Omessa comunicazione, senza giustificato motivo, dei dati del conducente: la responsabilità del proprietario

Giovanni Gea
09 Marzo 2018

Il proprietario del veicolo nel caso di mancata identificazione del conducente al momento della contestata violazione per eccesso di velocità è ugualmente tenuto a fornire all'organo di polizia che procede i dati personali e della patente di guida del medesimo conducente anche laddove abbia già promosso giudizio di opposizione avverso il verbale di contestazione dell'art. 142 C.d.S.?
Massima

Nel caso di mancata identificazione del conducente il veicolo al momento della contestata violazione delle norme sulla circolazione che importano la decurtazione dei punti dalla patente, il proprietario dello stesso, ovvero altro obbligato in solido di cui all'art. 196 C.d.S., che, in assenza di giustificato e documentato motivo, non fornisce all'organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente di guida del medesimo conducente, pone in essere una condotta sanzionabile autonoma rispetto a quella contestata con il precedente verbale (verbale presupposto).

Il caso

Il proprietario di un veicolo proponeva, avanti il Giudice di Pace, opposizione al verbale di contestazione della violazione dell'art. 126-bis, comma 2, C.d.S., elevatogli dall'organo di polizia per avere omesso di comunicare le generalità del conducente il veicolo al momento della contestata violazione dell'eccesso di velocità che importava la decurtazione dei punti dalla patente, sull'assunto di non essere tenuto a detta comunicazione avendo impugnato il precedente verbale davanti al medesimo Giudice di Pace.

Il giudice adito, prima, ed il Tribunale quale giudice d'appello, poi, respingevano l'opposizione ritenendo che la contestazione dell'illecito di omessa comunicazione dei dati del conducente, ai sensi dell'art. 126-bis, comma 2, C.d.S., non fosse inibita dalla pendenza del giudizio di opposizione avverso il verbale di contestazione dell'eccesso di velocità.

Il proprietario del veicolo proponeva, quindi, ricorso per cassazione sulla base di tre motivi: a) violazione ed errata applicazione dell'art. 23 Cost. con riferimento all'interpretazione dell'art. 126-bis C.d.S. alla luce della circolare del Ministero dell'Interno n. 300/A/3971/11/109/16 del 29/4/2011, b) violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi, con riferimento all'interpretazione dell'art. 126-bis C.d.S. alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con sentenza Corte Cost. n. 27/2005, c) violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. 24 novembre 1981 n. 689, con riferimento all'esimente della buona fede in ragione dell'affidamento ingenerato dalle indicazioni della circolare ministeriale.

La questione

Il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido di cui all'art. 196 C.d.S., nel caso di mancata identificazione del conducente al momento della contestata violazione per eccesso di velocità che importa la decurtazione dei punti dalla patente, è ugualmente tenuto a fornire all'organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente di guida del medesimo conducente anche laddove abbia già promosso giudizio di opposizione avverso il verbale di contestazione dell'art. 142 C.d.S.?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, dichiara infondati i tre motivi di ricorso confermando le motivazioni del Tribunale nel respingere l'appello avverso la sentenza del Giudice di Pace.

In particolare, quanto al primo motivo di ricorso, la Corte ritiene che, come correttamente evidenziato dal Tribunale, la circolare del Ministero dell'Interno n. 300/A/3971/11/109/16 del 29 aprile 2011 non è atto normativo in grado di innovare la disciplina in materia, bensì atto amministrativo interno con il quale l'Autorità centrale esprime, attraverso una “interpretazione” della normativa in oggetto, un “parere” ai meri fini di coordinamento dell'operato degli uffici pubblici destinatari della circolare stessa privo, quindi, di valore vincolante e, a maggior ragione, inidoneo a fondare l'affidamento dell'utente della strada all'indicazione contenuta nella circolare stessa.

Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, la Corte evidenzia che, successivamente alla sentenza della Corte Cost. n. 27 del 24 gennaio 2005, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 126-bis, comma 2, C.d.S. nella parte in cui assoggettava il proprietario del veicolo alla decurtazione dei punti dalla patente quando ometteva di comunicare all'organo di polizia procedente le generalità del conducente che aveva commesso l'infrazione alle regole della circolazione stradale, l'originario quadro normativo di riferimento è mutato.

Infatti, l'attuale art. 126-bis, comma 2, C.d.S., riformulato ad opera dell'art. 2, comma 164, d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006 n. 286, non prevede più la decurtazione dei punti dalla patente del proprietario che omette di comunicare, senza giustificato e motivato motivo, all'organo di polizia procedente le generalità del conducente ma solo la «sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 272,00 a Euro 1,088,00».

Precisa, inoltre, la Corte che, con riferimento al testo di legge riformulato nel 2006, la giurisprudenza di legittimità è ormai orientata nel senso dell'autonomia delle due condotte sanzionabili - quella relativa all'infrazione presupposta e quella attinente all'omessa o ritardata comunicazione delle generalità del conducente - sulla base del rilievo della diversità dei beni tutelati dalle due previsioni sanzionatorie, la seconda delle quali - che qui interessa - è prevista a garanzia dell'interesse pubblicistico relativo alla tempestiva identificazione del responsabile, tutelabile di per sè e non in quanto collegato all'effettiva commissione di un precedente illecito (Cass. civ., sez. II, sentenza 10 novembre 2010, n. 22881; Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2010, n. 11811).

Pertanto, l'obbligo di comunicazione sancito dalla norma in esame è indipendente dagli esiti di una concorrente impugnativa attinente alla legittimità dell'accertamento dell'illecito presupposto, con la conseguenza che il termine per la comunicazione delle generalità del conducente decorre dal momento della richiesta dell'autorità (Cass. civ., sez. II, sentenza 23 luglio 2015, n. 15542; Cass. civ., sez. II, sentenza 16 luglio 2010, n. 16674; Cass. civ., sez. II, sentenza 8 agosto 2007, n. 17348).

La decorrenza del termine per la comunicazione dell'identità del conducente in un momento antecedente alla definizione della contestazione (o all'equivalente scadenza del termine per la proposizione del ricorso amministrativo o giurisdizionale) è strumentale alla corretta applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente - che deve avvenire sulla base della inequivocabile identificazione del conducente - che risulterebbe, invece, frustrata dalla dilatazione dei tempi di acquisizione dell'informazione, tenuto conto dell'obiettiva inesigibilità dell'informazione a distanza di parecchi mesi.

Inoltre, rileva la Corte che è ininfluente il richiamo del ricorrente alla sentenza della Corte Cost. n. 27/2005 sia perché, nell'occasione, la Consulta era stata chiamata a scrutinare l'art. 126-bis, comma 2, C.d.S. nel testo antecedente alle modifiche intervenute nel 2006 quando, cioè, la norma prevedeva l'automatica decurtazione, in caso di conducente non identificato, dei punti a carico del proprietario del veicolo, e sia perché la censura di prospettata illegittimità in riferimento all'art. 24 Cost. era stata rigettata in quanto basata su un'inesatta esegesi del dato normativo.

Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, la Corte evidenzia che non sussiste la denunciata violazione dell'art. 3 l. 689/1981 in quanto, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa, è necessaria e, al tempo stesso, sufficiente la coscienza e la volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché il Legislatore pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo ha commesso, riservando, poi, a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa.

Da ciò discende che l'esimente della buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla l. 689/1981 rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa - al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni - solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente escluso implicitamente, ma chiaramente, la buona fede nei termini allegati dall'autore dell'illecito - del legittimo affidamento alla indicazione contenuta nella circolare ministeriale - ritenendo la circolare atto interno all'amministrazione.

Osservazioni

La Corte di Cassazione, nel caso di specie, ribadisce, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 2 novembre 2007 n. 23031), come le circolari emanate dalla Pubblica Amministrazione, per la loro natura e per il loro contenuto di mera “interpretazione” di una norma di legge, non abbiano alcuna efficacia normativa esterna e, dunque, non possano essere annoverate fra gli atti generali di imposizione per cui non rileva che il Ministero dell'Interno con la circolare n. 300/A/3971/11/109/16 del 29 aprile 2011, poi confermata dalla circolare n. 300/A/7157/11/109/16 del 5 settembre 2011, abbia stabilito che la presentazione di un ricorso avverso un verbale per violazione non contestata nell'immediatezza del fatto costituisca un giustificato e documentato motivo di omissione dell'indicazione delle generalità del conducente.

Del resto, la natura della circolare di atto meramente interno, che esprime esclusivamente un “parere” dell'amministrazione, non solo non vincola la stessa autorità che l'ha emanata ma, neppure, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato disattenderla, senza che per questo il provvedimento concretamente adottato dall'ufficio possa essere ritenuto illegittimo per violazione della circolare in quanto la legittimità dell'atto adottato dall'ufficio dipenderà esclusivamente dalla sua conformità alla legge (Corte Cost., sent. 6 luglio 2007, n. 255).

Nondimeno, l'interpretazione amministrativa adottata dagli uffici pubblici nell'esercizio della loro attività, non ha efficacia generale vincolante né per il giudice e né per il cittadino anche se resa mediante circolari, le quali hanno valore di mere istruzioni interne.

Del resto, ammettere nelle circolari opinioni interpretative vincolanti equivale a riconoscere all'amministrazione un potere normativo in conflitto con la Carta Costituzionale che assegna tale potere al Parlamento il quale, solo, può vincolare i destinatari della norma con l'interpretazione autentica legislativa.

In ogni caso, il parere espresso dal Ministero dell'Interno con le predette circolari si basava sull'interpretazione data dalla Corte Costituzionale con la n. 27/2005 dell'art. 126-bis, comma 2, C.d.S. nella sola parte motiva in cui, incidenter tantum e, quindi, in forma non vincolante né per i giudici né per gli organi della pubblica amministrazione in quanto neppure richiamata nel dispositivo della sentenza, affermava una propria opinione secondo cui «In nessun caso, quindi, il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione».

In realtà, nell'occasione, l'affermazione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale era funzionale a respingere l'eccezione di incostituzionalità, per violazione dell'art. 24 Cost., della prevista automatica decurtazione dei punti dalla patente del proprietario in caso di omessa identificazione del conducente (eccezione, invece, accolta sotto il diverso profilo della violazione dell'art. 3 Cost.).

Tant'è che, nella medesima decisione, la Corte delle leggi puntualizzava che «L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 180 C.d.S., comma 8. In tal modo viene anche fugato il dubbio - che pure è stato avanzato da taluni dei rimettenti - in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente».

Inoltre, l'interpretazione dell'art. 126-bis, comma 2, C.d.S. contenuta nella parte motiva della sentenza, benché legittima, poiché la facoltà per la Corte Costituzionale d'interpretare le disposizioni sottoposte al suo giudizio è una facoltà esercitabile senza alcun limite, tuttavia, non ha efficacia vincolante trattandosi, nella specie, non di una sentenza interpretativa ma di una sentenza di accoglimento parziale che ha eliminato una parte dell'art. 126-bis sostituendola con un'altra al fine di rendere legittima la disposizione nel suo complesso.

Pertanto, quell'interpretazione doveva avere nei confronti dei giudici e degli organi amministrativi un valore puramente indicativo, anche se autorevolissimo.

Ed invero, nelle sentenze interpretative, il rinvio alla motivazione è contenuto nel dispositivo per delimitare gli effetti di quest'ultimo e, tale rinvio, viene compiuto mediante la locuzione - contenuta appunto nel dispositivo - «nel senso e nei limiti di cui in motivazione».

Nel dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale non si rinviene detta locuzione con la conseguenza che detta sentenza, qualificabile come sentenza di puro accoglimento, vale soltanto per ciò che dispone e non per l'interpretazione.

Alla luce di quanto precede, la Corte conferma il proprio consolidato orientamento secondo cui il termine assegnato al proprietario per comunicare all'organo di polizia che procede i dati relativi al conducente (art. 126-bis, comma 2, C.d.S.) non è sospeso in attesa della definizione del procedimento di opposizione avverso il verbale di accertamento dell'illecito presupposto e decorre, pertanto, non dalla definizione del procedimento di opposizione avverso il verbale di accertamento dell'illecito presupposto, ma dalla richiesta rivolta al proprietario dall'organo di polizia (Cass. civ., sez. II, sentenza 23 luglio 2015, n. 15542; Cass. civ., sez. II, sentenza 10 novembre 2010, n. 22881; Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2010, n. 11811; Cass. civ., sez. II, sentenza 16 luglio 2010, n. 16674; Cass. civ., sez. II, sentenza 8 agosto 2007, n. 17348).

Va, peraltro, aggiunto che neppure l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione presupposta comporta l'esclusione della sanzione prevista dall'art. 180, comma 8, C.d.S., attesa l'autonomia delle due infrazioni, la seconda delle quali attiene a un obbligo di collaborazione nell'accertamento degli illeciti stradali e dei loro autori che rileva in sé e non in quanto collegato alla effettiva commissione di un precedente illecito (Cass. civ., sez. II, sentenza 23 maggio 2005, n. 13488; Cass. civ., sez. I, sentenza 5 marzo 2002 n. 3123; Cass. civ., sez. I, 20 luglio 2001, n. 9924).

Quanto, infine, all'esimente della buona fede si precisa che l'art. 3, comma 2, l. 689/1981 i, che ricalca in parte l'art. 47 c.p., prevede che «nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa».

Nel caso di specie, tuttavia, è evidente che l'errore non sia “di fatto” bensì “di diritto” per ignoranza, non inevitabile, del precetto normativo (art. 126-bis, comma 2. C.d.S.) il quale prevede che «La comunicazione deve essere effettuata a carico del conducente quale responsabile della violazione; nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell'art. 196, deve fornire all'organo di polizia che procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione. Se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica, il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso termine, all'organo di polizia che procede. Il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell'art. 196, sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 272,00 a Euro 1,088,00».

In conclusione, va affermato, dunque, che, per pacifico e costante orientamento sia della Cassazione che della Consulta, non solo le circolari dell'Autorità amministrativa centrale non sono vincolanti né per se stessa, né per gli uffici gerarchicamente sottordinati, né per il giudice e né per il cittadino ma neppure la loro osservanza vale ad integrare l'esimente della buona fede, in ragione dell'affidamento ingenerato dalle indicazioni delle circolari medesime, quale causa di esclusione della responsabilità amministrativa e ciò, a maggior ragione, quando, come nel caso di specie, forniscono un'interpretazione della norma che si pone in contrasto con il dettato normativo e con la sua ratio.

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