Le Sezioni Unite penali e l’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 590-sexies c.p.

07 Marzo 2018

In tema di responsabilità colposa dell'esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, quale deve essere considerato l'ambito di esclusione della punibilità previsto dall'art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24?
Massima

Il principio di diritto espressamente enunciato dalle Sezioni Unite sin dall'informazione provvisoria pubblicata in attesa della motivazione è il seguente:

«L'esercente la professione sanitaria risponde a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:

a) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;

b) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia:

1) nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione dell'atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

2) nell'ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta delle linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l'obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;

c) se l'evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adatte al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell'atto medico».

Il caso

L'occasione per le Sezioni Unite penali di misurarsi con l'ermetico dettato dell'art. 590-sexies c.p. è stata offerta da un caso – privo, a dire il vero, di profili di particolare interesse – di lesioni personali colpose, deciso in prime cure dal Tribunale di Pistoia.

Al ricorrente, condannato in entrambi i gradi di giudizio, era stata contestata l'omessa diagnosi di una sindrome da compressione della “cauda equina”. Tale omissione, attuatasi in parte anche attraverso il prolungato rinvio della visita da parte del sanitario (il quale, in un'occasione, non si era nemmeno presentato all'appuntamento col paziente), aveva sortito l'effetto di differire nel tempo l'urgente intervento chirurgico necessario per fronteggiare la predetta sindrome. L'esecuzione tardiva dell'operazione aveva quindi cagionato un rilevante deficit sensitivo-motorio, «con implicazioni dirette sul controllo delle funzioni neurologiche concernenti l'apparato uro-genitale e di quelle motorie del piede destro» (p. 2).

È bene specificare come il Tribunale di Pistoia avesse a suo tempo escluso l'applicabilità dell'art. 3 del d.l. n. 158/2012 (decreto “Balduzzi”) in quanto «l'imputato non si era attenuto alle linee-guida o alle best practices che gli avrebbero imposto una diagnosi tempestiva e la sollecitazione di un intervento chirurgico non ulteriormente procrastinabile» (p. 4). Il caso di specie, dunque, posto che l'imputato non solo non aveva “rispettato” le linee guida ma che, anzi, le regole cautelari violate erano state individuate dal primo giudice proprio all'interno delle raccomandazioni cliniche di riferimento, appare nulla più che il casus belli che ha consentito alla Cassazione di ricomporre, in tempi record, il contrasto maturato in seno alla sua Quarta Sezione circa l'ambito di operatività del nuovo art. 590-sexies c.p. Come noto, infatti, qualsiasi ne sia l'interpretazione, l'ineffabile presupposto per l'applicazione della norma è che il sanitario abbia “rispettato” delle linee guida accreditate ed “adeguate” al caso concreto.

La questione

La questione sottoposta all'attenzione della Corte è stata anch'essa esplicitata dalla nota di informazione provvisoria: «quale sia, in tema di responsabilità colposa dell'esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l'ambito di esclusione della punibilità previsto dall'art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall'art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24».

Questa sintetica formula – rispetto alla quale, peraltro, va ravvisata un'incongruenza metodologica, poiché mentre essa richiede di delineare l'ambito di esclusione da responsabilità, il principio di diritto poi sviluppato dalle Sezioni Unite individua le aree del penalmente rilevante – nasconde, in realtà, un insieme infinito e variopinto di questioni incidentali, che le Sezioni Unite, ottemperando pienamente alla propria funzione nomofilattica, si sono trovate ad affrontare.

Naturalmente, il tema centrale attorno al quale si polarizza la riflessione è sostanzialmente quello del nuovo statuto penale della colpa medica come ridisegnato dall'art. 590-sexies c.p. ed, in particolare, una puntualizzazione del perimetro applicativo di tale norma. Da ciò dipende, come ovvio, anche l'esatta definizione dei profili di diritto intertemporale rispetto all'art. 3 del d.l. n. 158/2012 (decreto “Balduzzi”), oggi espressamente abrogato dall'art. 6, comma 2, della l. n. 24 del 2017.

Proprio su questi aspetti si era appuntato l'evidente contrasto insorto tra le due prime sentenze che si sono occupate della nuova disciplina introdotta dalla riforma “Gelli-Bianco”, ormai note col nome dei ricorrenti, “Tarabori” e “Cavazza”, e alle quali è necessario, prima dell'analisi dell'iter motivazionale della sentenza in commento, fare un rapido cenno (per una disamina più approfondita dei termini del contrasto, invece, sia consentito richiamarsi a quanto scritto pochi giorni prima dell'udienza a Sezioni Unite, cfr. G.M. CALETTI, Aspettando le Sezioni Unite penali sul riformato assetto della colpa in ambito sanitario, in Ridare, 20 dicembre 2017).

Con la prima sentenza (Cass. pen., sez. IV, sent., ud. 20 aprile 2017, mot. 7 giugno 2017 n. 28187), la Corte, pur esibendo un argomentare preciso e inappuntabile, era giunta ad un'interpretazione di fatto “sterilizzante” della nuova norma, stabilendo la (perdurante) applicabilità del decreto “Balduzzi” a tutti i casi precedenti all'entrata in vigore della nuova normativa, riconosciuta sempre come legge meno favorevole per il sanitario. A quest'esito si arrivava attraverso il rigetto, per via del contrasto con alcuni principi costituzionali (artt. 3, 27 e 32 quelli richiamati dalla sentenza), della interpretazione letterale della norma, che, eliminando ogni riferimento al grado della colpa, sembrerebbe invece imporre di esentare da responsabilità il sanitario anche in presenza di un'imperizia grossolana e macroscopica; in altre parole: grave.

La sentenza “Tarabori”, tuttavia, non prospettava un'interpretazione alternativa a quella letterale, finendo per “rifugiarsi” in una lettura della norma “secondo ovvietà” secondo cui il sanitario avveduto che rispetta le linee guida pubblicate sul sito del Ministero, quando queste si rivelino anche adeguate al caso specifico del paziente, non risponde penalmente. L'art. 590-sexies c.p., quindi, emergeva da questa prima valutazione come una disposizione tutto sommato “inapplicabile”, da considerare alla stregua di una mera “declinazione” dell'art. 43 c.p., cioè una istruzione di massima – verrebbe da dire una “linea guida” – su come accertare la colpa penale in ambito medico nei casi in cui vi siano linee guida riconosciute ai sensi dell'art. 5 della l. “Gelli-Bianco”.

Di tutt'altro tenore la motivazione della più recente sentenza “Cavazza” (Cass. pen., sez. IV, sent., ud. 19 ottobre 2017; mot. 31 ottobre 2017, n. 50078), fin dallo stile: l'approfondimento e l'argomentazione propri della “Tarabori” lasciavano il passo ad un incedere più asciutto e sintetico, ma, comunque, molto incisivo. La tesi sostenuta era, infatti, immediatamente percepibile dal lettore ed è stata riassunta dall'estensore in un vero e proprio principio di diritto, secondo il quale il nuovo art. 590-sexies c.p. «prevede una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita nell'applicazione delle stesse».

All'osservanza delle linee guida, pertanto, la sentenza “Cavazza” ricollegava una causa di esclusione della punibilità di tipo oggettivo, collocata al di fuori dell'area di operatività del principio di colpevolezza. A ciò si arrivava attraverso una massima valorizzazione dell'interpretazione letterale della nuova norma, che ha accantonato la graduazione della colpa proposta dalla riforma “Balduzzi”. Si tratta, nientemeno, di quell'impostazione che nella sentenza “Tarabori” veniva rifiutata in forza di una probabile divergenza sotto diversi profili (ragionevolezza, colpevolezza, tutela della salute) dalla carta costituzionale.

Pur nel profondo contrasto tra le due pronunce, non erano invece in discussione due punti, ovvero che la nuova “misteriosa” esenzione da responsabilità vada applicata, secondo l'esplicito dettato della legge, ai soli casi di imperizia e che, in forza dell'espressa “clausola” di adeguatezza prevista dall'art. 590-sexies c.p., gli errori nella scelta delle linee guida non siano riconducibili alla nuova disposizione (laddove, invece, il d.l. “Balduzzi” li esentava nelle ipotesi di colpa solo lieve).

In sostanza, le Sezioni Unite, all'udienza del 21 dicembre scorso, si sono trovate di fronte all'alternativa tra la ricerca di una interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 590-sexies c.p. – senza la possibilità, sia ben inteso, di riproporre quella del precedente “Tarabori”, troppo riduttiva del dato legale – e l'esame della legittimità costituzionale dell'interpretazione volta a non punire nemmeno i casi di imperizia grave.

Le soluzioni giuridiche

Attesa la delicatezza del compito assegnatole, la sentenza prende le mosse da alcune considerazioni inerenti la ratio delle recenti riforme che hanno interessato la responsabilità del sanitario, che viene individuata nell'edificazione di un limite alle responsabilità penali, spesso dilatate da un «panorama giurisprudenziale sempre più severo» (§2.1). Non si manca di segnalare come, nel caso della legge “Gelli-Bianco”, tale finalità si intersechi con un intento che pervade tutta la riforma: quello di garantire una maggiore sicurezza delle cure, che si manifesta negli altri articoli della legge, come gli 1, 3 e 5. In questa prospettiva, la sentenza mostra approvazione per l'istituzione di un osservatorio per le buone pratiche e per la creazione di un sistema di accreditamento formale delle linee guida (§2.3). Nonostante tali novità, che sembrano conferire alle linee guida «connotati pubblicistici», le Sezioni Unite si uniformano, con riguardo al loro statuto giuridico, a quanto già messo in luce dalla sezioni semplici e, nella specie, proprio dalla sentenza “Tarabori” (§3). Le linee guida presentano indubbi vantaggi (tra i quali, per la prima volta, viene annoverato anche quello di ridurre i costi clinici), ma è sempre bene avere chiaro che, per le note ragioni, «non si tratta di veri e propri precetti cautelari», così come va escluso che «il nuovo sistema introdotto, pur sembrando formalmente sollecitare alla esatta osservanza delle linee guida, anche al fine di ottenere il beneficio previsto in campo penale, possa ritenersi agganciato ad automatismi» (§3).

Chiariti questi profili, la motivazione passa ad analizzare con precisione l'orientamento dei due precedenti che hanno aperto il contrasto all'interno della Quarta Sezione (al §4 la “Tarabori” e al §4.2. la “Cavazza”) e dei quali si è dato brevemente conto nel paragrafo che precede. Entrambe le pronunce – ci tiene a precisare la Corte – esprimono «moltissime osservazioni condivisibili», ciò che manca è, invece, «una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire l'effettiva portata della norma in considerazione»(§5), che, visto anche il complesso percorso intrapreso dal legislatore negli ultimi anni, non può non ispirarsi all'evidente ratio deflattiva della norma. Nella prospettiva della ricerca di un'interpretazione costituzionalmente conforme – ricorda la Corte – è consentito anche «andare “oltre” la letteralità» della norma, a maggior ragione quando l'interpretazione proposta si rivela l'unica plausibile.

È proprio questa l'operazione che, a partire dal §6, si propongono di compiere le Sezioni Unite, non prima però di aver precisato – passaggio spesso sottovalutato in giurisprudenza, ma, in realtà di grande rilievo – che la valutazione di adeguatezza delle linee guida va compiuta ex ante, sulla base dei particolari conosciuti o conoscibili dal sanitario al momento dell'intervento (§6.1). Altrimenti, essa rischia di essere confusa con la fase attuativa delle linee guida, che costituisce il possibile campo di operatività della norma. Su questa distinzione, infatti, poche pagine dopo, la sentenza traccerà la propria linea interpretativa.

Un'altra precisazione necessaria, a giudizio delle Sezioni Unite, è quella relativa all'imperizia (§6.2). La Corte, pur sottolineando la grande «fluidità di confini» e il fatto che non per forza l'esistenza di linee guida comporta che la loro violazione dia luogo ad un'imperizia, inquadra il caso di specie nella forma della negligenza, per via della condotta «lassista» del sanitario che ha portato all'omessa diagnosi.

Nella proposizione della propria tesi, la sentenza parte da una critica delle due pronunce precedenti. Della “Tarabori” (§7.1) viene apprezzata la “pars destruens”, di critica all'impianto della nuova disposizione codicistica. L'«errore», invece, starebbe proprio nel non rinvenire alcuno spazio applicativo per la causa di non punibilità, addivenendo, nei fatti, ad una «interpretazione abrogatrice». Dal canto suo, la “Cavazza” (§7.2.) avrebbe il pregio di valorizzare il dato letterale della norma, ma cade nell'«errore opposto», ovvero di accordare all'esenzione uno spazio eccessivamente ampio, in grado di coprire persino condotte di colpa grave.

«La previsione di una causa di non punibilità è esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile»(§8.2). Essa appare alla Corte anche pienamente giustificabile sul piano della ragionevolezza (e della possibile «disparità di trattamento» che viene a configurare), posto che non solo essa ha la duplice finalità di contrastare la medicina difensiva e promuovere la sicurezza delle cure garantendo al sanitario un margine di maggiore serenità, ma è anche meno invasiva della soluzione del 2012, che aveva delimitato la colpa attraverso una parziale abolitio criminis.

Dal §9 la causa di non punibilità intravista nell'art. 590-sexies c.p. dalle Sezioni Unite incomincia a prendere forma. Si parte con un rifiuto dell'in culpa sine culpa, tesi maturata tra i primi commenti del decreto “Balduzzi”, secondo la quale non sarebbe possibile configurare una colpa nell'osservanza delle linee guida, e che la “Tarabori” aveva, in qualche misura, richiamato sottolineando l'incongruità logica della nuova norma. L'obiezione, invero, come specificato nella motivazione delle Sezioni Unite, aveva già trovato superamento nella nota sentenza “Cantore” (Cass. pen., sez. IV; sent. 29 gennaio 2013, n. 16237).

Rispetto alla situazione delineata da tale pronuncia, però, alla stregua della riforma del 2017, «l'errore non punibile non può riguardare la fase della selezione delle linee guida», ma solo quella «attuativa» (§9.1). La ratio di tale scelta del legislatore viene individuata nel «pretendere che l'esercente la professione sanitaria sia non solo accurato e prudente nel seguire la evoluzione del caso sottopostogli ma anche e soprattutto preparato sulle leges artis e impeccabile nelle diagnosi anche differenziali; aggiornato in relazione alle nuove acquisizioni scientifiche; capace di fare scelte ex ante adeguate e di personalizzarle anche in relazione alle evoluzioni del quadro che gli si presentino». Se, poi, tale percorso risulti correttamente seguito e, ciononostante, l'evento lesivo o mortale si sia verificato con prova della riconduzione causale al comportamento del sanitario, il residuo dell'atto medico che appaia connotato da errore colpevole per imperizia potrà, a certe condizioni, essere proprio l'ipotesi che chiama in campo la operatività della novella causa di non punibilità. Infatti in tale caso, a giudizio della sentenza, «può dirsi che si rimanga nel perimetro del “rispetto” delle linee guida, quando cioè lo scostamento da esse è marginale e di minima entità» (§9.1).

È attraverso questo ragionamento che torna in considerazione il grado della colpa (§9.2). Tale riviviscenza della “colpa grave” quale criterio di imputazione, sebbene “mascherato” dietro la nozione di causa di non punibilità, si giustifica, a giudizio delle Sezioni Unite, sulla base di molteplici e diversi argomenti: la tutela civilistica del paziente già apprestata dalla riforma, la continuità con il decreto “Balduzzi”, l'incentivo a pratiche di prevenzione degli incidenti ex art. 16 della legge, il timore di un ritorno ai fin troppo repressivi orientamenti giurisprudenziali del passato.

Non convincono la Corte le obiezioni che di solito vengono addotte contro questa soluzione: da un lato, l'argomento – a dire il vero, prevalentemente dottrinale – per cui sarebbe sufficiente una rigoroso accertamento dei requisiti della prevedibilità e dell'evitabilità per risolvere, nella direzione di una mancata responsabilità per colpa, i «casi liminari»; dall'altro, quello della disparità di trattamento, già prevenuto dalla sentenza quando ha ammesso la legittimità di un regime di non punibilità limitato ai medici, ricorrendo anche all'argomento della «mutevolezza ed unicità» di ogni caso clinico (§8.2).

Una simile impostazione non darebbe problemi nemmeno sul piano della tassatività, dal momento che il deficit di determinatezza è proprio dell'illecito colposo (e si materializza principalmente a monte nella valutazione sull'esigibilità della condotta) e che, comunque, il grado della colpa non è più da tempo materia sconosciuta all'ordinamento italiano, vista «la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni» proprio in tema di responsabilità medica (§10). Questo valore “sistematico” della graduazione porta a ritenere che «la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto» (§10).

I due paragrafi successivi sono così diretti a riepilogare le occasioni nelle quali il grado della colpa è stato già protagonista in senso deflativo: l'art. 2236 c.c., da ultimo rilanciato anche dalla “Tarabori” (§10.1) e l'art. 3 del d.l. “Balduzzi” (§10.2). La giurisprudenza maturata sotto la vigenza del decreto, peraltro, offre dei validi criteri per differenziare i gradi di colpa. Il richiamo è soprattutto alla sentenza “Cantore” (Cass. pen., sez. IV; sent. 29 gennaio 2013, n. 16237), che, in effetti, ad oggi rimane la pronuncia di legittimità che ha tematizzato in modo più completo l'argomento della colpa grave. Le Sezioni Unite hanno così precisato che la valutazione sulla gravità della colpa va effettuata «in concreto»: «nella demarcazione gravità/lievità rientra altresì la misurazione della colpa sia in senso oggettivo che soggettivo e dunque la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell'agente e del suo grado di specializzazione; la problematicità o equivocità della vicenda; la particolare difficoltà delle condizioni in cui il medico ha operato; la difficoltà obiettiva di cogliere e collegare le informazioni cliniche; il grado di atipicità e novità della situazione; la impellenza; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa» (§10.2).

Infine (§10.3), la motivazione esclude un'incongruenza tra la soluzione adottata e l'eliminazione del grado della colpa avvenuta nel corso dei lavori parlamentari. Dallo studio di essi, le Sezioni Unite non ravvisano un «ripudio tout court»; può invece ammettersi «che la colpa lieve è rimasta intrinseca alla formulazione del nuovo precetto».

Esaurito il proprio percorso ermeneutico, al §11, la sentenza riporta il già segnalato principio di diritto. Da esso, quindi, emerge come l'esenzione da responsabilità introdotta dall'art. 590-sexies in sostituzione di quella prevista dal decreto “Balduzzi”, sia valida esclusivamente nei casi in cui il sanitario, rispettando linee guida adeguate al caso concreto, versi in colpa lieve dovuta ad imperizia.

Di seguito vengono conseguentemente messi a fuoco i profili intertemporali. La normativa previgente risulta più favorevole, anzitutto, in tutte le ipotesi in cui la colpa si sia concretata in negligenza od imprudenza. Non solo: nell'ambito della colpa dovuta ad imperizia, anche in tutti i casi in cui l'errore sia avvenuto nel momento selettivo delle linee guida. Quanto alle ipotesi di imperizia lieve nell'esecuzione di linee guida adeguate esse vanno esentate da entrambe le normative, risultando «ininfluente lo strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto» (§12).

Concludono la motivazione (§13) le statuizioni relative al ricorso esaminato in esame dalla Corte, che viene dichiarato inammissibile.

Osservazioni

Questo il lungo iter motivazionale sviluppato della Corte, sembra il caso di formulare qualche breve osservazione “a prima lettura”.

A quasi un anno dall'entrata in vigore, è dunque finalmente dato conoscere il significato dell'enigmatica disposizione contenuta all'art. 590-sexies c.p. A tanto si è giunti anche grazie al contributo al dibattito della dottrina (un esplicito richiamo esplicito in tal senso è effettuato dalla stessa sentenza al §6). La sentenza in commento, infatti, si mostra in più passaggi in dialogo proficuo con la letteratura, giungendo persino ad aderire ad una soluzione interpretativa complessiva già proposta dalla dottrina (per una ricostruzione in termini molto simili a quella accolta dalle Sezioni Unite, G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. proc., 2017, 10, 1369 ss.).

Si tratta, probabilmente, della soluzione più ragionevole concessa dal dato legale, l'unica che garantisca alla norma un margine applicativo, per quanto oggettivamente ridotto, senza tuttavia incappare nei legittimi sospetti di costituzionalità che avvolgevano la ricostruzione della “Cavazza”. Sotto questo profilo, sembra giusto notare come la ricerca di un'interpretazione conforme a costituzione costituisse una strada quasi obbligata per le Sezioni Unite, specie in forza dell'evidente irrilevanza della nuova disciplina nel caso esaminato (nel quale, addirittura, si contestava una violazione delle linee guida).

Per quanto lo sforzo ermeneutico delle Sezioni Unite sia da apprezzare, specie nelle parti che contengono considerazioni di ordine sistematico e, in fondo, anche politico-criminale sul grado della colpa, non può non rilevarsi il deciso passo indietro nella prospettiva – peraltro perseguita dal legislatore – di un arretramento del diritto penale dalla medical malpractice. Di ciò si ritiene più che sintomatico l'assetto intertemporale definito dalla sentenza: il decreto “Balduzzi” costituisce ancora la legge più favorevole nella maggioranza dei casi. Non solo quelli connotati da negligenza ed imprudenza (secondo una distinzione “fluida” e ancor oggi inafferrabile), ma anche per tutte le ipotesi di errore nella scelta delle linee guida. In sostanza: di gran parte degli errori diagnostici.

Tutto ciò, per forza di cose, non può essere addebitato alla sentenza che si commenta, ma, a monte, ad un testo legislativo confuso, che ha condizionato l'applicazione della causa di non punibilità all'osservanza delle linee guida, strumento che, come noto, anziché semplificare l'accertamento penale della colpa, tende a complicarlo non poco. Le istanze di tassatività e prevedibilità del giudizio che si nascondono dietro le linee guida non potevano restare più deluse: la normativa incentrata su di esse è, infatti, rimasta a lungo incomprensibile ed ha portato, in tempi davvero inediti per brevità, ad un intervento delle Sezioni Unite che, inutile negarselo, assume connotati quasi “legislativi”.

Infine, pare doveroso segnalare alcune criticità proprie dell'assetto delineato dalla sentenza annotata che paiono centrali in relazione alle (già scarse) concrete possibilità applicative dell'art. 590-sexies c.p.

La linea distintiva tra errore nella scelta di una linea guida ed errore nell'eseguirla pare molto più sottile di come è stata sin qui tratteggiata non solo dalla sentenza delle Sezioni Unite ma anche dalla giurisprudenza precedente. Il tema meriterebbe ben altro spazio, ma che dire, ad esempio, di un sanitario che pone in essere i primi adempimenti di una linea guida che, almeno inizialmente, pare adeguata, e si rivela, strada facendo, inadatta alle esigenze del paziente (quantomeno con riguardo a certi suoi passaggi)? In casi del genere non sarà semplice stabilire se le conseguenze infauste sono derivate da un errore nell'adeguare la linea guida o, in radice, nella scelta della stessa. Solo che, mentre tale distinzione, non assumeva troppa importanza nel contesto della riforma “Balduzzi”, essa risulta oggi decisiva per la punibilità dell'errore.

Anche rispetto a questa, pur ottima, sentenza sembra il caso di ribadire alcune preoccupazioni sul tema dell'imperizia. Va specificato che la pronuncia in esame non vi dedica grandi energie, non rientrando nell'oggetto del contrasto tra le sentenze delle sezioni semplici il fatto che la disciplina della “Gelli-Bianco” si applichi soltanto all'imperizia. Tuttavia, sul punto anche le Sezioni Unite non sono immuni da critiche, specie nella parte in cui inquadrano il caso di specie in termini di negligenza. Questo ci riporta direttamente al cuore del problema: l'assenza di definizioni condivise apre uno scenario di grande discrezionalità in capo al giudicante, per cui ogni condotta del medico, volendo, può essere inquadrata sia in termini di imperizia (con la conseguente applicabilità della causa di non punibilità) sia in termini di negligenza o imprudenza (con la conseguente esclusione del regime più favorevole). Il perimetro applicativo già ristrettissimo rischia, anche per effetto di interpretazioni di questo tipo, di restringersi ulteriormente fino all'ineffettività, come già accaduto per il decreto “Balduzzi”.

Infine, la sentenza annotata pare molto “sbrigativa” sul tema dell'accreditamento delle linee guida. È vero che vi sono stati i primi decreti attuativi, e la Corte non ha mancato di sottolinearlo, ma essi hanno disciplinato l'elenco delle società scientifiche e delle associazioni professionali che possono redigere linee guida, nonché l'osservatorio per le buone pratiche. Di linee guida ministeriali accreditate, allo stato, quindi, non ve n'è ancora nemmeno una. Allo stato, dunque, in assenza di linee guida pubblicate sul sito del SNLG, un sanitario non può uniformarsi alle linee guida ed invocare l'art. 590-sexies c.p. (se non, forse, dimostrando di aver rispettato linee guida scientificamente valide e qualificandole come buone pratiche).

Si tratta di quesiti che, con tutta probabilità, dovrà affrontare la futura giurisprudenza di legittimità. Per il momento, a distanza di un anno dall'approvazione, almeno abbiamo una riforma della responsabilità sanitaria.

Guida all'approfondimento

G.M. CALETTI, Aspettando le Sezioni Unite penali sul riformato assetto della colpa in ambito sanitario, focus del 20 dicembre 2017 in Ridare;

G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, Una prima lettura della legge “Gelli-Bianco” nella prospettiva del diritto penale, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2017, n. 2, 83 ss.;

G.M. CALETTI, M.L. MATTHEUDAKIS, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. proc., 2017, 10, 1369 ss.;

M. CAPUTO, Promossa con riserva”. La legge Gelli-Bianco passa l'esame della Cassazione e viene “rimandata a settembre” per i decreti attuativi, in Riv. it. med. leg., 2017, 713 ss.;

C. CUPELLI, Lo statuto penale della colpa medica e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, in www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2017.

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