Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 10 bis - Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale 1 (A).

Mario Cavallaro

Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale1 (A).

1. Configurano abuso del diritto una o piu' operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

2. Ai fini del comma 1 si considerano:

a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformita' dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;

b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalita' delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalita' di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attivita' professionale del contribuente.

4. Resta ferma la liberta' di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

5. Il contribuente puo' proporre interpello ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto2.

6. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto e' accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullita', dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto.

7. La richiesta di chiarimenti e' notificata dall'amministrazione finanziaria ai sensi dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell'atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo e' automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni.

8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l'atto impositivo e' specificamente motivato, a pena di nullita', in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonche' ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6.

9. L'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3.

10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai sensi dell'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall'amministrazione finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento e' divenuto definitivo ovvero e' stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all'Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.

12. In sede di accertamento l'abuso del diritto puo' essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.

13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

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(A) In riferimento a una valutazione anti-abuso scissione parziale proporzionale di cui al presente articolo vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 12/11/2018 n. 65. 

In riferimento a una valutazione anti-abuso scissione parziale asimmetrica contestuale tra due società vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 15/11/2018 n.  68. 

In riferimento a una valutazione anti-abuso scissione non proporzionale a favore di beneficiarie neo costituite interamente partecipate dai soci della scissa seguita da fusione per incorporazione delle beneficiarie da parte dell'unico socio vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 15/11/2018 n. 70; vedi Risposta Agenzia delle Entrate 23/08/2019 n. 341;  Risposta Agenzia delle Entrate 05 gennaio 2021, n. 4.

In riferimento a una valutazione anti-abuso scissione parziale asimmetrica di società semplice vedi: Risposta Agenzia delle Entrate  4 dicembre 2018, n. 91.

In riferimento  a una valutazione anti-abuso di una scissione asimmetrica con attribuzione alla società beneficiaria di un patrimonio netto contabile negativo vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 5 dicembre 2018, n. 101.

Per una valutazione anti-abuso di un'operazione attuata attraverso due scissioni parziali asimmetriche, previa donazione di quote delle Società vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 28/03/2019 n. 89.

Per una valutazione abusività ai fini delle imposte indirette della cessione di ramo d'azienda a newco, successiva cessione della relativa partecipazione a fondo d'investimento e cessione di immobili al medesimo fondo vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 07/11/2019 n. 469.

Per l le donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust istituiti in favore di persone con disabilità grave vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 02/11/2020 n. 512.

Per la valutazione antiabuso di una operazione di conferimento di partecipazioni in una NEWCO seguito dalla successiva cessione da parte di NEWCO delle partecipazioni ricevute, in esecuzione di un patto parasociale e di un accordo integrativo, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 22 marzo 2021, n. 199.

- Per la Valutazione antiabuso - Conferimento in una newco della partecipazione detenuta da una società seguito dalla scissione parziale asimmetrica non proporzionale della conferente, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 23 marzo 2022 n. 152.

Per la Valutazione antiabuso - Scissione parziale di una partecipazione societaria a favore della beneficiaria socio unico della scissa, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 8 maggio 2023, n. 317.

- In riferimento al rimborso finanziamento infruttifero a società controllante non residente - abuso del diritto di cui al presente articolo, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 8 maggio 2023, n. 319.

- In riferimento al presente articolo, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 22 gennaio 2024, n. 12.

- In riferimento all'operazione di scissione seguita dalla contestuale fusione della società oggetto di scissione nella beneficiaria di cui al presente comma, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 8 febbraio 2024, n. 37.

- In riferimento all'operazione di scissione totale asimmetrica verso due beneficiarie di nuova costituzione, di cui al presente articolo, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 8 febbraio 2024, n. 35.

[1] Articolo aggiunto dall'articolo 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015 n. 128, con la decorrenza stabilita dal comma 5 dell'articolo 1 del D.Lgs. 128/2015.

Inquadramento

L'omologazione del valore semantico delle due locuzioni in un'endiadi volta ad esprimere l'“abuso del diritto fiscale”, ostentata nella rubrica di una codificazione giuridica tributaria, risolve sofisticate distinzioni del passato e ne riconosce il rapporto tra genus (abuso del diritto) e species (elusione fiscale).

L'indagine sulla nozione di abuso del diritto, di cui si occupa con sguardo innovatore l'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, introdotto con la novella legislativa del 2015, è una di quelle che nasce da uno sforzo eminentemente pretorio, ma ha anche suscitato forte attenzione nella dottrina. In realtà l'abuso di diritto (ma è realmente una figura, un istituto giuridico o è il confine fra il diritto ed il suo contrario? Già questa prima domanda, non retorica ed intrigante, fa capire quanto la ricerca sia complessa) non è figura circoscritta al diritto tributario e non ha neppure origine giurisprudenziale comunitaria, e neppure giurisprudenziale domestica. Si assommano nell'istituto tensioni tipiche dei momenti in cui realtà economica e regolazione giuridica non convergono, ed anzi si allontanano sempre di più. Quanto all'art. 54 della Carta europea dei diritti fondamentali, rubricato «Divieto dell'abuso di diritto», esso si riferisce all'interpretazione delle disposizioni della Carta stessa (“Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta»). Detta disposizione si rifà a sua volta all'art. 17 della Convenzione per i diritti dell'uomo (CEDU) in cui pure si stabilisce che «nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come contenente (...) un diritto a dedicarsi ad una attività o a compiere un atto che mira alla sospensione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o ad una limitazione di questi diritti e libertà maggiore di quella prevista dalla Convenzione». Senza entrare nel dettaglio della doppia fattispecie formulata dal legislatore comunitario (è esercizio abusivo di diritti se si compie un atto che violi i diritti e le libertà garantiti dalla Carta o se si limitano i diritti e le libertà previste dalla Carta) si può ben dire che anche il legislatore italiano ha scelto la strada della codificazione normativa dell'istituto, che tuttavia ha il suo punto centrale nella locuzione «operazioni prive di sostanza economica», che rappresentano il limite fattuale dell'istituto e ne delimitano il confine verso l'illiceità, chiarendo in quali possibili eventi si inquadrano le forme di elusione perseguibili in sede tributaria.

Per la Cassazione, (Cass. n. 1248/2016) l'abuso del diritto è «configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti».

La norma in esame individua gli interessi meritevoli di tutela, sia dal punto di vista del cittadino/contribuente, sia da quello dell'interesse pubblico, che si pone anche a garanzia della parità del trattamento tributario tra tutti i consociati.

Il «risparmio fiscale», cioè la scelta di una tecnica applicativa delle disposizioni tributarie produttiva di un più vantaggioso regime fiscale, è sostanzialmente meritevole di tutela, o almeno di rispetto, solo qualora esso non sia in contrasto con le normali logiche di mercato.

In sostanza, la regolazione del mercato deve a sua volta essere legale e rituale, basata su rapporti improntati alla lealtà e collaborazione fra erario e contribuente, ma anche al rispetto della leale concorrenza fra competitori economici, che sarebbe gravemente alterata dalla tolleranza verso pratiche elusive e non solo di evasione in senso tecnico, sulle quali non c'è neppure da discutere quanto a illiceità e lesività del mercato.

L'abuso del diritto perseguibile, in sostanza, viola i principi costituzionali di solidarietà, eguaglianza e libertà d'iniziativa e produce prognosi di antigiuridicità, in quanto viola «l'equo riparto» del carico tributario nel mercato.

La norma, come meglio vedremo in appresso, pone in evidenza un'altra significativa peculiarità, in quanto da vita ad un procedimento «rafforzato e speciale» di indagine in sede di eventuale contestazione da parte dell'amministrazione di una ipotesi di abuso. Infatti, la disposizione prevede che ci sia uno speciale contraddittorio preventivo endoprocedimentale, con una discovery sul punto, e che conseguentemente la contestazione relativa all'istituto sia specifica e puntuale, recando gli elementi tipici della asserita violazione di legge. Trattandosi di norma di recente introduzione nell'ordinamento, ancora non si sono consolidati indirizzi giurisprudenziali così solidi da rendere certe le rotte applicative dell'istituto, anche se fin d'ora può dirsi che la giurisprudenza penale e quella tributaria non sembrano andare nella stessa direzione, in quanto la giurisprudenza penale, preoccupata del comma 13 della norma, secondo cui le operazioni meramente abusive non costituiscono fattispecie punibili, tende a restringere la portata del fenomeno, mentre la giurisprudenza civile e tributaria non dimenticano l'origine pretoria dell'istituto e continuano ad ampliarlo alle fattispecie che le novità legislative inevitabilmente comportano, creando zone d'ombra giuridiche, pur nel principio di completezza dell'ordinamento, nel quale si possono ipotizzare fattispecie non punibili. La nozione infine di operazioni prive di sostanza economica, lungi dal far definitiva chiarezza e tracciare il discrimine, si presta ad altri e nuovi equivoci interpretativi, in quanto l'esistenza o meno di sostanza economica non è sovente un fatto oggettivo, ma un elemento a sua volta discutibile ed oggetto di valutazioni discrezionali in sede interpretativa, consentendo l'irruzione nella valutazione della norma di elementi economici che a loro volta sono tutt'altro che inequivoci. Non resta che seguire il percorso della giurisprudenza, con tale avvertenza.

L'interesse giuridico tutelato nell'art. 10-bis e la disparità del carico tributario

La norma in commento ha il pregio di aver risposto alle esigenze degli operatori economici che operano in ambito internazionale in merito alla definizione di condotte che configurano abuso del diritto, e ciò in linea con la Raccomandazione della Commissione europea n. 2012/772/UE. Il comportamento abusivo si configura quando gli operatori economici utilizzando strategie che violano i principi dettati dagli artt. 2,3,41 Cost., deformano l'equilibrio del mercato a loro vantaggio impedendo una pari occasione ad altri competitors. Se si intacca la competitività regolare tra operatori commerciali viene snaturato il mercato concorrenziale, che è fondamento della costituzione economica europea, caratterizzata da una serie di contratti dove viene in rilievo «l'operazione economica», unica dirimente per l'applicazione al caso concreto della fattispecie in esame, non rilevando contrariamente la tipologia contrattuale.

La Corte di Cassazione dopo l'emanazione della disposizione normativa in commento si è sovente occupata della materia, di regola cercando di individuare con rigore le fattispecie di abuso del diritto ed in particolare individuando quelle fattispecie in cui più che di operazioni prive di sostanza economica si può discorrere di una diversa sostanza economica rispetto a quella perseguita.

Nell'ordinanza n. 21767/2017, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle Entrate, ha riqualificato in cessione di azienda, soggetta ad imposta di registro, alcuni atti di cessione di beni mobili, intercorsi tra due società ed assoggettati da queste ad IVA, con conseguente rettifica della detrazione.

In particolare, la Corte afferma che, nella qualificazione di un negozio come cessione di azienda, ai fini della determinazione dell'imposta applicabile (IVA o imposta di registro), assume rilievo preminente la valutazione della complessiva operazione economica realizzata, di cui occorre individuare gli elementi caratteristici alla luce dell'obiettivo economico perseguito e dell'interesse delle parti alle prestazioni.

In particolare, nel caso di specie, l'effetto economico realizzato dalle parti, mediante plurimi atti separati, sarebbe stato quello della cessione di due rami di azienda, costituiti da due esercizi commerciali, a nulla rilevando l'esclusione delle merci in rimanenza, atteso che esse sono state acquistate, poi, dalla cessionaria mediante l'interposizione di un'altra società.

La tecnica di contrasto alla condotta elusiva è quindi parametrata al fine individuato dal legislatore di qualificare l'operazione commerciale non solamente dal punto di vista della tipologia contrattuale utilizzata, ma di individuare i vantaggi economici indebitamente conseguiti attraverso l'utilizzo strumentale di variegati negozi giuridici [la legge di bilancio 2018, (l. n. 205/2017), modifica l'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 escludendo che l'interpretazione degli atti possa tenere conto di altri atti collegati. Le modifiche all'art. 20 ed all'art. 53-bis del d.P.R. n. 131/1986, introdotte dall'art. 1, comma 87, l. n. 205/2017 (legge di bilancio 2018), hanno il positivo effetto di limitare l'attività di riqualificazione degli atti, ai fini dell'imposta di registro, escludendo la possibilità che l'interprete possa valutare elementi estrinseci all'atto o atti collegati ad esso, così evitando che sia possibile riqualificare gli atti sulla base degli «effetti economici» dell'operazione, se non facendo applicazione della disciplina (e delle cautele) prevista in materia di abuso del diritto dall'art. 10-bis della l. n. 212/2000.] Il legislatore tributario intende per «operazione economica» uno o più comportamenti a contenuto economico collegati tra loro, atti, fatti e negozi che delineano l'affare, sul quale potrà incentrarsi il vaglio di verifica.

Le «normali logiche di mercato» ed il «mercato» sono i punti cardine della normativa in commento; a tal proposito, ad esempio, sono disconosciuti i benefici accordati dal regime della participation exemption di cui all'art. 87 del TUIR, perchè si considera elusiva la seguente operazione:

- s.n.c. che si trasforma in s.r.l. e costituisce una società newco che svolge sia un'attività produttiva che un'attività immobiliare;

- successiva cessione della partecipazione nella newco una volta che risulta cessato il ramo produttivo.

Si è osservato che l'operazione risulta elusiva ai sensi dell'art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973 (attualmente abrogato e sostituito dalla nuova disciplina dell'art. 10-bis della l. n. 212/2000), in quanto la trasformazione in s.r.l. non risulta ispirata dalla volontà di continuare l'attività.

Inoltre, la mancanza del ramo produttivo dellanewco ha determinato la perdita del requisito della commercialità previsto dall'art. 87 comma 1 lett. d) del TUIR per beneficiare dell'esenzione al 95% delle plusvalenze da partecipazioni (pex) (C.t.p. Vicenza 6 aprile 2017, n. 282/3/17) .

Quindi le «normali logiche» si riferiscono all'assetto civilistico normativo che delinea le regole di cui l'operatore economico si serve, al fine di concludere accordi commerciali, nonché a quelle di contenuto puramente fiscale ed inerenti la tassazione dei redditi o delle operazioni che hanno lo scopo di deformare il mercato e quindi l'effettiva concorrenza tra gli operatori. La norma di nuovo conio ha quindi la finalità di eliminare l'anomalia creata nel mercato, valutando nello specifico la finalità della condotta dell'agente nella sua interezza e sotto il profilo della finalità economica, procedendo quindi ad una prognosi comparativa rispetto al modello generale che rappresenta il bene giuridico tutelato e meritevole di tutela.

Una sorta di giustapposizione fra tipo teorico negoziale e negozio (o negozi plurimi) utilizzati, al termine della quale e dopo apposita contestazione l'Erario individua lo scopo perseguito in concreto dal contribuente e gli domanda il giusto pagamento.

Il comma 6 dell'art. 10-bis dello Statuto del Contribuente delinea il procedimento di accertamento in materia antielusiva, che consente l'emanazione di un apposito avviso per la contestazione dell'elusione fiscale, riconducibile quindi alla categoria degli avvisi di accertamento parziale; alla luce del fatto che non si ravvisano deroghe rispetto all'art. 43, 3° comma, l'eventuale notifica di un avviso di accertamento ex art. 10-bis, dopo la notifica di un precedente avviso «globale» dovrebbe essere consentita soltanto in presenza di nuovi elementi.

Come già abbiamo detto, molte pronunce recenti trovano la loro ragione nella comparazione fra il regime della tassazione conseguente all'applicazione della tassa di registro o di quella sul valore aggiunto (Cass. V, n. 11873/2017: “L'art. 20 del d.P.R. n. 131/1986 non è una disposizione predisposta al recupero di imposte eluse, perché l'istituto dell'abuso del diritto, ora disciplinato dall'art. 10-bis della legge n. 212/2000, presuppone una mancanza di «causa economica» che non è viceversa prevista per l'applicazione dell'art. 20 citato, il quale semplicemente impone, ai fini della determinazione dell'imposta di registro, di qualificare l'atto o il collegamento di più atti in ragione del loro intrinseca portata, cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale, come può appunto avvenire con il conferimento di beni (nel caso di specie, un ramo d'azienda) in una società e la cessione totalitaria di quote della stessa, atti che se collegati potrebbero essere senz'altro idonei a realizzare oggettivamente gli effetti della vendita (del ramo d'azienda) e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo.» Cass. V, n. 6758/2017: «In tema di imposta di registro, l'applicazione dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, che detta una regola interpretativa e non antielusiva, non è soggetta al contraddittorio endoprocedimentale previsto per l'utilizzazione delle disposizioni antielusive (art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, oggi art. 10-bis della l. n. 212 del 2000), traducendosi nella qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell'operazione negoziale complessiva, a prescindere dall'eventuale disegno o intento elusivo delle parti, sicché il conferimento societario di un'azienda e la successiva cessione dal conferente a terzi delle quote della società devono essere qualificati come cessione di azienda se il Fisco riconosca nell'operazione complessiva — in base alle circostanze obiettive del caso concreto — la causa unitaria della cessione aziendale, senza la necessità di dimostrare un disegno elusivo del contribuente.», C.t.p. Emilia-Romagna Reggio Emilia I, 14 luglio 2016: «L'operazione di cessione di quote di una società non può essere riqualificata ai fini del registro come cessione di azienda da tassare in modo proporzionale. Ciò in considerazione dei differenti effetti giuridici dei due atti e della libertà di scelta tra due opzioni entrambe lecite dal punto di visto fiscale. In tale contesto non può quindi essere invocato il divieto di abuso del diritto, né è applicabile l'art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986, il quale non ha nulla a che vedere con l'elusione, né con l'abuso del diritto. Peraltro, il nuovo concetto di abuso del diritto è delineato dall'art. 10-bis, l. n. 212/2000, non più come un limite all'autonomia negoziale, ma come garanzia della libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale e, quindi, della facoltà di optare anche per quella meno onerosa.», ma la ormai prossima e pressoché certa novella legislativa dovrebbe mettere fine ad ogni incertezza in materia, mentre con non minore attenzione la giurisprudenza si è occupata dei diritti doganali, indicando anche in questa materia la portata dell'abuso del diritto: Cass. pen. III, n. 35575/2016: «In materia di abuso del diritto, l'esclusione dei diritti doganali dall'ambito di applicazione dell'art. 10-bis dello Statuto del contribuente, stabilita dal legislatore nell'art. 1, comma 4, d.lgs. n. 128/2015, è limitata ai soli profili procedimentali, riferendosi, letteralmente, non ai diritti doganali in quanto tali, ma agli accertamenti e ai controlli aventi ad oggetto tali diritti, con la conseguenza che le disposizioni sostanziali si applicano anche agli stessi, i quali, quindi, ricadono nell'ambito di applicazione dell'istituto dell'abuso del diritto.», ma anche Cass. V, n. 707/2017: «In materia di dazi doganali, al fine di escludere che l'acquisto della merce oggetto di contingente tariffario, da parte di un importatore tradizionale, tramite altri operatori economici si traduca in abuso del diritto, occorre accertare che: 1) dal punto di vista oggettivo, non si realizzi un'influenza indebita di un operatore sul mercato ed, in particolare, un'elusione del divieto di superamento delle quantità di riferimento o dell'obiettivo del legislatore comunitario secondo cui le domande di titoli devono essere connesse ad un'attività commerciale effettiva, e non meramente apparente, consentendo, da un lato, ai soggetti coinvolti di percepire una remunerazione adeguata e di mantenere la posizione assegnatagli nell'ambito della gestione del contingente e, dall'altro, di effettuare l'importazione a dazio agevolato mediante titoli legalmente ottenuti dal loro intestatario; 2) dal punto di vista soggettivo, non si conferisca un vantaggio indebito al secondo acquirente e non si rendano le operazioni prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale per l'importatore, nonché per gli altri operatori coinvolti.”

Sul tema già in precedenza segnalato dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 (imposta di registro), come modificato dall’art. 1 comma 87, lett. a), l. n. 205/2017 e di nuovo successivamente dall’art. 1, comma 1084,  l. n. 145/2018 si veda ora la sentenza della Corte cost. n. 158/2020 che su rimessione della Suprema Corte di Cass. V , n. 23549/2019 che ha fatto largo uso ermeneutico dell’art. 10 bis, l. 212/2000.

Ha infatti conclusivamente affermato la Corte delle leggi che “Una volta constatato, per quanto sopra detto, che non è manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell'imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di "imposta d'atto" nei sensi sopra precisati, in caso di collegamento negoziale, qui può solo osservarsi, sul piano costituzionale, che l'interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, di detto art. 20, d.p.r. n. 131/1986, incentrata sulla nozione di "causa reale", provocherebbe incoerenze nell'ordinamento, quantomeno a partire dall'introduzione dell'art. 10-bis, l. n. 212/2000. Infatti, consentirebbe all'amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di "indebiti" vantaggi fiscali e di operazioni "prive di sostanza economica", precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea). 5.2.5.- In conclusione, la disciplina censurata non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente non fondatezza delle sollevate questioni. Resta ovviamente riservato alla discrezionalità del legislatore provvedere - compatibilmente con le coordinate stabilite dal diritto dell'Unione europea - a un eventuale aggiornamento della disciplina dell'imposta di registro che tenga conto della complessità delle moderne tecniche contrattuali e dell'attuale stato di evoluzione tecnologica, con riguardo, in particolare, sia al sistema di registrazione degli atti notarili, sia a quello di gestione della documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari.

Molte e disparate sono le fattispecie in cui può discorrersi di abuso del diritto: la cessione di quote sociali (cfr. C.t.p. Lombardia Bergamo III, 2 gennaio 2017:«Nel caso in cui una persona fisica rivaluti le quote di partecipazione, pagando un'imposta sostitutiva, e poi le ceda ad un'altra società, dallo stesso soggetto partecipata, realizzando un reddito diverso ex art. 67 del T.U.I.R., l'Agenzia delle entrate può contestare l'operazione come abusiva ai sensi del comma 3 del dell'art. 10-bis della legge n. 212/2000 e riqualificarla come una distribuzione dei dividendi ex art. 47, comma 7, del T.U.I.R. Tale eccezione può trovare accoglimento qualora la società acquirente si sia indebitata per acquistare le partecipazioni della target, la quale, successivamente, è stata incorporata nella stessa avente causa. In tale caso, è agevole dimostrare che gli attori delle operazioni in questione si sono legittimamente avvalsi soltanto sotto il profilo formale di istituti giuridici ai quali si può normalmente far ricorso nelle ipotesi in cui non si perseguono finalità elusive. Infatti, la tempistica ravvicinata delle operazioni poste in essere fa presumere l'intento elusivo, finalizzato essenzialmente al conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, in assenza di sostanza economica dell'operazione e di ragioni extrafiscali non marginali.»), la deducibilità dei canoni di locazione di un immobile locato da una società ad un professionista la cui moglie è socia al 99% (Cfr. C.t.p. Piemonte Alessandria I, 14 novembre 2016 «Non configura abuso del diritto, così come disciplinato dal novellato art. 10-bis della l. n. 212/2000 applicabile in via retroattiva ex art. 1, comma 5, d.lgs. n. 128/2015 anche agli avvisi di accertamento emessi prima della sua entrata in vigore, la deducibilità, in capo ad un Notaio, dei canoni di locazione di un immobile ad uso ufficio locato da una società di cui la moglie del professionista è titolare del 99% delle quote.») e molte altre ipotesi in cui l'uso di un istituto giuridico viene «piegato» alle esigenze di un diverso risultato economico, secondo la regola (cfr. Cass. V, n. 26060/2015) che l'onere della prova grava sull'amministrazione finanziaria, deve dimostrare «...il perseguimento del vantaggio fiscale indebito quale scopo essenziale della condotta, con l'indicazione degli elementi della fattispecie concreta che evidenziano un utilizzo abnorme dello schema negoziale prescelto in relazione alla causa tipica del negozio nominato, rispetto alla causa del negozio atipico» e tenendo conto che (Cass. V, n. 15616/2016) «...in tema di accertamento di condotte elusive, l'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 introduce un obbligo di cooperazione e contraddittorio consentendo al contribuente la conoscenza delle operazioni e la possibilità di comunicare osservazioni, ma non introduce uno specifico obbligo di motivazione sulle stesse né è previsto in sede di impugnazione un sindacato sulla scelta della amministrazione.».

Come dicevamo prima, la Cassazione in sede penale ha più volte circoscritto la portata della norma in esame (Cass. pen. III, n. 38016/2017; Cass. pen. III, n. 38016/2017) soprattutto distinguendo fra abuso del diritto e simulazione.

“In tema di violazioni finanziarie, ricorre il reato di dichiarazione infedele in presenza di comportamenti simulatori — nella specie negozi collegati tra loro apparentemente finalizzati a cessione di partecipazione societaria — preordinati alla «immutatio veri» del contenuto della dichiarazione ex art. 4 del d.lgs. n. 74/ 2000 ed integranti una falsità ideologica che connota il fatto evasivo incidendo sulla veridicità della dichiarazione per occultare in tutto o in parte la base imponibile, sicché non si applica la disciplina dell'abuso del diritto ex art. 10-bis della l. n. 212/2000 che ha portata solo residuale ha a nostro avviso comprensibilmente ma non convincentemente tentato di ridurre la portata della innovazione legislativa, definendone l'applicazione addirittura, nel campo penale, come residuale.”

In altri termini, avuto riguardo al contenuto della decisione impugnata, è infondata la doglianza secondo la quale la fattispecie de qua sarebbe penalmente irrilevante, se rivalutata alla luce della nuova disciplina del c.d. abuso del diritto, che all'art. 10 — bis, comma 13, chiarisce che «le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie», sul presupposto che, in siffatti casi, non sarebbe più configurabile il reato di dichiarazione infedele, in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto la l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis, comma 13, introdotto dal d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti.”

In passato prima della norma la Cassazione (Cass. pen. III, n. 33187/2013) aveva affrontato il problema, giungendo ad affermare: «Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. pen. II, n.7739/2011 e più di recente Cass. pen. III, n. 19100/2013) i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche da comportamenti elusivi posti in essere dal contribuente per trarre vantaggi dall'utilizzo in modo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale in mancanza di ragioni economicamente apprezzabili che possano giustificare l'operazione».

Dopo aver richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite Civili (Cass. S.U., n. 30055/2008) e la giurisprudenza successiva (cfr. Cass. V, n. 4737/2010; Cass. V, n. 11236/2011, Cass. V, n. 21782/2011; Cass. V, n. 19234/2011; Cass. V, n. 21390/2012), si era evidenziato che «ad avvalorare la tesi della rilevanza penale dei comportamenti elusivi specificamente previsti dalla normativa di settore è la stessa linea di politica criminale adottata dal legislatore, nell'ambito delle scelte discrezionali che gli competono, in occasione della riforma introdotta con il d.lgs. n. 74/ 2000, che sono state ampiamente delineate dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U., n. 27/2000; Cass. S.U., n. 1235/2010; Cass. S.U., n. 19 gennaio 2011) e dalla Corte Costituzionale (Corte cost. n. 49/2002)».

Dopo tale impostazione, la nuova normativa non sembra aver immediatamente convinto la Corte di legittimità tanto che secondo Cass. pen. III, n. 41755/2015 «....la penale irrilevanza delle condotte di «abuso del diritto» e di elusione fiscale presuppone che l'operazione, pur principalmente finalizzata al conseguimento di un vantaggio tributario, sia tuttavia caratterizzata da una effettiva e reale funzione economico sociale meritevole di tutela per l'ordinamento, tale non potendosi ritenere un'operazione che sia, viceversa, meramente simulata e costituente un mero simulacro privo di qualsivoglia effettivo contenuto. In quest'ultimo caso, infatti, ci si troverebbe di fronte, non tanto ad una ipotesi di abuso di un pur sussistente e valido negozio giuridico, quanto ad una vera e propria macchinazione priva di sostanza economica, il cui unico scopo, anche attraverso il sapiente utilizzo di strumenti negoziali fra loro collegati, sarebbe quello di raggiungere un indebito e penalmente rilevante vantaggio fiscale.» Sostanzialmente conforme Cass. pen. III, n. 41755/2016, con nota adesiva in Quotidiano giuridico 4 novembre 2016 che recita: «È, pertanto, evidente che in una tale situazione, esulando la fattispecie dalla ipotesi penalmente irrilevante dell'abuso del diritto — postulando quest'ultimo concetto, come dianzi rilevato, comunque l'utilizzo di strumenti, ancorché soggettivamente finalizzati ad effetti diversi da quelli tipici dei negozi realizzati, giuridicamente validi ed aventi una loro meritevole causa giuridica ulteriore rispetto alla mera elusione fiscale — non potrebbe considerarsi scriminata in forza di quanto disposto dalla l. n. 212 del 2000, art. 10-bis, citato comma 13, nel testo attualmente vigente la condotta di chi, al fine di conseguire un vantaggio fiscale, realizzasse esclusivamente negozi simulati o comunque affetti da altre nullità dal punto di vista civilistico». Secondo la sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 41755/2016), in linea di principio può definirsi elusiva e, pertanto, sulla base della disciplina sopravvenuta (art. 10-bis, l. n. 212/2000, introdotto dall'art. 1, d.lgs. n. 128/2015) penalmente irrilevante, solamente una operazione che, pur principalmente finalizzata al conseguimento di un vantaggio tributario, sia tuttavia caratterizzata da una effettiva e reale funzione economico sociale meritevole di tutela per l'ordinamento, tale non potendosi ritenere un'operazione che sia, viceversa, meramente simulata.”

Sebbene apparentemente più ampia, parimenti evidentemente restrittiva è la visione anche più recente di Cass. pen. III, n. 38016/2017: «In tema di violazioni finanziarie, l'istituto dell'abuso del diritto, di cui all'art. 10-bis della L. 27 luglio 2000, n. 212, che, per effetto della modifica introdotta dall'art. 1 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, esclude la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi.» che sembra ancorata ad una visione residuale della esenzione da responsabilità penali nel caso di dichiarazione infedele, mentre più ampia appare la portata della norma per Cass. pen. III, n. 48293/2016: «Non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele, in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, atteso che l'art. 10-bis, comma 13, della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), introdotto dall'art. 1 del d.lgs. n. 128 del 2015, esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti.».

Interessante rilevare come secondo la Cassazione alla fattispecie si applichi il favor rei (Cass. pen. III, n. 40272/2015: Il principio dell'irrilevanza penale delle operazioni abusive (finalizzate unicamente a conseguire un risparmio fiscale e senza elementi indicativi di simulazione, falsità o fraudolenza delle operazioni compiute), in quanto più favorevole per il reo, si applica anche alle operazioni poste in essere prima dell'entrata in vigore dell'art. 10-bis della l. n. 212/2000, pur quando risulti notificato dall'amministrazione finanziaria il relativo atto impositivo»).

Molto decisa nell'escludere la punibilità del reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte meramente elusive Cass. pen. III, n. 40272/2015: «Non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele, in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto l'art. 10-bis, comma 13, della legge 27 luglio 2000, n. 212, introdotto dall'art. 1 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti. (Fattispecie in cui l'esposizione in dichiarazione di elementi passivi nel reddito di impresa a seguito di un contratto di “stock lending” è stata ritenuta condotta non più penalmente rilevante in quanto unicamente elusiva e quindi rientrante nella previsione del suddetto “ius superveniens”).»

La recente Cass. V, n. 2224/2021, In tema di redditi d'impresa, ha addirittura affermato che l'art. 37-bis d.P.R. n. 600 del 1973, ora sostituito (appunto) dall'art. 10-bis, l. n. 212/2000, non contiene un'elencazione tassativa delle fattispecie abusive, ma costituisce una norma aperta, la quale trova applicazione, alla stregua del generale principio antielusivo rinvenibile nella Costituzione e nelle indicazioni della raccomandazione n. 2012/772/UE, in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, realizzate al fine di eludere l'imposizione, siano prive di sostanza commerciale ed economica, ma produttive di vantaggi fiscali.

In sostanza sempre più la giurisprudenza sembrerebbe orientata a costruire l’abuso del diritto come clausola ermeneutica generale del sistema tributario, anche se non mancano significative limitazioni sulla strada di questo orientamento: si veda ad esempio Cass. V, n. 10121/2020: “In ambito tributario, non assurge ad elusione fiscale, non integrando la fattispecie dell'abuso del diritto, bensì costituisce legittimo risparmio d'imposta quello che origina dalla scelta del contribuente, tra più operazioni volte ad assicurargli una finalità economica, di quella che gli garantisca il trattamento fiscalmente meno oneroso, purché questo non culmini in un risparmio d'imposta illecito. Non può, infatti, impingere in una norma generale di antielusione un comportamento attraverso il quale il soggetto passivo d'imposta abbia pianificato e ottimizzato la sua attività aziendale perseguendo un risparmio d'imposta unitamente ad un reale obiettivo economico. [Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che dagli elementi esposti dalla contribuente fosse dato evincere: a) che le operazioni contestate non hanno avuto il risultato di procurare un vantaggio fiscale contrario all'obiettivo perseguito dall'ordinamento; b) che dall'insieme di elementi oggettivi risulta che lo scopo delle operazioni controverse non era essenzialmente l'ottenimento di un vantaggio fiscale, ma il rifinanziamento della società cessionaria delle partecipazioni.]  o con riferimento a specifica fattispecie Cass. V, n. 26947/2020: “L'operazione con cui i genitori donano dei terreni ai figli i quali, a loro volta, a distanza di poco tempo li cedono a terzi non costituisce operazione elusiva in quanto trattasi di rapporti patrimoniali tra padri e figli e, pertanto, deve tenersi conto della libertà di pianificazione della successione da parte del genitore e del carattere genuino della donazione ai figli.”

Invece ancorata ad una più generale visione dell’abuso del diritto come clausola generale interpretativa si presenta Cass. V, n. 6053/2020: “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione.”

Molta dottrina, anche dopo la novella del 2015 con un dibattito che appare tuttora in corso ha concentrato la sua riflessione sui temi dell'abuso del diritto. Miscali (cit.) si è proposto di esaminare l'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 attraverso il prisma dell'interesse giuridico tutelato. La chiave di lettura della disposizione è stata rinvenuta nel comma secondo lettera a): «non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato». In particolare il concetto giuridico di «mercato» colora indelebilmente la lettera della norma. Viene così individuato l'interesse giuridico tutelato nell'art. 10-bis: garantire l'equo riparto del carico tributario nel mercato. Allo scopo di rendere concreta ed operativa la proposta ricostruttiva l'A. ha ricercato i criteri che possano consentire di risolvere le singole questioni applicative mediante l'utilizzo del modello interpretativo proposto. Così per accertare l'abuso è necessario esaminare il fine della condotta dell'agente (cioè l'interesse acquisitivo, modificativo, costitutivo ad un bene della vita), il fine tipico (cioè la finalità prevista dall'ordinamento in vista della quale è attribuito a quell'atto quel particolare effetto giuridico) ed il fine economico (cioè la finalità della operazione coerente con la normale logica di mercato). Nel legittimo risparmio di imposta il fine dell'agente, il fine tipico ed il fine economico coincidono; nell'abuso il fine dell'agente ed il fine tipico coincidono ma diverge il fine economico; nell'illecito il fine dell'agente ed il fine economico coincidono, ma diverge il fine tipico. Posto che nell'abuso il fine dell'agente ed il fine tipico coincidono ma diverge il fine economico è giustificata la particolare disciplina normativa dell'istituto (la motivazione rafforzata, l'obbligo del contraddittorio procedimentale, ecc.).

Si può conclusivamente affermare – prosegue l'Autore — che l'indagine avente ad oggetto l'individuazione dell'interesse tutelato nella norma antielusiva è utile nella concreta applicazione e interpretazione delle norme antiabuso, nell'esercizio della attività accertativa e della funzione giurisdizionale. Sulla base del dato normativo l'obbligo di motivazione dell'avviso di accertamento potrà dirsi correttamente adempiuto soltanto dopo che l'amministrazione finanziaria ha rappresentato di aver pienamente apprezzato tutti gli elementi che vanno a comporre l'operazione priva di sostanza economica e che dalla combinazione e dalla articolazione dei medesimi univocamente si possa ritenere che l'assetto degli interessi variamente scandito nell'operazione comporta un «vantaggio fiscale indebito» poiché contrastante con «le normali logiche di mercato». Posto che nell'abuso il fine dell'agente ed il fine tipico coincidono ma diverge il fine economico, il legislatore tributario ha previsto una particolare disciplina normativa (la motivazione rafforzata, l'obbligo del contraddittorio procedimentale, ecc.) conferendo alla amministrazione finanziaria un potere tipico di disconoscimento ai fini fiscali.

Molto critica verso l'applicazione complessivamente restrittiva della giurisprudenza pur dopo la novità legislativa è nel suo complesso la dottrina che ha parlato (Di Giacomo, cit.) di equivoco e confusione fra le categorie dell'abuso del diritto e della simulazione, benché la recente riforma fiscale del 2015 abbia definitivamente sancito la differenza tra i due istituti, sia sotto il profilo prettamente tributario che dal punto di vista penalistico. Addirittura di «mito duro a morire» ha parlato altra dottrina (Stevanato, cit.), contraddicendo la tesi che l'elusione tributaria sia un «abuso delle forme giuridiche».

«La pretesa di ancorare la tassazione alla «realtà economica», superando le «forme giuridiche» connesse al comportamento adottato dal contribuente, ritenuto anomalo e fiscalmente vantaggioso (per alcuni, anomalo in quanto fiscalmente vantaggioso), appare erronea e illusoria», questa la precisa critica mossa dal giurista.

Il nuovo art. 10-bis della l. n. 212/2000, sempre secondo l'A. (Stevanato, cit.) «appare in effetti, a caldo, una disposizione di difficile lettura, in cui convivono diverse anime, frutto di un'opera di mediazione, in cui sono riconoscibili l'esigenza di conformarsi alle indicazioni comunitarie e la volontà di prestare ossequio al nostro giudice di legittimità. L'elusione fiscale (o abuso del diritto che dir si voglia) viene ridefinita in termini ondivaghi e oscuri, in un articolato normativo complesso e denso di contraddizioni, che finirà verosimilmente per sollevare ulteriori problemi interpretativi oltre a quelli già sul tappeto.”

Anche secondo Giovannini (cit.) «.....la peculiarità dell'abuso nella nostra materia alberga nel risparmio (o vantaggio) d'imposta, il quale, per essere disconosciuto dall'amministrazione, deve essere qualificato alla stregua d'indebito.

Il vantaggio indebito, quindi, è condizione essenziale. Ma è anche nozione scivolosa perché bifronte.

Il motivo per cui è bifronte sta nel concetto stesso di abuso: non si ha abuso senza che il vantaggio sia indebito, ma, se si ha abuso, il vantaggio è per forza indebito, non può che essere indebito.»

Corasaniti (Dibattito, cit.) ha posto la sua attenzione sull'obbligo del contraddittorio preventivo ed il conseguente obbligo di «motivazione rafforzata» dell'avviso di accertamento, nonché il divieto di rilevabilità d'ufficio dell'abuso del diritto. La rilevata «utilità» del contraddittorio endoprocedimentale ai fini dell'accertamento della «giusta imposta» dovuta, renderebbe auspicabile, secondo l'A., che le garanzie procedimentali previste dal nuovo art. 10-bis non rimanessero circoscritte al solo settore dell'abuso del diritto, ma fossero estese, per ragioni di coerenza delle norme statutarie, ad altre forme di accertamento.

Per Russo (op. cit.) quel che si intende per «elusione» in senso non giuridico in ambito tributario viene combattuto sia con apposite norme antielusive sia mediante il ricorso all'istituto dell'abuso del diritto. Quest'ultimo è stato disciplinato dal nostro legislatore in un primo tempo con disposizioni ad ambito applicativo limitato, fino a quando non è intervenuta la giurisprudenza che ha affermato l'esistenza e l'operatività nel nostro ordinamento di un principio generale anti-abuso fondato su principi costituzionali. Da ultimo è intervenuto nuovamente il legislatore, che, nell'ambito della recente riforma tributaria, ha inserito nello statuto dei diritti del contribuente l'articolo 10-bis dedicato alla definizione dell'abuso del diritto applicabile in via generale, che peraltro non può ritenersi del tutto soddisfacente e condivisibile.

Dal punto di vista del civilista, sostiene Balestra, è senz'altro interessante vedere come questa categoria, così plastica e dalle frontiere tanto mobili (per riprendere una felice espressione di Francesco Galgano, impiegata per descrivere l'evoluzione che stava connotando la responsabilità civile essenzialmente in ragione della sempre maggiore latitudine attribuita al sintagma «danno ingiusto»,) sia utilizzata in un settore dell'ordinamento – il diritto tributario – in cui gli strumenti di reazione sono tanto diversi e gli interessi in gioco, per ragioni evidenti, tanto più complessi.

Il rilievo ormai da tempo acquisito dall'abuso del diritto quale tecnica di repressione di atti disapprovati al cospetto dell'ordinamento, per l'A. in conclusione, «non può, da un lato, condurre ad obliterare le criticità – che più sopra si è tentato di porre in luce – insite nella teorizzazione di una figura dai tratti generali; figura che si presta, verosimilmente, a svolgere miglior ruolo se la si intende alla stregua di una formula descrittiva, bisognosa di concretizzazione alla luce di parametri normativi rinvenibili in norme dal contenuto specifico ovvero compendianti clausole generali. Dall'altro, se è vero che “il diritto ama lottare contro gli abusi”, l'abuso del diritto non può generare l'illusione che attraverso di esso si riesca a sopprimere qualsivoglia forma di immoralità e di arbitrio nel contesto dei rapporti di diritto privato.» Un visione problematica e critica, dunque, ma che tiene conto della mobilità delle frontiere di ogni norma che postuli — nella regolazione dei fenomeni economici — la proibizione rigida di condotte che nel tempo finiscono per essere considerate lecite dalla generalità dei consociati e utilizzate correntemente per perseguire un vantaggio economico.

Il contributo di Capitani di Vimercate (cit.) tocca un tema di notevole rilievo, al momentro ancora non oggetto di attenzione della giurisprudenza di legittimità a causa della recente approvazione della norma regolatrice, quello della natura dell'avviso di accertamento antielusivo e sul suo inquadramento rispetto alla categoria degli accertamenti parziali e rispetto al principio di unicità dell'accertamento stabilito dall'art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973. La conclusione dell'Autore è che il 6° comma dell'art. 10-bis consenta e non imponga l'emanazione di un apposito avviso per la contestazione dell'elusione fiscale; tale atto deve quindi ricondursi alla categoria degli avvisi di accertamento parziale, e non reca deroghe rispetto all'art. 43, comma 3, nel senso che la notifica di un avviso di accertamento ex art. 10-bis, dopo la notifica di un precedente avviso «globale», sarà consentita soltanto in presenza di nuovi elementi.

In conclusione la materia dell'abuso del diritto e della sua regolazione normativa è una di quelle che caratterizzano il diritto tributario, rendendolo un diritto in cui realtà pratica, giurisprudenza e regolazione normativa si inseguono senza mai trovarsi ed è compito del lavorio della riflessione scientifica tentare in continuazione di ricucire gli strappi che nel tessuto della realtà pratica si evidenziano.

Bibliografia

Balestra, Rilevanza, utilità (e abuso) dell'abuso del diritto, in Riv. dir. civ. 2017, 3, 541; Corasaniti, Le garanzie procedimentali in tema di abuso del diritto: spunti di riflessione per un'estensione ad altre forme di accertamento, in Dir. e prat. trib. 2016, 5, 1838; Corasaniti, Il dibattito sull'abuso del diritto o elusione nell'ordinamento tributario, in Dir. e prat. trib. 2016, 2, 465; De' Capitani di Vimercate, Sulla natura dell'avviso di accertamento antielusivo ex art. 10 bis e il suo rapporto con il principio di unitarietà dell'accertamento, in Dir. e prat. trib. 2016, 5, 1870; Giovannini, L'abuso del diritto tributario, in Dir. e prat. trib. 2016, 3, 895; Miscali, Contributo allo studio dell'abuso del diritto tributario, in Dir. e prat. trib. 2017, 4, 1385; Russo, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Dir. e prat. trib. 2016, 1, 10001; Stevanato, Elusione fiscale e abuso delle forme giuridiche, in Dir. e prat. trib. 2015, 5, 10695; Tortorelli L'irrilevanza penale dell'abuso del diritto tributario (Id est elusione fiscale), in Dir. e prat. trib. 2017, 4, 1525.

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