L'impedito controllo non si perfeziona in presenza di condotte meramente omissive
13 Marzo 2018
Massima
Ai fini della configurabilità del reato di impedito controllo di cui all'art. 2625 c.c., non è sufficiente una condotta meramente omissiva da parte del soggetto agente ma è necessaria una condotta attiva tesa ad intralciare il controllo della regolarità della gestione da parte del socio. Il caso
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa dichiarava non luogo a procedere per l'insussistenza del fatto nei confronti di un consulente aziendale in ordine al delitto a lui ascritto ai sensi degli artt. 110, 117 c.p. e 2625 c.c. L'accusa era di avere determinato gli amministratori unici di alcune società per azioni a porre in essere una serie di condotte, consistite nel non consentire la valida costituzione delle assemblee delle stesse, così ostacolando l'attività di controllo dei relativi soci e da ciò era derivato, per la società, il danno rappresentato dalla formulazione di un'istanza di fallimento; secondo il giudice di merito, una condotta intesa ad impedire la valida costituzione delle assemblee, non rientrava nel novero di quelle punite dall'art. 2625 c.c., non avendo comportato né l'occultamento di documenti né la commissione di qualsivoglia artificio. Il giudice, poi, affermava che non potevano considerarsi condotte punibili ai sensi della norma contestata né la mancata convocazione dell'assemblea per discutere della nomina di un nuovo amministratore, perché condotta omissiva e non commissiva, né la presentazione dell'istanza di fallimento non avendo ciò impedito alcun controllo. Veniva proposto ricorso per cassazione dalle parti civili, che, a prescindere da censure inerenti i limiti propri del giudizio previsto dall'art. 425 c.p.p., sostenevano che la mancata convocazione dell'assemblea era la conseguenze di condotte tenute dall'imputato che ben potevano concretare quegli artifici previsti dall'art. 2625 c.c. Le questioni
L'art. 2625 c.c. dispone che “1. gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento della attività di controllo o di revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro. 2. Se la condotta ha cagionato un danno patrimoniale ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa. 3. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58”. La disposizione in parola è diretta, nel suo complesso, a tutelare l'interesse al regolare e libero svolgimento della funzione di controllo, interno (da parte dei soci e sindaci) ed esterno (limitatamente alle società di revisione), sull'attività delle società commerciali (CRISTIANI, Art. 2625. Impedito controllo, in ID., Commentario di diritto penale delle società e del credito, Torino, 2003, 95; PLANTAMURA, La responsabilità degli amministratori per l'impedimento delle attività di controllo nella riforma del diritto penale societario, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2002, 332. MUSCO, I nuovi reati societari, Milano 2002, 164; FOFFANI, Impedito controllo, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, Milano 2002, 385). Il delitto in commento è un reato proprio, i cui soggetti attivi sono indicati nei soli amministratori, nonché, ai sensi dell'art. 2639, comma 1, c.c., in quanti di fatto svolgano le corrispondenti funzioni pur senza possederne la qualifica formale. Ovviamente, è ben possibile configurare il concorso di terzi soggetti nella vicenda. La descrizione che della condotta delittuosa fa la disposizione in commento non si presenta certo particolarmente analitica ed articolata. Infatti, nonostante sia specificato che il risultato vietato deve avvenire mediante occultamento dei documenti o con l'utilizzo di altri idonei artifici, rimane comunque incerta la definizione dell'evento che ne deve conseguire, ovvero l'impedimento o l'ostacolo allo svolgimento della attività di controllo o di revisione legalmente attribuite. Di conseguenza, prima di analizzare le condotte richiamate dalla disposizione è il caso di soffermarsi sulla nozione di impedimento ed ostacolo dell'attività di controllo. Nella vigenza della precedente disciplina, che richiamava solo “l'impedimento del controllo della gestione sociale”, era opinione assolutamente prevalente che l'espressione normativa andasse intesa in senso non assoluto, non essendo necessaria quindi una preclusione durevole ed invincibile allo svolgimento dell'attività di verifica, potendo questa essere anche solo momentaneamente sviata o resa inefficace (DI AMATO, Diritto penale dell'impresa, Milano 1995, 124; ZANOTTI, Osservazioni e riserve sulla riconducibilità del falso contabile all'ipotesi di falsa comunicazione sociale, in Giur. Comm. 1989, I, 456. In giurisprudenza, Cass., sez. V, 21 giugno 1971, Leone, Cass. Pen. Mass. Ann. 1972, 1891).. Questa interpretazione deve ritenersi confermata dopo le innovazioni alla disciplina apportate con il decreto legislativo n. 61 del 2002, giacché nella nuova formulazione della norma compare infatti, accanto alla nozione di impedimento, anche l'espressione “ostacolare”, il che inequivocabilmente deve far concludere nel senso che ai fini penali rilevano anche condotte produttive di un semplice intralcio, non insuperabile e di fatto superato, allo svolgimento delle funzioni di controllo e revisione (Secondo F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell'economia, II, Torino 2004, 321, l'illecito può ritenersi insussistente solo in presenza di ostacoli facilmente superabili, tali da determinare un ritardo minimo delle attività di controllo, ovvero quando il comportamento ostruzionistico abbia ad oggetto conoscenza che il soggetto controllore può ottenere in altro modo). Anche sotto un altro profilo, sempre per quanto riguarda l'evento del reato, la nuova disposizione pare avere un ambito di applicazione senz'altro maggiore rispetto alla precedente disciplina. Nell'art. 2623 n. 3 c.c. abrogato compariva una specificazione dell'oggetto del controllo, il cui impedimento realizzava la violazione della norma: la vigilanza dei soci e dei sindaci doveva avere ad oggetto la gestione sociale. L'interpretazione di tale sintagma normativo non era mai approdata ad un risultato definitivo, ma il tema ha ormai perso di attualità, considerato il mancato richiamo della predetta espressione nella nuova disciplina, ed alcuni commentatori hanno paventato che l'assenza di qualunque specificazione in ordine all'oggetto del controllo possa determinare l'affacciarsi di soluzioni giurisprudenziali eccessivamente formalistiche (MUSCO, I nuovi reati,cit., 167; FOFFANI, Impedito controllo,cit., 167. Contra BERNASCONI, Art. 2625 c.c., in GIUNTA (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, Torino 2002, 72), anche se tale rischio è stato sventato dalla diversa costruzione della fattispecie di reato, la quale – a differenza dell'illecito amministrativo disciplinato al primo comma dell'art. 2625 c.c. – si perfeziona solo con il verificarsi di un danno in capo ai soci: tale evento lesivo difficilmente potrà sussistere se non a seguito di condotte di impedimento ed ostacolo che abbiano ad oggetto il controllo su vicende societarie effettivamente rilevanti e, prevalentemente, attinenti la gestione dell'impresa. Quanto alla condotta illecita, nella vigenza della precedente disposizione, il reato di cui all'art. 2623 n. 3 c.c. era sicuramente una fattispecie a forma libera, che poteva essere realizzata con l'adozione di un qualsivoglia comportamento, tanto omissivo che commissivo (Cass., sez. V, 31 marzo 1999, Conte, in Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 2000, 496, secondo cui l'espressione "impedire il controllo" non era rappresentativa di una azione tipica e determinata, ma di un concetto ampio, comprensivo di un comportamento commissivo o omissivo, diretto o indiretto, attraverso il quale viene leso l'interesse protetto), con l'unico limite rappresentato dal fatto che l'impedimento doveva conseguire ad una vera e propria attività di contrasto del controllo, non essendo sufficiente un semplice ostruzionismo ed occorrendo invece un'opera di interdizione della vigilanza. Giurisprudenza e dottrina erano venuti così enucleando, nella estrema tipologia e varietà di possibili modalità di realizzazione dell'illecito, alcune ipotesi tipiche, in cui era pacificamente indiscussa la sussistenza del reato. In primo luogo, veniva in rilievo la “frapposizione di ostacoli, per così dire, fisici all'esercizio della funzione di controllo” (NAPOLEONI, I reati societari. II. Infedeltà ed abusi di potere, Milano 1992, 485), come ad esempio l'impedimento materiale ai sindaci dell'accesso presso la sede della società, l'allontanamento dei medesimi, la prospettazione di minacce ai sindaci o ai soci onde evitare che costoro procedessero ai relativi controlli; per altre esemplificazioni: FOFFANI, Violazioni di obblighi,cit., 341; SAMORI', Violazioni di obblighi relativi all'amministrazione attiva ed alla liquidazione nelle società commerciali, in Trattato di diritto penale dell'impresa, diretto da D'AMATO, vol. II, I reati societari, a cura di MAZZACUVA, Padova 1992, 308. Va ricordato che secondo la giurisprudenza l'impedimento poteva essere realizzato anche con un'azione mediata, posta in essere nei confronti del singolo sindaco nei limiti in cui era idonea a paralizzare o anche soltanto ad ostacolare la verifica collegiale; l'affermazione mantiene piena validità anche dopo la riforma. Il fatto che la norma incriminatrice riferisca l'impedimento del controllo al collegio sindacale non esclude la configurabilità del reato nell'ipotesi di attività impeditiva posta in essere nei confronti del singolo sindaco, ciò anche in considerazione del fatto che se è vero che i sindaci operano collegialmente nei momenti deliberativi decisionali relativi alle funzioni loro attribuite dalla legge, operano invece (o comunque possono operare) singolarmente nell'ambito dello svolgimento degli atti di ispezione e di controllo. Il delitto è, pertanto, configurabile sia nell'impedimento posto in essere direttamente nei confronti del collegio sindacale, nella sua totalità, sia nell'azione impeditiva dell'attività del singolo soggetto che, in quanto preparatoria e strumentale rispetto a quella del collegio, è idonea, per contenuto se non per destinazione, ad incidere e, in definitiva, ad impedire il controllo collegiale della gestione sociale - Cass., sez. V, 31 marzo 1999, Conte, in Riv. Trim. Dir. Pen. Economia, 2000, 496). In secondo luogo, si ritenevano penalmente rilevanti le ipotesi in cui gli amministratori non prestassero adesione a legittime richieste avanzate dai soggetti titolari dei poteri di controllo: esemplificando, il reato sussisteva in caso di rifiuto di esibire libri e scritture contabili, di fornire informazioni, e finanche di convocare l'assemblea su richiesta dei sindaci o di porre determinati argomenti all'ordine del giorno (DOMENICHINI, Il collegio sindacale nelle società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da RESCIGNO, vol. XVI, Torino 1985, 568. Contra, NAPOLEONI, Infedeltà,cit., 486; TEDESCHI, Il collegio sindacale, in Il codice civile. Commentario, diretto da A. SCHLESINGER, Milano 1992, 229). Da ultimo, venivano considerate le attività di alterazione e manipolazione dei documenti, ivi compresa la condotta di occultamento e sottrazione degli stessi (Il profilo è stato oggetto soprattutto dell'attenzione della giurisprudenza: cfr. Cass., sez. III, 5 maggio 1961, Serra, in Giur. It. 1962, II, c. 317; Cass., sez. III, 5 aprile 1966, Cilenti, in Dir. Fall. 1967, II, 471.
La nuova norma non rimanda più ad una generica condotta di impedimento del controllo, ma attribuisce rilevanza a due modalità di azione, e cioè l'occultamento di documenti e l'utilizzo di altri idonei artifici. Tale formulazione lessicale, dunque, consente di ritenere integrato il delitto in presenza solo di alcune delle condotte che si ritenevano penalmente rilevanti prima della riforma. In particolare, risulta senz'altro violata la norma in caso di sottrazione di documenti alla disponibilità dei soci o dei sindaci nonché della società di revisione: in questo caso, infatti, è evidente che ci si trova di fronte ad una palese realizzazione della condotta secondo la modalità che il legislatore descrive mediante il ricorso alla formula linguistica “occultamento di documenti”. Va precisato che tale ipotesi delittuosa sussisterà non solo in caso di integrale distruzione delle scritture contabili (nel senso che, nonostante la norma parli solo di “occultamento”, anche la distruzione di documenti è penalmente rilevante, SEMINARA, L'impedito controllo (art. 2625), in AA.VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di GIARDA e SEMINARA, Padova 2002, 461), sì da renderle assolutamente irraggiungibili, ma anche nel caso in cui l'acquisizione delle stesse risulti più difficoltosa: è l'ipotesi, considerata in una risalente sentenza, dell'amministratore che sottrae al controllo i libri e le altre scritture contabili facendoli artatamente trasferire in una sede secondaria lontanissima dalla sede sociale. Il delitto sussisterà anche con riferimento a condotte di alterazione del contenuto delle scritture contabili, posto che tale comportamento integra senz'altro il ricorso ad un artificio idoneo ad impedire la corretta vigilanza sulle vicende societarie. La possibile sussistenza in tale ipotesi di altri illeciti - si pensi ad esempio alla violazione di norme penali tributarie o al disposto di cui all'art. 216, comma 1 n. 2, l. fall., in caso di dichiarazione di fallimento della società - non esclude comunque che le modalità comportamentali sopra descritte siano nel contempo idonee ad impedire ai soggetti titolari del potere di controllo di accertare, per il tramite della visione delle scritture contabili, gli effettivi accadimenti della vita societaria (critico verso il richiamo all'idoneità artificiosa come connotato qualificante della condotta, Impedito controllo, in AA.VV., I reati societari, a cura di LANZI –CADOPPI, Padova 2006, 103, secondo cui “appare arduo riconoscere un'autonoma funzione a tale attributo nelle ipotesi di reati di danno. Infatti, il giudizio di idoneità – da intendersi come attitudine a produrre risultati del tipo di quelli previsti dalla fattispecie – è frutto di un giudizio prognostico, ossia ex ante, che suscita perplessità laddove l'evento tipico si sia verificato in concreto”). Rimangono invece fuori del campo di applicazione della norma – paradossalmente, vien da dire – proprio quei comportamenti in cui è indiscutibile l'intento del soggetto agente di escludere ogni possibilità di vigilanza sulla attività della società. Il riferimento è alle condotte concretatesi nell'adozione di impedimenti fisici all'esercizio dell'attività di sorveglianza, come il divieto di accesso alla sede sociale, l'allontanamento dalla stessa, il rifiuto di consentire ai sindaci di partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione ecc.. In tali ipotesi, dunque, la reazione dell'ordinamento – salve le rare ipotesi in cui è ancora ipotizzabile il ricorso alla disciplina penale, come allorquando nei descritti comportamenti sia rinvenibile la violazione dell'art. 610 c.p. – sarà affidata ad istituti di natura prettamente civilistica, come la denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c. e l'esercizio dell'azione di responsabilità verso gli amministratori. Residuano poi una serie di comportamenti la cui qualificazione non può essere fornita in via generale. Si pensi, ad esempio, per richiamare circostanze già considerate nella vigenza della precedente disposizione, al rifiuto degli amministratori di rispondere alle domande poste dai soci nella assemblea, al rifiuto di rendere il conto della gestione laddove prescritto, al rifiuto di esibizione dei libri o delle scritture contabili, o infine all'ipotesi (non di alterazione e falsificazione, bensì) di cattiva ed irregolare tenuta della contabilità: in relazione a tali circostanze, la risposta non può essere fornita se non considerando volta a volta le circostanze della vicenda concreta in cui le suddette condotte sono inserite. Del delitto di cui al comma 2 della disposizione, si risponde senz'altro a titolo di dolo generico, nel cui oggetto deve includersi anche, sia pur a titolo di dolo eventuale, la rappresentazione e volizione di un danno ai soci. Con riferimento all'illecito amministrativo, i principi generali, come è noto, statuiscono l'indifferenza dell'atteggiamento soggettivo per la sussistenza della violazione: difficile però negare che la descrizione delle modalità comportamentali non faccia indirizzare l'interprete verso una figura di responsabilità esclusivamente dolosa. Come detto, l'art. 2625 c.c. prefigura due diverse tipologie di illecito, nel primo comma una contravvenzione amministrativa, nel secondo comma un delitto. La violazione amministrativa deve ritenersi consumata nel momento in cui si realizza l'evento dell'impedito controllo; non si tratta cioè di un illecito di mera condotta, e lo stesso non si perfeziona perciò nel momento in cui è posta in essere l'azione tipica, bensì nel momento e solo se effettivamente si verifica un impedimento all'esercizio dei poteri di controllo e revisione. Il delitto invece si consuma inequivocabilmente nel luogo e nel momento in cui uno dei soci della società risulti danneggiato a seguito della condotta delittuosa (Sulle difficoltà connesse all'accertamento del nesso causale fra la condotta di ostacolo ed il danno, VALLINI, Art. 2625. Impedito controllo, in Leg. Pen., 2003, 483). Osservazioni
La Cassazione ha rigettato i ricorsi per infondatezza. Secondo la S.C., infatti, non sarebbe possibile parlare di impedito controllo in presenza di sole condotte impeditive delle valide costituzioni delle assemblee, condotte che non solo appaiono meramente omissive - e la nozione di "artificio" comporta, invece (diversamente dal "raggiro" che può essere realizzato anche omettendo dati che si sarebbero dovuti comunicare alla controparte) una immutazione della realtà realizzata con una condotta attiva (tanto che si è escluso che una mera omissione possa configurare la condotta punita dall'art. 2625 c.c.: Cass., sez. VI, 27 settembre 2016, n. 47307) - ma sono state anche compiute nella più assoluta trasparenza societaria, utilizzando specifiche facoltà previste per i soci che possono non presenziare alle assemblee senza che ciò, di per sé, possa quindi costituire un artificio, e cioè un espediente per raggiungere un qualunque diverso risultato, nel caso di specie impedire il controllo dei soci di minoranza. Conclusioni
La decisione della Cassazione è senz'altro condivisibile. Intanto, la lettera della legge ci pare inequivoca nel richiedere un comportamento attivo da parte del responsabile dell'illecito perché il reato di impedito controllo possa ritenersi integrato. Alla luce di tale considerazione è inevitabile concludere che la mancata convocazione dell'assemblea societaria - e più ancora ed a maggior ragione la semplice mancata partecipazione alla stessa, sì da determinare la mancanza del numero legale - non può in alcun modo integrare il reato di impedito controllo (in questo senso, AMATI, I poteri di controllo dei soci e la responsabilità penale degli amministratori ex art. 2625 cod. civ., in Giur. Comm., 2017, 2, 358). Accanto tale circostanza, tuttavia, va considerato come la condotta, meramente omissive la si ribadisce, tenuta dagli imputati è stata assolutamente palese e quindi non ha presentato quel profilo di artificiosità richiesto dalla norma per l'integrazione del delitto in parola. Deve essere ricordato, infatti, che il legislatore nell'attribuire irrilevanza penale a condotte diverse dall'occultamento dei documenti, espressamente richiama che tali condotte si presentino artificiose, ovvero decettive ed ingannatorie nei confronti di terzi: chiaramente la deliberata assenza all'assemblea con la mancata convocazione della stessa non integra tali ipotesi
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