piano pratico determinava il riconoscimento della facoltà per gli Uffici finanziari di emissione di un atto di accertamento o di rettifica separato dal collegato atto di irrogazione della misura punitiva (Dami, 145). Dal punto di vista processuale, poi, la proposizione di due ricorsi, uno contro l'atto impositivo e l'altro contro l'atto di contestazione della sanzione, comporterebbe che la decisione della causa accessoria, cioè quella avente ad oggetto l'irrogazione della sanzione, dipenderebbe dall'esito della causa avente ad oggetto la sussistenza della fondatezza dell'accertamento, in quanto l'accertamento negativo della violazione escluderebbe la possibilità di applicazione della sanzione. La pregiudizialità di carattere sostanziale tra le due pretese si tradurrebbe difatti in una pregiudizialità di carattere processuale, con conseguente condizionamento dell'esito del giudizio dipendente da parte della decisione pregiudiziale. Quanto detto, sempre per la dottrina in esame, onde evitare il rischio di confitti di giudicati, comporterebbe la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., con conseguente prolungamento dei tempi processuali, nel caso in cui non fosse possibile realizzare il simultaneus processus, ad esempio per non essere consentita la riunione a causa della inderogabilità delle regole sulla competenza ovvero per la diversa fase in cui si trovano i procedimenti per cause connesse o per altre ragioni (Russo, 3781, 3785 e 3786). In caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. V , n. 27274/2019). In mancanza di definizione consensuale mediante l'adesione, difatti, solo la formale ed irrevocabile rinuncia del contribuente all'istanza interrompe il termine di sospensione di novanta giorni, previsto per impugnare dagli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218/1997, essendo esso volto a garantire uno spatium deliberandi in vista dell'accertamento stesso (Cass. V, n. 3278/2019). Cass. VI-V, n. 14227/2020 evidenzia che l'unitarietà dell'accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, comporta l'estensione del contraddittorio processuale a tutti i soci ai sensi dell'art. 14 d. lgs. n. 546 del 1992, ma non anche di quello endoprocedimentale, per il quale non sussiste un litisconsorzio necessario analogo a quello processuale. Ne consegue che la proposizione tempestiva dell'istanza di adesione da parte del singolo socio, al quale sia stato notificato l'accertamento riguardante la società, non è idonea a rimettere in termini quest'ultima rispetto all'istanza di adesione dalla stessa non tempestivamente formulata, determinando la definitività dell'accertamento, diversamente da quanto accade invece in caso di tempestiva istanza di adesione proposta dal socio con riguardo al reddito di partecipazione allo stesso imputato per trasparenza, avendo egli, in tal caso, autonomo interesse ad attivare tale modalità alternativa di possibile definizione del contenzioso tributario, ancorché la società non si sia avvalsa della medesima opzione quanto al reddito ad essa contestato. Cass. V, n. 2923/2023 ha chiarito che la sospensione del termine di impugnazione ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997 è applicabile anche se l'istanza di accertamento con adesione è presentata dal socio (e/o dal liquidatore) di una società di capitali estinta, al quale l'amministrazione finanziaria contesti la responsabilità per i debiti tributari sociali ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in quanto l'atto impositivo, indipendentemente dalla definitività dell'avviso di accertamento eventualmente notificato alla società e non impugnato, ha natura accertativa della menzionata responsabilità. Cumulabilità della sospensione di cui al procedimento di accertamento con adesione con quella ferialeNel caso in cui nel periodo di sospensione feriale dei termini (processuali), exl. 7 ottobre 1969, n. 742, sia pendente o inizi a decorrere il termine di sospensione di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 (o di cui al successivo art. 12) sorge il problema della loro «cumulabilità», risolto dalla giurisprudenza di legittimità con decisioni non collimanti (talune antitetiche), pur argomentando tutte dalle diverse rationes sulle quali dette previsioni sono fondate, ed allo stato non approdato alle Sezioni Unite. Allo stato il problema sembrerebbe risolto in forza dell'art. 7-quater aggiunto al d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, in sede di conversione dalla l. 1 dicembre 2016, n. 225, in vigore dal successivo 3 dicembre 2016. Ai sensi di tale articolo, difatti, i termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione « si intendono cumulabili » con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale. In ordine a tale norma, introdotta in sede di conversione, non sono previste disposizioni transitorie, con conseguenti possibili problematiche applicative, collegate alla natura del termine (sostanziale o processuale). Ciò anche in considerazione della terminologia utilizzata dal legislatore, per la quale «... i termini ...si intendono cumulabili...». Essa potrebbe difatti destare dubbi interpretativi in merito ad una sua eventuale portata, con quanto ne conseguirebbe circa la sua applicabilità a fattispecie antecedenti all'entrata in vigore della l. n. 225/2016. Ne consegue l'attualità dell'importanza del dibattito dottrinal-giurisprudenziale in merito alla detta cumulabilità, formatosi antecedentemente all'intervento legislativo del 2016 e che, anzi ne è stato «causa». Cass. V, n. 2682/2011 sembrerebbe propendere per la tesi affermativa, non essendo previsto da alcuna norma di legge il divieto della cumulabilità delle sospensioni, né a tale cumulo osta alcuna altra ragione di opportunità essendo diverse le rationes sulle quali dette previsioni sono fondate. A titolo esemplificativo la Suprema Corte ricorda che la sospensione di cui al citato art. 6, comma 3, si fonda sulla necessità di dare al contribuente un ragionevole lasso di tempo per valutare la convenienza di aderire al “concordato” tributario, dopo aver esaminato il carattere di decisività degli elementi posti a base dell'accertamento e dell'opportunità di evitare una contestazione giudiziaria (per la ratio si veda anche Cass. V, n. 28051/2009). Per converso, la sospensione feriale, prevista dalla l. n. 742 del 1969, è ispirata all'irrinunciabilità del diritto alle ferie. Muovendo sempre dalla diversità di funzioni la stessa sentenza ritiene altresì cumulabile la sospensione di cui all'art. 6, coma 3, del d.lgs. n. 218 con quella prevista della l. 27 dicembre 2002, n. 289 (decorrente dall'1 gennaio 2003 al 18 aprile 2003) Quest'ultima, difatti, è finalizzata a non distogliere i funzionari dell'Amministrazione finanziaria dall'esame delle pratiche di definizione agevolata con altre diverse incombenze (nel senso della cumulabilità con la sospensione feriale, ancorché senza argomentare in merito, si esprimono anche Cass. V, n. 11403/2015 e Cass. V, n. 10360/2015). Cass. VI, n. 11632/2015 dà atto dell'orientamento espresso dal citato precedente del 2011, non condividendolo con dichiarazione espressa di volersi da esso discostare. Il detto orientamento è poi seguito anche da Cass. VI, n. 7995/2016 che, al pari della statuizione del 2015, argomenta dalla natura non giurisdizionale-processuale del termine di sospensione in esame (nello stesso senso delle conclusioni assunte da Cass. V, n. 11632/2015, circa la non cumulabilità, si vedano, nella giurisprudenza di merito: Comm. trib. reg. Perugia 29 novembre 2013, n. 202; Comm. prov. Pescara 26 giugno 2009, n. 190, la quale argomenta dalla natura amministrativa e non giurisdizionale-processuale del procedimento di accertamento con adesione). La Suprema Corte in particolare evidenzia che la giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere inapplicabile la sospensione dei termini per il periodo feriale ai procedimenti non giurisdizionali. Essa, in questa direzione, ritiene che si sia ormai stabilmente affermato il principio in forza del quale la sospensione del termine per l'impugnazione degli atti d'imposizione tributaria, prevista dall'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, sia volta a garantire un concreto spatium deliberandi in vista dell'accertamento con adesione (il cui esperimento resta, appunto, consentito) e che vada riferita al relativo procedimento, avente natura amministrativa (per la natura amministrativa ex plurimis: Cass. V, n. 28051/2009). Sulla scorta dell'evidenziata ratio, prosegue il Giudice di legittimità, è difatti esclusa anche la cumulabilità della sospensione di cui al d.lgs. n. 218 con quella prevista in tema di condono dall'art. 15 della l. n. 289 del 2002, in quanto la sospensione prevista dalla legge sul condono incide sui tempi per la proposizione del ricorso giurisdizionale in concordanza con il tempo concesso per il perfezionamento della definizione agevolata. La non cumulabilità in oggetto sarebbe poi coerente alla non cumulabilità della sospensione dei termini feriali con quelli di cui all'art. 16 della l. n. 289 del 2002 (affermata da: Cass. V, n. 16876/2014; Cass. V, n. 16877/2014; Cass. V, n. 10741/2014; Cass. V, 23576/2012; Cass. V, n. 5924/2010; Cass. V, n. 14898/2007; circa i rapporti tra accertamento con adesione e definizione agevolata di cui innanzi si veda anche Cass. V, n. 15877/2016, per la quale la definizione automatica degli anni pregressi – c.d. «condono tombale» –, prevista dall'art. 9 della citata l. n. 289 del 2002, presuppone l'assenza di qualsivoglia attività accertativa da parte dell'Amministrazione, con la conseguente preclusione della detta definizione nel caso di notifica di un invito al contraddittorio finalizzato all'accertamento con adesione, salvo che si perfezioni la definizione ex artt. 15 e 16 della l. n. 289 del 2002, non potendosi equiparare al perfezionamento la conclusione con esito negativo di tali procedimenti; nello stesso senso di cui innanzi si vedano altresì, ex plurimis: Cass. V, n. 8616/2011 e Cass. V, n. 8618/2011). Tale orientamento sembra però contrastare con altre statuizioni coeve dalla Suprema Corte, che invece concludono in senso diametralmente opposto, oltre che difforme dalla prassi. Come già evidenziato, Cass. V, n. 11403/2015, difatti, ancorché incidentalmente e senza argomentare a riguardo, ritiene che in relazione alla sospensione dei novanta giorni in esame occorra avere riguardo anche alla sospensione feriale dei termini per la proposizione dell'impugnazione (in senso conforme anche Cass. V, n. 10360/2015). La prassi già contraria al detto arresto di legittimità è invece ulteriormente ribadita successivamente al detto orientamento contrario. La risoluzione del Ministero delle finanze dell'11 novembre 1999, n. 159/E, difatti, aveva già ritenuto rientrante nell'ambito applicativo dell'art. 1 della l. n. 742 del 1969, il periodo di sospensione di novanta giorni di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, per logica connessione con i termini processuali. Per essa, in particolare, i due periodi di sospensione in argomento non possono che applicarsi cumulativamente. Ciò in quanto hanno diverse finalità, collegata al periodo in cui ricadono i termini processuali, quella feriale, e connessa ad un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione, quella dei novanta giorni. Sicché, il periodo di sospensione feriale sarebbe applicabile ogni qual volta il periodo di sospensione di novanta giorni ricada, come termine iniziale o come termine finale, nell'arco temporale di sospensione feriale, come anche nell'ipotesi in di ricomprensione del periodo feriale in quello dei novanta giorni. Ne conseguirebbe che l'atto di adesione potrebbe validamente intervenire entro il termine ultimo di impugnazione, per la cui determinazione deve correttamente tenersi conto sia dell'intero periodo di sospensione di novanta giorni sia dell'eventuale periodo di sospensione feriale (orientamento ribadito da Circ. Ag. Ent., 27 giugno 2001, n. 65/E). Questo orientamento della prassi è stato pi ribadito dinanzi alla sesta commissione permanente (finanze) della Camera dei deputati, nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-06008 del 9 luglio 2015. Nella detta sede si è difatti precisato che le previsioni normative di cui all'art. 6, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 218 sono da interpretare in combinato disposto con l'art. 1 della l. n. 742 del 1969, in quanto, la prima delle due disposizioni, richiamando espressamente i termini per le impugnazioni, contiene un rinvio implicito alla sospensione feriale poiché i termini processuali, quelli il cui decorso è sospeso nel periodo feriale, sono sospesi per novanta giorni in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione. Il ministero delle finanze ha preso anche posizione sulla tesi, che si rinviene nella motivazione di Cass. VI, n. 11632/2015, secondo la quale la sospensione dei termini per il periodo feriale sarebbe inapplicabile ai procedimenti non giurisdizionali ha in particolare sottolineato che il nuovo testo dell'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, in materia di reclamo e mediazione, renderebbe invece evidente la volontà del legislatore di riconoscere l'applicazione della sospensione dei termini feriali anche quando si attivino procedimenti che, seppur di natura amministrativa, risultino collocarsi in una fase prodromica a quella squisitamente processuale (per i riferimenti di cui innanzi si veda Annecchino, 261 e 262, il quale evidenzia che, per la giurisprudenza di merito, nel senso della tesi della non cumulabilità si esprime Comm. trib. prov. Pescara 26 giugno 2009, mentre in senso contrario Comm. trib. reg. Lombardia 31 ottobre 2011, Comm. trib. reg. Toscana 13 maggio 2011, Comm. trib. reg. Puglia 10 giugno 2005 e Comm. trib. prov. Salerno 10 luglio 2001 – rinvenibili in def.finanza.it). In dottrina, molto critica verso la tesi della non cumulabilità sostenuta da Cass. V, n. 11632/2015, si precisa che il precedente arresto di Cass. V, n. 2682/2011 non costituisce precedente contrario a quello del 2015 innanzi citato (non trovando quindi esplicita smentita in quest'ultimo). Dalla motivazione si evincerebbe difatti che la Suprema Corte nel 2011 interviene in un caso in cui il termine di novanta giorni, decorrente dalla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione, era scaduto, mentre il (residuo del) termine di sessanta per impugnare (di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992) era pendente all'1 agosto. Al contrario, sempre per la voce dottrinale in esame, espliciti precedenti contrari a quello del 2015 sarebbe rappresentato da Cass. V, n. 11403/2015 e Cass. V, n. 10360/2015, che, pur senza soffermarsi sulle ragioni di tale soluzione, danno per scontata l'applicazione della sospensione feriale al termine di novanta giorni decorrente dalla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione (Annecchino, 261 e 262, il quale evidenzia che il problema della cumulabilità delle due sospensioni si pone nel caso in cui nel periodo di sospensione feriale sia pendente il termine di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, non essendo messa in discussione la possibilità di tale cumulo tutte le volte in cui il termine di novanta giorni sia spirato prima dell'inizio del periodo di sospensione feriale o dopo ovvero quando esso inizi a decorrere dopo il momento finale della sospensione feriale; lo stesso autore da ultimo citato evidenzia che altra dottrina ritiene invece che Cass. V, n. 2682/2011 costituisca precedente contrario a Cass. V, n. 11632/2015, indicando esplicitamente Russo, 3785). Criticano poi la tesi della non cumulabilità coloro i quali evidenziano che, nella sostanza, l'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 disciplini un termine processuale (quello per impugnare) stabilendone la proroga per un numero fisso e invariabile di giorni per effetto della mera proposizione dell'istanza di accertamento con adesione. Questo termine maggiorato, proprio a cagione della sua natura indiscutibilmente processuale, deve formare oggetto di sospensione feriale. Si evidenzia altresì che Cass. VI-V, n. 11632/2015 fonderebbe la propria interpretazione su un presupposto inespresso e su un dato nominalistico, quello di cui al citato art. 6, così finendo per privilegiare una interpretazione formale ad una sostanziale. Quanto al presupposto inespresso, la Suprema Corte sembrerebbe argomentare dal detto articolo la sussistenza di un termine amministrativo di novanta giorni per concludere l'accertamento con adesione e, corrispondentemente, la sospensione del termine per impugnare in pendenza del termine amministrativo. Per converso, per la tesi in esame, argomentando da Corte cost. n. 140 del 2011, il termine per l'accertamento con adesione non sarebbe solo di novanta giorni, altrimenti la procedura dovrebbe svolgersi e concludersi necessariamente nei novanta giorni, ma così non è, come chiarito dalla Consulta.Essa ha difatti precisato che il termine per impugnare l'avviso di accertamento subisce, in presenza di una istanza di accertamento con adesione, una dilatazione di novanta giorni. Sicché, non esisterebbe un termine amministrativo per la definizione dell'accertamento con adesione che sospende il termine per impugnare, in quanto la definizione potrebbe avvenire fino a quando penda l'unico termine espressamente disciplinato, che è quello per proporre ricorso, il quale è dilatato ex art. 6, comma 3. A ciò tale dottrina aggiunge che, quella di cui al citato art. 6, comma 3, sarebbe, nella sostanza, una proroga, in quanto la differenza tra sospensione e proroga si annulla nel caso, quale quello di specie, nel quale la durata della sospensione sia fissa ed immodificabile, come chiarito dalla Consulta, e nel caso in cui durante il termine di sospensione possa essere compiuto l'atto che impedisce la decadenza dal termine. Ne consegue, alla strega di questo diverso inquadramento sistematico, che l'art. 6, comma 3, disciplinerebbe un termine processuale (quello per impugnare), stabilendone la proroga per un numero fisso e invariabile di giorni per effetto della mera proposizione dell'istanza di accertamento con adesione. Tale temine maggiorato, proprio a cagione della sua natura indiscutibilmente processuale, deve formare oggetto di sospensione (Fransoni, 2015, 57, il quale evidenzia anche gli effetti dannosi della tesi della non cumulabilità ed aggiunge che l'interesse che si vorrebbe tutelare con essa – contrastare comportamenti dilatori – non sarebbe comunque perseguito qualora il contraente avesse l'accortezza di proporre istanza di accertamento con adesione in modo da non far sovrapporre i termini). La sospensione feriale dei termini processuali provocherebbe in sostanza «una sospensione della sospensione», senza che ciò significhi, come sostenuto dalla Suprema Corte, applicare la sospensione feriale ad un procedimento amministrativo (Stevanato, 2015, 2572). Solo due giorni prima di Cass. VI, n. 11632/2015, peraltro, è depositata Cass. V, n. 11403/2015, la quale, ancorché incidenter tantum, stabilisce che in relazione alla sospensione dei novanta giorni ex d.lgs. n. 218 è necessario considerare anche la sospensione feriale dei termini per la proposizione dell'impugnazione. Sicché, il repentino mutamento di orientamento della Suprema Corte (attuato con Cass. VI-V, n. 11632/2015) non sembrerebbe così convinto e neppure convincente, tant'è che la stessa amministrazione finanziaria ripetutamente argomenta in senso contrario. Tale divergenza tra giurisprudenza e prassi, peraltro, potrebbe ledere il legittimo affidamento del contribuente agli indirizzi del fisco, tutelato dall'art. 10 della l. n. 212 del 2000 (c.d. statuto dei diritti del contribuente). Ne conseguirebbe, per parte della dottrina, la certa invocabilità in sede contenziosa del leso affidamento, qualora emergessero eccezioni circa la non cumulabilità delle sospensioni di cui trattasi, a differenza, appunto, di quanto sempre sostenuto dal fisco (in tali termini, Borgoglio, 3083 e 3084, il quale evidenzia che Cass. VI-V, n. 11632/2015 si pone i contrasto con Cass. V, n. 2682/2011). Nel 2019 è intervenuta la Suprema Corte al fine di chiarite la portata interpretativa dell'art. 7-quater, comma 18, del d.l. n. 193/2016, in forza del quale, come innanzi detto, i termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione «si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale». Durante detto periodo ( di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale), per Cass. VI, n. 5039/2019, è difatti sospeso il termine per proporre l'istanza di accertamento con adesione e la disposizione in commento, avendo natura processuale, è stata ritenuta dalla citata decisione applicabile anche ai procedimenti in corso, con conseguente ammissibilità anche per essi della sospensione per il periodo feriale del termine per l'adesione. Cumulabilità della sospensione del termine per impugnare (art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218)Circa la cumulabilità della sospensione del termine per impugnare, ex art. 6, comma 3, d.lgs. n. 218/1997, per consentire al contribuente di formulare istanza di accertamento con adesione, e della sospensione, fino al 19 aprile 2004, del termine per impugnare l'avviso di accertamento, previstadall'art. 15, comma 8, della l. 27 dicembre 2002, n. 289al fine della definizione agevolata delle controversie, vi è contrasto nella giurisprudenza di legittimità che, però, in forza di un'analisi diacronica delle relative statuizioni, potrebbe ritenersi risolto nel senso negativo. La stessa situazione è peraltro suscettibile di verificarsi con riferimento alla sospensione di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 218, con riferimento allealtre imposta indirette diverse dall'IVA. Circa i termini della questione rileva evidenziare che il d.lgs. n. 218, all'art. 6, comma 2, prevede che il contribuente, destinatario di un avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall'invito a comparire di cui al precedente art. 5, possa formulare istanza di accertamento con adesione, prima dell'impugnazione dell'atto impositivo innanzi alla commissione tributaria. Il comma 3 dello stesso art. 6 dispone altresì che il termine per la proposizione di tale impugnazione resta sospeso per un periodo di novanta giorni, dalla data di presentazione dell'istanza. La sopravvenuta l. 289 del 2002, nell'introdurre diverse misure deflattive del contenzioso, disciplina, con l'art. 15, comma 1, la definizione agevolata della lite per gli avvisi di accertamento per i quali, alla data di entrata in vigore della detta legge, non fossero spirati i termini per la proposizione del ricorso, ed anche per gli inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 ed 11 del d.lgs. n. 218/1997, per i quali, alla medesima data, non fosse intervenuta l'adesione. L'art. 15, comma 8, dal canto suo, dispone la sospensione dei termini per l'impugnazione in sede giurisdizionale degli avvisi di accertamento nonché dei termini per il perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, previsti dal d.lgs. n. 218, fino alla data del 18 aprile 2003. Il detto termine è poi prorogato al 19 aprile 2004, con una serie di d.l. convertiti e senza soluzioni di continuità. L'intersezione tra le due discipline è codificata per l'ipotesi dell'invito a comparire di cui all'art. 5 d.lgs. n. 218/1997, nel senso che la sospensione disposta dall'art. 15, comma 8, della l. n. 289 del 2002 incide sui termini stabiliti per il perfezionamento del procedimento di adesione in itinere, essendo la norma volta a conservare al contribuente la facoltà di optare, entro il predetto termine del 19 aprile 2004, per i vantaggi previsti dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218/1997 ovvero per i benefici della definizione agevolata di cui alla l. n. 289 del 2002. In tal senso si vedano Cass. V, n. 16347/2013 e Cass. V, n. 11452/2011. Per quest'ultima, in particolare, la sospensione del termine perentorio per la proposizione del ricorso innanzi alle Commissioni tributarie avverso gli avvisi di accertamento, prevista dal citato art. 15, comma 8, è operativa ad una duplice condizione. L'avviso di accertamento deve essere stato ritualmente notificato al contribuente entro il 31 dicembre 2002, data di entrata in vigore della citata l. n. 289, ed alla predetta data deve essere pendente il termine di impugnazione di cui all'art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, non rilevando l'eventuale notifica dell'«invito a comparire» di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 218, il quale opera soltanto ai fini della sospensione dei termini stabiliti per il perfezionamento del procedimento di adesione ancora in itinere. La questione di diritto sorge quindi in forza della mancanza di esplicite disposizioni normative di coordinamento tra l'istanza del contribuente di cui all'art. 6 del d.lgs. n. 218/1997 e la sospensione di cui all'art. 15 della l. n. 289/2002. Un primo orientamento riconosce la possibilità di cumulo dei due periodi di sospensione, argomentando delle diverse rationes sulle quali le previsioni delle rispettive sospensioni sono fondate. Cass. V, n. 2682/2011 , in particolare muove dall'assunto per il quale non è previsto da alcuna norma di legge il divieto di cumulabilità delle sospensioni né a tale cumulo osta alcuna altra ragione di opportunità, essendo diverse le ratione sulle quali dette previsioni sono fondate. Quella di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 si fonda sulla necessità di dare al contribuente un ragionevole lasso di tempo per valutare la convenienza o meno di aderire al «concordato tributario», dopo aver esaminato il carattere di decisività degli elementi posti alla base dell'accertamento e l'opportunità di evitare una contestazione giudiziaria (per la funzione del termine in esame si veda, ex plurimis, Cass. V, n. 28051/2009). La sospensione di cui alla l. n. 289 del 2002 è invece finalizzata a non distogliere i funzionari dell'Amministrazione finanziaria dall'esame delle pratiche di definizione agevolata con altre diverse incombenze. La sentenza di cui innanzi ritiene addirittura la cumulabilità dei detti periodi di sospensione con quello di sospensione feriale (di cui alla l. n. 742 del 1969), essendo essa ispirata alla differente ratio dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie. L'orientamento maggioritario esclude invece la cumulabilità in oggetto, sempre in ragione delle differenti finalità delle due discipline e previa analisi delle stesse. Per Cass. V, n. 16347/2013, nel silenzio della l. n. 289 del 2002 in materia di condono, è consentito, al contribuente, che abbia ricevuto la notifica di un atto di accertamento nei sessanta giorni precedenti il 31 dicembre 2002, di proporre istanza di accertamento con adesione, ai sensi dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218. Nel caso di mancato perfezionamento dell'accertamento con adesione e di non definizione dell'avviso di accertamento, grava però sul contribuente l'onere di impugnare l'atto impositivo entro il termine perentorio di cui all'art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, a decorrere dalla data di cessazione del periodo di sospensione di cui all'art. 15, comma 8, della l. n. 289/2002, venendo in tal caso in rilievo il solo atto di accertamento. La Suprema Corte, in particolare, esclude che il termine di novanta giorni (volto a garantire uno spatium deliberandi in vista dell'accertamento con adesione e da riferirsi solo al relativo procedimento) possa cominciare a decorrere dopo la scadenza di quello di cui al citato art. 15, comma 8. Per converso, deve ritenersi che il primo periodo di sospensione si dipani all'interno della più ampia fase di sospensione prevista dal secondo. Ciò non solo per la ragione (in realtà ritenuta assorbente) per la quale nessuna norma depone a favore dell'invocato cumulo ma anche in quanto la sospensione del termine per l'impugnazione degli atti di imposizione tributaria, prevista dall'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, è volta a garantire un concreto spatium deliberandi in vista dell'accertamento con adesione, il cui esperimento resta, appunto, consentito, e va riferita al relativo procedimento, che ha natura amministrativa (per la natura amministrativa del procedimento si veda, ex plurimis, Cass. V, n. 28051/2009) . La sospensione prevista dalla più volte citata legge sul condono, invece, incide sui tempi per la proposizione del ricorso giurisdizionale in concordanza con il tempo concesso per il perfezionamento della definizione agevolata (art. 15, comma 2). A quanto detto il Giudice di legittimità aggiunge la constatazione per la quale il cumulo integrerebbe un assurdo logico e concettuale. Si ammetterebbe difatti una sospensione che verrebbe ad incidere, nei fatti prorogandolo, sul decorso di un termine di impugnazione già sospeso per altra causa (Cass. V, n. 16347/2013, per la quale, nello stesso senso la Suprema Corte si è espressa in relazione al caso analogo, sul piano oggettivo e funzionale, della non cumulabilità della sospensione dei termini feriali con quelli di cui alla l. n. 289/2002, e fa riferimento esplicito a Cass. V, n. 14898/2007 e a Cass. V, n. 5924/2010; precedente conforme a Cass. V, n. 16347/2013 è Cass. V, n. 23576/2012). L'orientamento di cui innanzi, circa la non cumulabilità dei due termini di sospensione, è successivamente confermato da altre statuizioni di legittimità nel 2014 e nel 2015. Cass. V, n. 16876/2014 , in particolare, considerati i contrapposti orientamenti, dichiaratamente sostiene il secondo e maggioritario, ancorché senza argomentare ulteriormente rispetto a Cass. V, n. 16347/2013. Essa difatti muove sempre dalla diversità di finalità e scopi delle due sospensioni e da ragioni di coerenza con la non cumulabilità della sospensione feriale con quella di cui alla l. n. 289/2002. Ne conseguirebbe quindi, anche per la successiva conforme Cass. V, n. 23047/2015, che, ove il contribuente abbia formulato istanza di accertamento con adesione relativamente ad un avviso di accertamento rientrante nel campo d'applicazione di ambedue le norme più volte indicate, e tale accertamento non si perfezioni, il termine per l'impugnazione dell'avviso resta sospeso solo sino al sessantesimo giorno l 19 aprile 2004, secondo la previsione dell'art. 15, comma 8, citato. Verifica delle cause di sospensione, prova della tempestività del ricorso e rapporti con il giudizio di cassazioneLa presentazione dell'istanza di definizione mediante accertamento con adesione determina la sospensione, ex art. 6 del d.lgs. n. 218, del termine fissato dall'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992. Ne consegue che la prova della tempestività del ricorso si estende alla prova del fatto generativo della sospensione. Sicché, in mancanza di tale prova da parte del ricorrente, che la alleghi nel ricorso introduttivo, il giudice di merito deve rilevarne d'ufficio la tardività e dichiarare l'inammissibilità del ricorso (Cass. VI-V, n. 4247/2013). L'art. 21, comma 1, della l. n. 546 del 1992 fissa per la proposizione del ricorso al Giudice tributario un termine di decadenza di sessanta giorni dalla notifica dell'atto impugnato. Il rispetto del suddetto termine costituisce condizione dell'azione d'impugnazione. Pertanto, secondo i principi generali in materia di esercizio di azioni sottoposte a termini di decadenza, grava sul ricorrente l'onere di provare la tempestività del proprio ricorso. Quando la decadenza sia rilevabile d'ufficio, come nel caso dell'impugnativa degli atti tributari, l'onere probatorio gravante sul ricorrente risulta soddisfatto dalla produzione della documentazione dimostrativa della data di notifica dell'atto impugnato. Ove il contribuente, presentando un'istanza di accertamento con adesione, abbia determinato la sospensione del termie di impugnazione dell'atto di accertamento il suo onere di (allegazione e) prova della tempestività del ricorso si estende all'(allegazione e) prova del fatto generativo della sospensione, ossia della presentazione dell'istanza di accertamento con adesione. La rilevabilità d'ufficio del ricorso tardivo implica difatti che il giudice di merito, tanto in primo quanto in secondo grado, debba poter rilevare, ex actis, la tempestività del ricorso, con onere del ricorrente di allegazione e prova di cui innanzi. In difetto di tale allegazione e prova il giudice di merito non potrà che rilevare la tardività del ricorso introduttivo e dichiararne l'inammissibilità, ciò anche in secondo grado e salvo che sul punto non si sia formato il giudicato interno il quale, tuttavia, presuppone una pronuncia esplicita del giudice di primo grado (Cass. VI-V, n. 4247/2013; sul punto relativo al giudicato interno si veda anche Cass. V, n. 25500/2011). Per quanto concerne poi i rapporti con il giudizio innanzi alla Suprema Corte, sebbene l'inammissibilità del ricorso introduttivo sia rilevabile d'ufficio in materia di contenzioso tributario, in ogni stato e grado del giudizio, tuttavia la relativa eccezione non può essere sollevata per la prima volta innanzi al giudice di legittimità allorché il suo esame implichi un accertamento in fatto, rimesso al giudice di merito. Ciò accade proprio nel caso in cui la verifica della fondatezza dell'eccezione implichi la verifica dell'esistenza di cause di sospensione del termine di impugnazione. Se così non fosse, tenuto conto dei limiti del giudizio di cassazione, il contribuente nei confronti del quale l'eccezione non sia sollevata dinanzi ai giudici di prima e di seconda istanza, resterebbe privo della possibilità di difendersi nel merito. In applicazione del principio Cass. V, n. 26391/2010 ha rigettato il ricorso presentato dall'Amministrazione finanziaria che aveva eccepito, per la prima volta, in sede di legittimità l'inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività dello stesso. È stato in particolare rilevato che la valutazione della fondatezza di tale eccezione implicava nella specie la verifica dell'esistenza di cause di sospensione del termine di impugnazione, avendo la resistente dedotto la presentazione dell'istanza di accertamento con adesione, ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 218 (in senso conforme si veda Cass. V, n. 7410/2011 che ha respinto il motivo di ricorso dell'Ufficio con cui veniva sollevata per la prima volta l'eccezione di tardività del ricorso avverso avviso di accertamento). Verbale di constatazione di mancato accordo e rinuncia all'istanzaL'art. 6, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 218 dispone che l'impugnazione dell'atto (avviso di accertamento o di rettifica) comporta rinuncia dell'istanza del contribuente di definizione mediante accertamento con adesione, di cui ai commi 1 e 2 del citato 6. Disposizione analoga è poi quella di cui al successivo art. 12, con riferimento alle altre imposte indirette diverse dall'IVA. Parte della giurisprudenza di merito ha assimilato il verbale di mancato raggiungimento dell'accordo all'impugnazione dell'atto impositivo da parte del contribuente. Così considerando anche il primo rinuncia all'istanza ex art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, con quanto ne consegue circa il venir meno della sospensione di cui al detto terzo comma. Si è in particolare ritenuto che entrambe le ipotesi siano caratterizzate dall'assenza di interesse alla prosecuzione del procedimento (si vedano, ex plurimis: Comm trib. reg. Firenze 11 gennaio 2010, n. 26; Comm prov. Pescara 26 giugno 2009, n. 190; Comm. prov. Treviso 11 ottobre 1999, n. 308; in senso difforme, Comm. trib. reg. Toscana 2 aprile 2001, n. 36, per la quale decorre il termine di novanta giorni per la sospensione dell'impugnazione dell'accertamento anche ove le parti formalizzino il mancato raggiungimento dell'accordo prima del decorso suddetto termine di sospensione). Con ordinanza del 24 maggio 20010 Comm. trib. prov. Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 2, (recte: art. 6, comma 3) del d.lgs. n. 218, nella parte in cui non prevede che la formalizzazione del mancato raggiungimento dell'accordo comporti la rinuncia all'istanza di accertamento con adesione. In particolare ha evidenziato la pretesa violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., ritenendo che, per effetto di tale mancata previsione, le istanze di accertamento con adesione diventeranno la regola ed il termine per ricorrere, di fatto, passerà da sessanta a centocinquanta giorni. Per Corte cost. n. 140/2011 , che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di cui innanzi, il procedimento per l'accertamento con adesione (di cui all'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218) ha la finalità di prevenire l'impugnazione dell'atto di accertamento tributario notificato, favorendo l'instaurazione di un contraddittorio con il contribuente per giungere ad una definizione concordata e preventiva della controversia. A tal fine non appare irragionevole la previsione di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, idoneo a consentire un proficuo esercizio del contraddittorio in sede di adesione (come si esprime anche la risoluzione ministeriale 11 novembre 1999, n. 159/E), durante il cui decorso il contribuente e l'Ufficio hanno agio di valutare liberamente la situazione eventualmente allacciando, sciogliendo e riannodando trattative. Non è sembrato irragionevole alla Consulta neppure che la disposizione denunciata preveda che solo il contribuente possa far cessare la sospensione del termine di impugnazione, mediante una formale ed irrevocabile rinuncia a detta istanza ovvero proponendo ricorso avverso l'atto di accertamento. Ipotesi, quest'ultima, equiparata dalla legge alla rinuncia all'istanza di accertamento con adesione (ultimo periodo dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218). In particolare, la redazione del menzionato «verbale», dal quale risulti che «le parti concordano nel concludere con esito negativo il presente procedimento», si risolve in una mera presa d'atto del mancato raggiungimento dell'accordo tra il contribuente e l'Ufficio tributario. Sicché,, esso non potrebbe equipararsi all'impugnativa dell'atto di accertamento ed assumere il significato di una definitiva rinuncia del contribuente all'istanza di accertamento con adesione. Ne consegue che la mera contestazione, in un atto atipico, che in una data non sia stato ancora raggiunto l'accordo, da un lato, non impedisce che esso possa essere successivamente raggiunto prima dell'instaurazione del contenzioso e, dall'altro, non esprime l'univoca volontà del contribuente di escludere, anche per il futuro, la composizione amministrativa della controversia. La suddetta constatazione del mancato accordo tra le parti non integra quindi una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all'istanza di accertamento con adesione, sia essa manifestata con dichiarazione espressa o mediante proposizione del ricorso (Corte cost. n. 140/2011, la quale conclude evidenziando che l'indicata eterogeneità delle situazioni poste a raffronto e l'indicata ratio dell'istituto dell'accertamento con adesione – volto a prevenire il contenzioso – rendono non irragionevole una disciplina che attribuisce alla sola impugnazione e all'anzidetta rinuncia definitiva alla procedura l'effetto di far cessare la sospensione dei termini per ricorrere previsto dalla legge in caso di presentazione dell'istanza di cui all'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218). La successiva giurisprudenza di legittimità si è adeguata al decisum della Consulta, traendone ulteriori corollari, anche con riferimento all'art. 12 del d.lgs. n. 218, e dandone una lettura costituzionalmente orientata (l'interpretazione di cui innanzi è stata avallata anche dalla stessa Amministrazione finanziaria, come emerge da Ris. Min. Fin., 11 novembre 1999, n. 159/E e da Circ. Ag. Ent., 28 giugno 2001, n. 65/E). In tal senso di vada, ex plurimis , tra le più recenti, Cass. VI, n. 20362/2017 , la quale, con riferimento agli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218, ha confermato che il verbale di constatazione del mancato accordo non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all'istanza di accertamento con adesione (come ritenuto da Corte cost. n. 140 del 2011). Sicché, alla stessa non può riconoscersi il valore di atto idoneo all'interruzione del termine di sospensione di novanta giorni, previsto dai detti articoli, connesso alla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione (in senso conforme, in precedenza ma successivamente all'intervento della Consulta del 2011, si veda Cass. V, n. 7334/2012). Nello stesso senso ha statuito Cass. V, n. 3762/2012, per la quale la sospensione per novanta giorni del temine ordinario di impugnazione dell'atto impositivo, nella specie relativo alla tariffa di igiene ambientale, conseguente alla presentazione dell'istanza di definizione mediante adesione, non è interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo tra contribuente e Amministrazione finanziaria. Tale atto, difatti, in considerazione delle finalità del procedimento, come evidenziate da Corte cost. n. 140 del 2011 in relazione all'art. 6 del d.lgs. n. 218, è diretto a favorire una soluzione concordata della controversia ed in mancanza di un'espressa disposizione normativa non può essere equiparato né ad una definitiva rinuncia all'istanza né a un epilogo comunque definitivamente conclusivo del medesimo procedimento. Il principio di cui innanzi è stato in particolare enunciato con riferimento all'art. 7 del regolamento del Comune di Capannori, adottato nel rispetto di quanto previsto dall'art. 50 della l. 18 dicembre 1997, n. 449, nonché, su base generale, quanto ai tributi locali, dall'art. 119, comma 2, Cost. La relativa disposizione, difatti, pur potendo essere intesa nel senso della inutilità del mantenimento della sospensione in caso di redazione del verbale di mancato accordo, deve comunque essere interpretata in linea con la necessità di garantire un'applicazione dell'istituto su base sistematica coerente con la conforme legislazione nazionale. Sicché, potrebbe aggiungersi in questa sede, essa non potrebbe dunque derogare all'artt. 12, comma 2, del d.lgs. n. 218 (e, del pari, all'art. 6, comma 3, del medesimo decreto) come interpretato dal diritto vivente (in senso conforme Cass. V, n. 5852/2012). Sempre con riferimento all'art. 12 del d.lgs. n. 218 ed all'art. 7 del regolamento comunale di Capannori, Cass. V, n. 2857/2012, ha argomentato da una lettura costituzionalmente orientata della disposizione regolamentare, con riferimento esplicito a Corte cost. n. 140 del 2011 , ma che sembra non estenderla all'intervento di un formale provvedimento di rigetto dell'istanza da parte dell'Amministrazione, qualificandolo peraltro alla stregua di procedimento di composizione amministrativa della controversia. Essa difatti concorda nel ritenere che la sospensione del termine di impugnazione dell'atto impositivo per novanta giorni, conseguente alla presentazione dell'istanza di definizione con adesione, così come previsto dall'art. 12 del d.lgs. n. 218, non sia interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo tra contribuente ed Amministrazione finanziaria. Secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, diretta a favorire il più possibile la composizione amministrativa della controversia, deve difatti ritenersi che solo l'univoca manifestazione di volontà del contribuente possa escludere irrimediabilmente tale soluzione compositiva. Ciò solo attraverso la proposizione di ricorso avverso l'atto di accertamento oppure mediante formale ed irrevocabile rinuncia all'istanza di definizione con adesione, facendo così venir meno la sospensione del temine di impugnazione. La Suprema Corte ne ha fatto conseguire che quando, nel corso del procedimento di definizione, sia intervenuto solo un verbale di constatazione di mancato accordo, ma non anche un provvedimento di rigetto dell'istanza, il ricorso del contribuente è tardivo solo se proposto oltre i centocinquanta giorni dalla notifica dell'atto impositivo. Cioè tenendo conto sia dei sessanta giorni ordinariamente previsti per la presentazione del ricorso, sia dell'intero termine di sospensione di novanta giorni. Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento alla chiusura del procedimento finalizzato all'accertamento con adesione prima del decorso del termine di novanta giorni di cui all'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218. In caso di mancata definizione positiva, difatti, la detta chiusura implicherebbe comunque il mancato accordo, a prescindere della redazione di un formale verbale (di mancato accordo). Ciò in quanto essa non è un'ipotesi di espressa ed inequivoca rinuncia ad avvalersi del procedimento, potendo difatti le parti, contribuente ed Amministrazione finanziaria, anche riallacciare il rapporti per una positiva definizione con la procedura in esame. Quanto detto lo si argomenta muovendo da Corte cost., n. 140 del 2011 ma sul punto si vedano, antecedentemente all'intervento della Consulta, Cass. V, n. 15171/2006 (nel senso della necessaria espressa ed inequivoca rinuncia ad avvalersi del procedimento di accertamento con adesione) e la conforme Cass. V, n. 15170/2006 (anche richiamata dalla successiva Cass. V, n. 3762/2012). Per essa la chiusura del procedimento di adesione al concordato prima del decorso del termine di novanta giorni, previsto dall'art. 6 del d.lgs. n. 218, non comporta la rinuncia del contribuente a giovarsi della sospensione dei termini di impugnazione concessa a coloro che si avvalgono della procedura in questione. In materia tributaria, infatti, costituisce principio incontestato quello secondo cui il puro e semplice riconoscimento, effettuato dal contribuente nell'ambito di una procedura di accertamento, d'essere tenuto al pagamento di un tributo, non produce l'effetto di precludere ogni contestazione in ordine all'an debeatur, salvo che il rapporto tributario debba considerarsi estinto. La procedura in oggetto è invece rigidamente ed inderogabilmente disciplinata dalla legge (in tal senso si veda anche Cass. V, n. 11222/2002), la quale non ammette che l'obbligazione tributaria sia regolata dalla volontà del contribuente. La volontà del contribuente rileva invece solo nel caso in cui egli abbia accettato il quantum debeatur, mentre la preclusione delle contestazioni relative all'an debeatur, anche in termini di rinuncia ad avvalersi del più ampio termine d'impugnazione previsto per determinati tipi di rapporti tributari, presuppone una volontà espressa o risultante in termini assolutamente in equivoci. Per il detto principio inerente l'assenza di preclusioni in ordine all'an debeatur si veda, ex plurimis, Cass. I, n. 3247/1977 per la quale il “concordato fiscale”, nella sua versione antecedente a quella di cui al d.lgs. n. 218, non ha carattere negoziale e transattivo ma costituisce un atto unilaterale della P.A. mediante il quale, con l'adesione del contribuente, viene definitivamente accertato l'imponibile da calcolare nell'applicazione dell'imposta in contestazione. A cagione della limitazione di esso, alla determinazione dell'imponibile, il “concordato” non è sempre e necessariamente vincolante per quanto concerne l'an debeatur dell'imposta. Occorrendo invece distinguere l'ipotesi nella quale sia sorta una controversia autonoma o parallela a quella sul quantum, circa l'assoggettabilità al tributo, o vi sia espressa rinunzia ad ogni contestazione, dall'ipotesi in cui tale controversia non sia sorta. Solo nel primo caso, invero, il perfezionamento del concordato importa il recesso del contribuente dalla lite relativa alla esistenza dell'obbligazione tributaria, mentre nel secondo caso esso lascia impregiudicata ogni questione al riguardo. In applicazione di siffatta distinzione, la Suprema Corte ha riconosciuto, nella seconda ipotesi, anche l'impugnabilità del concordato per vizio di legittimità. In termini ancora più generali, sempre circa l'assenza di preclusioni in merito all'an debeatur, si veda Cass. I, n. 3881/1975 per la quale l'istituto dell'acquiescenza al provvedimento amministrativo, sotto la specie dell'accettazione di esso, non trova applicazione nel diritto tributario. In esso vige difatti il principio generale secondo cui non può attribuirsi al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente, di essere tenuto al pagamento di un tributo, e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l'effetto di precludere ogni contestazione in ordine all'an debeatur. Salvo ovviamente che non siano scaduti i termini di impugnazione e che non possa considerarsi estinto il rapporto tributario. Le manifestazioni positive della volontà del contribuente possono difatti ritenersi giuridicamente rilevanti, in detta procedura, solo per ciò che attiene al quantum debeatur, nel senso di vincolarlo ai dati a tal fine da lui forniti ed accertati. Ciò non esclude che il contribuente stesso possa validamente rinunciare a contestare la pretesa del fisco. Affinché tale forma di acquiescenza si verifichi necessità però il concorso dei requisiti indispensabili per la configurazione di una rinuncia, cioè: 1) che una controversia fra contribuente e fisco sia già sorta e risulti chiaramente nei suoi termini di diritto, o almeno sia determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento; 2) che la rinuncia del contribuente sia manifestata con una dichiarazione espressa o con un comportamento sintomatico particolare, purché entrambi assolutamente in equivoci. Negli stessi termini di Cass. V, n. 15170/2006 si è espressa più di recente Cass. V, n. 3762/2012 , per la quale il detto ragionamento è oggi definitivamente confermato dall'interpretazione dell'art. 6 del d.lgs. n. 218 offerta anche da Corte cost., n. 140/2011 (e della successiva giurisprudenza di legittimità già innanzi considerata). Avendo il procedimento per l'accertamento con adesione generale finalità di prevenire l'impugnazione dell'atto di accertamento tributario notificato e di favorire l'instaurazione di un contraddittorio con il contribuente finalizzato a una definitiva e concordata definizione preventiva della controversia, è stata ritenuta non irragionevole la previsione, a tal fine, di un periodo fisso di sospensione dei termini di impugnazione, idoneo giustappunto a consentire un proficui esercizio del contraddittorio in sede di adesione. Durante il detto esercizio, il contribuente e l'Ufficio hanno difatti sempre agio di valutare liberamente la situazione controversa, allacciando ed eventualmente sciogliendo e riannodando le trattative (così argomentando da Corte cost. n. 140/2011). Ulteriori corollari ineriscono l'ipotesi di protrazione nel tempo della procedura di accertamento con adesione, non comportante l'inefficacia dell'avviso di accertamento ma soltanto la sospensione nei limiti temporali di cui agli artt. 6 o 12 del d.lgs. n. 218. Sicché non può considerarsi revoca implicita dell'istanza del contribuente il protrarsi nel tempo della relativa procedura, quindi anche oltre il termine di sospensione. La presentazione dell'istanza di definizione, così come il protrarsi nel tempo della relativa procedura, non comportano difatti l'inefficacia dell'avviso di accertamento ma ne sospendono soltanto il termine di impugnazione per novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, quest'ultimo, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo. Quanto innanzi si argomenta dagli artt. 6 o 12 del d.lgs. n. 218, in forza dei quali soltanto all'atto del perfezionamento della definizione l'avviso perde efficacia. In merito si veda, ex plurimis, Cass. VI, n. 3368/2012, la quale argomenta dall'interpretazione letterale degli art. 6, comma 3 e 4, ultimo inciso, e 12, comma 2 e 4, del d.lgs. n. 218 nonché dal principio per il quale l'istanza di audizione non priva di efficacia l'accertamento ma ne sospende soltanto il termine di impugnazione di novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, esso diviene definitivo, salva l'impugnazione, con la conseguenza che soltanto all'atto del perfezionamento della definizione l'avviso di accertamento perde efficacia. Da ultimo Cass. V, n. 9659/2017 , riferendosi all'art. 12 del d.lgs. n. 218, ha fatto derivare ulteriori conseguenze dal principio per il quale il verbale di constatazione di mancato accordo implica mera presa d'atto del mancato raggiungimento dell'accordo tra contribuente e fisco e non, invece, la rinuncia, da parte del secondo, a far valere le pretese tributarie. Così come a quel verbale non può attribuirsi in alcun modo il significato di una rinuncia dell'Ufficio alla pretesa tributaria, dallo stesso non può difatti trarsi alcun convincimento della fondatezza delle ragioni del contribuente senza una disamina degli elementi probatori addotti dall'Amministrazione finanziaria (che, nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto mancare del tutto, non emergendo dal tenore della motivazione che, sotto tale profilo, è stata ritenuta assolutamente carente). La dottrina condivide l'interpretazione degli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218 nel senso della non equiparazione del verbale di constatazione di mancato accordo alla rinuncia all'istanza, con quanto ne consegue in merito agli effetti che i detti articoli riconducono all'istanza stessa, anche perché tale da salvare il contraddittorio endoprocedimentale e quindi l'intero istituto dell'accertamento con adesione (Nouvion, 973). Il mancato raggiungimento di un accordo è difatti una circostanza oggettiva, priva in sé di effetti giuridici, ed in quanto tale non implicante rinuncia da parte del contribuente all'istanza (ex artt. 6 o 12 del d.lgs. n. 218). Quest'ultimo potrebbe essere interessato ad una ripresa delle trattative che potrebbe egli stesso sollecitare, attraverso nuove allegazioni e/o produzioni documentali o anche semplicemente rivedendo la propria posizione ed accettando i termini di un accordo precedentemente rifiutato (Stevanato, 2011, 1863; Nocera, 2753; Messina, 2001, 5837; Ingrao, 341; Sallustio, 193). Una voce in dottrina, pur condividendo le conclusioni di cui innanzi, ritiene non corretto osservare le cause idonee ad interrompere la sospensione dei termini processuali ex art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 da una prospettiva meramente procedimentale, trascurando quella processuale. La questione dovrebbe invece essere affrontata anche dalla prospettiva del processo in quanto le indicazioni di cui al detto art. 6, comma 3, incidono sul decorso dei termini processuali, operando sul successivo processo quali presupposti processuali, rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo (come chiarito anche da Cass. V, n. 16285/2007 alla quale rinvia lo stesso autore). In particolare, si sostiene che associare la redazione del verbale di mancato accordo all'interruzione del periodo di sospensione dei termini processuali violi il citato art. 6, comma 3, in quanto introduce una nuova condizione di decidibilità della causa nel merito, la cui materia è coperta da riserva di legge assoluta (ove la riserva di legge in materia processuale è ribadita dall'art. 101, comma 2, Cost., per il Giudice ordinario e dall'art. 108, comma 2, Cost., per il Giudice speciale oltre che, con riferimento in generale alla giurisdizione, dal nuovo art. 111, comma 1, Cost.). Secondo l'autore, in conclusione, l'impugnazione dell'atto impositivo è soggetta ad un termine decadenziale il cui mancato rispetto si atteggia a presupposto processuale che al pari degli altri presupposti processuali, i quali, per l'effetto che la loro carenza provoca nel processo oltre che per l'eterogeneità delle ipotesi, sono a numero chiuso, non è suscettibile di « integrazione analogica » (per esempio ampliando il dictum dell'art. 6, comma 3, cit., al verbale negativo di adesione). Proprio in virtù del già ricordato principio di riserva di legge in materia processuale, il detto presupposto processuale non potrebbe altresì essere disciplinato da un atto non avente forza di legge, in ipotesi introducendo, con regolamento comunale, una causa di interruzione del procedimento di accertamento con adesione (Poddighe, 843, 851, 852 e 853; il quale, commentando Cass. V, n. 3762/2012, vaglia i principi di cui innanzi e la loro relativa tenuta in rapporto al potere regolamentare dei comuni, con particolare riferimento al procedimento di accertamento con adesione ed alla previsione spesso ivi contenuta di verbalizzazione della constatazione di mancato raggiungimento dell'accordo; l'autore evidenzia altresì che se un comune decidesse di introdurre una causa di interruzione del periodo di sospensione dei termini processuali, con riferimento alla procedura di accertamento con adesione, il ricorrente potrebbe chiedere la disapplicazione del relativo regolamento al Giudice tributario, ai sensi dell'art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, per contrasto con l'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218, rimando anche la possibilità di impugnarlo presso il Giudice amministrativo anche per opera del Ministero dell'economia, ex art. art. 52 comma 4, del d.lgs. n. 446 del 1992; in tema di disapplicazione dei regolamenti amministrativi si veda Magnone Cavatorta, 93; in merito al potere di disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali, con particolare riferimento alla materia tributaria, si vedano: Messina, 2010, 1587, ed Alfano, 830). In tema di accertamento con adesione, in mancanza di definizione consensuale, solo la formale ed irrevocabile rinuncia del contribuente all'istanza interrompe il termine di sospensione di novanta giorni, previsto per impugnare dagli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 218 del 1997, essendo volto a garantire uno "spatium deliberandi" in vista dell'accertamento stesso. La Cass. V, n. 3278/2019, che ha statuito nei termini di cui innanzi, ha sostanzialmente dato seguito all'orientamento di legittimità per il quale il termine di sospensione dell'impugnazione dell'atto impositivo per 90 giorni non è interrotto dal verbale di constatazione del mancato accordo, poiché, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, diretta a favorire il più possibile la composizione amministrativa della controversia, deve ritenersi che solo l'univoca manifestazione di volontà del contribuente possa escludere irrimediabilmente tale soluzione compositiva, attraverso la proposizione di ricorso avverso l'atto di accertamento, oppure con formale ed irrevocabile rinuncia all'istanza di definizione con adesione, facendo così venir meno la sospensione del temine di impugnazione (in tal senso si vedano, ex plurimis, Cass. V, n. 3762/2012, e Cass. V, n. 5825/2012). L'indirizzo appena evidenziato sembra poi essere stato ulteriormente confermato da Cass. V, n. 13172/2019, per la quale l'istanza del contribuente ed i tempi della relativa procedura non comportano l'inefficacia dell'avviso di accertamento, sospendendone solo il termine per l'impugnazione per novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l'accertamento, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, secondo un meccanismo non dissimile dal silenzio rifiuto, cui va ricondotto l'inutile spirare del termine dalla presentazione dell'istanza, senza che l'Ufficio abbia risposto (si vedano altresì le conformi Cass. VI-V, n. 15401/2017, Cass. V, n. 2248/2018). Muove altresì dai medesimi presupposti Cass. V, n. 27274/2019, per la quale, difatti, in caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti. Istanza di definizione mediante accertamento con adesione e mancata convocazione da parte dell'UfficioEntro quindici giorni dalla ricezione dell'istanza del contribuente di accertamento con adesione, di cui all'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218, l'Ufficio, anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l'invito a comparire (ex art. 5 del citato decreto) ed all'atto del perfezionamento della definizione l'avviso di accertamento o di rettifica (originario) perde efficacia (art. 6, comma 4, dec. cit.). Il legislatore avrebbe dunque ulteriormente semplificato le modalità di comunicazione dell'invito, prevedendo che lo stesso possa essere formulato senza particolari formalità ad un qualsiasi recapito indicato dallo stesso contribuente nell'istanza di accertamento con adesione (Circ. Min. Fin, 8 agosto 1997, n. 235). La presentazione di istanza di definizione da parte del contribuente, ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 218, non comporta l'inefficacia dell'avviso di accertamento (conseguente solo al perfezionamento della definizione, ex artt. 6, comma 4, e 9 del citato decreto). Essa implica solo la sospensione del termine di impugnazione per un periodo di novanta giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, l'accertamento diviene comunque definitivo, in assenza di impugnazione. Ciò anche se sia mancata la convocazione del contribuente, costituendo essa, per l'Ufficio, non un obbligo ma una facoltà da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell'accertamento e dell'opportunità di evitare la contestazione giudiziaria. In questi termini si esprime Cass. V, n. 28951/2008 (sul punto richiamata dalla successiva Cass. VI, n. 3368/2012; conforme anche Cass. III, 31472/2019), la quale, argomentando dagli ultimi tre commi dell'art. 6 citato, prosegue chiarendo che l'obbligo della convocazione costituirebbe un inutile appesantimento dell'attività amministrativa e che il termine di novanta giorni, per il quale resta sospeso l'onere dell'impugnativa giudiziaria, del resto, corrisponde a quello stabilito per la formazione del silenzio rifiuto. Sicché, è coerente con il sistema ritenere che decorso quel termine dalla presentazione dell'istanza di audizione, senza che l'Amministrazione abbia risposto, l'istanza medesima debba considerarsi tacitamente rigettata. Tale impostazione è altresì confermata dalle Sezioni Unite le quali evidenziano che la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell'istanza in esame, non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge (Cass. S.U., 3676/2010, in il Fisco, 2010, 1, 1513, con commento di Turis, 1519). Nello stesso senso, Cass. V, n. 19856/2017, la quale ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato sanzioni di cui ad una cartella di pagamento (emessa per IVA, interessi e sanzioni) ritenendo l'atteggiamento dell'Ufficio lesivo del principio di collaborazione e buona fede per non aver dato seguito all'istanza di accertamento con adesione del contribuente con invito a comparire; più di recente, sempre in senso conforme alle citate Sezioni Unite, si veda anche Cass. V, n. 474/2018). Conforme all'orientamento di cui innanzi è altresì la giurisprudenza di merito successiva all'indicato intervento nomofilattico. In merito si veda, ex plurimis, Comm. trib. Reg. Roma, 28 febbraio 2012, n. 40 : per essa la convocazione del contribuente, volta ad instaurare il contraddittorio finalizzato all'adesione, non costituisce un obbligo per l'Ufficio ma una facoltà da esercitare in relazione ad una valutazione discrezionale del carattere di decisività degli elementi posti a base dell'accertamento e dell'opportunità di evitare la contestazione giudiziaria. Sicché, per Comm. trib. reg. Lazio 3 febbraio 2009, n. 12, deve essere respinta l'eccezione di nullità dell'avviso di rettifica impugnato per il detto mancato invito. In senso contrario, per la precedente giurisprudenza di merito, si veda Comm. trib. reg. Catanzaro 14 dicembre 2004, n. 128, nonché, per la quella successiva rispetto a Cass. V, n. 28951/2009 ma antecedente al citato arresto delle Sezioni Unite del 2010, Comm. trib. reg. Lazio 30 giugno 2009, n. 132. Per quest'ultima non è difatti sanzionabile il contribuente che ha presentato un'istanza di accertamento con adesione con riferimento alla quale l'Ufficio non abbia provveduto all'invito a comparire in oggetto, così denotando un atteggiamento lesivo del principio di collaborazione e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Nell’ipotesi diversa dalla presentazione dell'istanza di accertamento con adesione ex art. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997 e di mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, la suprema Corte ha ritenuto comunque non interrotta la sospensione del termine di 90 giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. V, n. 27274/2019). Quella in esame è questione procedurale in quanto attinente al complesso“procedimento concordatario”, che solo apparentemente sembra di carattere minore. Dalla lettura dell'art. 6 del d.lgs. n. 218 appare evidente che, a differenza di quanto stabilito in caso di procedura concordataria avviata ad iniziativa dell'Ufficio (art. 5 dec. cit.), il legislatore non impone all'Ufficio il rispetto di adempimenti formali per invitare il contribuente al contraddittorio. L'aver precisato (al comma 4 dell'art. 6) che l'invito a comparire può essere formulato nei quindici giorni successivi alla ricezione dell'istanza «anche telefonicamente o telematicamente», fa propendere verso l'ordinatorietà del termine. Essendo quest'ultimo teso a stimolare l'attività dell'Amministrazione finanziaria in modo da utilizzare, nel modo più proficuo, il ridotto periodo di tempo durante il quale si sviluppa tutto il complesso procedimento dell'adesione. Quanto detto è sostenuto anche in considerazione della circostanza per la quale l'eventuale mancato invito da parte dell'Ufficio non è punito da alcuna sanzione, anche indiretta (Fusconi, 1569, 1570 e 1571; per l'ordinatorietà del termine di cui all'art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218 si vedano anche: Antico-Fusconi, 2006, 457 e Antico-Fusconi, 2003, 3242). L'istituto dell'accertamento con adesione ricomprende nel proprio ambito oggettivo tutte le ipotesi per le quali è riconosciuto agli Uffici il potere di accertamento e, pertanto, non solo quelle di natura estimativa. Se, dunque, in linea di principio, non si rinviene alcuna limitazione all'applicazione dell'istituto, il quale può riguardare qualsiasi tipologia di contribuente e qualunque aspetto dell'accertamento fiscale, è facile prevedere che le fattispecie privilegiate saranno quelle che permettono un maggior grado di apprezzamento da parte degli Uffici, anche sulla scorta degli ulteriori elementi di valutazione che il contribuente sarà in grado di fornire in occasione del contraddittorio. Nonostante l'assenza teorica di vincoli all'utilizzo dell'istituto concordatario, non va comunque trascurata la natura pubblicistica dell'obbligazione tributaria, sottratta all'autonomia negoziale delle parti e, pertanto, indisponibile. Da ciò consegue che, in sede di accertamento con adesione, saranno privilegiate, in fatto, seppure non in diritto, tutte le controversie tendenti a ricondurre ad equità il prelievo fiscale. Ciò in quanto, come ricorda Circ. Ag. Ent. 28 giugno 2001, n. 65/E, l'ambito di applicazione dell'accertamento con adesione è incentrato nella fondata e ragionevole misurazione di un legittimo presupposto impositivo, da rideterminarsi nel quantum in conseguenza del contraddittorio con il contribuente. Pertanto, prosegue la tesi in argomento, qualora l'Ufficio escludesse in radice l'opportunità di una composizione bonaria, l'obbligo della convocazione costituirebbe un inutile appesantimento dell'attività amministrativa (Fusconi, 1569, 1570 e 1571, il quale richiama, sul punto, anche l'attenzione sulle istruzioni dettate in proposito da Circ. Mis. Fin. 8 agosto 1997, n. 235, la quale afferma che: «la mancata previsione normativa di parametri cui informare l'adesione e l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto non devono peraltro indurre a ritenere che tutte le fattispecie, anche quelle nelle quali l'esistenza dell'obbligazione tributaria è determinabile sulla base di elementi certi, debbano formare oggetto di transazione con il contribuente. In sede di contraddittorio, quindi, gli uffici dovranno operare, nei casi concreti, una attenta valutazione del rapporto costi benefici dell'operazione, tenendo conto della fondatezza degli elementi posti a base dell'accertamento, nonché degli oneri e del rischio di soccombenza di un eventuale contenzioso». Dalle argomentazioni della Suprema Corte in merito alla questione in esame (in particolare da Cass. V, n. 28951/2009), in sintesi, la dottrina ne ricava come i seguenti corollari. L'eventuale inattività dell'Ufficio nell'instaurazione del contraddittorio ex art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218 non comporta alcuna illegittimità del relativo atto di accertamento né pregiudica il diritto del contribuente che, allo spirare del periodo di sospensione, sarà esercitato in sede giurisdizionale, qualora non si sia potuto attivare in pendenza del procedimento di adesione. La sospensione dei termini di impugnazione produce invece i suoi effetti a prescindere dall'instaurazione del detto contraddittorio, dal suo esito e dal perfezionamento o meno dell'atto di adesione eventualmente sottoscritto dalle parti. Ciò perché trattasi di sospensione automatica, stabilita ex lege, a salvaguardia della posizione del contribuente che intenda anteporre alla via giurisdizionale un tentativo di composizione amministrativa, senza l'incombente timore di incorrere nelle decadenza dell'impugnazione al decorso dei rituali sessanta giorni. La proposta di accertamento con adesione, nell'ipotesi di cui al comma 2 del citato art. 6, infine, deve essere formulata dal contribuente in quanto l'Ufficio ha già formalmente manifestato il proprio orientamento e le proprie conclusioni con la notificazione dell'atto di accertamento e con motivazioni ivi contenute. Sicché è il contribuente dunque che deve vigilare sui termini sospesi e, se del caso, sollecitare l'Ufficio a instaurare il contraddittorio. Ciò però non toglie che debba ritenersi sempre e comunque opportuno attivare il contraddittorio, sia perché il contribuente lo ha espressamente richiesto nell'istanza di adesione e sia perché è proprio in questa sede che il procedimento di accertamento con adesione trova il suo fondamento quale istituto deflattivo del contenzioso, ponendosi in discussione fra le parti la sostenibilità della pretesa erariale nel suo complesso o in alcune sua componenti (Fusconi, 1569, 1570 e 1571). La Suprema Corte chiarisce però che la scelta dell'Amministrazione finanziaria di non addivenire all'accordo non comporta riduzione delle sanzioni. Nel sistema delineato dal d.lgs. n. 218 l'iniziativa del «concordato fiscale» è attribuita all'Ufficio, mentre l'art. 6 consente al contribuente di chiedere al primo la formulazione della proposta di accertamento ai fini dell'eventuale definizione. Sicché, «la scelta di invitarlo ad aderire alla definizione transattiva e di fissarne il contenuto» è riservata all'Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che, qualora la stessa ritenga di non addivenire all'accordo, non spetta la riduzione delle sanzioni prevista quale conseguenza della definizione dell'accordo con adesione (Cass. V, n. 1839/2010), con conseguente impossibilità per il giudice di sostituirsi ad essa nella relativa riduzione conseguente alla definizione con accertamento con adesione rifiutato. I requisiti essenziali dell'atto di accertamento con adesioneL'accertamento con adesione è redatto con atto scritto in duplice esemplare, sottoscritto dal capo dell'Ufficio o da un suo delegato e dal contribuente, il quale può farsi rappresentare da un procuratore munito di procura speciale, nelle forme di cui all'art. 63 del d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 218, richiamato dall'art. 13 del medesimo decreto in merito all'atto di accertamento con adesione avente ad oggetto altre imposte indirette diverse dall'IVA). La definizione in oggetto si perfeziona con il versamento delle somme dovute per effetto dell'accertamento con adesione, eseguito entro venti giorni dalla redazione dell'atto di accertamento con adesione di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 218, e, nel caso di rateizzazione, con il versamento della prima rata (artt. 9 del d.lgs. n. 218, che richiama l'art. 8 del medesimo decreto). L'art. 13-decies del d.l. n. 201 del 2011 (conv. in l. n. 214 del 2011), norma più favorevole per il contribuente, avendo eliminato l'obbligo di prestazione della garanzia fideiussoria commisurata al totale delle somme dovute, però, si applica alle rateizzazioni in corso al momento della sua entrata in vigore, ma non ha efficacia retroattiva rispetto ai diritti quesiti che, per legge, debbano essere rateizzati in più anni, atteso che la prestazione della garanzia per la rateizzazione costituisce elemento costitutivo della fattispecie adesiva e non semplice modalità esecutiva della prestazione. Nei termini di cui innanzi Cass. V, n. 5641/2020, che ha respinto il ricorso del contribuente fondato anche sull'applicazione della suindicata norma relativamente ad una rateizzazione del debito subordinata alla prestazione di garanzia fideiussoria avente fonte nella volontà delle parti. La lettera della legge (nella specie il riferimento è all'art. 13 del d.lgs. n. 218, che richiama l'art. 7 del medesimo decreto) «è chiarissima» nel prevedere che «l'atto di accertamento concordato » sia redatto per iscritto e sottoscritto, oltre che dal contribuente, dal capo dell'Ufficio o da un suo delegato. È altresì « assolutamente ovvio » che la forma scritta sia richiesta ad substantiam, sia perché ciò è conforme ai principi generali in materia di contratti dalla P.A. (il riferimento esplicito per quanto concerne i contratti della P.A. è a Cass. II, n. 7575/1994) sia perché l'atto di accertamento con adesione costituisce il titolo impositivo su cui si basa tutto l'eventuale procedimento successivo di esecuzione. Negli specifici termini di cui innanzi si esprime Cass. V, n. 14945/2006. Essa, nell'affrontare la questione inerente i requisiti essenziali dell'atto di accertamento con adesione, esclude che, in assenza della forma scritta e della sottoscrizione, l'eventuale successivo versamento della somma possa perfezionare l'atto (sempre in materia di atti impositivi, per il consolidato orientamento per il quale la cosciente e volontaria sottoscrizione di un atto, da chiunque materialmente predisposto, è l'unica attività giuridicamente idonea ad attribuire al sottoscrittore la paternità dell'atto stesso oltre che la relativa responsabilità si vedano, ex plurimis: Cass. V, n. 23801/2004; Cass. V, n. 21805/2004; nello stesso senso ma in termini più generali e non specificamente riferiti agli atti impositivi bensì a quelli negoziali si vedano, ex plurimis: Cass. II, n. 2389/1994; Cass. II, n. 9040/1992; Cass. II, n. 6133/1992; Cass. II, n. 6146/1992). Quanto agli effetti della dichiarazione contenuta nella domanda di accertamento con adesione del contribuente, in tema di contenzioso tributario, infine, ad essa Cass . VI-V, n. 30689/2017 ha attribuito natura di confessione stragiudiziale, che, come tale, è liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell'art. 2735, comma 1, c.c. Nel procedimento di accertamento con adesione non esiste uno spazio di rilievo per gli atti a forma libera. La forma vincolata costituisce difatti la perdurante normalità, tanto da far ritenere che per gli atti di imposizione l'essenzialità della forma scritta non sia solo un criterio quantitativo prevalente ma un principio generale, al pari degli atti che costituiscono la rappresentazione cognitiva del presupposto operata dal contribuente. L'atto di accertamento con adesione non deroga a questa tendenza ordinamentale come emerge dal citato art. 7, che richiede indubbiamente la forma scritta., Essa peraltro non costituisce un innovazione in quanto già prevista dall'art. 81 del regolamento di attuazione del Testo unico regolante l'imposta di ricchezza mobile (reg. 11 luglio 1907, n. 560) oltre che, più chiaramente, l'art. 34 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, Testo unico per le imposte dirette (nei termini di cui innanzi, Marello, 2006, 6, 2116, 2117 e 2118, il quale, circa la natura dell'accertamento con adesione propende per la tesi dell'atto di accertamento – un altro modo dell'accertamento – e non per quella conciliativa-contrattuale). È indubbio che la carenza di forma tocchi uno dei requisiti essenziali dell'atto, sicché, l'atto di accertamento con adesione privo della forma scritta non sarebbe in grado di consolidare i propri effetti neppure con il decorso del tempo ed il relativo vizio sarà rilevabile d'ufficio. Da quanto detto ne consegue per il contribuente la possibilità di esperire senza limiti di tempo, salvi ovviamente i termini di prescrizione del diritto, un'azione tesa a privare di effetti il concordato «inesistente» ed a riportate il procedimento nello stato in cui si trovava (Marello, 2000, 258). Nel caso di pendenza del termine per attivare il procedimento di rimborso dell'indebito, peraltro, il contribuente potrebbe scegliere di avviare questo procedimento con l'eventuale lite connessa (Marello, 2006, 6, 2116 e 2121, il quale ritiene che l'obiter di Cass. V, n. 14945/2006, circa l'utilizzabilità delle norme dedicate ai contratti della P.A. per argomentare la forma scritta ad substantiam, non possa essere considerato seriamente come una presa di posizione giurisprudenziale intorno alla natura dell'istituto; egli ritiene difatti che, dinanzi ad un dibattito sulla sistematizzazione del concordato che occupa quasi ininterrottamente la dottrina da più di un secolo, una tale affermazione avrebbe necessitato se non una argomentazione ampia almeno una argomentazione qualsivoglia, concludendo nel senso di una più stringente evocazione, a riguardo, dell'art. 11 della l. 241/1990 che impone, per gli accordi sostitutivi del procedimento, la forma scritta; sempre l'Autore da ultimo citato, in nota 14 di pag. 2122, evidenzia che la mancanza di forma scritta conduce a nullità dell'atto di accertamento con adesione anche per coloro che hanno sviluppato la tesi dell'accertamento con adesione come accordo sostitutivo, facendo riferimento a Versiglioni, 2001, 530). Il limite imposto dall'art. 61 del d.P.R. n. 600/1973, alla luce del quale le nullità discendenti dall'art. 42, comma 3, devono essere eccepite a pena di decadenza in primo grado, è stato ritenuto non ostativo alla possibilità di configurare la nullità radicale per carenza di sottoscrizione. L'art. 42 non è difatti diretto a sancire l'obbligo della sottoscrizione, desumibile dai principi generali, ma piuttosto a delimitare il potere di delega (Marello, 2006, 6, 2116 e 2123 il quale, per la tesi di cui innanzi fa esplicito riferimento a Fransoni, 1993, 359 e 360; sulla inesistenza dell'atto affetto da carenza di sottoscrizione si veda Tesauro, 2003, 224). Circa la configurabilità della funzione sanante del versamento, premettendo che il perfezionamento dell'atto di accertamento con adesione richiede indubbiamente la forma scritta, si evidenzia che la considerazione del rapporto tra formazione dell'atto ed effetti del concordato è complicato da quella discussa disposizione che ricollega gli effetti tipici dell'istituto al versamento (cioè l'art. 9 del d.lgs. n. 218). Proprio dalla detta articolazione progressiva della fattispecie sorge il problema giuridico inerente il regime dell'accertamento con adesione ove l'atto di cui al citato art. 7 sia invalido, perché carente della forma scritta, ma venga seguito da versamento. Ad esso attenta dottrina risponde in senso negativo (concordando con la già citata giurisprudenza di legittimità), trattandosi sicuramente di vizio grave dell'atto e non potendo configurare il versamento come una sorta di atto implicito. Proprio secondo la teoria dell'atto implicito, difatti, esso deve essere desunto da altro che possieda i requisiti che avrebbe dovuto avere l'atto implicito. Per converso, l'atto del versamento, che realizza un'obbligazione di dare, non possiede in alcun modo i requisiti richiesti all'atto di accertamento con adesione (Marello, 2006, 6, 2116, 2119, 2120 e 2123; sulla teoria dell'atto implicito si veda Sandulli, 596). In ordine alle ricadute invalidanti del difetto di sottoscrizione, che attribuisce la paternità dell'atto, la dottrina evidenzia che, certamente, anche per l'accertamento con adesione la sottoscrizione svolge la funzione di attribuzione della provenienza dell'atto dal soggetto che lo sottoscrive, consentendo a costui l'imputazione degli effetti tipici dell'atto. Essendo la sottoscrizione il filtro che permette la verifica della corretta esplicazione soggettiva del potere, non stupisce difatti che (nell'ambito delle teoria duali dell'invalidità) la carenza della sottoscrizione del provvedimento impositivo sia riconducibile alla nullità radicale. In questa prospettiva, per attenta dottrina, il versamento eseguito dal contribuente sarebbe quindi effettuato inutilmente, né questo atto né la conseguente consegna del verbale da parte dell'Ufficio potrebbero difatti sostituite l'assunzione di responsabilità del soggetto titolare del potere. Al contribuente spetterebbe quindi il diritto al rimborso dell'indebito ed all'Amministrazione il potere di accertamento ordinario. Nel caso in cui il concordato segua l'avviso di accertamento, il contribuente potrà impugnare l'avviso, mentre, ove il concordato lo preceda, l'amministrazione potrà emanare un atto impositivo (sempre nel rispetto dei termini di decadenza), non apparendo ragioni ostative ad un nuovo accertamento con adesione o alla convalida amministrativa dell'atto (Marello, 2006, 6, 2116, 2123, 2124 e 2125, il quale precisa che qualora si aderisse alle teorie moniste dell'invalidità, per le quali la difformità dal modello legale è sempre decisiva, ovvero se si offrisse un'interpretazione strettamente letterale dell'art. 61 d.P.R. n. 600 del 1973, da cui si desumesse che il vizio di sottoscrizione deve essere rilevato in primo grado, entro il termine di decadenza per l'impugnazione, il concordato carente di sottoscrizione potrebbe consolidare i propri effetti in seguito al versamento, essendo noto difatti che, salve la possibilità di integrazione del concordato di cui all'art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, esso esplica effetti simili a quelli dell'atto impositivo divenuto definitivo, derivandone da ciò un effetto preclusivo impediente la deducibilità dei vizio da parte del contribuente; più dubbia sarebbe invece posizione dell'Amministrazione che, per l'autore, anche nella prospettiva monista, potrebbe disconoscere la riferibilità dell'atto, procedendo al rimborso d'Ufficio ed eventualmente all'accertamento senza ovviamente alcuna rimessione in termini; lo stesso autore precisa però che la riforma della l. 231 del 1990 ha conferito dignità normativa al dualismo dei vizi del provvedimenti amministrativi ex artt. 21-septies e 21-octies, introdotti dalla l. n. 15 del 2005; per riferimenti bibliografici circa le teorie moniste e le teorie dualiste si veda Marello, 2001, 379; per l'espressione per la quale la sottoscrizione consente di attribuire la «paternità» dell'atto, si veda, ex plurimis, Morello, 1004). Dopo aver innanzi descritto il trattamento della carenza di sottoscrizione da parte del capo dell'Ufficio (ipotesi considerata da Cass. V, n. 14945/2006) la dottrina tratteggia l'ipotesi speculare, ossia la fattispecie in cui l'atto di adesione non venga sottoscritto dal contribuente ma sia seguito comunque dal versamento. In tale ultimo caso non è in discussione l'ascrivibilità dell'atto alla sfera di responsabilità del contribuente, perché il versamento, che ha il proprio titolo nell'atto, è indice della volizione degli effetti tipici dell'istituto da parte del contribuente (cosa che è possibile ritrovare nella carenza di sottoscrizione del capo dell'Ufficio). Sicché, pare fuori dubbio che non si trovi un interesse del contribuente ad eccepire il vizio dopo il versamento (neppure configurabile in capo all'amministrazione). Per converso, se il contribuente, prima del versamento, eccepisse la carenza di sottoscrizione, sempre per la dottrina in esame, l'atto non potrebbe dispiegare alcun effetto. Mancando un segno univoco della riferibilità al contribuente, in quest'ultima ipotesi di deve difatti ritenere che il “procedimento di concordato” non sia stato esperito utilmente. Non si intravedono comunque ragioni ostative alla possibilità di una sanatoria per impulso amministrativo. In qualsiasi momento, sino a al rilascio della copia del verbale (ex art. 8 comma 3 del d.lgs. n. 218), l'Amministrazione che abbia rilevato la carenza della sottoscrizione potrà quindi invitare il contribuente a sanare il vizio, sul modello di quanto avviene per la dichiarazione dei redditi che presenta il medesimo vizio ai sensi dell'art. 1, comma 3, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (Marello, 2006, 6, 2116, 2125 e 2126, il quale prosegue precisando che se si accedesse alla tesi per la quale, pur in mancanza di versamento, l'atto di accertamento con adesione potrebbe orientare la successiva attività di accertamento o di autotutela, il caso del difetto di sottoscrizione da parte del contribuente costituirebbe comunque una eccezione, non potendo essere in alcun modo assunto come elemento di ricostruzione cognitiva del presupposto; per la tesi secondo la quale pur in mancanza di versamento, l'atto di accertamento con adesione potrebbe orientare la successiva attività di accertamento o di autotutela si veda lo stesso Marello, 2000, 200, 227 e 257, ove si reperiscono anche ulteriori riferimenti bibliografici). Con riferimento agli altri elementi essenziali dell'atto di accertamento con adesione (oltre alla forme scritta ed alla sottoscrizione) parte della dottrina individua l'intestazione dell'atto, la motivazione e l'indicazione delle imposte liquidate (oltre che le attribuzioni proprie del potere, quali la sussistenza del segmento temporale di legittimazione e la competenza territoriale). In primo luogo sono necessarie a pena di nullità le informazioni collocate nell'intestazione dell'atto, in quanto idonee ad identificare univocamente i soggetti tra cui intercorre il “concordato”. Ciò anche in considerazione del fatto che il rapporto tributario non è «aperto», cioè rivolto ad un numero indistinto di soggetti, bensì “chiuso”, per cui gli effetti dell'atto si esplicano solo nei confronti di soggetti predeterminati ex lege, ponendosi, quindi, la delimitazione soggettiva, come requisito di esistenza dell'atto. Per i sostenitori della detta tesi le possibilità di sanatoria sono ridotte, salvo che l'amministrazione si avveda dell'omissione prima della consegna del verbale e possa ovviarvi mediante la formazione di un nuovo atto valido che prenda il posto del precedente (Marello, 2006, 6, 2116, 2126 e 2127). Le altre indicazioni contenute nel preambolo del documento conducono invece a vizi di annullabilità, sempre che dal contesto dell'atto non sia possibile comunque ricavare le informazioni in questione. Il riferimento è all'indicazione delle annualità per le quali si procede ad accertamento con adesione oltre che all'indicazione del precedente avviso di accertamento. Ove difatti l'informazione fosse desumibile dalla parte motiva o comunque in genere dal proseguo dell'atto, si dovrebbe ritenere soddisfatto l'interesse pubblico alla trasparenza dell'azione amministrativa (Marello, 2006, 6, 2116, 2126 e 2127). La posizione della motivazione, infine, è peculiare ritenendosi che la sua mancanza in merito ai provvedimenti impositivi integri vizio di annullabilità e non di nullità (Tesauro, 2003, 218 e 219). Parte della dottrina ritiene tuttavia che nel caso dell'accertamento con adesione la soluzione debba essere maggiormente restrittiva e che la carenza assoluta di motivazione conduca a nullità. Ciò in quanto la motivazione, proprio con riferimento all'atto di accertamento con adesione, assolve non tanto ad una funzione di garanzia del contribuente (in prospettiva giurisdizionale) quanto alla tutela dell'interesse pubblico alla verifica del corretto agire amministrativo per il tramite dell'esplicitazione dei criteri cognitivi adottati dalle parti (Marello, 2006, 6, 2116, 2126 e 2127; negli stessi termini e per una più dettagliata esposizione della questione si veda anche Marello, 2000, 209). Parimenti, richiesta a pena di nullità è l'indicazione della «liquidazione delle maggiori imposte». Ciò perché trattasi di elemento dell'atto di accertamento con adesione, ex art. 7 del d.lgs. n. 218 e successivo art. 13 che lo richiama. La relativa carenza non consente difatti di valutare la congruità della quantificazione del presupposto rispetto alla motivazione adottata e non permette al contribuente di adempiere al versamento sulla base di un titolo formalizzato (Marello, 2006, 6, 2116, 2126 e 2127). Con riferimento agli altri elementi essenziali dell'atto di accertamento di adesione, oltre alla forma scritta ed alla sottoscrizione, anche la giurisprudenza della Corte dei Conti ne annovera la motivazione, con conseguenze anche sul piano della responsabilità del funzionario collegata all'esercizio di potere discrezionale. Nell'accertamento con adesione la motivazione del provvedimento assume rilevanza fondamentale poiché, nel contraddittorio che si instaura fra il contribuente e l'amministrazione finanziaria, l'atto di adesione deve indicare, separatamente per ciascun tributo, gli elementi su cui si fonda la definizione del procedimento (ex plurimis, C. conti, FV, n. 154/2008). L'accertamento con adesione postula difatti un'adeguata ed indispensabile motivazione dell'atto, che dia conto di una attenta valutazione del rapporto costi-benefici dell'operazione. L'assenza di essa implicherebbe una rinuncia dell'Ufficio finanziario ai suoi poteri di accertamento tale da determinare responsabilità amministrativa, ove sia stata acclarata la insussistenza dei presupposti che legittimavano l'accertamento stesso e la mancata individuazione dell'imposta effettivamente dovuta dal richiedente (ex plurimis, C. conti AS, n. 2/2006). L'adesione acritica ad una proposta di accertamento con adesione, omettendo di motivare l'atto e di verificare in concreto la corretta applicabilità delle norme regolanti la fattispecie tributaria oggetto di «concordato», configura quindi ipotesi di responsabilità a carico dei funzionari dell'Agenzia delle entrate (ex plurimis, C. conti AS, n. 56/2006). Ciò lo si argomenta dall'assunto per il quale, in conformità alla disciplina posta con il d.lgs. n. 218, il procedimento di accertamento con adesione non ha i contenuti della libera contrattazione tra le parti, poiché impone agli Uffici finanziari di operare con valutazioni discrezionali che non possono discostarsi dagli elementi fatturali e contabili desumibili dall'accertamento tributario, i cui elementi devono quindi risultare dalla motivazione dell'adesione (ex plurimis, C. conti GS, n. 3055/2004; sulla responsabilità amministrativa dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria che con colpa grave aderiscano «supinamente ad una proposta formulata dal contribuente e assai vantaggiosa per quest'ultimo», trascurando i verbali di verifica, si veda C. conti, n. 512/2005). La rappresentanza del contribuente da parte di procuratore munito di procura specialeNella redazione e sottoscrizione dell'atto di accertamento con adesione il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore munito di procura speciale, nelle forme previste dall'art. 63 del d.P.R. n. 600 del 1973 (art. 7, comma 1-bis, del d.lgs. n. 218). In merito è sorto il problema dei requisiti necessari per l'autenticazione della sottoscrizione del contribuente conferente la procura da parte dello stesso rappresentante. In particolare ci si è chiesti in dottrina ed in giurisprudenza se il delegato del contribuente, che eserciti la facoltà di autenticarne la firma, debba essere necessariamente iscritto negli specifici albi professionali, di cui all'art. 12 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (ad esso risponde negativamenteCass. V, n. 16222/2914). Ai sensi dei commi 1 e 2 del citato art. 63, nel testo vigente dall'1 gennaio 2001, presso gli Uffici finanziari il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, salvo quanto stabilito nel comma 4, e la procura speciale deve essere conferita per iscritto con firma autenticata. L'autenticazione non è necessaria quando la procura è conferita al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche. Quando la procura è conferita a persona iscritta in albi professionali o nell'elenco previsto dal comma 3 è data facoltà agli stessi rappresentanti di autenticare la sottoscrizione. Nel 2005 il legislatore ha modificato il disposto normativo di cui innanzi (con l'art. 7-quater, comma 1, d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv. con modif. dall'art. 1, comma 1, della l. 2 dicembre 2005, n. 248), estendendo la facoltà di autenticazione della sottoscrizione anche ai soggetti indicati nell'art. 4, comma 1, lett. e), f) ed i), d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 545. In particolare tale facoltà è estesa a coloro che, in possesso del titolo di studio ed in qualità di ragionieri o esperti commerciali, hanno svolto, per almeno dieci anni, alle dipendenze di terzi, attività nelle materie tributarie ed amministrativo-contabili (lett. e) oltre che agli iscritti nel ruolo o nel registro dei revisori ufficiali dei conti o dei revisori contabili, sempre che abbiano conseguito, da almeno due anni, il diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio. In argomento già Cass. II, n. 12154/1993 precisa che per il disposto del citato art. 63 del d.P.R. n. 600 del 1973, dettato con riferimento alla materia del tributi erariali diretti ma di applicazione generale nel settore del diritto tributario, l'attività extraprocessuale di rappresentanza e di assistenza del contribuente davanti agli Uffici finanziari è liberamente esercitabile, senza necessità di una qualificazione professionale. Essa ammette, di conseguenza, la normale retribuibilità dell'attività anzidetta prestata per incarico del contribuente, indipendentemente dall'iscrizione in un albo professionale. Con specifico riferimento alla questione di diritto in esame, infine, intervieneCass. V, n. 16222/2014 la quale aggiunge, rispetto all'indicato approdo di legittimità del 1993, che, in effetti, per la fase stragiudiziale del rapporto tra contribuente ed Amministrazione finanziaria non è richiesta una specifica competenza in ambito tributario. Da ciò consegue che non è consentita l'interpretazione restrittiva volta a richiedere, per il delegato del contribuente che eserciti la facoltà, nell'accertamento con adesione, di autenticare la firma del delegante, anche l'iscrizione agli specifici albi professionali previsti dall'art. 12 del d.lgs. 546 del 1992, prevista invece per l'assistenza tecnica del contribuente nel processo tributario. Il legislatore, difatti, rileva altresì la citata Cass. V, n. 16222/2014, quando è intervenuto nel 2005 sul disposto dell'art. 63 non ha neppure inserito tale collegamento con il citato art. 12. Non vi sono altresì elementi logico-giuridici per i quali il potere di autenticazione della firma del delegante dovrebbe essere limitato agli esperti del settore tributario. La materia è raramente posta all'attenzione del Giudice tributario è bene però ricordare che, secondo quanto argomentato da Cass. V, n. 6591/2008, anche la contestata mancanza di autenticazione della firma da parte del delegato non determina la nullità dell'atto, a meno che la controparte non contesti espressamente l'autenticità della sottoscrizione. In un noto precedente di merito (Comm trib. prov. Vercelli n. 14 del 2009), prosegue la dottrina in esame, è stato affermato che in sede di accertamento con adesione non è altresì opponibile all'Amministrazione finanziaria il limite ai poteri del rappresentante – costituito, secondo il rappresentato, dalla possibilità di partecipare alla discussione senza facoltà di sottoscrizione dell'atto – laddove siffatto limite non possa desumersi dal tenore della delega (Russo, 3476, 3478 e 3479, il quale sottolinea altresì che, fuori dei casi di conferimento di procura al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche, nei quali non è necessaria l'autenticazione a mente dell'art. 63 del d.P.R. n. 600 del 1973, la rappresentanza dei non iscritti negli albi suindicati in favore del contribuente, indubbiamente possibile, è resa operativa da procura autenticata a mezzo delle altre forme di legge, in ipotesi mediante notaio, in ragione del comma 1 del citato art. 63). Effetti dell'«adesione formalizzata e non perfezionata» e revocabilità dell'«accordo» prima del perfezionamentoEntro venti giorni dalla redazione dell'accordo di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 218 deve essere eseguito il versamento delle somme dovute per effetto dell'accertamento con adesione ovvero, in caso di versamento rateale, il versamento della prima rata (commi 1 e 2, art. 8 dec. cit.). Proprio con il detto versamento si perfeziona la definizione in esame, ex art. 9 del medesimo decreto. Entro i successivi dieci giorni il contribuente fa pervenire la quietanza dell'avvenuto pagamento all'Ufficio, il quale gli rilascia quietanza dell'avvenuto pagamento oltre che copia dell'atto di accertamento con adesione (comma 3 del citato art. 8). In ragione delle disposizioni di cui innanzi, circa la redazione dell'accordo ed il perfezionamento della definizione mediante accertamento con adesione, si è posta la questione della revocabilità dell'accordo prima del perfezionamento della definizione (mediante pagamento) e della rilevanza dell'adesione formalizzata, ex art 7 cit., ma non seguita dal pagamento di cui ai successivi artt. 8 e 9 (c.d. «adesione formalizzata ma non perfezionata»). In merito al quale si registra netto contrasto dottrinal-giurisprudenziale oltre che non unanimità di vedute tra una parte della giurisprudenza di merito e quella di legittimità. Cass. V, n. 10086/2009 chiarisce che una volta definito l'accertamento con adesione, con fissazione anche del quantum debeatur, al contribuente non resta che eseguire l'accordo, mediante il versamento di quanto da esso previsto. Risulta quindi normativamente esclusa la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l'atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l'obbligazione scaturente dal concordato. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso contro l'avviso di accertamento proposto dopo la firma del concordato fiscale. Nella specie, raggiunto l'accordo nell'ambito di una procedura di accertamento con adesione (in materia di imposte sui redditi) avviata a seguito di avviso di accertamento già notificato, il contribuente, dopo il raggiungimento dell'accordo con sottoscrizione dell'atto di accertamento con adesione aveva cambiato idea, non perfezionando l'accordo mediante versamento delle somme indicate nell'atto di adesione, ed aveva impugnato l'atto originario. La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l'accordo revocabile perché non perfezionatosi ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 218 (trattasi di cassazione di Comm. trib. reg. Latina 31 dicembre 2002, n. 486). È di particolare rilievo la disamina delle argomentazioni poste a sostegno della tesi di cui innanzi, anche ai fini delle conseguenze che il Giudice di legittimità ne trae con riferimento all'istituto in esame oltre che al fine di meglio cogliere le aspre critiche della dottrina. Per la Suprema Corte, in particolare, nel caso in cui l'istanza di definizione con adesione (nella specie ex art. 6 del d.lgs. n. 218) abbia buon esito, nel senso che il concordato si sia concluso (cioè con atto sottoscritto ex art. 7 dec. cit.), l'accertamento definito con adesione diventa intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non può più impugnarlo, quanto da parte dell'Ufficio, che non può integrarlo o modificarlo, come prescrive l'art. 2, comma 3, del citato decreto, salve le eccezioni stabilite dal successivo comma 4. Cosa differente rispetto all'atto di accertamento con adesione (art. 7 cit.) è il «perfezionamento della definizione» ex art. 9 del d.lgs. n. 218, che si ottiene mediante il versamento all'erario di quanto concordemente stabilito. Solo dopo il «perfezionamento», ossia dopo il pagamento del debito tributario scaturente dall'accordo, l'atto impositivo perde difatti efficacia (art. 6, comma 4, ultimo periodo, dec. cit.). La detta Cass. V, n.10086/2009, a supporto delle argomentazioni di cui innanzi, fa esplicito riferimento a Cass. V, n. 18962/2005, per la quale il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai messo in discussione dal contribuente (in senso conforme sono altresì, ex plurimis, Cass. V, n. 20732/2010 e Cass. V, n. 29587/2011). Essa trae altresì dichiaratamente spunto, quale argumentum a contrariis, anche da Cass. V, n. 15170/2006, . Quest'ultima, in particolare, ammette l'impugnabilità dell'atto impositivo, riconoscendo inoltre al contribuente il vantaggio della sospensione del termine ordinario d'impugnazione, ma solo quando sia stato «formalizzato il mancato raggiungimento dell'accordo» (come emerge dalla motivazione), negando quindi il potere di impugnazione dell'atto a chi abbia inequivocabilmente concordato, in via di adesione, la misura del tributo da pagare. In base alle considerazioni di cui innanzi ed in conformità ai principi generali del diritto, la Suprema Corte ritiene quindi erroneo affermare la possibilità di «rinuncia» o di «ripensamento» del contribuente dopo la definizione del contesto mediante adesione (e prima del suo perfezionamento ex art. 9 del d.lgs. n. 218). Le dette norme non autorizzano difatti simili rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell'accordo e non ne prevedono la revocabilità, anche se sanciscono espressamente l'immodificabilità (art. 3, comma 4, dec. cit.). Il successivo inadempimento (cioè non perfezionamento), nei termini e con le modalità stabilite con il citato art. 8, giustificherebbero invece l'adozione dei normali mezzi di coercizione e non potrebbe mettere nel nulla l'accordo in mancanza di una specifica disposizione in tal senso. L'art. 6, comma 3, ultimo periodo, dello stesso decreto, ove dispone che l'impugnazione dell'atto comporta rinuncia all'istanza, si riferisce ad un comportamento antecedente la conclusione dell'accordo, allorché la presentazione del ricorso contro l'atto impositivo è considerata dalla legge incompatibile con la volontà di concluderlo (Cass. V, n. 10086/2009). Come anticipato la dottrina è critica circa l'impostazione della giurisprudenza di legittimità di cui innanzi, ancorché divisa al suo interno. Secondo un primo orientamento, in linea con il già analizzato arresto di legittimità, l'atto di adesione, completo in tutti i suoi elementi costitutivi, a seguito della sottoscrizione, non perfezionato con il pagamento sarebbe comunque valido ed efficace e quindi idoneo a fondare la riscossione coattiva (Moscatelli, 196, per la quale il detto atto potrebbe dunque essere portato ad esecuzione con le ordinarie procedure di riscossione mediante ruolo; sostengono che all'omesso versamento, nel caso di accertamento con adesione sottoscritto, possa seguire l'iscrizione a ruolo anche Miccinesi, 15, e La Rosa, 2000). La circostanza per la quale la procedura in esame si perfezioni con lo spontaneo pagamento delle somme da parte del contribuente non necessariamente implica la caducazione dell'accertamento, ove il pagamento non avvenga, né esclude la riscuotibilità coattiva delle somme definite. La volontà legislativa sembra difatti essere nel senso di subordinare al pagamento spontaneo soltanto gli specifici effetti premiali della definizione bonaria e non anche l'esistenza stessa dell'accertamento (La Rosa, 2004, 254). Per altro orientamento contrasterebbero con l'istituto in esame le conclusioni secondo le quali il pagamento ha una valenza meramente esecutiva, non essendo autorizzate rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell'accordo (mai revocabile) ed essendo invece prevista espressamente l'immodificabilità: per cui, dopo la firma del dell'atto di accertamento con adesione il ricorso contro l'avviso di accertamento sarebbe inammissibile. Per autorevole dottrina, in particolare, l'inammissibilità di un ricorso contro l'originario avviso di accertamento esprime le esigenze di stabilità e certezza della definizione per adesione, precludendo al contribuente di mettere in contestazione le risultanze, ma implica che l'accertamento con adesione si sia perfezionato, ovvero che sia stato effettuato il versamento delle somme da esso risultanti. Si sostiene in particolare che la rinuncia ad avvalersi della sospensione dei termini di impugnazione è stata disattesa non solo dalla stessa Amministrazione finanziaria (circ. Ag. En 28 giugno 2001, n. 65/E) ma anche da Cass. V, n. 15171/2006. Se il termine resta sospeso anche dopo la formalizzazione del mancato accordo, in particolare, non si vede perché giungere ad una diversa conclusione laddove il raggiunto accordo non sia seguito dal versamento delle somme e quindi non sia stato perfezionato. A ciò la dottrina aggiunge poi che la possibilità di contestare un accertamento con adesione è preclusa, ex art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218, attenendo ciò ad uno dei tipici effetti dell'istituto quale la stabilizzazione delle entrate per l'Erario e dei titoli giuridici dai quali esse promanano, saldandosi però con l'interesse pubblico al celere e irreversibile versamento delle somme, cui il contribuente è tenuto, pena il mancato perfezionamento dell'accordo medesimo. Ne consegue che, senza versamento delle somme l'accertamento con adesione non si perfeziona e, quindi, l'unico atto valido ed efficace è l'originario avviso di accertamento, da ritenersi quindi impugnabile. Il differente orientamento di legittimità farebbe invece derivare la non impugnabilità dell'avviso di accertamento, rimasto inefficace, non essendosi perfezionata la procedura di adesione, dalla non impugnabilità del concordato, ma con un vero e proprio salto logico. In particolare è criticata l'argomentazione per la quale essendo normativamente esclusa la possibilità di impugnare l'accertamento con adesione a maggior ragione è esclusa la possibilità di impugnare l'atto impositivo oggetto della “transazione”. Tale dottrina sostiene però che il detto argomento a fortiori appare «fuori luogo», posto che la non ricorribilità dell'accertamento con adesione, una volta perfezionato, deriva dalla funzione dell'istituto, che è quella di rendere stabile ed irreversibile il versamento delle somme che ad esso si accompagna. Essa si spiega d'altra parte con l'adesione prestata dal contribuente ai contenuti dell'accodo, che rende plausibile la preclusione di un sindacato giurisdizionale di un atto amministrativo cui il contribuente ha appunto prestato adesione. Pare quindi evidente, per la tesi in esame, che questi argomenti non siano riproponibili in relazione all'originario avviso di accertamento, che esplica la sua efficacia ed è sindacabile in sede giurisdizionale, non solo nel caso di mancato raggiungimento dell'accordo ma anche in caso di accordo raggiunto ma non perfezionato. In secondo luogo, aggiunge la dottrina in argomento, la tesi fatta propria dal Giudice di legittimità non terrebbe conto che in assenza del perfezionamento della procedura l'avviso di accertamento è valido ed efficace, non potendo quindi essere negato l'accesso alla giurisdizione. La detta efficacia dell'avviso di accertamento non svolgerebbe difatti solo una funzione di garanzia per l'interesse erariale, dovendo invece essere apprezzata anche nei suoi riflessi processuali, trattandosi pur sempre di un atto impugnabile. L'accertamento con adesione è fattispecie a formazione progressiva ed il versamento della somma integra l'efficacia dell'accordo, che prima di allora non può nemmeno dirsi «perfezionato», come si esprime l'art. 9 del d.lgs. n. 218 sul perfezionamento delle definizione. La ragione per la quale l'accordo non si perfeziona con la stipulazione, come sembrerebbe intuitivo pensare,essendo invece indispensabile il versamento delle somme, risiede nell'interesse pubblico sotteso al “concordato” , che è quello al reperimento di entrate in tempi rapidissimi e con carattere di stabilità (Stevanato, 2009, 10, 886, 887 e 888). Quanto detto sembrerebbe in linea con la dottrina per la quale l'accertamento con adesione è fattispecie a formazione successiva. Relativamente ad essa la stipulazione dell'atto di accertamento con adesione costituisce un primo momento es in essa si inserisce, come condizione sospensiva, il pagamento integrale o il pagamento della prima rata (e la prestazione della garanzia sino a quando essa era normativamente prevista) nel termine di venti giorni da tale stipulazione (Batistoni Ferrara, 22 e 27, per il quale il legislatore delegato avrebbe omesso di disciplinare la questione in esame ponendo effettivamente un dubbio interpretativo al riguardo). Sicché, il perfezionamento è la condizione senza la quale il concordato non produce effetti, tanto sul piano dei vantaggi per il contribuente circa l'aspetto sanzionatorio quanto sul piano della stabilizzazione della pretesa tributaria (Marello, 2000, 197). Se non integrato dalla prestazione pecuniaria l'atto di adesione resta quindi irrilevante ed inefficace, alla stregua di un negozio reale in mancanza della dazione della cosa o del denaro (Fedele, 335; sul punto si veda anche Tesauro, 2005, 242, per il quale dalla descritta tipologia di fattispecie, propria dell'accertamento con adesione, discende che il mancato versamento non dovrebbe consentire all'accordo formalizzato con le modalità di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 218 di esperire i propri effetti, con la reviviscenza dell'ordinario potere impositivo dell'Ufficio; sugli altri effetti «indiretti» dell'accordo raggiunto ma non perfezionato con il pagamento, sul piano delle successive vicende in sede amministrativa e contenziosa ed in specie sulla rilevanza probatoria e processuale dell'accertamento con adesione non perfezionato, si veda Marello, 2000, 201; tale ultimo autore chiarisce poi, argomentando dall'art. 9 del d.lgs. n. 218, per il quale la definizione si perfeziona con il versamento, che il termine «perfezionamento» evoca ordinariamente la raggiunta compiutezza degli elementi costitutivi di un atto e, quindi, la sua idoneità a raggiungere stabilmente gli effetti cui è preordinato, l'atto perfetto è dunque quello che può esplicare l'effetto tipico, proprio perché risponde alla fattispecie astratta, Marello, 2010, 5, 1213 e 1214). Autorevole dottrina, dunque, sostiene che le tesi per le quali l'atto di adesione non perfezionato con il pagamento sarebbe idoneo a fondare la riscossione coattiva si scontrano contro la disciplina normativa. Esso sono difatti costrette ad ipotizzare, con una «interpretazione ortopedica», degli effetti «dimezzati» per gli accertamenti con adesione non seguiti dal pagamento spontaneo delle somme, idonei a fondare la riscossione coattiva ma non a produrre gli effetti premiali che connotano l'istituto (Stevanato, 2009, 10, 889 e 890). Secondo tale tesi le dette posizioni risentono probabilmente del disagio ad ammettere che una procedura, come l'accertamento con adesione, che dovrebbe tendere ad una più realistica è precisa definizione del presupposto imponibile, possa, una volta raggiunto l'accordo e definita così in contraddittorio la pretesa fiscale, essere abbandonata a causa del mancato versamento spontaneo delle somme. A ciò si obietta non solo la disciplina dell'istituto ma anche che le difficoltà di inquadramento concettuale sembrano superabili, anche senza necessariamente attribuire all'accertamento con adesione una valenza transattiva, ove si abbandoni l'idea, inadeguata, della totale vincolatezza dell'azione impositiva. La minore o maggiore sostenibilità della pretesa fiscale (ove il presupposto imponibile assume spesso, se non sempre, connotati probabilistici) va ponderata, piaccia o no, con i costi e le lungaggini del contenzioso, con il rischio di soccombenza, con gli esiti incerti della riscossione ed altri parametri. In tale contesto non deve destare scandalo che la legge attribuisca rilievo decisivo, per il perfezionamento e la stabilizzazione della pretesa fiscale concordata, al pagamento spontaneo delle somme in essa indicate ed all'irreversibile acquisizione delle stessa alle casse erariali (Stevanato, 2009, 10, 889 e 890, per il quale, quindi, in forza di legge il versamento delle somme è elemento costitutivo della fattispecie obbligatoria e non un momento meramente esecutivo di un accordo già perfezionato, altrimenti non si spiegherebbe la regola contenuta nell'art. 9 del d.lgs. n. 218, per la quale la definizione si perfeziona con il versamento di cui all'art. 8 del medesimo decreto; per l'autore, quindi, il versamento da parte del contribuente dell'importo di cui all'accertamento con adesione, nei termini prescritti dalla legge, non sarebbe un obbligo in senso tecnico bensì un onere, essendo interesse del contribuente, se vuole conseguire gli effetti premiali dell'istituto riduzione delle sanzioni – eseguire il versamento nei termini, così perfezionando l'accordo e rendendolo intangibile, sicché, il mancato versamento delle somme comporta la caducazione dell'accordo raggiunto, stante anche quanto disposto l'art. 6, comma 4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 218 per il quale all'atto del perfezionamento della definizione l'avviso perde efficacia, e non già la sua cristallizzazione, come invece sembra ipotizzare la tesi opposta). Questa ricostruzione, sempre a detta della dottrina in esame, sarebbe difatti coerente con l'interesse pubblico, che si accompagna e contrappone a quello premiale del privato, ad una immediata acquisizione delle somme risultanti dall'accordo. Esse, una volta versate, non possono essere più messe in discussione, giusta la non impugnabilità dell'atto di adesione ed ovviamente anche l'improponibilità di azioni di rimborso di quanto versato. Con il raggiungimento dell'ulteriore obiettivo della deflazione del contenzioso e nel caso in cui non si integrasse il detto perfezionamento cadrebbe la ragione di interesse pubblico ed il correlativo effetto premiale per il contribuente (Stevanato, 2009, 10, 889 e 890). Una dottrina evidenzia che il problema dell'inquadramento giuridico dell'istituto in esame, con riferimento al momento nel quale l'accordo tra amministrazione e contribuente possa effettivamente considerarsi completo nella sua fattispecie e quindi produttivo di effetti, risente della contrapposizione tra la tesi interpretativa di matrice civilistica e quella dell'accertamento con adesione quale atto unilaterale dell'Ufficio. La prima, quella di matrice civilistica, ritenuta aderente al dettato normativo, tende a far risaltare la funzione stessa dell'istituto dell'adesione come strumento per l'Amministrazione finanziaria volto ad incamerare entrate tributarie. L'accertamento con adesione sarebbe un contratto vero e proprio, di natura transattiva, con il quale l'Ufficio rinuncia a parte dell'originaria pretesa mentre il contribuente si obbliga a pagare quanto dovuto. Nel caso in cui il versamento non avvenisse entro il termine (di venti giorni) sarebbe logico, quindi, ritenere quale conseguente sanzione l'inefficacia definitiva dell'accordo con la conseguente reviviscenza del potere impositivo dell'ufficio. A rigore, l'inefficacia dell'accordo comporterebbe la piena efficacia dell'originario avviso di accertamento, destinato a diventare inoppugnabile se non impugnato nei termini. Si contrappone alla tesi contrattualistica quella dell'atto unilaterale dell'Ufficio, il quale adeguerebbe la propria pretesa rideterminandola secondo ragioni di giustizia sostanziale ed annullando quella precedente. Si tratterebbe, in sostanza, di un normale accertamento, emesso nell'ambito del poteri autoritativi dell'Amministrazione finanziaria, al quale il contribuente presta la sua accettazione, secondo lo schema dei c.d. contratti per adesione (per la disamina delle dette tesi, al fine della risoluzione del problema in esame, si veda Sardella, 4110, 4112 e 4113, che, ai fini dell'inquadramento sistematico dell'istituto annovera, tra i sostenitori della tesi interpretativa di matrice civilistica, Batistoni Ferrara, 22, e Tesauro, 2005, 242, chiarendo che trattasi di tesi elaborata da autorevole dottrina civilistica ed in particolare da Rubino, passim; tra i sostenitori dell'interpretazione contrapposta, l'autore invece individua Tremonti, 294, per il quale vi sarebbero due atti separati, il contribuente presterebbe acquiescenza ad un nuovo esercizio del potere impositivo, non vi sarebbe però un incontro di volontà riassunto in un unico atto, nonché, sulla unilateralità degli accordi in esame, Pugliese, 189, e Giannini, 262). Muovendo da tale contrasto tra tesi contrattualistica una voce in dottrina sostiene che Cass. V, n. 10086/2009, dando precipuo rilievo all'intervenuta formazione dell'accordo, sembrerebbe privilegiare la tesi unilaterale, laddove afferma che definito l'accertamento con adesione con la conclusione dell'accordo scritto, al contribuente non rimane che eseguirlo mediante il perfezionamento (Sardella, 4110, 4114). Si evidenzia in particolare chela citata Suprema Corte non dice espressamente se l'Ufficio possa esercitare i poteri esecutori tipici dell'amministrazione finanziaria, la quale può iscrivere a ruolo i crediti erariali e procedere, successivamente, con l'esecuzione forzata, con le modalità di cui al d.P.R. n. 602 del 1973.La tesi in esame ritiene però essere questa la conclusione alla quale si potrebbe pervenire tenuto altresì conto degli interessi coinvolti e della posizione dell'ente creditore nell'ordinamento. L'Amministrazione finanziaria ha difatti comunque il potere di agire in via di autotutela c.d. esecutiva, iscrivendo a ruolo i crediti erariali definitivi, vale a dire non più modificabili (Sardella, 4110, 4114; per l'esecutività in oggetto l'autrice da ultimo citata fa esplicito rinvio a Falcon, passim). A tale ultima constatazione però, in questa sede, potrebbe evidenziarsi, in senso contrario, che la stessa sentenza fa esplicito riferimento all'intervenuta “transazione” tra Ufficio e contribuente e che l'approdo di legittimità in esame è criticato anche da sostenitori della tesi dell'accertamento con adesione quale specie di atto di accertamento tributario, caratterizzato dall'adesione del contribuente. La dottrina in esame acutamente osserva altresì, sotto un profilo di comparazione analogica, che l'art. 83, comma 18, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (conv., con modif., dalla l. 6 agosto 2008, n. 133) ha introdotto nel corpo del d.lgs. n. 218 l'art. 5-bis (comunque successivamente abrogato dall'art. 1, comma 637, n. 2, della l. n. 190 del 2014). Così prevedendo che l'omesso versamento dia luogo ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo, ricorrendo la condizione di cui all'art. 14, lett. b), del d.P.R. n. 602 del 1973 della definitività delle somme accertate. Sebbene si tratti di una norma dettata per un caso specifico, vale a dire con riferimento all'accertamento con adesione per i processi verbali di constatazione, l'intervento normativo predetto manifesta, comunque, sempre per tale tesi, un orientamento da parte del legislatore a favore di un inquadramento sistematico dell'istituto. Tanto precisato, però, si conclude ritenendo che comunque non si possa fare a meno di constatare la novità rappresentata dall'orientamento del Giudice di legittimità, nella parte in cui assegna un valore decisivo alla intervenuta conclusione dell'accordo con il Fisco anche se dopo le somme pattuite non siano versate (Sardella, 4110 ed in particolare 4114). Per autorevole dottrina l'intento (sistemico) dell'orientamento di legittimità in esame è comprensibile oltre che condivisibile. Si vuole difatti offrire rilevanza giuridica all'atto di accertamento con adesione, sottoscritto dalle parti, ma non seguito dal versamento. Si vuole, in particolare, che il concordato sottoscritto abbia qualche effetto sul procedimento. Al tempo stesso tale dottrina ritiene poco convincenti le argomentazioni poste alla base della tesi in argomento, non essendo la relativa interpretazione compatibile con il dettato dell'art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218, per il quale all'atto di perfezionamento delle definizione, l'avviso perde efficacia. La perdita di efficacia del precedente avviso consegue difatti solo al versamento, ex artt. 8 e 9 dec. cit., e, pertanto, non sarebbe possibile individuare una diversa soglia di perfezionamento. La norma è forse discutibile ma sufficientemente chiara tanto che la Suprema Corte è costretta ad un'«acrobazia» dicendo che l'atto originario conserva efficacia ma solo a garanzia del Fisco e fino a che non sia stata interamente eseguita l'obbligazione. In ciò, per la dottrina in esame, si cumula una deviazione sistemica ed una contraddizione. In primo luogo si evidenzia l'efficacia asimmetrica che si vuole attribuire all'avviso notificato al contribuente, in quanto solo a garanzia del fisco: un atto che esplichi effetti solo nei confronti di una delle parti del rapporto costituirebbe difatti un unicum nel nostro sistema necessitante di argomentazioni che mancano nella sentenza sella Suprema Corte. In secondo luogo, vi sarebbero due atti di imposizione al medesimo tempo efficaci: con la sottoscrizione il concordato sarebbe concluso ed efficace ma resterebbe efficace solo a garanzia del Fisco anche l'avviso di accertamento notificato in precedenza. Non si comprende in particolare quale sarebbe poi l'effetto parziale che la Suprema Corte vorrebbe mantenere. Se difatti si ritenesse che al contribuente, dopo la sottoscrizione, non restasse che il versamento, non si comprenderebbe quale sarebbe l'efficacia parziale residua lasciata al provvedimento originario. Questo provvedimento parzialmente efficace non avrebbe ricadute sulla riscossione perché, al massimo, si potrebbe procedere ad iscrivere a ruolo quanto concordato, e non avrebbe altresì efficacia decisoria generale, erosa dalla sottoscrizione dell'accertamento con adesione (Marello, 2010, 1213, 1214, 1215 e 1216, per il quale l'atto di accertamento sottoscritto ma non perfezionato rimarrebbe, forse, utilizzabile solo per l'apposizione delle misure cautelari dell'ipoteca e del sequestro conservativo; anche se, continua lo stesso autore, in questo caso più di un argomento sistemico farebbe militare per l'ipotesi negativa in quanto, a tacer d'altro, ipoteca e sequestro conservativo sono ricollegate all'irrogazione di sanzioni per come effettuata nell'avviso di accertamento notificato al contribuente, mentre qui avremmo un atto di accertamento con adesione già efficace, secondo la Suprema Corte, che comporta la riduzione sanzionatoria ad un quarto del minimo nonché una diversa e minore determinazione del tributo dovuto, mutando così l'importo complessivo – imposte e sanzioni – da garantire). Ulteriore critica mossa da parte della dottrina alla tesi della efficacia dell'atto di accertamento sottoscritto e non seguito dal versamento del dovuto, così come prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, parte analizzando il fondamento giuridico che la più volte citata Cass. V, n. 10086/2009 offre alla propria decisione. Si ritiene «strano» che essa intenda offrire rilevanza al concordato non perfezionato partendo da una soluzione transattiva (ove dice che l'atto impositivo originariamente notificato e di cui si dibatte nel concordato è l'«oggetto della transazione»). Tale dottrina evidenzia che se quello utilizzato nel caso di specie dal Giudice di legittimità non dovesse ritenersi un «uso lessicale incontrollato» esso evidenzierebbe una incongruenza teoretica dell'assunto. Tratto comune alle tesi transattive è difatti proprio quello di non attribuire rilevanza all'accordo non perfezionato, mentre, per converso, sono le tesi che vedono l'accertamento con adesione uno dei modi dell'accertamento che attribuiscono rilevanza (ancorché di differente portata) all'atto non perfezionato. Solo qualora si argomentasse dalla natura del concordato quale istituto ordinario dell'accertamento si potrebbe ricavare la necessaria efficacia della quali-quantificazione operata dell'accertamento con adesione non perfezionato (Marello, 2010, 5, 1213, 1214, 1215 e 1216, l'autore, che sostiene la tesi dell'accertamento con adesione quale uno dei modi dell'accertamento tributario, evidenzia che sul punto sono attribuiti significati differenti all'art. 9, i sostenitori della «tesi unilaterale» sostengono che l'accertamento con adesione sia un istituto tendente a ricostruire il presupposto secondo un vettore di accertamento improntato a giustizia, sicché, svilire il risultato raggiunto dalle parti nel concordato apparirebbe irragionevole in quanto il principio di coerenza ed il divieto di venire contro il fatto proprio nonché l'armonia sistemica costituiscono la base per attribuire al concordato non perfezionato l'efficacia di argomento di prova nel processo, la base per l'esercizio del potere di riesame o di accertamento – a seconda della presenza o meno di un precedente accertamento. L'autore fa rinvio, per una sinossi delle soluzioni adottate, a Marello, II, 1132; secondo altra impostazione, come evidenzia l'autore, il perfezionamento mediante versamento successivo è utilizzato come elemento per sostenere la natura transattiva del concordato, ricordando la risoluzione per inadempimento, traendone la conseguenza per la quale il mancato perfezionamento svuoterebbe di ogni rilevanza l'avvenuta dialettica concordataria; sempre in merito al citato art. 9, è altresì ipotizzata una struttura di perfezionamento progressivo, attribuendo al versamento la funzione della condizione sospensiva ove il termine di venti giorni per il perfezionamento è inteso come una sorta di periodo di garanzia, entro cui il contribuente può mettere nel nulla il concordato sottoscritto, eventualmente anche per la presenza di vizi logico-giuridici dell'atto, si veda, in tal senso, per tutti, Batistoni Ferrara, 27 e 37; per una dettagliata ricostruzione dottrinale in merito all'art. 9 del d.lgs. n. 218 si veda Borgni, 289; per il fondamento concettuale della tesi che vede nell'accertamento con adesione uno dei modi dell'accertamento si veda Marello, 2000, 24 e 141; per la distinzione tra concezione accertativa e concezione compositiva, che si distingue però da quella puramente contrattuale-transattiva, si vedano, tra i tanti, Versiglioni, 2011, 1, 4, 5 e passim, il quale aderisce alla concezione compositiva, e Versiglioni, 2001, 289). Per la dottrina in argomento il punto decisivo è dunque l'impossibilità di configurare l'iscrivibilità a ruolo del concordato non perfezionato senza dare un'interpretazione abrogante del citato art. 6, comma 4. Ai sensi degli artt. 6, 8 e 9 del d.lgs. n. 218 si deve difatti ritenere che in carenza di versamento riprenda vita il precedente atto (come negli altri casi di mancata conclusione del procedimento), poiché la normativa ricollega chiaramente la perdita di efficacia del precedente atto all'avvenuto versamento. A cio si aggiunge altresì la circostanza per la quale mancherebbe anche una norma di legittimazione per l'iscrizione a ruolo, a meno di voler interpretare estensivamente l'art. 14, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 602 del 1973. Sicché, la soluzione della questione direttamente affrontata dalla Suprema Corte, ossia l'impugnabilità del precedente avviso di accertamento, andrebbe risolta nel senso opposto e cioè ritenendo che se il concordato non venisse perfezionato mediante il versamento riprenderebbe piena efficacia l'avviso notificato e quindi il contribuente lo potrebbe impugnare per privarlo di effetti (Marello, 2010, 1213, 1214, 1215 e 1216, per il quale, quanto agli strumenti da adoperare in funzione correttiva, anche se notevolmente meno efficaci della diretta iscrivibilità a ruolo dell'accertamento con adesione, si potrà ipotizzare che il concordato sottoscritto, con assenza di versamento, abbia una qualche efficacia modificativa indiretta dell'originario accertamento, esclusa quindi la possibilità di aggirare la riviviscenza del precedente accertamento, pena una interpretazione abrogante del citato art. 6, comma 4; all'autore sembra, in prima battuta, che si possa configurare un obbligo per l'Amministrazione finanziaria di procedere ad una coerente autotutela parziale dell'originario accertamento e che, in seconda battuta, si possa credere che il concordato stesso costituisca un argomento di prova nel processo, come limite sia per il contribuente sia per l'amministrazione; tali ultime soluzioni sono proposte anche da Marello, 2000, 201 e 230). La dottrina si chiede se l'approdo della giurisprudenza di legittimità (Cass. V, n. 10086/2009), relativo ad una fattispecie in cui l'accertamento con adesione sottoscritto e non perfezionato segue un avviso di accertamento già notificato (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 218), sia invece compatibile con l'ipotesi di accertamento con adesione che si ponga al termine dell'istruttoria, prima dell'eventuale emanazione di un provvedimento impositivo, in ipotesi ex art. 6, comma 1, del citato decreto ma anche nel procedimento di cui al precedente art. 5, cui non segua la definizione immediata (Marello, 2010, 1213, 1214, 1215 e 1216, il quale evidenzia che in una tale situazione una giurisprudenza di merito mostra di tendere verso una efficacia dell'accordo sottoscritto ma non perfezionato anche in tale caso ritenendo che l'amministrazione potrebbe emanare una avviso di accertamento fondato proprio sul risultato del concordato; l'autore fa riferimento a Comm. trib. prov, Vercelli n. 14 2009, in Giust. trib., 2009, 288 e s., con nota adesiva di Borgni, 289; in dottrina, per una simile soluzione, si veda anche Miccinesi, 15; Marello, 2000, 201). Parte della dottrina ritiene che se si volesse estendere la decisione della Suprema Corte, per la quale il successivo inadempimento-perfezionamento, nei termini e con le modalità stabilite dall'art. 8 del d.lgs. n. 218, giustificherebbe l'adozione dei normali mezzi di coercizione, si dovrebbe invece ritenere che l'accertamento con adesione, sottoscritto ma non seguito da versamento, conduca all'iscrizione a ruolo di quanto concordato. Essa aggiunge che, nella diversa fattispecie in cui manchi il precedente accertamento la tesi del Giudice di Legittimità risulterebbe meno instabile Essa infatti non si scontrerebbe con la vigenza del citato art. 6, comma 4, con conseguente non necessaria teorizzazione della presenza di un effetto parziale in capo ad un precedente provvedimento (Marello, 2010, 1213, 1214, 1215 e 1216, per il quale, in assenza di un atto privato di effetto con il versamento, l'operazione ermeneutica tesa ad anticipare il perfezionamento al momento della sottoscrizione troverebbe comunque un ostacolo nel tenore letterale della disposizione che individua nel versamento il momento di perfezionamento dell'istituto, questo sarebbe dunque il motivo per cui la soluzione più stabile sembrerebbe quella, indicata sopra, della notifica di un accertamento). Nel senso per il quale il versamento ex artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 218 (oltre che la prestazione della garanzia in caso di pagamento rateale, prevista fino alla modifica del detto art. 8 apportata nel 2011) non costituisca semplice modalità di esecuzione della procedura bensì presupposto fondamentale ed imprescindibile di efficacia della stessa, sembra esprimersi la successiva giurisprudenza di legittimità, ancorché senza esplicito contrasto con Cass. V, n. 10086/2009. Ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 218/1997, il pagamento della prima rata e la prestazione della garanzia non costituiscono mera modalità di esecuzione della procedura bensì presupposto fondamentale ed imprescindibile di efficacia della stessa. Sicché, quando sia stata omessa la prestazione della garanzia prevista dalla legge (ovviamente fino a quando essa era normativamente prevista), in caso di pagamento rateale, i futuri pagamenti non possono essere rimessi alla sola diligenza del debitore, per cui la procedura non può dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l'originaria pretesa tributaria oggetto di accertamento, da impugnare in via autonoma (ex plurimis, Cass . V, n. 13143/2018). Cass. V, n. 22510/2013 , ne fa conseguire che, quando sia omessa la prestazione della garanzia, la procedura non può dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l'originaria pretesa tributaria, occorrendo che i futuri versamenti siano assicurati mediante la prestazione della garanzia e non rimessi alla mera diligenza del debitore. Tuttavia il termine di dieci giorni, posto dal comma 3 del citato art. 8 (nella sua formulazione ante novella del 2011), da un lato opera dal versamento della prima rata (e non dalla redazione dell'atto) e, dall'altro, non è stabilito a pena di invalidità della procedura. Necessita però che all'Ufficio pervenga in tempo utile, cioè entro la scadenza della seconda rata, la prova del saldo della prima e la prestazione della garanzia (sino a quando normativamente prevista). La Suprema Corte precisa infatti che in caso di omessa prestazione della garanzia (fino a quando normativamente prevista) la procedura dell'accertamento con adesione non possa dirsi perfezionata e permane, nella sua integrità, l'originaria pretesa tributaria. La circostanza che il pagamento rateale, a garanzia del quale la garanzia deve essere prestata, venga realmente effettuato non è idonea a mutare i termini della questione In base al sistema normativo in esame (artt. 8 e 9 cit.) la «conciliazione» produce difatti i suoi effetti nei riguardi del rapporto giuridico tributario solo con la perfezione, che, in caso di pagamento rateale, presuppone che i futuri versamenti siano assicurati (mediante la prestazione della garanzia) e non rimessi alla mera diligenza del debitore. Premesso ciò, la citata Suprema Corte, comunque chiarisce che entro il termine di venti giorni dalla redazione dell'atto (art. 7 cit.) debba avvenire, in caso di rateizzazione, il versamento della prima rata e non anche la prestazione della garanzia (ovviamente sino a quanto normativamente prevista) in quanto il detto termine è dal successivo art. 8, comma 2, riferito solo al primo adempimento (pagamento della prima rata) e non al secondo (prestazione della garanzia). Il termine per la prestazione della garanzia è invece stabilito dal comma 3 del detto art. 8 (sempre ante novella del 2011), nei dieci giorni successivi al versamento della prima rata. Termine entro il quale il contribuente deve far pervenire all'Ufficio la quietanza del versamento e, appunto, la documentazione relativa alla prestazione della garanzia. Il detto termine di dieci giorni, tuttavia, non è stabilito a pena di invalidità della procedura, sia perché la norma non prevede una tale sanzione e sia perché quel che rileva, ai fini del perfezionamento della definizione (con il rilascio al contribuente di copia dell'atto) e quindi del mantenimento del beneficio del pagamento dilazionato è esclusivamente il fatto che l'ufficio, per ovvie esigenze di certezza giuridica in ordine alla riscossione delle somme dovute, abbia, in tempo utile, la prova del pagamento della prima rata e della prestazione della garanzia per i versamenti successivi. A tale scopo è necessario e sufficiente che detti atti siano depositati presso l'Ufficio prima del termine di scadenza per il versamento della seconda rata. Negli stessi termini, circa la produzione degli effetti della «conciliazione» solo in seguito al perfezionamento, si veda anche Cass. V, n. 13750/2013. Essa aggiunge che il mancato perfezionamento dell'accertamento con adesione restituisce piena efficacia all'originario accertamento, non assumendo rilevanza la circostanza che i valori accertati avrebbero potuto essere eccessivamente alti, pervenendo ad una riduzione dei medesimi. Nel caso in cui l'accertamento con adesione non si perfezioni sarebbe poi onere del contribuente impugnare l'avviso di accertamento. Ciò in quanto non è impugnabile la cartella esattoriale conseguente alla definitività dell'accertamento, se non per vizi propri, non potendo rimettere in discussione il merito della rettifica resasi definitiva per mancata impugnazione. La circostanza per la quale la fattispecie del «concordato» si completa soltanto con il versamento ex art. 9 cit. e, quindi, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata e la prestazione della garanzia (fino a quando normativamente richiesta), implica che nell'ipotesi in cui essi difettino la procedura del concordato con adesione non si perfeziona, lasciando permanere nella sua integrità la pretesa tributaria, con la conseguenza ulteriore che riprende efficacia il precedente atto impositivo i cui effetti erano sospesi nelle more del perfezionamento della procedura. Ne deriva, per Cass. V, n. 26681/2009, che la successiva cartella di pagamento, emessa in forza dell'originario avviso di accertamento risulta adeguatamente motivata, come la legge richiede che sia un atto meramente strumentale alla riscossione, consentendo ogni difesa al contribuente in merito alla pretesa dell'amministrazione, senza alcuna necessità di accennare ad una procedura mai perfezionata per l'omessa presentazione della garanzia prevista dalla legge. Decade altresì dai benefici dell'accertamento con adesione il contribuente che, dopo avere versato la prima delle rate concordate, ometta di prestare la prescritta garanzia per il pagamento delle rate successive sempre con riferimento all'art. 8 d.lgs. n. 218, cit., ante novella del 2011(in senso conforme anche la successiva Cass. V, n. 2161/2019). A nulla rileva difatti che le ulteriori rate vengano poi successivamente versate (Cass. V, n. 8628/2012, che, facendo anche essa riferimento alla «conciliazione», muove dal medesimo iter logico-giuridico di cui ai già indicati arresti della Suprema Corte). Sembra confermare ulteriormente il decritto quadro esegetico, inerente il perfezionamento della procedura, la recente Cass. V, n. 13133/2018, per la quale il contribuente, ai sensi dell'art. 8, comma 3-bis, del d.lgs. n. 218/1997, decade dal beneficio della rateizzazione a seguito del mancato versamento alla scadenza anche di una sola delle rate successiva alla prima, con conseguente legittima iscrizione a ruolo dell'intero importo dovuto a titolo di imposte, interessi e sanzioni, dedotti i versamenti già eseguiti. L'attuale consolidato orientamento di legittimità, ulteriormente ribadito da Cass. V, n. 2420/2021, è nel senso per il quale, ai fini del perfezionamento della procedura di accertamento con adesione del contribuente, il pagamento dell'intero importo o, in caso di rateizzazione, della prima rata e la prestazione della garanzia (fino a quando normativamente richiesta) non costituiscono una semplice modalità di esecuzione della procedura ma un presupposto fondamentale e imprescindibile di efficacia della stessa, completandosi in tal modo la fattispecie del «concordato». Conseguentemente, quando essi difettino, la procedura per adesione non si perfeziona e la pretesa tributaria permane nella sua integrità (ex plurimis: Cass. V, n. 25115/2020; Cass. V, n. 16646/2020; Cass. V, n. 2161/2019;Cass. V, n. 9485/2018), salva l'applicabilità dell'istituto del «lieve inadempimento» (per i quale si veda Cass. VI-V, n. 14279/2018). La circostanza per cui il pagamento dell'importo dovuto ovvero, in caso di rateizzazione, della prima rata costituisce un presupposto fondamentale e imprescindibile di efficacia della procedura stessa, ha portato Cass. V, n.10522/2024 ha confermare che in caso di inadempimento, la procedura non si perfeziona e l'originaria pretesa tributaria permane nella sua integrità a garanzia del fisco, che procede con l'adozione dei normali mezzi di coercizione alla soddisfazione del proprio credito, non potendo il contribuente avere ripensamenti e impugnare l'accordo o l'atto impositivo ad esso sotteso, oggetto della transazione rimasta inadempiuta, per la sua immodificabilità. In tema di accertamento con adesione del contribuente, Cass. V, n. 16646/2020 ha chiarito che l'art. 23, commi 17 e 18, d.l. n. 98 del 2011, conv., con modif., in l. n. 111 del 2011, nel modificare la disciplina di cui agli artt. 8 e 9 d.lgs. n. 218 del 1997, ha eliminato l'obbligo di prestare la garanzia fideiussoria, nel caso di somme dovute, per effetto dell'accertamento con adesione, con versamento rateale e per importi superiori a cinquantamila euro, solo dalla data della sua entrata in vigore; ne consegue che, per il periodo anteriore, ove non sia stata versata, nei termini previsti, la prima rata e sia stata omessa la richiesta fideiussione, la procedura adesiva, in difetto di detti presupposti imprescindibili, non può dirsi perfezionata, con conseguente legittima iscrizione a ruolo dell'intero importo dovuto permanendo, nella sua integrità, l'originaria pretesa tributaria. A quanto innanzi in merito all'attuale impostazione di legittimità circa il perfezionamento dell'adesione (cha abbandona l'impostazione di cui alla citata sentenza n. 10086 del 2009) deve però evidenziarci che, nell'attualità, la Suprema Corte (Cass. I, n. 24326/2020, che, sul punto fa proprie argomentazioni della giurisprudenza penale di legittimità) mostra comunque di riconoscere rilevanza all'impegno a versare quanto risulta dall'accertamento con adesione nell'affrontare i rapporti tra tale istituto e la confisca di beni, costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari, di cui all'art. 12 bis del d.lgs., 10 marzo 2000, n. 74 (introdotta dal d.lgs., 24 settembre 2015, n. 158). Il citato art. 12 bis, per cui la confisca diretta o per equivalente «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro», si riferisce difatti alle assunzioni di impegno nei termini riconosciuti ed ammessi dalla legislazione tributaria di settore, tra cui, per quanto rileva in questa sede, l'accertamento con adesione (oltre alla conciliazione giudiziale, alla transazione fiscale ed all'attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda). Con particolare riferimento invece ai rapporti con la società assicuratrice ed ai riflessi sulla giurisdizione, Cass. V, n. 6833/2021, ha ribadito che la controversia tra la società assicuratrice che abbia rilasciato al contribuente una polizza fideiussoria exart. 38-bis, d.P.R. n. 633 del 1972 a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni assunte in seno ad accertamento con adesione in ambito IVA, ai sensi dell'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 218 del 1997 (nel testo originario vigente ratione temporis), e l'Amministrazione finanziaria che intenda escutere la garanzia, allegando l'inadempimento del contribuente, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, avendo ad oggetto un rapporto di diritto privato. Tuttavia, ove il giudizio sia stato introdotto dinanzi al giudice tributario, e si sia formato il giudicato interno sulla giurisdizione di questi, l'efficacia vincolante di tale giudicato non si estende al merito della lite, sicché esso non impedisce alla Corte di cassazione di qualificare come rapporto privatistico quello intercorrente tra l'assicuratore e l'erario, e sottoporlo alla relativa disciplina (in senso conforme anche Cass., sez. V, 30 maggio 2012, n. 8622, in CED). Procedimento di accertamento con adesione e definizione agevolata del rapporto sanzionatorioAll'esito della notifica dell'avviso di accertamento il contribuente può attivare, per quanto rileva ai presenti fini, tre diversi istituti per una definizione agevolata degli obblighi derivanti dallo stesso, fondati su distinte condizioni ed operanti all'esito di tre distinti procedimenti, aventi in comune il presupposto temporale costituito dall'attivazione entro il termine per la proposizione dell'impugnazione del provvedimento innanzi alla commissione tributaria. Trattasi della c.d. «acquiescenza», con il pagamento delle sanzioni nella misura ridotta ex art. 15 del d.lgs. n. 218, della definizione agevolata delle sole sanzioni, ridotte ex art. 17, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e della definizione, mediante accertamento con adesione, tanto delle imposte quanto delle sanzioni, anche esse in misura ridotta ex art. 2 del d.lgs. n. 218 (o art. 3 del medesimo decreto, con riferimento alle altre imposte indirette diverse dall'IVA). Per la giurisprudenza di legittimità i tre istituti dono tra loro alternativi, sicché, nel caso di istanza di accertamento con adesione non andata a buon fine, il contribuente perde, attesa appunto la presentazione dell'istanza e l'esito negativo della stessa, sia la possibilità di ottenere la riduzione delle sanzioni, prevista dall'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 218 solo a seguito di definizione positiva, sia la possibilità di far ricorso all'acquiescenza di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 218, espressamente condizionata proprio alla rinuncia a formulare istanza di accertamento con adesione. La presentazione dell'istanza di accertamento con adesione non consente, infine, al contribuente di beneficiare della definizione agevolata delle sanzioni, di cui all'art. 17, comma 2 del d.lgs. n. 472 del 1997, concernente le sanzioni in generale, atteso che, in ordine alle «sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo di imposta», vi è la specifica previsione di cui al d.lgs. n. 218, artt. 2, comma 5, e 15, comma 1» (Cass. V, n. 12006/2015). Per l'iter logico-giuridico che conduce alle conclusioni di cui innanzi, oltre che per l'avversa giurisprudenza di merito (alla quale è invece conforme la prassi) ed il relativo dibattito dottrinale si rinvia al paragrafo inerente i rapporti tra i tre detti istituti di cui al commento dei successivi artt. al 15 al 17 del d.lgs. n. 218. Rapporti tra accertamento con adesione e fallimento: le sorti dell'adesione senza autorizzazionePer quanto concerne i rapporti tra la procedura in esame ed il fallimento rileva il quesito di diritto in ordine al se la presentazione dell'istanza di accertamento con adesione (di cui all'artt. 6 o 12 del d.lgs. n. 218), da parte del curatore del fallimento, in assenza della necessaria autorizzazione determini l'invalidità dell'atto di accertamento con inevitabili ripercussioni sul relativo procedimento di definizione mediante accertamento con adesione. In merito, in particolare, il quesito riguarda la tipologia di invalidità, se nullità ovvero annullabilità. Nel caso in cui si propenda per la tesi dell'annullabilità, potrebbe difatti sostenersi l'idoneità dell'istanza in oggetto a determinare gli effetti sospensivi propri di essa (ex artt. 6, comma 3, o 12, comma 2, cit.). Per converso, ritenere che si versi in ipotesi di nullità farebbe argomentare nel senso dell'inidoneità alla produzione degli effetti sospensivi, anche con riferimento al termine per impugnare l'avviso originario. Senza addentrarsi nella distinzione tra nullità ed annullabilità, altra tesi sostiene (come fatto dall'Amministrazione finanziaria nel caso di seguito evidenziato ma non condivisa dalla Suprema Corte) che un'istanza senza autorizzazione sarebbe comunque invalida, quindi inidonea a dare avvio concreto alla procedura di accertamento con adesione. Tanto più che giammai si potrebbe giungere ad un legittimo accordo impegnante il fallimento, incapace quindi di rendere applicabile la sospensione per novanta giorni dei termini per impugnare, con la conseguente inammissibilità di un ricorso proposto oltre il termine di sessanta giorni. Il quesito di diritto rileva in forza del sistema di autorizzazioni di cui all'art. 35 del r.d. 13 marzo 1942, n. 267 (c.d. «l. fall.»), prima caratterizzato (principalmente) dall'intervento autorizzatorio del giudice delegato e, dopo le riforme del 2006/2007 dall'intervento autorizzatorio del comitato dei creditori ed in determinate ipotesi del detto giudice delegato. Il citato art. 35 (così come modificato dall'art. 31 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e dal successivo art. 8 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, c.d. «decreto correttivo»), prevede difatti che le riduzioni di crediti, le transazioni, i compromessi, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, la cancellazione di ipoteche, la restituzione di pegni, lo svincolo delle cauzioni, l'accettazione di eredità e donazioni e gli atti di straordinaria amministrazione siano effettuate dal curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori (che ex art. 41 r.d. n. 267 del 1942 è l'organo preposto anche alla vigilanza sull'operato del curatore). In considerazione, comunque, delle conclusioni dello stesso curatore anche in merito alla convenienza della proposta. Nel caso in cui i suddetti atti siano di valore superiore a cinquantamila euro ed in ogni caso per le transazioni, il curatore deve informare previamente il giudice delegato (che ex art. 25 r.d. cit. è organo di vigilanza e di controllo della regolarità dell'intera procedura fallimentare). Salvo che si tratti di atti già stati autorizzati dal detto giudice ai sensi del successivo art. 104-ter, comma 8 (limite suscettibile di essere adeguato con decreto del Ministro della giustizia). In merito interviene Cass. V, n. 13242/2015, con riferimento a fattispecie antecedente la detta novella dell'art. 35 e, quindi, nella vigenza del potere autorizzatorio in capo al giudice delegato, ma con iter logico-giuridico tale da rilevare anche con riferimento al differente sistema autorizzatorio di cui al novellato art. 35. Per la Suprema Corte la mancanza di autorizzazione prevista, dal citato art. 35,, ad integrazione dei poteri spettanti al curatore nello svolgimento di attività negoziale, importa non già la nullità dei negozi posti in essere ma la loro annullabilità, che può essere fatta valere solo dal fallimento, ai sensi dell'art. 1441 c.c.Sicché, la detta presentazione dell'istanza di accertamento con adesione comporterebbe comunque, per un periodo di novanta giorni dalla data di presentazione, la sospensione del termine per l'impugnazione dell'avviso, nella specie, ai sensi dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 (contra, per la giurisprudenza di merito, ancorché antecedente al detto arresto di legittimità, Comm. trib. reg. Lombardia 5 giugno 2007, n. 35, per la quale la detta attività posta in essere dal curatore è ricompresa fra quelle che richiedono, come previsto dall'art. 35 del r.d. n. 267 del 1942, sempre nel testo applicabile ratione temporis, autorizzazione alla cui mancanza consegue la nullità della procedura di accertamento con adesione posta in essere, con l'evidente effetto sul termine per proporre il ricorso che resta, quindi, quello previsto di sessanta giorni dalla notifica degli atti di accertamento). L'arresto di legittimità di cui innanzi sembra essere in linea con la giurisprudenza consolidatasi in merito agli effetti della mancata autorizzazione in esame anche se non con riferimento precipuo all'istituto dell'accertamento con adesione. Sul punto si veda per tutti, per la pacifica conforme giurisprudenza di legittimità, Cass. I, n. 5334/1981, per la quale la mancanza dell'autorizzazione del giudice delegato o del tribunale, prevista dal citato art. 35 nell'interesse dell'amministrazione fallimentare e ad integrazione dei poteri spettanti al curatore nello svolgimento di attività negoziale, importa, non già la nullità dei negozi posti in essere, ma l'annullabilità dei medesimi. Trattasi di annullabilità che potrebbe essere fatta valere, ai sensi dell'art. 1441 c.c., unicamente dalla detta amministrazione, nel rispetto dei principi del contraddittorio e del doppio grado di giurisdizione. Siccé, la relativa domanda non può essere avanzata per la prima volta né con la comparsa conclusionale di primo grado né nel giudizio di appello. Il principio è poi ribadito da Cass. I, n. 8669/1995 per la quale, in caso di pignoramento presso terzi di un credito ammesso al passivo fallimentare, il curatore, per rendere la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c., deve munirsi della preventiva autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell'art. 35 cit., la cui mancanza comporta l'annullabilità dell'atto, che può essere fatta valere, od eccepita, solo dal fallimento. I vizi della suddetta dichiarazione, compreso quello derivante dalla mancanza della menzionata autorizzazione, che si riflettano sul provvedimento finale di assegnazione del credito, devono poi essere fatti valere, a pena di preclusione, nelle forme proprie del tipo procedimentale in cui l'atto inficiato di annullabilità si inserisce e nei termini concessi per la proposizione delle necessarie impugnazioni, in difetto delle quali l'ordinanza di assegnazione resta opponibile al terzo debitore dichiarante. La qualificazione di similitudine dell'adesione ad una transazione, che sottende il ragionamento posto alla base della tesi di cui innanzi (in particolare di Cass. V, n. 13242/2015), lascia perplessa parte della dottrina (in particolare quella che ha analizzato lo specifico quesito risolto dalla detta Suprema Corte). Questo perlomeno sul piano classificatorio anche se non per le conseguenze procedurali, limitatamente condivise e comunque collegabili alla generica straordinarietà dell'operazione. Ciò in ragione della ritrosia, diffusa in una parte della dottrina, a vedere, negli istituti deflattivi attinenti all'obbligazione tributaria, una transazione, contratto tipizzato ai sensi dell'art. 1965 e ss c.c. (anche se l'art. 182-ter del r.d. n. 267 del 1942 è intitolato «transazione fiscale», senza apparenti remore derivanti dal concetto di indisponibilità del credito erariale). Alla dottrina in esame sembra che la tesi della Suprema Corte, sotto certi aspetti, finisca per eludere il problema centrale, ponendo l'attenzione sulla natura dell'invalidità della negoziazione e non direttamente su quanto concerne l'istanza. Un'istanza proposta da chi non sia legittimato a farlo non potrebbe far derivare alcun effetto processuale (sospensione dei termini) o procedimentale (sviluppo dello specifico contraddittorio ed eventuale accordo), indipendentemente da quali siano i motivi del difetto (mancanza di autorizzazione, di delega o di interesse). Pur volendo seguire la tesi della natura transattiva si potrebbe difatti ulteriormente concludere, per l'orientamento in esame, che il curatore privo di autorizzazione non verserebbe in quella precondizione delineata dall'art. 1966 c.c. in tema di transazione, ovvero la capacità di disporre dei diritti oggetto della reciprocità di concessioni atta a sopire il conflitto (Beccalli, 3085, 386, 3087). La voce dottrinale in esame non riesce a comprendere il perché mai un professionista del settore nonché e Pubblico ufficiale, qual è il curatore fallimentare, non debba seguire le normali procedure ex art. 35 del r.d. n. 267 del 1942 (pre o post riforma, non importa) e ridursi a presentare una domanda indubbiamente difettosa. Non si tratta di rigidità ma di necessità di un incardinamento entro le regole ispirate alla certezza, in un contesto che vede tendenze abusive rispetto al diritto alla sospensione, che è sacro nella misura in cui di esso si faccia un uso corretto e coerente con le ragioni per le quali è stato concepito. La sua ratio è difatti quella di concedere adeguato spazio temporale a chi, nella facoltà piena ed ineccepibile di farlo, intenda concretamente sviluppare, unitamente all'Ufficio, apprezzabili trattative miranti ad una possibile definizione che trovi la composizione degli opposti interessi delle parti, con reciproche concessioni, giammai confondibile con forme di autotutela parziale, istituto nettamente diverso rispetto a quello di matrice simil-transattiva (Beccalli, 385, 386, 387). BibliografiaAlfano, Il potere di disapplicazione del giudice nel processo tributario, in Rass. trib., 2007; Annecchino, nota a Cass. VI-V, n. 11632/2015, in Foro it., 2016, 1; Antico-Fusconi, Accertamento con adesione: gli effetti del mancato invito al contraddittorio. 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