Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 12 - Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali.Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali. 1. Tutti gli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonchè alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. 2. Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonchè dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche. Sono comunque sempre applicabili l'assistenza e la rappresentanza del contribuente ai sensi dell'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 6001. 3. Su richiesta del contribuente, l'esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta. 4. Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica. 5. La permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell'ufficio, per specifiche ragioni. Il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, cosi' come l'eventuale proroga ivi prevista, non puo' essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non piu' di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilita' semplificata e lavoratori autonomi. In entrambi i casi, ai fini del computo dei giorni lavorativi, devono essere considerati i giorni di effettiva presenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente 2. 6. Il contribuente, nel caso ritenga che i verificatori procedano con modalità non conformi alla legge, può rivolgersi anche al Garante del contribuente, secondo quanto previsto dall'art. 13. [7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all'articolo 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell'articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374.]3 [1] Comma modificato dall'articolo 8-bis, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 dicembre 2023, n. 191. [2] Comma modificato dall'articolo 7, comma 2, lettera c), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70. [3] Comma modificato dall'articolo 92, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27 e successivamente abrogato dall'articolo 1, comma 1, lettera o), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. InquadramentoLe operazioni di controllo possono essere condotte con attività investigative interne (invio di questionario da compilare, richiesta di presentazione documenti, invito al contraddittorio, indagini finanziarie, etc.) o esterne (sopralluoghi, accessi brevi, accessi mirati e verifiche); tra tutte le attività efficacemente possibili, vanno esercitate quelle meno invasive — in termini di disagio da provocare — e più economiche in termini di risorse da consumare, senza compromettere l'incisività del controllo; l'Ufficio, insomma, deve contemperare gli interessi pubblici del fisco con quelli privati del contribuente, suscettibili di essere vulnerati da un'esecuzione inutilmente invasiva per il tipo di controllo scelto. 1. Le attività investigative interne possono essere preventive o repressive per gli atti ed i fatti da controllare e non presentano particolari specificità procedurali tranne quella c.d. delle indagini finanziarie, che è la più penetrante ed è soggetta ad una propria dettagliata disciplina. 2. Le attività investigative esterne, invece, tutte esercitate in loco, sono: - Accesso. Potere di entrare in un luogo e di fermarvisi, anche senza o contro il consenso del contribuente, al fine di eseguire le operazioni autorizzate dal responsabile dell'A.F. procedente (ispezione di luoghi o di cose). Spesso l'accesso consiste in un sopralluogo atto a constatare direttamente alcune circostanze obiettive dell'attività svolta. Gli accessi c.d. brevi sono disposti per rilevazioni dati per studi di settore, analisi e ricerca, controlli sulle compensazioni, verbalizzazioni distruzioni merci, per conto di stati esteri, per accertare l'esistenza del richiedente in caso di rimborsi, ONLUS, lotta al sommerso, valutazione azienda trasferita etc. L'attuale legislazione consente I'accesso non solo nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali o agricole ed in quelli destinati all'esercizio di arti e professioni ma anche negli altri destinati — promiscuamente o esclusivamente — all'abitazione o all'esercizio di attività diverse da quelle precedentemente indicate. Se l'accesso deve essere eseguito in tali altri locali occorre anche un'autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria, articolata — a seconda dei casi — in una mera delibazione formale o in un giudizio di merito. – Ispezione. Accesso presso il contribuente al solo scopo di controllare l'osservanza degli obblighi formali e sostanziali posti a suo carico attraverso l'esame delle scritture contabili, dei libri e della relativa documentazione (ispezione documentale). - Verifica. Attività svolta mediante accesso diretto presso la sede del contribuente (o in altri locali a questi riferibili) seguendo particolari metodologie; di regola, si riferisce all'insieme delle posizioni fiscali del verificato e serve a ricercare ed acquisire – anche coattivamente — documenti, scritture, libri e registri (ricerca = perquisizione reale e, se del caso, personale, ai fini del sequestro amministrativo, ove necessario) onde poi procedere all'analisi contabile ed extracontabile dell'attività del contribuente per verificarne il regolare adempimento degli obblighi tributari (ispezione documentale); si conclude mediante la stesura di un verbale di constatazione in cui sono indicate le eventuali violazioni rilevate e i relativi recuperi d'imposta e sanzioni fiscali irrogabili. La verifica, che è quindi un'attività più ampia e comprensiva dell'accesso e dell'ispezione documentale, da un lato è controllo e riscontro della completezza, esattezza e veridicità delle scritture obbligatorie, dei libri sociali e della documentazione (fiscale e non) relativi all'attività del contribuente, dall'altro è controllo e riscontro delle notizie raccolte dalla A.F. relativamente a fatti e circostanze che sono stati o che avrebbero dovuto essere considerati in sede di dichiarazione fiscale annuale. Pregevole dottrina ritiene che il controllo in loco “dovrebbe rappresentare, nell'economia del sistema, l'extrema ratio, l'ultimo dei rimedi cui fare ricorso, quando si sia esaurito o risulti inidoneo ogni altro mezzo di indagine e di controllo. Si tratta infatti di uno strumento istruttorio destinato, per sua natura, ad interferire direttamente e pesantemente con l'attività privata dei singoli e, quindi, ad incidere profondamente nella sfera dei diritti individuali di libertà”. L'art. 12 della l. n. 212/2000 riconosce una serie di diritti e garanzie in favore dei contribuenti sottoposti a «verifica fiscale». Attraverso questa terminologia si è soliti definire il complesso di attività poste in essere da soggetti giuridicamente qualificati ed intese a controllare il corretto adempimento delle norme tributarie. La verifica è un'indagine di polizia (amministrativa) per: - prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie; - qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto. Può essere eseguita nei confronti di qualunque persona fisica o giuridica o società di persone o ente che abbia posto in essere attività in relazione alle quali le norme tributarie o finanziarie pongono obblighi o divieti la cui inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale. La nozione di verifica fiscale comprende l'esercizio di una pluralità di operazioni quali l'accesso, la ricerca, le ispezioni, le verificazioni e le altre rilevazioni e si pongono come strumentali all'accertamento. La norma si propone una regolazione, per taluni versi persino puntigliosa, delle modalità con cui gli accertamenti debbono essere eseguiti e degli avvisi che debbono essere dati al contribuente (comma 2) in relazione ai diritti che discendono dalla legge e dei diritti ed obblighi che sorgono in capo al contribuente durante le procedure ispettive e di verifica. Nel dettaglio, quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche. L'art. 8-bis, comma 1, d.l. 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 dicembre 2023, n. 191, ha aggiunto al comma 2 in commento, un ulteriore periodo, a mente del quale sono comunque sempre applicabili l'assistenza e la rappresentanza del contribuente ai sensi dell'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (T.U. in materia di accertamento delle imposte sui redditi). Modellata sulle disposizioni penalistiche (ma negli accertamenti, ancorché produttivi di possibili conseguenze penali, non c'è l'obbligo di farsi assistere da un difensore in senso tecnico penalistico, cfr. Cass. pen. III, n. 7930/2015) è la facoltà del contribuente di farsi assistere durante gli incombenti da un difensore (la qualifica non si limita a quella di avvocati, essendo idonei alla partecipazione qui prevista tutti coloro che sono idonei alla difesa nel processo tributario, individuati dall'art. 12 del d.lgs. n. 546/1992). Abbiamo fatto riferimento ai diritti «europei», sebbene la norma non vi faccia espresso rimando, in quanto la disposizione in commento ne riecheggia comunque molte, direttamente discendenti dal sistema tributario europeo, (Cfr. Cass. S.U., n. 24823/2015: «Differentemente dal diritto dell'Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l'invalidità dell'atto», ma anche Cass. V, n. 9276/2016, in termini: «Le garanzie procedimentali previste dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente) trovano applicazione solo in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente. Deve, tuttavia, escludersi che, sulla base della normativa nazionale, esista una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale, ovvero un principio generale per cui l'Amministrazione, anche in assenza di specifica disposizione, sia tenuta ad attivare, pena la nullità dell'atto, il contraddittorio endoprocedimentale ogni qualvolta debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente. Il rispetto del contraddittorio nel procedimento tributario è, però, principio fondamentale dell'ordinamento europeo, la cui violazione può determinare l'annullamento dell'atto solo se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Di talché, per i tributi non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il predetto contraddittorio, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge.» e più generalmente si ispira ai principi della compliance e della leale collaborazione fra contribuente ed amministrazione finanziaria, tanto da essere considerata sotto questo profilo la norma fondamentale, anche perché da essa trae linfa l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il contraddittorio endoprocedimentale, che di tali principi è l'espressione più forte e visibile, si applica come clausola generale che regola la condotta dell'amministrazione e del contribuente nelle relazioni tributarie. (Cfr. Cass. V ord. n. 25044/2017: «In tema di accertamento tributario, non è applicabile ai c.d. accertamenti a tavolino l'art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000. Nel nostro ordinamento la violazione dell'obbligo generale di contraddittorio comporta la nullità dell'atto.»). La Corte cost, ord. n. 187/2017, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludono le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni nelle sole ipotesi in cui l'Amministrazione finanziaria abbia effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività del contribuente e non anche nel caso di controlli «a tavolino». In pratica, almeno al momento, stante la declaratoria non di infondatezza ma di inammissibilità, deve considerarsi legittimo il c.d. doppio termine, per cui il termine per le controdeduzioni è previsto dalla norma per i controlli in loco, mentre non si applica automaticamente ai c.d. «controlli a tavolino», quelli cioè operati senza necessità di accessi presso il contribuente. Più di recente, Corte cost., sent. n. 47/2023, ha affermato che in materia di contraddittorio endoprocedimentale, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è stata, pertanto, dichiarata inammissibile, in quanto “il superamento dei dubbi di legittimità esige un intervento di sistema del legislatore, che garantisca l'estensione del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria”. Interessanti i principi espressi dalla Corte con la sentenza in commento. Secondo i Giudici, il procedimento tributario costituisce una species del procedimento amministrativo, ma, a differenza di quest'ultimo, non contiene previsioni generali in ordine alla formazione partecipata dell'atto impositivo che ne costituisce l'eventuale atto conclusivo. Nel procedimento di verifica fiscale in cui l'amministrazione attua il diritto dell'Unione europea, questa è tenuta ad osservare gli obblighi derivanti dal diritto a una buona amministrazione sancito dall'art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Il contraddittorio endoprocedimentale, quale espressione del principio del "giusto procedimento" (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento, anche come criterio di orientamento non solo per l'interprete, ma prima ancora per il legislatore. Ciò vale anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale, da un lato, persegue lo scopo di "ottimizzare" l'azione di controllo fiscale, risultando così strumentale al buon andamento dell'amministrazione finanziaria; dall'altro, garantisce i diritti del contribuente, permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli. Nel caso di specie: è dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata, dalla CTR della Toscana, sez. prima, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, nella parte in cui non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall'Agenzia delle entrate, se effettuate tramite verifiche "a tavolino". L'intervento additivo sollecitato dal giudice a quo non è costituzionalmente vincolato, perché non compete alla Corte costituzionale estendere, in via generale, il contraddittorio endoprocedimentale in un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore, che ha introdotto distinti e variegati modelli di partecipazione del contribuente alla formazione dell'atto impositivo. Benché nel tempo si sia assistito a progressive e ripetute aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale, tuttavia ancora difetta, nel vigente sistema tributario, una disciplina positiva che generalizzi in capo all'amministrazione finanziaria l'obbligo di attivare tale contraddittorio. Poiché la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all'evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale, spetta al legislatore il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, tenuto conto della pluralità di soluzioni possibili in ordine all'individuazione dei meccanismi con cui assicurare la formazione partecipata dell'atto impositivo, che ne modulino ampiezza, tempi e forme in relazione alle specifiche peculiarità dei vari procedimenti impositivi. Sfuggono alle disposizioni di cui alla norma in commento gli accertamenti in materia doganale, che ne sono espressamente esclusi dal comma 7 (oggi abrogato dal d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219), ultimo capoverso, che rinvia alla d.lgs. n. 374/1990. Tuttavia l'art. 11 di tale decreto legislativo espressamente richiama (comma 4-bis) il rispetto del principio di cooperazione stabilito dall'articolo 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per cui dopo la notifica all'operatore interessato, qualora si tratti di revisione eseguita in ufficio, o nel caso di accessi — ispezioni — verifiche, dopo il rilascio al medesimo della copia del verbale delle operazioni compiute, nel quale devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base delle irregolarità, delle inesattezze, o degli errori relativi agli elementi dell'accertamento riscontrati nel corso del controllo, l'operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale, che sono valutate dall'Ufficio doganale prima della notifica dell'avviso di cui al successivo comma 5. In sostanza, una forma speciale di quella cooperazione che è l'elemento centrale dell'art. 12 dello statuto del contribuente. L'art. 1, comma 1, lett. o), d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, ha abrogato il comma 7, consequenzialmente all'introduzione dell'articolo 6-bis (a cui si rinvia) che disciplina l'applicazione del principio del contraddittorio nell'ambito della disciplina tributaria sostanzialmente assorbendo le disposizioni di cui alla presente norma, che viene, appunto, conseguentemente abrogata. Indirizzi comportamentali ed interessi contrappostiLa norma in commento, ripercorrendo il contenuto della dir. min. 25 novembre 96, par. E, individua «i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali», individuando principalmente i principi generali ai quali l'Amministrazione finanziaria debba conformarsi. La norma ha lo scopo di regolamentare la condotta della Pubblica Amministrazione al momento in cui entra in contatto con il contribuente, titolare di diritti soggettivi e si colloca in qualche misura nel crinale dei contrapposti interessi dell'Amministrazione a perseguire l'eventuale evasione posta in essere dal contribuente e dell'esercizio libero dell'intrapresa da parte dell'operatore economico. Le Agenzie fiscali, nell'esercizio del loro potere-dovere di controllo si avvalgono di una serie di poteri istruttori di natura formale e sostanziale. Il complesso del controllo operato da parte dei verificatori viene definito «verifica fiscale», e tra gli altri vengono riconosciuti, fra i più significativi, il potere di accesso, di ispezione e di compiere verifiche documentali. I soggetti passivi della verifica possono essere qualunque persona fisica, giuridica, società di persone o ente che abbia posto in essere attività in relazione alle quali le norme tributarie pongano obblighi o divieti la cui inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale. Le normative che definiscono la verifica fiscale sono riconducibili all'articolo 52 d.P.R. n. 633/1972 e successive modifiche ed integrazioni (relativo all'Iva e disciplinante i poteri e i doveri che i funzionari posseggono durante la verifica), applicabile alle imposte dirette grazie al rinvio contenuto nell'articolo 33, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, come modificato dall'articolo 23, comma 26, del d.l. n. 98/2001, nonché proprio la norma in commento, cioè l'art. 12 l. n. 212/2000, che disciplina specificamente i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali e i comportamenti da adottare durante le stesse da parte dei verificatori. La norma in commento prevede, al fine di tutelare il contribuente oggetto di verifica da eventuali abusi, che tutti gli accessi, le ispezioni e le verifiche debbano essere necessariamente giustificati da esigenze «effettive di indagine e controllo sul luogo» e che gli stessi debbano svolgersi, salvo casi eccezionali ed urgenti (adeguatamente documentati), «durante l'orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse, nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente». Durante tali operazioni i dirigenti, i funzionari e gli agenti civili dell'Agenzia delle Entrate sono in attività di polizia tributaria ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 34, l. 7 gennaio 1929 n. 4. Infatti così ancora dispone il successivo art. 35: «Per assicurarsi dell'adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, gli ufficiali o gli agenti della polizia tributaria hanno facoltà di accedere in qualunque ora» (ex vigente Statuto del contribuente si deve ritenere durante l'orario di apertura) «negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad un'azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche». Ai sensi del terzo comma dell'art. 31, stessa legge, poi, a cura dell'amministrazione (rectius dell'Agenzia) d'appartenenza, la qualità di polizia tributaria dei dirigenti, funzionari ed agenti civili «è fatta constare a mezzo di una speciale tessera di riconoscimento». Quindi, con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate n. 2005/62290 del 5 aprile 2005, è stata adottata l'attuale tessera di riconoscimento del personale dell'Agenzia che nel retro attesta: “il titolare della presente tessera è ufficiale o agente di polizia tributaria nei limiti del servizio a cui è destinato e secondo le attribuzioni conferite dalla legge”. Tale documento sostituisce la precedente “tessera personale di riconoscimento” (Mod. AT ministeriale) rilasciata dalle amministrazioni dello stato di cui al d.P.R. n. 851/1967. La norma prevede inoltre l'arco temporale all'interno del quale la verifica potrà svolgersi e nello specifico il comma 5 prevede che non dovrà superare i trenta giorni lavorativi, «prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'ufficio»; inoltre la proroga dovrà essere sottoscritta dal capo dell'Ufficio e comunicata, tramite regolare notifica, al contribuente. Vedremo che la giurisprudenza ha ridotto più volte la portata di questa disposizione. Tra i poteri riconosciuti all'organo di polizia tributaria c'è quello previsto dall'articolo 32 d.P.R. n. 600/1973 che prevede che il contribuente possa essere invitato dagli organi accertatori «(...) a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento (...)» e che al contempo « (...) le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta (...)». L'art. 12 è oggetto di alcune riflessioni dottrinali, ma ben di più di una casistica giurisprudenziale sterminata, essendo stati oggetto di censura gli atti asseritamente emessi in dispregio della norma di garanzia per una pluralità di ragioni difficile da enumerare. Va inoltre avvertito che dopo alcune oscillazioni giurisprudenziali, al momento gli indirizzi delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e qualche pronuncia della Corte costituzionale, seppure sotto il profilo dell'inammissibilità interpretativa, convergono su alcuni punti fermi che brevemente in appresso cercheremo di sintetizzare. In primo luogo va ricordato che la giurisprudenza, sebbene evolutivamente nelle più recenti pronunce in termini unficanti, in ordine all'applicazione dell'art. 12, distingue fra tributi armonizzati e tributi non armonizzati, quelli cioè oggetto di disciplina europea e quelli relativi al solo diritto interno. Cfr. Cass. S.U., n. 24823/2015: «In materia di tributi «non armonizzati» l'amministrazione finanziaria ha l'obbligo di attivare con il contribuente il contraddittorio endoprocedimentale in tutti i casi in cui tale obbligo risulti sancito da specifiche norme, pena l'invalidità dell'atto di accertamento; in tema di tributi «armonizzati», invece, qualora venga violato l'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'amministrazione finanziaria, l'atto di accertamento è invalido in ogni caso, trovando diretta applicazione il diritto dell'Unione Europea», ma anche la più recente Cass. V, Ord., n. 20799/2017: «Il motivo è manifestamente fondato, trovando applicazione, nella fattispecie in esame, il principio espresso da ultimo dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823 e ribadito dalla successiva giurisprudenza conforme (tra le altre, cfr. Cass. V, n. 10903/2016; Cass. V, n. 11283/2016; Cass. V, n. 2875/2017; Cass. V, n. 3012/2017; Cass. V, n. 10030/2017), secondo cui un obbligo generale di contraddittorio, la cui violazione comporti la nullità dell'atto, sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purché il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell'opposizione.». All'Amministrazione finanziaria è riconosciuto il forte potere di procedere a perquisizioni reali in luoghi adibiti ad abitazione, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica motivata esclusivamente da gravi indizi (e non solo sospetti) di violazione delle norme tributarie. La gravità attiene all'inferenza indiziaria e non alla violazione, misurata con la sanzione irrogabile. Per l'accesso in locali adibiti promiscuamente anche ad abitazione, necessita solo un'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non motivata da gravi indizi di violazione delle norme tributarie ma solo con le ragioni amministrative dell'accesso; analoga autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina è necessaria per perquisizioni personali di chiunque si trovi nei luoghi dell'accesso, per l'apertura coattiva di locali e/o contenitori chiusi, per l'acquisizione di notizie coperte da segreto professionale. Probabilmente, la funzione di garanzia giurisdizionale per tutte le autorizzazioni amministrative attribuite all'A.G.O. non fu attribuita alle Commissioni tributarie sol perché, al momento della promulgazione dell'art. 52 del d.P.R. n. 633/72, la Corte costituzionale aveva mutato il precedente consolidato orientamento (Corte cost. n. 12/1957, Corte cost., n. 41/1957, Corte cost. n. 81/1958, Corte cost. n. 132/1963 e Corte cost. n. 103/1964) per ritenerle organi amministrativi (Corte cost. n. 6/1969 e Corte cost. n. 10/1969); il revirement giurisprudenziale della loro natura giurisdizionale (A.G.T.: Autorità Giudiziaria Tributaria) è tornato solo successivamente (Corte cost. n. 287/1974), per consolidarsi con la vigente riforma operata dal d.lgs. n. 546/1992, che ha sottolineato il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie anche sul piano lessicale: “giudici tributari” e non più “componenti delle commissioni”, “sentenza” e non più “decisione”, e con l'istituzione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria C.p.g.t. quale organo di autogoverno della componente magistratuale nonché con l'attribuzione di poteri cautelari giudiziari, di nomina del Garante del Contribuente e con l'emanazione di norme di procedura sempre più prossime a quelle civili. L'eventuale illegittimità dell'accesso (nullità per violazione di legge, Cass. I, 7368/1998) travolge tutti i conseguenti atti ed operazioni (per invalidità derivata o —secondo più recente dottrina- poiché i vizi degli atti ispettivi non si ripercuotono nel conseguente avviso di accertamento, essi possono determinare solo una eventuale insufficienza/carenza probatoria ove non probatoriamente aliunde supportato) anche ulteriori alla formale chiusura della verifica. Qualora vi fossero ragionevoli elementi in base ai quali ritenere che nei luoghi in cui si è proceduto a perquisizione reale fossero presenti le prove della violazione tributaria per cui si procede (brogliacci, contabilità parallela e simili) «il giudice tributario, in sede di impugnazione dell'atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal Procuratore della Repubblica....ha il dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l'interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli articoli 14 e 113 Costituzione), oltre che di verificare la presenza di una motivazione sulla sussistenza di gravi indizi del verificarsi dell'illecito fiscale, anche di controllare la correttezza di tale apprezzamento. Ne consegue che lo stesso, quando nel processo tributario non sia prodotta dall'Amministrazione la richiesta di accesso degli organi accertatori cui sia stata correlata la motivata autorizzazione del P.M., può legittimamente ritenere impedita la verifica della effettiva esistenza dei gravi indizi necessari per rilasciare l'autorizzazione, in conformità con la disposizione di cui all'articolo 2697 codice civile» (Cass. n. 17957/2012). A conclusione di accessi, ispezioni e verifiche effettuati presso il contribuente si da sempre atto delle operazioni compiute con un processo verbale, equivalente all'”annotazione di servizio” della p.g. di cui all'art. 357 c.p.p.. Il P.V.C. (ex art. 24, l. n. 4/1929) — che è un atto endoprocedimentale di regola non impugnabile autonomamente — contiene le irregolarità constatate nonché le osservazioni e i rilievi del contribuente e del professionista che eventualmente lo assista. Sulla base del P.V.C, – di cui viene rilasciata copia al contribuente – l'ufficio competente, non prima di sessanta giorni per consentire la presentazione di eventuali osservazioni e richieste, può disporne ulteriori attività ispettive integrative, emettere l'avviso di accertamento per il recupero delle imposte evase e per l'irrogazione delle conseguenti sanzioni o procedere all'archiviazione (totale o parziale). La Cass. n. 18751/2014 ha statuito che «la giurisdizione del giudice tributario (...), ha carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo all'impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimità di tutti gli atti del procedimento [(Cass. S.U., n. 6315/2009; Cass.S.U., n. 11082/2010), di modo che l'eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale)] su un qualche atto «istruttorio» prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell'atto «finale impugnato». Al contribuente, a seguito della notifica del PVC, viene riconosciuto il diritto di presentare entro 60 giorni memorie difensive che abbiano ad oggetto osservazioni e richieste; la Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 18184/2014), ha dichiarato nullo l'avviso di accertamento emesso «ante tempus», in quanto, in assenza di idonee ragioni di urgenza, l'inosservanza del termine di 60 giorni determina l'illegittimità dell'atto impositivo, poiché «...detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva...». A seguito della sentenza della Cass. S.U., n. 24823/2015 si è chiarito che l'obbligo al contraddittorio per i tributi «non armonizzati» non esiste, non esistendo un obbligo generalizzato di integrazione del contraddittorio (salvo non sia espressamente previsto dal legislatore), mentre per i tributi «armonizzati» la norma va interpretata secondo i principi comunitari e pertanto l'Amministrazione dovrà convocare il contribuente prima dell'emissione dell'atto. In tema di tributi armonizzati si veda anche Cass. V, ord. n. 11665/2016 [conforme Cass. V, ord. n. 11283/2016]: «In tema di tributi “non armonizzati” l'obbligo dell'A.F. di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali detto obbligo risulti specificamente sancito. In relazione ai tributi “armonizzati” invece, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'A.F. comporta sempre l'invalidità dell'atto, purché in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e l'opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede, ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quale è stato predisposto.» Ancora di recente, sui tributi non armonizzati Cass. V ord. n. 3404/2017 «In tema di tributi non armonizzati (quale l'IRAP), le garanzie fissate dallo Statuto del contribuente in riferimento al contraddittorio endoprocedimentale trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l'operazione abbia o meno comportato constatazione di violazioni fiscali»; conforme Cass. V, n. 2055/2017. Tuttavia, l'eventuale violazione comporterà la nullità solo ove il contribuente dimostri in concreto il «danno» subito in termini difensivi. Limitativa del diritto al c.d. contraddittorio endoprocedimentale appare C.t.r. Toscana Firenze XXV, n. 1172/2016: «Quanto al primo motivo di impugnazione — relativo alla violazione e falsa applicazione dell'art. 12 l. n. 212 del 2000 — la Commissione regionale è di opinione diversa da quella dei giudice provinciale: l'art. 12 citato limita infatti l'obbligo della redazione (e del rilascio di copia) del processo verbale di chiusura delle operazioni (ed il successivo rispetto del termine di sessanta giorni prima della emissione dell'avviso di accertamento) ai soli casi in cui l'attività di accertamento — attuata mediante accessi, ispezioni e verifiche — sia avvenuta nei locali destinati all'esercizio dell'attività oggetto di esso. Ciò che non è nel caso di specie, atteso che — iniziata l'attività di accertamento mediante indagine d'ufficio — le informazioni acquisite sono state fornite dal contribuente su mera richiesta dell'Agenzia, senza necessità di dar luogo in via autoritativa ad ingressi forzosi nei locali aziendali. D'altra parte, la procedura prevista dall'art. 12 — evidentemente preordinata alla tutela del principio del contraddittorio — non è estensibile in via interpretativa ad ogni tipo di accertamento proveniente da un ente impositore per la evidente ragione che la letteralità della norma non lo consente e che non vi è nell'ordinamento un principio di tutela generalizzata del contraddittorio endoprocedimentale.” Una parola chiara, sebbene in una ordinanza declaratoria di inammissibilità, la fornisce la Corte cost. ord. n. 244/2009, la quale, sulla rimessione della Commissione tributaria regionale della Campania, chiarisce che i dubbi di costituzionalità, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, della disposizione del comma 7 dell'art. 12 secondo la quale: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza» meritano giudizio di inammissibilità, non avendo il giudice a quo compiuto corretta opera interpretativa della disposizione. Secondo la Corte delle leggi, infatti, la Commissione tributaria avrebbe dovuto saggiare la possibilità di ritenere invalido l'avviso di accertamento emanato prima della scadenza del suddetto termine di sessanta giorni, nel caso in cui tale avviso sia privo di una adeguata motivazione sulla sua «particolare [...] urgenza», prendendo in considerazione a sostegno di tale percorso ermeneutico, il combinato disposto della censurata disposizione con l'art. 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000 e gli artt. 3 e 21-septies della legge 27 luglio 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi)». Infatti, prosegue la Corte, alla luce di tali disposizioni, la Commissione tributaria avrebbe potuto prendere atto del fatto che lo specifico obbligo di motivare, anche sotto il profilo dell'urgenza, l'avviso di accertamento emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, da parte degli organi di controllo, è previsto dalla stessa disposizione censurata ed è espressione del generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi e, tra essi, di quelli dell'amministrazione finanziaria (artt. 3 della l. n. 241/1990 e art. 7, comma 1, della l. n. 212/2000). Sempre la Corte Costituzionale conclude: «Sulla base di tale premessa nel caso in esame ricorreva inosservanza dell'obbligo di motivazione, anche in relazione alla «particolare [...] urgenza» dell'avviso di accertamento, sia già espressamente sanzionata in termini di invalidità dell'atto, in via generale, dall'art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 — che prevede tale sanzione per il provvedimento amministrativo privo di un elemento essenziale, quale è la motivazione — sia, con speciale riferimento all'accertamento delle imposte sui redditi e dell'IVA, dagli artt. 42, secondo e terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e 56, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), i quali stabiliscono che l'avviso di accertamento deve essere motivato, a pena di nullità, in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Posto che peraltro la norma censurata, essendo diretta a regolare il procedimento di accertamento tributario, non ha natura processuale ed è, quindi, estranea all'àmbito di applicazione dei parametri costituzionali invocati (ex plurimis, sentenza Corte cost. n. 20/2009; Corte cost. ord., n. 211/2008 e Corte cost. ord., n. 13/ 2008, Corte cost. n. 180/ 2007; nonché, con particolare riferimento all'art. 24 Cost., Corte cost. ord. n. 940/1988 e Corte cost. ord., n. 21/ 1988, Corte cost. ord., n. 324/1987), resta il fatto che secondo la Corte va interpretata nel senso che è nullo l'accertamento ante tempus emesso in dispregio della norma.». Il tema appare ripreso coerentemente da recente Cass. V, n. 25265/2017: «È illegittimo l'avviso di accertamento emesso a seguito di una verifica a carattere generale e consegnato al contribuente senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, prima del decorso del termine di 60 giorni. L'inosservanza del termine dilatorio in parola, invero, determina di per sé la illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva». Secondo l'orientamento ormai consolidato della Corte, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, prevede dunque che l'avviso d'accertamento, salva la ricorrenza di specifiche e motivate ragioni di urgenza, non possa essere emesso pena la sua nullità, prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, e si applica non solo nell'ipotesi di verifica, ma anche di accesso, concludendosi anche tale accertamento con la sottoscrizione e consegna del processo verbale delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, ovvero del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 (v. anche Cass. n. 2593/2014). È stato affermato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretata nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento — termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni — determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste pertanto nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio. Inoltre evolvendosi rispetto al precedente indirizzo la giurisprudenza ha proposto la tutela delle garanzie anche nei procedimenti aventi ad oggetto tributi non armonizzati: Cfr. Cass. V, n. 11685/2021. In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la "prova di resistenza" e, volutamente, la norma dello Statuto del contrib uente non distingue tra tributi armonizzati e non.” È stato ribadito (Cass., ord., n. 9725/2021) che “le garanzie fissate nell'art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente.” Per converso, la giurisprudenza continua a mitigare gli effetti delle norme di garanzia: Cass. VI, ord., n. 8612/2021 “In tema di accertamento, ai fini delle imposte dirette e IRAP non esiste alcun obbligo generalizzato di contraddittorio per l'Amministrazione finanziaria, mentre per l'IVA, trattandosi di tributo c.d. armonizzato, il contraddittorio è obbligatorio, ma il contribuente deve assolvere all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in quella sede, così da dimostrare di non avere proposto una opposizione meramente pretestuosa (c.d. prova di resistenza). Tale onere non può ritenersi assolto qualora il contribuente si sia limitato a denunciare la astratta violazione del proprio diritto di difesa.” Per altro profilo, infatti: Cass. n. 26650/2020 “In tema di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, tra le ragioni di urgenza che giustificano l'emissione dell'avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall'art. 12, comma 7, l. 27 luglio 2000 n. 212 può rientrare la commissione, da parte del contribuente, di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale ovvero la partecipazione dello stesso ad una frode fiscale.” La giurisprudenza della Corte ha altresì precisato che la garanzia di cui alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell'impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all'acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest'ultimo caso, come prescrive il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6 (Cass., n. 15624/2014), ed esclude l'ammissibilità della cd. «prova di non resistenza» prevista dalla l. n. 241/1990, art. 21-octies, comma 2, (Cass. ord., n. 1007/2017), secondo il cui disposto il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Ma, si badi, l'eccezione non può essere proposta in grado d'appello per la prima volta (cfr. C.t.r. Lazio Roma XIII, 28 settembre 2017, ma anche Cass. V, n. 14395/2017). Secondo Cass. V, ord.n. 17202/2017 l'atto di accertamento deve essere notificato e non solo sottoscritto prima del termine di cui all'art. 12 comma 7: «In tema di accertamento, l'atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell'ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, ancorché notificato successivamente alla sua scadenza, è illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contradditorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l'atto impositivo è ancora “in fieri”, integrando, viceversa, la notificazione una mera condizione di efficacia dell'atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato.». In contrario avviso ci pare Cass. V, n. 5361/2016: «Ai fini del rispetto del termine sospensivo di sessanta giorni dal rilascio del PVC prima dell'emanazione dell'avviso di accertamento, per data di emanazione dell'atto deve intendersi quella in cui lo stesso è stato sottoscritto dal funzionario munito del relativo potere, a prescindere da quella della sua notifica.” Ma nel caso di autotutela il termine decorrerebbe dall'originario termine del rilascio dell'atto e non dalla rimozione dell'atto illegittimo: Cass. V ord., n. 21820/2017 «In tema di contenzioso tributario, nel caso in cui l'avviso di accertamento sia annullato in via di autotutela, in quanto illegittimamente adottato senza rispettare il termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (nel testo vigente “ratione temporis”), la rinnovazione dell'avviso resta soggetta solo all'originario termine decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, non potendosi far decorrere un nuovo termine dalla rimozione dell'atto». L'atto impositivo va motivato, anzi va doppiamente motivato, ma come spesso accade la giurisprudenza, specie di legittimità, si incarica di mitigare gli effetti del rigore della norma, affermando che la carenza di motivazione non basta come causa di annullamento se non c'è lesione degli interessi concreti del ricorrente; cfr. oltre a quanto già citato sopra Cass. V, n. 21408/2017: «Il mancato riferimento, nell'atto impositivo, alle memorie difensive di parte presentate prima dell'emissione dello stesso non può essere elemento tale da invalidare l'operato dell'Ufficio; ciò in quanto l'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente — che pur impone il rispetto del termine di sessanta giorni tra chiusura del p.v.c. ed emissione dell'accertamento — non comporta una espressa sanzione di nullità e, in particolare, in ragione del fatto che detta carenza di motivazione non lede specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di effetti da parte dell'atto cui ineriscono.», ma anche Cass. V, ord. n. 25958/2016: «Affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, essendo, altresì, necessario che esso assolva l'onere di prospettare in concreto le regioni che avrebbe potuto far valere, allorché il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. L'opposizione di dette ragioni deve, inoltre, rivelarsi non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.” Sempre in tema di motivazione, ed alquanto difforme, Cass. V, n. 15616/2016 «L'amministrazione finanziaria non ha uno specifico obbligo di motivare sulle osservazioni presentate dal contribuente ai sensi dell'art. 12, 7° comma, l. n. 212 del 2000, né è previsto in sede di impugnazione un sindacato sulla scelta della amministrazione». È comunque ormai dato consolidato che il c.d. atto ante tempus è nullo (cfr. Cass. V, ord. n. 14613/2016, ma anche Cass. V, ord, n. 20808/2017: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, lo Statuto del contribuente deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento — termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni — determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione finanziaria e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio.». Anche secondo Cass. V, ord., n. 20799/2017 «in tema di accertamento tributario un obbligo generale di contraddittorio, la cui violazione comporti la nullità dell'atto, sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purché il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell'opposizione.» Ma, si badi, le garanzie di cui discorriamo sono circoscritte — almeno secondo la Corte di Cassazione — agli accertamenti conseguenti alle attività di ricerca ed indagine, e non a quelle «a tavolino» o a seguito di mera acquisizione documentale: Cass. V, ord., n. 7463/2016 «Le garanzie fissate dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, trovano applicazione solo in relazione ad accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contraente. Le anzidette garanzie, pertanto, non possono intendersi operanti in relazione al controllo fiscale eseguito a seguito di acquisizione documentale ex art. 38, d.P.R. n. 600 del 1973 (come nella specie in rilievo).» Altra mitigazione del dettato dell'art. 12, la giurisprudenza ha ritenuto che i termini di cui all'art. 12 comma 5 siano ordinatori. Si vedano Cass. V, ord., n. 1048/2017: «In tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla «ratio» delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione» e Cass. V ord., n. 1334/2016 «In tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla «ratio» delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione.» L'unico motivo che consente all'amministrazione di provvedere emettendo anticipatamente l'atto è l'urgenza di provvedere, ma essa non deve essere riferibile al solo prossimo spirare del termine di decadenza dell'accertamento, che imputet sibi l'amministrazione: Cass. V, n. 5137/2016, ma anche Cass. V, n. 7914/2016: «L'avviso di accertamento originato da un processo verbale di constatazione della guardia di finanza, notificato a seguito di verifica fiscale, ricade nella disciplina dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000. Ne consegue che il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni ivi previsto, comporta la nullità dell'avviso, anche con riferimento al recupero dell'imposta, stante la difformità dal modello procedimentale di accertamento dei tributi previsto ex lege. Né la violazione dell'anzidetto termine può essere scriminata dal semplice approssimarsi della decadenza del potere di accertamento dell'imposta,....» e pure Cass. V, n. 25692/2016: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in virtù del quale, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni al contribuente nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, ne determina, di per sé, l'illegittimità, opera anche quando si sia attivato il contraddittorio in seguito alla proposta di accertamento inoltrata al contribuente dall'ufficio a seguito dell'applicazione degli studi di settore, trattandosi di adempimento ineludibile, che è primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.». Ai fini di determinare in cosa possa consistere l'urgenza di decidere la giurisprudenza ha formulato – escluse come si è detto le ipotesi di prossimità della scadenza dei termini – ipotesi molto consistenti, rappresentate ad esempio da reiterate condotte penalmente rilevanti che lasciano supporre un serio pericolo nel ritardo di provvedere. (Cfr. Cass. V, n. 15527/2001; Cass. V, ord., n. 10910/2016: «La pericolosità, sotto il profilo tributario, del contribuente, derivante da reiterate condotte penali tributarie, costituisce valida ragione di urgenza atta a giustificare l'anticipazione dell'avviso di accertamento, in deroga al termine sospensivo di 60 giorni dal PVC imposto dall'art. 12, comma 7, della Legge n. 212/2000. Assume, quindi, rilievo, in proposito, la pericolosità, tanto tributaria quanto penale in senso lato, del contribuente il quale, per anni, abbia esercitato la professione di medico odontoiatra in modo abusivo e con totale evasione di imposta.». «Il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie costituisce, in astratto, una valida ragione d'urgenza idonea a giustificare l'anticipazione della notifica dell'atto impositivo in deroga al termine imposto dalla legge dell'art. 12 della l. n. 212 del 2000. L'urgenza dell'atto impositivo può profilarsi allo scopo di bloccare una condotta che appaia una palese e grave violazione continuata degli obblighi fiscali.»). Le garanzie si applicano anche agli accessi istantanei: Cass. V, ord., n. 11471/2017 : «Le garanzie previste dallo Statuto del contribuente si applicano anche agli atti di accesso istantanei dell'Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli.» Per l'apparato sanzionatorio si applica invece il regime speciale e non quello dell'art. 12: cfr. Cass. V, ord., n. 11391/2017: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'irrogazione della sanzione amministrativa (nella specie ex art. 8, comma 3-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997), non è assoggettata al termine dilatorio di sessanta giorni, previsto dall'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 per gli atti di natura impositiva, trovando, invece, applicazione la disciplina speciale di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, ove sono indicate le peculiari modalità con le quali viene garantito il principio del contraddittorio rafforzato.». Quanto al regime probatorio, l'onere della prova grava sull'amministrazione e non può giovarsi della c.d. prova di non resistenza, come abbiamo visto: si v. Cass. V, ord., n. 1007/2017: «In tema di garanzie per il contribuente, l'obbligatorietà generalizzata del contraddittorio preventivo di cui all'art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, applicabile a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell'impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all'acquisizione di documentazione, esclude l'ammissibilità della cd. “prova di non resistenza”prevista dall'art. 21-octies, comma 2, della l. 241 del 1990», ma «Non viola i diritti di difesa del contribuente la sentenza emessa dalla competente Commissione tributaria regionale che abbia argomentato in modo adeguato sull'insussistenza in punto di fatto delle giustificazioni fornite dal contribuente al fine di spiegare lo scostamento dalle indicazioni degli studi di settore.» (Cass. V, n. 19134/2016) così come «L'accertamento induttivo può fondarsi sull'antieconomicità dell'attività svolta dal contribuente anche senza considerare i c.d. studi di settore. In tal caso la garanzia dell'art. 12, comma 7 della legge n. 212 del 2000 vale unicamente per gli accertamenti con verifica in loco o per quelli concernenti l'Iva.» (Cass. V, ord., n. 17720/2016). In conclusione, appare impossibile tracciare tutte le fattispecie nelle quali la norma può trovare applicazione: ci si limita a segnalare che, alla luce dell'evoluzione del dibattito in tema di differenziazione fra tributi «armonizzati» e «tributi non armonizzati» (si pensi alla falcidia IVA, ormai oggetto non solo di pronunce giurisdizionali, ma di interventi normativi) anche la giurisprudenza in materia dovrà necessariamente tenerne conto e che il principio generale rimane sempre la ricerca di un bilanciamento di interessi fra il diritto dell'amministrazione a perseguire con i mezzi legali previsti dalle norme una retta condotta del contribuente e quello del contribuente a svolgere la sua libera attività economica previa adeguata informazione e collaborazione con la pubblica amministrazione finanziaria. BibliografiaBertone, Lo statuto dei diritti del contribuente, in Dir. e prat. trib. 2016, 4, 1725; Carbone e Screpanti, Statuto dei diritti del contribuente, in Il Fisco 2000, 231; Ciarcia, Le verifiche fiscali, in Il Fisco 12, 2001, 4642G; Chindemi, Inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2016, in Dir. e prat. trib. 2016, 3, 1155; De Mita, Sul contraddittorio le Sezioni Unite scelgono una soluzione «politica», in Dir. e prat. trib. 2016, 1, 20241; G. Gallo., S. Gallo, Le visite fiscali. 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Evoluzione, problemi e prospettive, in Il Fisco 12, 1996, 3097; Perrone, Dalla corte costituzionale una possibile soluzione alla tormentata questione del contraddittorio endoprocedimentale tributario, in Dir. e prat. trib. 2017, 3, 921; Procopio, Il contraddittorio preventivo endoprocedimentale e la nullità conseguente al mancato riscontro alle osservazioni dei contribuenti, in Dir. e prat. trib. 2016, 6, 2280; Renda, Il contraddittorio preventivo tra speranze (deluse), rassegnazione e prospettive, in Dir. e prat. trib. 2016, 2, 719 (nota a sentenza); Renda, Contraddittorio endoprocedimentale e invalidità dell'atto impositivo notificato ante tempus: le Sezioni Unite e la prospettiva del bilanciamento dei valori in campo, in Dir. e prat. trib. 2014, 1, 2003; B.Santamaria, Accessi, ispezioni e verifiche, in “Enc. giur. Treccani” 1988; Serranò, Accertamento ante tempus nei tributi armonizzati e non: disparità di trattamento? in Dir. e Prat. Trib., 2020, 1, 240; Zanotti, Contraddittorio ex art. 12, 7° comma dello statuto dei Diritti del Contribuente ed obbligo di motivazione, in Dir e Prat. Trib. 2019, 3, 1205 . |