La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nell’azione promossa dal curatore
15 Marzo 2018
Massime
La sussistenza di vantaggi compensativi, che escludano la responsabilità dell'amministratore, deve essere provata allegando e provando i benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, nonché la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta. I versamenti effettuati dai soci a favore della società, destinati ad incrementare il patrimonio netto della stessa, possono essere restituiti solo a seguito dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione.
Il difetto di delega, ai sensi dell'art. 2392 c.c. (ante riforma ex D.Lgs. n. 6/2003) non esclude il dovere dell'amministratore di vigilare sul generale andamento della società, salvo la prova che non abbia potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa della condotta ostativa degli altri componenti del consiglio.
La responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza ex art. 2407 c.c., si configura laddove gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano reagito a fronte di atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c.
Il caso
La controversia ha ad oggetto un'azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento di una Società nei confronti degli amministratori e dei sindaci della Società stessa, per sentirli dichiarare responsabili del dissesto della Società, per aver violato gli obblighi inerenti alle relative cariche, con la conseguente condanna al risarcimento dei danni. Il curatore, in particolare, ha affermato, in primo luogo, che i convenuti avevano assecondato consapevolmente l'attività antieconomica della Società, consentendo anche che le scelte aziendali fossero condizionate da un soggetto estraneo al consiglio di amministrazione, in seguito qualificato come amministratore di fatto; in secondo luogo, che avevano violato i principi di veridicità, trasparenza e prudenza nella formazione dei bilanci, avendo omesso di procedere al recupero crediti nei confronti dei terzi, con conseguente aggravio delle perdite sociali; in terzo luogo che avevano consentito ai soci di contribuire ad aumenti di capitale attraverso la compensazione con propri crediti e, infine, che avevano ceduto a prezzo eccessivamente basso dei crediti vantati dalla società Gli amministratori e i sindaci, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto delle domande attoree. Avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che accolse in parte le domande attoree, proponevano impugnazione sia il curatore fallimentare, sia i convenuti del giudizio di primo grado; la Corte d'Appello, successivamente, rigettò tutte le impugnazioni proposte. La sentenza della Corte d'Appello è quindi oggetto di ricorso in Cassazione, ex art. 360 c.p.c., per diversi motivi di carattere procedurale e di merito, con riferimento alla responsabilità sia degli amministratori, sia dei sindaci. La sentenza della Corte d'Appello, inoltre, è oggetto di ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 e 5, ricorso che la Corte d'Appello rigetta; tale ultima sentenza viene a sua volta impugnata avanti alla Cassazione per due motivi da parte di uno degli amministratori, alcuni degli amministratori e dei sindaci propongono a loro volta ricorso incidentale adesivo; il curatore fallimentare, invece, resiste con controricorso. Le questioni e le soluzioni giuridiche
La sentenza della Corte di legittimità qui in esame si occupa preliminarmente del ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello che aveva rigettato il ricorso per revocazione per errore di fatto, ex art. 395, n. 4, c.p.c.: a tal proposito, innanzitutto, i giudici sottolineano che l'errore di fatto idoneo a legittimare la proposizione di tale mezzo d'impugnazione deve essere non solo la conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti, ma deve avere anche carattere decisivo, cioè costituire il motivo essenziale e determinante della decisione, circostanza quest'ultima non ravvisata nel ricorso in esame. Analogamente, la Corte rigetta il ricorso per revocazione ex art. 395, n. 5 c.p.c., sottolineando che la revocazione non può essere disposta per contrasto con un precedente giudicato interno, come sostenevano i ricorrenti, ma esclusivamente per contrasto con un previo giudicato esterno: il rimedio contro la violazione del giudicato interno, infatti, è costituito dal ricorso per cassazione, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
Con riferimento al ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d'Appello, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., la Corte, innanzitutto, affronta i motivi di impugnazione attinenti a questioni procedurali, e, in primo luogo, quello con cui i ricorrenti lamentavano che la sentenza si era pronunciata su domande nuove sia con riferimento alla causa petendi, sia con riferimento al petitum. I giudici di legittimità, tuttavia, rigettano il motivo di ricorso, sottolineando che può essere considerata una domanda nuova solo quella che abbia ad oggetto una pretesa oggettivamente diversa da quella originaria, mediante la deduzione di un petitum diverso e più ampio, oppure di una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate precedentemente. Con riferimento alle domande di responsabilità contrattuale, come quella degli amministratori e dei sindaci, in particolare, l'originale allegazione dell'inadempimento della controparte può essere precisata nel corso del giudizio, purché sia lasciato immutato il titolo della pretesa avanzata, non incidendo sull'individuazione del fatto costitutivo della domanda. La Corte rigetta anche il ricorso con cui i ricorrenti lamentavano che la sentenza d'Appello si fosse pronunciata su questioni su cui si era già formato il giudicato interno, precisando che il giudicato interno si configura solo se non siano impugnati dei capi completamente autonomi, che integrino una decisione del tutto indipendente e non quando si tratti di mere argomentazioni o della valutazione di presupposti necessari di fatto che concorrano a formare un unico capo di decisione.
Con riferimento al merito della controversia e, cioè, ai profili di responsabilità degli amministratori e dei sindaci della Società, la Corte sottolinea che il giudice d'Appello ha correttamente considerato quale condotta violativa degli obblighi degli amministratori l'omissione del controllo della regolarità dei bilanci, da cui è conseguita la mancata certificazione dei bilanci stessi. I giudici di legittimità, in seguito, affrontano il tema dei vantaggi compensativi, che si sarebbero configurati, secondo i ricorrenti, con riferimento al mancato recupero di alcuni crediti della società vantati nei confronti di altra società del gruppo e che avrebbero consentito di escludere la responsabilità degli amministratori della società. La Corte di Cassazione, tuttavia, esclude che nel caso di specie potesse escludersi un danno per la Società e, quindi, la responsabilità degli amministratori, poiché a fronte del danno subito dalla Società (mancato recupero di un credito) non poteva ritenersi configurato alcun vantaggio compensativo. Infatti, conformemente alla giurisprudenza che si è pronunciata su queste problematiche, al fine di escludere la responsabilità degli amministratori, non è sufficiente l'astratta prospettazione della sussistenza dei predetti vantaggi, avendo il convenuto l'onere di allegare e provare i benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, nonché la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta. Nel caso di specie, tuttavia, i ricorrenti non avevano adempiuto al predetto onere probatorio. La Corte conferma il capo della decisione d'Appello che aveva ritenuto gli amministratori responsabili per aver restituito delle somme versate dai soci a favore della Società: i ricorrenti, infatti, non avevano dimostrato la specifica causa dei versamenti effettuati, che dovevano, pertanto, ritenersi destinati ad incrementare il patrimonio netto della Società, senza che insorgesse un credito immediatamente esigibile a favore del socio, ma potendo, al contrario essere restituiti solo a seguito dello scioglimento della Società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione. Non comporta, del resto, l'esclusione della responsabilità degli amministratori nemmeno la circostanza che le restituzioni delle predette somme ai soci sia stata disposta esclusivamente dall'amministratore delegato, poiché ai sensi dell'art. 2392 c.c. (nella formulazione ante riforma di cui al D.Lgs n. 6/2003), il difetto di delega non esclude il dovere dell'amministratore di vigilare sul generale andamento della società, salvo la prova che non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa della condotta ostativa degli altri componenti del consiglio. La Corte, infine, per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori, rigetta il motivo di ricorso secondo il quale il giudice d'Appello avrebbe valutato ex post nel merito le scelte gestorie, violando la c.d. business judgement rule, che non consente al giudice di valutare nel merito l'attività degli amministratori, potendo esclusivamente vagliarne la correttezza da un punto di vista procedurale. La sentenza, infatti, ha accertato la responsabilità degli amministratori rilevando esclusivamente la violazione di obblighi di corretta gestione come, ad esempio, l'obbligo di controllare la regolarità dei bilanci della Società poi fallita, ovvero l'obbligo di recuperare i crediti della Società o ancora, infine, l'obbligo di non restituire i versamenti fatti dai soci volti ad incrementare il patrimonio netto della Società, senza mai sindacare nel merito le scelte gestorie.
Per quanto riguarda la responsabilità dei sindaci, da ultimo, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi proposti, confermando in capo a questi ultimi la responsabilità per aver violato il dovere di vigilanza, di cui all'art. 2407 c.c., non essendo necessario individuare specifici comportamenti espressamente in contrasto con il predetto dovere, essendo, al contrario sufficiente che i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano reagito a fronte di atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. Nel caso di specie, in particolare, il collegio sindacale, rimasto in carica per tutto il periodo di attività della Società, pur potendo rendersi conto sia della strutturale debolezza imprenditoriale della stessa, sia dell'aumento delle passività e delle irregolarità dei bilanci, ha omesso di segnalare le predette irregolarità, sollecitando, invece, l'approvazione dei bilanci, sulla base delle assicurazioni fornite dagli amministratori in ordine al futuro ripianamento delle perdite. Conclusioni
La pronuncia in esame è di notevole interesse poiché affronta molti aspetti in relazione all'azione di responsabilità esercitata nei confronti degli amministratori e dei sindaci, occupandosi sia di problematiche processuali, che di diritto sostanziale. Con riferimento alle prime, La Corte specifica quando possa ritenersi sussistente una domanda nuova e quando si formi giudicato interno su un capo della sentenza impugnata: in entrambi i casi è escluso la possibilità che formino oggetto di accertamento da parte del giudice dell'impugnazione. Per quanto riguarda, poi, gli aspetti sostanziali, la Corte si occupa di alcune delle tematiche principali in materia di responsabilità di amministratori e sindaci, concentrandosi sui relativi oneri probatori in capo agli stessi per escludere la predetta responsabilità, con riferimento, in particolare, della c.d. teoria dei vantaggi compensativi, nonché in relazione alla questione della restituzione ai soci dei versamenti effettuati a favore della società, nonché delineando chiaramente quando può ritenersi sussistente la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza. La Corte, infine, si occupa anche del tradizionale e ormai granitico principio della c.d. business judgement rule, principio che non sarebbe violato nel caso in cui l'autorità giudiziaria si occupi di violazioni di obblighi imposti dalla legge agli amministratori e ai sindaci, senza sindacare nel merito le rispettive scelte attuate durante la vita della società.
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