Codice Penale art. 240 bis - Confisca in casi particolari 1 .Confisca in casi particolari 1. [I]. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, 316,316-bis, 316-ter, 317, 318, 319,319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325,416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 453, 454, 455,460, 461, 517-ter , 517-quater, 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies2, nonché dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-sexies, 452-octies, primo comma, 452-quaterdecies, 493-ter, 512-bis, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 603-bis, 629, 640, secondo comma, n. 1, con l'esclusione dell'ipotesi in cui il fatto e' commesso col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, 640-bis,3644, 648, esclusa la fattispecie di cui al quarto comma, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, dall'articolo 2635 del codice civile, o per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca ai sensi delle disposizioni che precedono è ordinata in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i reati di cui agli articoli 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies quando le condotte ivi descritte riguardano tre o più sistemi4. [II]. Nei casi previsti dal primo comma, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona. [1] Articolo inserito dall'art. 6, comma 1, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. [2] Le parole «, 517-quater, 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies » sono state sostituite alle parole « e 517-quater » dall'art. 1, lett. a), l. 9 marzo 2022, n. 22. Ai sensi dell'art. 7 l. n. 22, cit. «La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale» (23 marzo 2022). [3] Le parole «640, secondo comma, n. 1, con l'esclusione dell'ipotesi in cui il fatto è commesso col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, 640-bis,» sono state inserite dopo le parole «629,» dall'art. 28-bis, comma 1, lett. a), d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, conv., con modif., in l. 28 marzo 2022, n. 25, in sede di conversione. Precedentemente la medesima modifica era stata disposta dall'art. 2, comma 1, lett. a) d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, abrogato dall'art. 1, comma 2, l. n. 25/2022, cit. Ai sensi del medesimo comma 2, restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo d.l. n.13/2022, cit. [4] Le parole: «648, esclusa la fattispecie di cui al quarto comma» sono state sostituite alle parole: «648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma» dall'art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. Successivamente le parole «dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-sexies, 452-octies, primo comma, 452-quaterdecies» sono state sostituite alle parole «dagli articoli 452-quater, 452-octies, primo comma» dall'art. 6-ter, comma 3, lett. a) d.l. 10 agosto 2023, n. 105, conv., con modif. in l. 9 ottobre 2023, n. 137, in sede di conversione. InquadramentoCon il d.lgs. 1° marzo 2018 n. 21, in vigore dal 6 aprile 2018, si è data attuazione alla riserva di codice nella materia penale, con l'introduzione nel codice penale di varie norme che ripetono i loro contenuti da altre, già presenti in leggi speciali, che sono state a loro volta in tutto o in parte abrogate. L'attività delegata aveva lo scopo di riordinare la materia penalistica, onde razionalizzare e rendere maggiormente conoscibile e comprensibile la normativa penale e di porre un freno alla eccessiva, caotica e non sempre facilmente intellegibile produzione legislativa di settore (v. Relazione allo schema di decreto legislativo n. 21/2018). In tale contesto si iscrive l'ennesimo intervento sull'art. 12 - sexies d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992 (ipotesi particolari di confisca), che era già stato rimaneggiato dall'art. 31 l. n. 161/2017, e del quale ormai – dopo l'opera demolitoria dell'art. 7 d.lgs. n. 21/2018 (che ha abrogato i commi 1, 4 – quinquies, 4 – sexies, 4 – septies , 4 – octies e 4- novies), rimangono in vita solo i commi 4 - ter e 4 – quater, in tema di costituzione di speciali fondi per l'attuazione delle misure di protezione a favore dei collaboratori di giustizia e delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata (per quanto riguarda i commi 2, 2-bis, 2-quater, 3 e 4 erano già stati abrogati da un precedente intervento legislativo). È stato in particolare abrogato il primo comma dell'art. 12 – sexies , che disciplinava la c.d. confisca allargata o per sproporzione, ed il cui contenuto, senza rilevanti modifiche, è stato trasfuso nell'art. 240 – bis comma 1, qui in commento. L'istituto è rimasto sostanzialmente lo stesso, salvo l'ampliamento dell'elenco dei delitti presupposto, più un'importante novità: per espressa disposizione di legge non è consentito all'imputato di giustificare la legittima provenienza del bene confiscabile con il provento dell'evasione fiscale (giustificazione che era invece ammessa dalla prevalente giurisprudenza: v. Cass. II, n. 49498/14; Cass. VI, n. 21265/2012), a meno che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante l'adempimento nelle forme di legge (ad es. condono tributario). Con la recente novella n. 22 del 9 marzo 2022 il legislatore è intervenuto nuovamente sull’articolo 240-bis, ampliando il catalogo dei delitti in relazione ai quali è consentita la c.d. confisca allargata, come si preciserà infra (v. sub 5). Profili di costituzionalitàLa genesi dell'istituto è particolarmente articolata: una prima versione compare nell'art. 12-quinquies, comma 2, d.l. n. 306/1992, aggiunto dalla legge di conversione del 7 agosto 1992, n. 356. Si trattava di una autonoma previsione incriminatrice correlata alla mera condizione di soggetto «indagato» della commissione di un particolare delitto-sorgente (area della appartenenza o contiguità mafiosa, ma non solo) o semplicemente «proposto» per l'applicazione di una misura di prevenzione personale, e non in grado di giustificare la constatata sproporzione tra i beni posseduti (anche per interposta persona) e il proprio reddito dichiarato o la attività economica svolta. Vi era previsione specifica di confiscabilità (e dunque sequestrabilità) dei beni in questione, nel corso del procedimento penale (Cass. I, n. 26527/2014). L'istituto presentava evidenti profili di incostituzionalità, nella misura in cui ancorava la responsabilità alla mera qualifica di « soggetto indagato », introducendo un inaccettabile meccanismo di inversione dell'onere della prova: in dottrina si è parlato in proposito di delitto di sospetto, modellato sulla falsariga dell'abrogato art. 708 (Romano-Grasso-Padovani, 634). Con sentenza n. 48/1994, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità della norma per contrasto con l'art. 27, comma 2, Cost., cosicché il legislatore ha introdotto, con il d.l. 20 giugno 1994, n. 399, l'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, nella sua conformazione di base (fermi restando i successivi, numerosi adattamenti) di confisca/misura di sicurezza, basata non più sulla mera qualifica di indagato per uno dei delitti-sorgente (nella formulazione originaria erano dodici fattispecie) ma di soggetto condannato e non in grado di giustificare, nel corso del procedimento penale a suo carico, la provenienza dei beni rinvenuti nella sua disponibilità, quando vi sia evidente sproporzione con il reddito dichiarato (Cass. I, n. 26527/2014). La norma ha passato indenne il vaglio della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 18/1996) che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, 27, comma 2, 42 e 97 Cost., nella parte in cui, prevedendo il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca in danno delle persone sottoposte a procedimento penale per i reati in essa indicati, svincolerebbe la misura cautelare tanto dall'accertamento del reato presupposto, tanto dalla « immediata correlazione » tra beni e reato, costituente l'ordinaria condizione di legittimità del sequestro. Recentemente la Corte è tornata ad occuparsi della norma (Corte cost. n. 33/2018), denunciata per irragionevolezza nella parte in cui includeva il delitto di ricettazione (fatta eccezione per il caso di particolare tenuità) tra quelli per i quali, nel caso di condanna o pronuncia ad essa equiparata (art. 444 c.p.p.), è sempre disposta la confisca. Secondo il giudice a quo era irragionevole la presunzione legale di provenienza illecita del patrimonio del condannato in relazione ad un reato, come quello di ricettazione, che nell'esperienza giudiziaria non è normalmente commesso in forma quasi professionale, e non costituisce fonte ordinaria di illecito accumulo di ricchezza. La Corte si è pronunciata a due anni di distanza dalla proposizione dell'incidente di costituzionalità, e nel frattempo la norma – come s'è detto - è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, compresa l'abrogazione del comma primo, il cui contenuto è stato trasfuso nell'attuale art. 240 bis. Tali interventi tuttavia non solo non hanno espunto il reato di ricettazione dal catalogo dei reati presupposto, ma hanno addirittura potenziato e ampliato il campo di operatività della c.d. confisca allargata. Ciò è avvenuto anche inserendo nell'elenco alcune figure criminose, come ad es. l'ampia platea dei delitti contro la p.a., che spesso non hanno alcuna diretta attinenza con la criminalità organizzata, o che non denotano una necessaria professionalità nel reato dell'autore del singolo fatto. Va peraltro rimarcato — ha sottolineato la Corte, confermando la legittimità costituzionale dell’istituto — che la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato insorge non per l’effetto della mera condanna, ma solo ove si appuri ,con onere probatorio a carico della pubblica accusa, la sproporzione tra detti beni ed il reddito dichiarato o le attività economiche del condannato stesso: sproporzione che non consiste in una semplice discrepanza tra guadagni e possidenze, ma in uno squilibrio incongruo e significativo, da verificare al momento dell'acquisizione dei singoli beni. Trattasi inoltre di presunzione relativa, poiché il condannato può confutarla fornendo giustificazione della provenienza dei propri cespiti, giustificazione che non si sostanzia in una inversione dell'onere della prova, ma nel semplice onere di allegazione di elementi che rendano credibile la provenienza lecita dei beni. La confisca c.d. allargata o per sproporzione. GeneralitàNell'ambito delle confische speciali per i reati di criminalità organizzata o che comunque destano particolare allarme sociale, la c.d. confisca allargata, ora disciplinata dall'art. 240-bis comma 1 c.p., riveste particolare importanza. La norma prevede che il giudice, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 e ss. c.p.p. per reati associativi, per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, e per altre numerose ipotesi delittuose tassativamente enumerate, deve sempre (trattasi di confisca speciale obbligatoria) disporre « la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica ». In dottrina si è osservato, a proposito di tale forma di confisca, che essa « ha come presupposto, non la derivazione dei beni dall'episodio criminoso per cui la condanna è intervenuta, ma la sola condanna del soggetto che di quei beni dispone, senza che necessitino ulteriori accertamenti sull'attitudine criminale. Intervenuta la condanna la confisca va sempre ordinata quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica, e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose » (Menditto). Natura giuridicaLa giurisprudenza ritiene che la confisca in oggetto abbia natura di misura di sicurezza, sebbene atipica, in quanto sospesa tra funzione specialpreventiva e vero e proprio intento punitivo (Cass. S.U., n. 26654/2008). Tale natura sembra sia stata confermata dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 33/2018, laddove si pone l'accento non tanto sulla natura sanzionatoria dell'istituto, quanto piuttosto sulla sua peculiarità di strumento finalizzato ad impedire il possibile reimpiego di risorse illecitamente accumulate nel finanziamento di ulteriori attività illecite, o l'investimento di esse in attività lecite, con effetti distorsivi del funzionamento del mercato (V. Corte cost. n. 33/18). La dottrina invece osserva che siamo di fronte ad una sanzione: l'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv., con modif., in l. n. 356/1992 (ora art. 240-bis, comma 1 c.p.), pone una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, invertendo l'onere della prova, e sancendo la confiscabilità di tutti i beni che risultino sproporzionati rispetto al reddito e dei quali il formale titolare non sia in grado di giustificare la provenienza; si presume che tali beni abbiano un'origine illegale, che derivino da altra e diversa attività delittuosa, sicché siamo di fronte ad una misura con finalità non più solo preventiva, ma sostanzialmente repressiva, per il suo carattere punitivo e per gli scopi di prevenzione generale che persegue (Maugeri, 860-866). Qualificare la confisca in oggetto come misura di sicurezza, per quanto atipica, ovvero come sanzione, è di fondamentale importanza: la pena è volta a reprimere una condotta illecita già commessa, mentre la misura di sicurezza è strumento di prevenzione di fatti criminosi verificabili in futuro. Stante la loro sottoposizione alla diversa disciplina prevista dall'art. 25, co. 2 e 3, Cost., è essenziale individuare la norma ad esse applicabile a fronte della successione nel tempo di previsioni diverse, posto che per la misura di sicurezza essa è quella vigente al momento della sua applicazione, «mentre per la pena il principio di legalità pretende la preventiva vigenza della legge rispetto al fatto di reato commesso» (Cass., I, n. 44534/ 2012, in motivazione). Ne consegue che la confisca ex art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356, ove qualificata come misura di sicurezza, può essere disposta anche in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni che l'hanno istituita, in quanto il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria e non anche in relazione alla confisca misura di sicurezza (Cass., II, n. 56374/2018); e ciò vale sicuramente anche per la confisca regolata dall'attuale art. 240-bis, sussistendo continuità normativa tra la disciplina di cui al citato art. 12-sexies, e quella di cui all'art. 240-bis c.p.; ciò comporta che tale disciplina trova applicazione anche in relazione alle condotte anteriori all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 21/2018 (Cass., I, n. 15542/2020). PresuppostiI presupposti per l'applicazione della confisca ex art. 240 — bis comma 1 (già art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, conv., con modif., in l. n. 356/1992), sono individuati dalla dottrina: 1) nella condanna per alcuni reati, tassativamente indicati nella stessa norma che la prevede; 2) nel possesso o disponibilità di taluni beni, anche per interposta persona; 3) nella sproporzione tra detti beni ed il reddito dichiarato o i proventi dell'attività economica esercitata; 4) nella mancata giustificazione dell'interessato (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 637 s.). 1) Con riferimento al primo presupposto il catalogo dei reati che consentono questa confisca speciale è particolarmente ricco ed in continuo ampliamento: vi sono ricompresi, tra gli altri, quelli elencati nell'art. 51 comma 3 bis c.p.p., quelli di cui agli artt. 629 e 644 c.p., oltre ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale, ai delitti in tema di tratta delle persone ed a numerosi delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Con la recente riforma n. 22/2022 il legislatore ha ulteriormente ampliato il catalogo, inserendovi, subito dopo il reato di cui all'art. 517 quater, anche i reati di cui agli artt. 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies. Trattasi dei reati di Ricettazione di beni culturali (518-quater); Impiego di beni culturali provenienti da delitto (art. 518-quinquies); Riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies) e Autoriciclaggio di beni culturali (art. 518-septies), tutte fattispecie di nuova introduzione all'interno del codice penale. Le S.U. hanno precisato che essendo irrilevante il requisito della «pertinenzialità» del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non solo non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna, ma anche se il loro valore superi il provento del medesimo reato (Cass. S.U. , n. 920/2004). Restano invece disciplinate nei rispettivi testi unici, appositamente novellati dall'art. 6, commi 2 e 3. d.lgs. n. 21/2018 (in quanto ritenuti, secondo il nuovo criterio fissato dall'art. 3-bis c.p., leggi che disciplinano organicamente una determinata materia), alcune ipotesi particolari di confisca allargata, in caso di condanna o applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. per i reati di: • Produzione, detenzione e traffico di stupefacenti (non di lieve entità) ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990, e associazione finalizzata al narcotraffico o al piccolo spaccio, ai sensi del successivo art. 74, comma 1 e 6 (nuovo art. 85-bis d.P.R. n. 309/1990). • Delitti di contrabbando aggravato ex art. 295, comma 2, d.P.R. n. 43/1973 (ai sensi del nuovo comma 5-bis inserito nel successivo art. 301). La confisca in esame è necessariamente dipendente dalla sussistenza del reato-spia, nel senso che «l'accertamento giudiziale della configurabilità in tutti i suoi elementi costitutivi di una delle fattispecie criminose previste dall'art. 240-bis c.p. fonda il sospetto che il condannato (o chi ha definito il processo con sentenza di patteggiamento) abbia tratto dall'attività delittuosa le forme di ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona. Il giudizio di colpevolezza in ordine al reato commesso e la natura particolare di questo, idoneo ad essere realizzato in forma continuativa e professionale ed a procurare illecita ricchezza, fanno ritenere l'origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi ed attività, in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale, che, comunque, costituiscono la base della presunzione stessa. Nella considerazione del legislatore, quindi, l'attribuzione al soggetto della commissione di uno dei "reati-spia" costituisce indicatore dell'acquisizione dei beni, sia pure non per derivazione da quel reato specifico» (Cass. S.U. n. 27421/2021; tale ultima decisione ha anche affermato che la condanna cui fa riferimento l'art. 240–bis c.p. non è solo quella irrevocabile: diversamente opinando si arriverebbe all'effetto paradossale che, a stretto rigore, il giudice della cognizione «sarebbe sempre inibito dal disporre la confisca con la propria sentenza, perché non ancora formatosi il giudicato sulla condanna dalla stessa stabilita». Quanto alla condanna, e ai rapporti con l'estinzione della pena o del reato per morte del condannato, la morte del reo intervenuta prima della condanna estingue il reato e rende inapplicabile la confisca in oggetto; la morte del reo intervenuta dopo la condanna invece non preclude al giudice dell'esecuzione di disporre ugualmente la confisca, ove l'applicazione sia stata disposta prima dell'evento estintivo (Cass. I, n. 3098/2014). 2) Con riferimento al secondo presupposto, è del tutto evidente che le situazioni più problematiche sono quelle in cui il bene confiscabile non è nel patrimonio del condannato, ma di un terzo: quando ciò accade, essendo il terzo estraneo al reato-presupposto, non opera nei suoi confronti la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, ed incombe sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca (Cass., II, n. 13084/2017). In tal caso, sebbene la confisca in esame non postuli l'esistenza di un nesso eziologico di derivazione dei beni dal reato accertato, non soccorre la presunzione relativa fondata sulla sproporzione dei valori, ma si richiede uno sforzo dimostrativo analogo a quello preteso per l'accertamento giudiziale di qualsiasi fatto di giuridica rilevanza (Cass., I, n. 44534/2012). Più precisamente, è necessario dimostrare il rapporto tra indagato/imputato/condannato e il terzo, rapporto in forza del quale il primo esercita il potere di fatto sul bene laddove il terzo assume il ruolo di mero apparente titolare (Menditto, 1007). In particolare, spetta all'accusa dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata dallo stesso, da valutarsi con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non già a quello dell'applicazione della misura (Cass. V, n. 53449/2018). Inoltre, affinchè il bene formalmente intestato al terzo sia ritenuto nella disponibilità del responsabile del reato presupposto, è necessario che esso sia riconducibile all'iniziativa economica di tale soggetto: qualora il medesimo abbia contribuito solo in parte all'acquisto del bene, questo non può essere considerato nella sua integrale disponibilità e, conseguentemente, non può esserne disposta la confisca per l'intero, ma soltanto per la quota corrispondente all'entità del contributo dal predetto fornito (Cass. I, n. 35762/2019). Il giudice ha, a sua volta, l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma anche elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (Cass. V, n. 13084/2017). Tra gli elementi fattuali, potranno considerarsi ad es. i rapporti personali di coniugio, parentela, amicizia, situazioni patrimoniali e reddituali, attività svolte (Cass. I, n. 44534/2012). Costituiscono invece indizi gravi, precisi e concordanti dell'interposizione fittizia di beni, ad es., la natura giuridica e le modalità dell'atto dispositivo (ad es. donazione), la vicinanza temporale tra l'atto di disposizione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale è prevista la confisca dei beni, la destinazione del bene, le qualità personali dell'avente causa (ad es. la giovane età), l'oggetto dell'atto dispositivo (ad es., una ingente somma di denaro;Cass. II, n. 15829/2014). In via generale, persona estranea al reato — i cui diritti possono essere opposti in sede esecutiva al provvedimento ablatorio — è quella che non abbia partecipato alla sua commissione e non ne abbia ricavato vantaggi o utilità, e sia in buona fede, intesa come non conoscibilità, con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato, requisiti riguardo a cui sussiste un onere di allegazione da parte del terzo: tale onere non è assolto allorchè era conoscibile al terzo, attraverso l'utilizzazione della dovuta diligenza richiesta nel caso concreto, l'esistenza di un decreto di sequestro preventivo trascritto nei registri immobiliari, e quindi la possibilità della confisca, sul bene da lui acquistato (Cass. V, n. 7979/2016). Una volta provata la interposizione fittizia, spetta al titolare apparente dei beni dimostrare la legittima provenienza dei beni stessi e l'effettività della propria posizione di titolare (Cass. VI, n. 39259/2013). Circa la posizione dei terzi e i loro diritti e facoltà, si rinvia per approfondimenti al paragrafo 10. 3) Con riferimento al terzo presupposto, si è ritenuto che la nozione di «sproporzione» vada riferita non a qualsiasi difformità tra guadagni e capitalizzazione, ma ad un incongruo squilibrio tra questi, da valutarsi secondo le comuni regole di esperienza: così intesa, la sproporzione viene testualmente riferita non al patrimonio come complesso unitario, ma alla somma dei singoli beni, con la conseguenza che i termini di raffronto dello squilibrio, oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco, non vanno fissati nel reddito dichiarato o nelle attività economiche al momento della misura, rispetto a tutti i beni presenti, ma nel reddito e nelle attività nei momenti dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti (Cass. S.U. , n. 920/2003). Una volta intervenuta la condanna, la confisca va sempre ordinata quando sia provata l'esistenza di una sproporzione tra il valore economico dei beni di cui il condannato ha la disponibilità e il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza delle cose. Essendo la condanna e la presenza della somma dei beni di valore sproporzionato realtà attuali, la confiscabilità dei singoli beni, derivante da una situazione di pericolosità presente, non è certo esclusa per il fatto che i beni siano stati acquisiti in data anteriore o successiva al reato per cui si è proceduto o che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna (Cass. S.U. , n. 920/2003). Deve pertanto essere escluso che la confisca ex art. 12 sexiesl. n. 356/1992 (ora art. 240-bis c.p.) debba essere proporzionata al reato per cui è intervenuta condanna sotto i differenti profili del prezzo o del profitto ingiusto; tale tesi - pure propugnata in dottrina — presuppone che il reato c.d. spia, e cioè quello in relazione all'accertamento del quale viene disposta la misura di sicurezza patrimoniale di cui all'art. 12 sexies, abbia capacità di produrre profitto. Solo in tale senso, infatti, si potrebbe spiegare ed ammettere quale requisito della confisca ex art. 12-sexies quello della proporzionalità, poiché si assume quale necessario presupposto che la consumazione del reato abbia cagionato un profitto illecito, e che i beni da sottrarre al patrimonio dell'imputato siano appunto quelli che, oltre a non avere giustificazione lecita, abbiano valore proporzionato rispetto all'illecito profitto. Senonchè, il delitto di cui all'art. 12-quinquiesl. n. 356/92 (ora art. 512 bis c.p.), per sua natura non è reato produttivo di profitto, consistendo la condotta punibile nella semplice intestazione fittizia di beni finalizzata ad eludere le misure patrimoniali; altrettanto vale per i reati di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), disastro ambientale (art. 452-quater c.p.), del tutto indipendenti dal profitto illecito, e che pure costituiscono tutti presupposti per l'applicazione della confisca allargata ex art. 12 sexies e dimostrano, pertanto, la precisa volontà legislativa di sganciare la misura ablatoria dal presupposto della proporzionalità rispetto al profitto illecito (Cass. II, n. 17700/2018). Si è ulteriormente precisato in una recente decisione che ai fini della confisca cd. "allargata" prevista dall'art. 240-bis c.p., a nulla rileva il "quantum" ricavato dalla commissione dei cd. "reati spia", dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell'interessato, purché dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata: in motivazione la S.C. ha precisato che la disciplina dettata dall'art. 240-bis c.p. non attribuisce alcun rilievo al quantum in ipotesi ricavato dall'imputato dalla commissione del c.d. "reato-spia" ascrittogli (Cass. II, n. 3854/2022). 4) Infine, circa il quarto presupposto, la S.C. ha affermato che la « giustificazione credibile » consiste nella prova della positiva liceità della provenienza dei beni, e non in quella negativa della loro non provenienza dal reato per cui è stata inflitta condanna (Cass. S.U. , n. 920/2003). L'interessato può dimostrare la proporzione tra redditi disponibili e valore degli acquisti e/o degli investimenti, fornendo la prova che l'acquisto è avvenuto con redditi ulteriori rispetto a quelli regolarmente dichiarati (quali, ad esempio, lasciti ereditari, vincite di gioco o redditi provenienti da attività lecita prima della scadenza del termine per la dichiarazione), a condizione che gli stessi non costituiscano provento di evasione tributaria e che si tratti di provviste lecite e tracciabili. È quindi superato — per espressa previsione normativa — l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la presunzione di illegittima provenienza va esclusa in presenza di fonti lecite e proporzionate di produzione, anche se i redditi da esse derivanti siano nascosti al fisco (Cass. II, n. 49498/2014): la disposizione in commento stabilisce infatti che, «in ogni caso, il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge.». Secondo la giurisprudenza, la previsione in oggetto ha natura di norma processuale, poiché non eleva l'evasione fiscale a presupposto dell'ablazione, ma introduce in capo al condannato un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto di una ricostruzione delle sue capacità economiche da effettuarsi in termini scomposti, ossia in ragione d'anno con riferimento alle risorse necessarie per realizzare gli acquisti nel momento in cui gli stessi sono intervenuti, e non riassuntivi, secondo il metodo di un confronto globale; ciò comporta che la suddetta norma – in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell'affidamento – non può trovare applicazione anche nei procedimenti in corso, in relazione a ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello della sua introduzione (Cass. I, n. 50975/2019). Il suddetto orientamento è stato però recentemente messo in discussione: si è infatti precisato che in tema di confisca cd. allargata ai sensi dell'art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 (ora art. 240-bis c.p.), l'art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, secondo cui il condannato per un reato-spia "non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale", si applica anche in relazione a cespiti acquisiti prima dell'entrata in vigore della stessa; a tale conclusione non osta il principio secondo cui la legge, ai sensi dell'art. 11 disp. prel. c.c. dispone solo per l'avvenire, atteso che, in ragione della natura di misura di sicurezza di detta confisca, rileva la speciale disposizione dell'art. 200, comma 1, c.p., richiamata dall'art. 236, comma 2 c.p., in forza della quale le misure di sicurezza soggiacciono alla disciplina in vigore al momento della loro applicazione (Cass. II, n. 6587/2022). Si è suggerito che una modalità di estinzione potesse essere il c.d. condono tributario, ma secondo un recente orientamento è irrilevante l'adesione al condono tributario tombale di cui all'art. 9, comma 10, l. n. 289/2002, in quanto, pur configurandosi quale causa di non punibilità di alcuni reati tributari, lo stesso non incide sull'illiceità originaria della condotta (Cass. VI, n. 10765/2018). La disposizione è stata ampiamente criticata dalla dottrina e dall'avvocatura, la quale — nel parere espresso sulla proposta di legge quando era ancora all'esame del Senato — ha osservato che essa finisce «per allargare l'ambito di applicazione delle forme di confisca in esame a beni in realtà di origine lecita, perlomeno nel senso che non risulta dimostrato il loro valore sproporzionato, trasformando tali forme di confisca in «pene» per l'evasione fiscale di origine pretoria, in contrasto con il principio di legalità, e non commisurate ai normali indici di commisurazione della pena ex art. 133 c.p., innanzitutto la colpevolezza, e quindi sproporzionate» (Giglio, La confisca allargata dopo la riforma del Codice antimafia, in diritto.it, ottobre 2017). Va comunque precisato che la inefficacia della giustificazione è riferita al condannato, e non anche al terzo interessato (Giglio, cit.). Il giudice, dal canto suo, ha l'obbligo di prendere in considerazione tutta la documentazione prodotta dalla difesa, e deve fornire adeguata motivazione in ordine alle giustificazioni fornite dagli interessati circa la lecita provenienza dei beni, e alle ragioni per cui abbia ritenuto di disattenderle (Cass. I, n. 9678/2013). Quanto alla valenza dimostrativa delle vincite fortuite al gioco, non sono sufficienti i meri attestati di riscossione delle somme, poiché essi sono rilasciati sulla base della mera presentazione della ricevuta, non nominativa, della combinazione vincente, e dunque attestano solo la percezione della somma ma non anche l'identità del vincitore, ben potendo la ricevuta essere acquisita — magari dietro corresponsione della stessa somma vinta — presso chi ha effettivamente giocato e vinto, e ciò allo scopo di procurarsi il mezzo per dimostrare l'apparente liceità di una provvista (Cass. II, n. 35646/2018). Rapporti con il sequestroIn tema di sequestro, sussiste continuità normativa tra la disciplina di cui all'art. 12-sexies, d.l. n. 306/1992, conv. in l. n. 356/1992, abrogato dall'art. 7, lett. l), d.lgs. n. 21/2018, e quella di cui all'art. 240-bi s, che, pertanto, trova applicazione anche in relazione alle condotte anteriori all'entrata in vigore del citato decreto legislativo (Cass. I, n. 15542/2020). Ciò precisato, il sequestro finalizzato alla confisca c.d. allargata, richiede la sussitenza del fumus commissi delicti di uno dei reati di cui all'elenco previsto dalla norma (anche nella forma del tentativo, purchè aggravato dall'art. 7 d.l. n. 152/1991 conv. nella l. n. 203/1991, attualmente, art. 416-bis n. 1 c.p.: Cass. S.U., n. 40985/2018), e l'esistenza di una sproporzione tra l'importo nella disponibilità dell'indiziato e il reddito dichiarato ai fini delle imposte o derivante da attività economica lecita, e di cui questi non possa giustificare la provenienza. Con riferimento al primo requisito (fumus commissi delicti), se è vero che la verifica non deve tradursi nel sindacato sulla fondatezza dell'accusa, dovendo investire soltanto la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, è vero altresì che non basta a tal fine la mera prospettazione, da parte del pubblico ministero, dell'esistenza del reato, e tanto meno della possibilità di essa: il giudice (nella specie, il giudice del riesame) nella sua pronuncia, deve comunque rappresentare, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze procedimentali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e dimostrare, nella motivazione del provvedimento, la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro (Cass. VI, n. 33883/2012). Con riferimento al secondo requisito (la sproporzione), se è vero che la sproporzione va accertata - essa postula infatti l'individuazione sia del valore dei beni acquisiti che del reddito disponibile, e non può essere presunta, essendo presumibile solo l'illecita provenienza quando la sproporzione sia acclarata – è vero altresì che l'estensione dell'obbligo di accertamento non comprende la valutazione di elementi estranei al reddito risultante dalla dichiarazione ai fini impositivi o dall'attività economica: la dichiarazione reddituale comprende l'indicazione anche dei beni costituenti il patrimonio immobiliare; d'altro canto, l'attività economica lecita deve essere evidente e conoscibile, ancorché essa non risulti nei suoi esatti termini dalla dichiarazione reddituale, e l'accertamento previsto dall'art. 12 sexies (ora art. 240 bis c.p.), non si estende a cespiti diversi non facilmente rintracciabili, ancorché leciti. Una volta stimata la sproporzione rispetto ai dati documentali o comunque esteriormente apprezzabili, si configura un onere di inversione della prova a carico dell'interessato, il quale dovrà dimostrare che aliunde sono ricavabili elementi che rendono i beni acquisiti proporzionati alla ricchezza di lecita provenienza. Più precisamente, dall'accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio, scatta una presunzione "iuris tantum" d'illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall'interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Cass. IV, n. 51331/2018). Tale onere probatorio si giustifica a fronte della gravità dei reati presupposto, non potendosi gravare in tali ipotesi l'indagine sul reddito di verifiche ulteriori rispetto a quelle previste, altrimenti divenendo la norma di difficile applicazione (Cass. IV, n. 51331/2018). Secondo altro orientamento, non si tratta tanto di un onere di prova quanto, piuttosto, di un onere di allegazione posto a carico dell'interessato, poiché, in effetti, rientra nel suo stesso interesse lo sminuire od elidere l'efficacia probatoria degli elementi offerti dall'accusa (Cass. II, n. 43387/2019). E' inoltre pacifico in giurisprudenza che la confisca ex art. 240-bis non debba essere necessariamente preceduta da sequestro preventivo, essendo solo necessario che al momento della confisca i beni, oggetto della stessa, siano individuabili; in particolare, si tratta di confisca obbligatoria connessa al titolo del reato oggetto della imputazione, e quindi la correlazione fra accusa e sentenza assicura il rispetto del principio del contraddittorio anche con riferimento alla misura di sicurezza in parola (Cass., I, n. 43812/2018); peraltro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 240-bis c.p. può essere disposto anche su beni già sottoposti a sequestro probatorio, qualora ricorrano i presupposti di entrambi gli istituti, in quanto diverse sono le finalità dagli stessi perseguite (Cass., VI, n. 12544/2020), e può essere disposto anche su beni sottoposti a confisca di prevenzione, purché quest'ultima non sia definitiva (Cass., II, n. 1908/2017). Rapporti con la confisca di prevenzione antimafiaL'istituto è stato più volte avvicinato alla confisca di prevenzione antimafia (in origine prevista dall'art. 2-ter della l. n. 575/1965, attualmente disciplinata dall'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), con cui condivide alcuni tratti caratteristici: per entrambe le misure è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell'interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest'ultimo dichiarato ovvero all'attività economica dal medesimo esercitata. Tuttavia, solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego. Vi sono poi altre, importanti, differenze, evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità: la confisca ex art. 12-sexies presuppone la commissione di alcuni reati, mentre l'accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità; la confisca c.d. allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione aggiunge (profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies) in alternativa («ovvero quando») la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite e al reimpiego delle stesse («beni [...] che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego») (Cass.S.U. , n. 33451/2014). La confisca in esame non colpisce la res in quanto intrinsecamente pericolosa, ma per il legame con la persona del condannato, cosicché il compito del giudice, quando dispone tale confisca, o il sequestro preventivo ad essa finalizzato, non è accertare l'intrinseca pericolosità del bene in sé, né ricercare alcun nesso di pertinenzialità tra beni e reato, ma valutare in concreto se vi sia sproporzione di valori tra il reddito dichiarato o i proventi dell'attività economica e le disponibilità economiche del soggetto, e valutare se siano credibili le giustificazioni addotte circa la provenienza delle disponibilità stesse (Cass.S.U. , n. 920/2003). Si è ulteriormente precisato che «il rigetto della proposta della misura di prevenzione della confisca, ex art. 19 d.lgs. n. 159/2011, per mancato riscontro del requisito della pericolosità sociale del prevenuto non preclude l'applicabilità, nei confronti del medesimo bene ed a seguito di un procedimento penale, della confisca ex art. 12-sexies, d.l. n. 306/1992. Invece, la preclusione sussiste ove la decisione emessa a seguito del procedimento di prevenzione abbia escluso la sussistenza di un presupposto comune alle due misure, quale la sproporzione della disponibilità dei beni rispetto al reddito o la titolarità del bene, senza l'emersione di elementi nuovi di spessore determinante» (Cass., I, n. 23508/2019). Pertanto, allorchè siano dedotti fatti nuovi o siano valutati fatti non rilevanti nel giudizio di prevenzione, è consentito il successivo procedimento di confisca ex art. 240- bis c.p. in relazione agli stessi beni, comportando - tale situazione - soltanto l'onere di un più rigoroso apparato motivazionale idoneo a giustificare, nella nuova e diversa situazione, la sussistenza dei presupposti del provvedimento, così da far emergere la decisività dei contenuti cognitivi eterogenei valutati (Cass., n. 23508/2019, cit.). Rapporti con la confisca ordinariaLa natura di misura di sicurezza atipica della figura in esame si apprezza nel confronto con la confisca ordinaria prevista dall'art. 240: mentre in questa assume rilievo il collegamento tra una certa res ed un determinato reato, in quella viene in rilievo il collegamento tra un patrimonio ingiustificato ed una determinata persona, condannata (o nei cui confronti sia stata emessa sentenza ex art. 444 c.p.p.) per uno dei reati indicati nella norma che la prevede. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi dell'art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito in l. 7 agosto 1992 n. 356 (attualmente art. 240-bis comma 1), è necessario accertare, quanto al “fumus commissi delicti”, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al “periculum in mora”, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi. Per tale figura di confisca non occorre dimostrare il nesso di pertinenzialità tra cosa e reato, fondamento della confisca ordinaria ex art. 240, sicché essa non è esclusa, oltre che per il fatto che i beni siano stati acquisiti in epoca anteriore al reato per cui è intervenuta condanna (Cass. V, n. 19358/2013). Il criterio di ragionevolezza temporaleLa misura in esame può riguardare tutti o alcuni dei beni del condannato, indipendentemente dall'effettivo valore del prodotto o profitto ricavato dal reato (Cass. I, n. 22020/2011), sia che siano stati acquisiti prima che dopo la commissione del fatto (trattandosi di misura di sicurezza ad essa non si applica il principio di irretroattività della pena di cui all'art. 25, comma 2, Cost. e art. 7 Cedu). Tuttavia, in giurisprudenza va progressivamente affermandosi il criterio di ragionevolezza temporale: si ritiene cioè che la presunzione di illegittima acquisizione da parte dell'imputato del bene confiscabile deve essere circoscritta in un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano ictu oculi estranei al reato perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente o successivo alla commissione del fatto (Cass. I, n. 36499/2018). Il criterio di ragionevolezza temporale è stato anche richiamato dalla Corte costituzionale quale importante correttivo della confisca in esame (Corte cost. n. 33/2018): esso risponde all'esigenza di evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell'istituto, il quale legittimerebbe altrimenti, anche a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista, un monitoraggio patrimoniale esteso alla intera vita del condannato, il che renderebbe particolarmente problematico l'assolvimento dell'onere dell'interessato di giustificare la provenienza dei beni, onere che tanto più si complica quanto più è retrodatato l'acquisto del bene da confiscare. Da ultimo, il criterio di ragionevolezza temporale, definito “parametro integrativo di legalità” della confisca estesa, è stato utilizzato anche dalle Sezioni Unite, le quali hanno statuito che deve «essere superato il principio affermato dalla sentenza Montella di indifferenza del momento in cui il bene da confiscare sia entrato nel patrimonio del soggetto, che amplia a dismisura l'area della confiscabilità. Al contrario, ferma restando la natura non pertinenziale della relazione tra cosa e reato e l'assenza stessa del nesso di derivazione della prima dal secondo, vanno ritenuti confiscabili anche gli elementi patrimoniali acquisiti dopo la perpetrazione del reato, purchè non distaccati da questo da un lungo lasso temporale che renda irragionevole l'ablazione e, comunque, non successivi alla pronuncia di condanna o di patteggiamento » (Cass. S.U. n. 27421/2021, in motivazione). Resta salva comunque la possibilità di confisca anche di beni acquistati in epoca posteriore alla sentenza, purchè con risorse finanziarie possedute prima (S.U. cit.). Parimenti, è consentita la confisca di beni acquisiti anteriormente alla commissione del c.d. reato-spia, purchè non siano "ictu oculi" estranei al reato in quanto acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla sua commissione (Cass. II, n. 52626/2018).Ad es., si ritiene rispettato il requisito della ragionevolezza temporale in relazione ad un acquisto effettuato un anno prima del formale inizio dell'attività criminosa (Cass. I, n. 41100/2014). Si è anche osservato che la la presunzione di illegittima acquisizione dei beni da parte dell'imputato condannato per delitti rivelatori di illecito arricchimento ha un ambito temporale più esteso laddove alla commissione del reato corrisponda un periodo di nullafacenza e di irregolare permanenza del predetto sul territorio, in palese contrasto con l'entità delle risorse accumulate dallo stesso in detto periodo (Cass. I, n. 33330/2017). E' tuttavia evidente come il giudice del caso concreto abbia un ampio potere di verificare se sussistono le condizioni legittimanti la confisca, e di verificare se la vicenda criminosa sia del tutto episodica ed occasionale, e produttiva di un modesto arricchimento: in definitiva, un ampio potere di verificare, naturalmente fornendo congrua motivazione, se il fatto per cui è intervenuta condanna esuli in modo manifesto dal “modello” che vale a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ricchezza da parte del condannato (Corte cost. n. 33/2018). Profili processualiCon la l. n. 161/2017 il legislatore era intervenuto sull'allora vigente art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, modificando il comma 4-bis, ed estendendo ai soggetti titolari di diritti reali sui beni oggetti di sequestro, le disposizioni in materia di tutela dei terzi previste dal codice antimafia per le misure di prevenzione patrimoniali. Aveva poi introdotto il comma 4-quinquies, il quale prevedeva la citazione, nel processo principale di cognizione, dei terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, in previsione della confisca allargata: la novella intendeva estendere la tutela dei terzi già prevista nel procedimento di prevenzione patrimoniale, al procedimento penale di cognizione, allorché si trattava di confiscare beni riferibili all'imputato, ma formalmente facenti capo a terzi. Si prevedeva quindi che i soggetti titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni oggetto di sequestro, benché non investiti dall'accusa penale, dovessero essere citati nel processo principale di cognizione, diventandone parti, con facoltà di contraddittorio e difesa, diritto alla prova e potere di impugnazione della decisione, se a loro sfavorevole. Ne restavano esclusi i titolari di diritti di credito, e i titolari di diritti di garanzia (GIGLIO, La confisca allargata dopo la riforma del Codice antimafia, ottobre 2017, in diritto.it, ottobre 2017). È quindi intervenuto il d.lgs. n. 21/2018, che da un lato ha abrogato formalmente buona parte dell'art. 12-sexies, compresi i commi 4 bis e 4 quinquies (v. art. 7 decreto cit.); dall'altra, ha conservato comunque l'istituto in parola, che ora si trova regolato dall'art. 104 bis disp. att. c.p.p. (v. art. 6 decreto cit.). Infatti, l'art. 104 bis disp. att. c.p.p., ora rubricato “Amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo e a sequestro e confisca in casi particolari. Tutela dei terzi nel giudizio”, al comma 1-quinquiesprevede espressamente che nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo. Tale legittimazione alla partecipazione al giudizio dei terzi interessati risponde all'esigenza di consentire agli stessi di interloquire sia in merito al collegamento tra il bene oggetto della misura patrimoniale reale e il fatto di reato, che in merito alla propria buona fede, esclusa, al contrario, ogni possibilità di intervento in tema di responsabilità penale dell'imputato, altrimenti traducendosi la loro partecipazione in intervento adesivo a favore di questo (Cass. II, n. 53384/2018). Tale principio vale anche qualora la richiesta di sequestro finalizzato alla confisca sia avanzata dal P.M. in fase esecutiva: in tal caso il terzo intestatario del bene ha diritto ad essere avvisato dell'udienza, trattandosi di “interessato” legittimato ad agire, in base all'art. 606, comma primo, c.p.p., al fine di dimostrare che l'intestazione del bene non è solo fittizia (Cass. IV, n. 25868/2018). Invece l'imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma in esame, non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (Cass. II, n. 4160/2020). Per quanto riguarda i procedimenti precedenti all'entrata in vigore del comma 1-quinquies dell'art. 104-bis disp. att. c.p.p., la S.C. ha affermato che il terzo interessato dal provvedimento ablatorio che non ha partecipato al processo di primo grado, non ha titolo, in assenza di una norma transitoria che lo consente, ad intervenire nei successivi giudizi di impugnazione, e può tutelare la sua posizione sostanziale chiedendo la restituzione al giudice della cognizione, se non è intervenuta sentenza irrevocabile, ovvero proponendo incidente di esecuzione, in presenza di decisione irrevocabile (Cass. II, n. 45105/2019). Quanto ai terzi creditori, va precisato che l'art. 373, lett. b), d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (così come modificato, da ultimo, dal dlgs. 17 giugno 2022, n. 83, c.d. codice della crisi d'impresa, entrato in vigore il 15 luglio 2022), ha riscritto, per la parte che qui interessa, l'art. 104-bis disp. att. c.p.p., disponendo che il comma 1- quater della detta norma è sostituito dal seguente: «1-quater. Ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240-bis del codice penale o dalle altre disposizioni di legge che a questo articolo rinviano, nonchè agli altri casi di sequestro e confisca di beni adottati nei procedimenti relativi ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice, si applicano le disposizioni del titolo IV del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Si applicano inoltre le disposizioni previste dal medesimo decreto legislativo in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati e di esecuzione del sequestro. In tali casi l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata coadiuva l'autorità giudiziaria nell'amministrazione e nella custodia dei beni sequestrati, fino al provvedimento di confisca emesso dalla corte di appello e, successivamente a tale provvedimento, amministra i beni medesimi secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno».
In altri termini, è stata estesa espressamente ai casi di confisca allargata (nonché, secondo la dottrina, a tutte le forme di confisca: Keller, 38) la tutela approntata ai terzi creditori dal codice antimafia; si tratta di un'estensione di tutela già riconosciuta dalla Corte di cassazione (per la verità non senza qualche resistenza: cfr. Cass., III, n. 2351/2019), fin dall'entrata in vigore nel nostro ordinamento dell'art. 1, comma 190, l. 24 dicembre 2012, n. 228 che, intervenendo sul comma 4-bis dell'art. 12-sexies allora vigente, aveva previsto l'applicazione alla confisca allargata delle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal codice antimafia. Il richiamo s'intendeva, in particolare, al subprocedimento «teso a regolamentare i criteri di parziale inopponibilità della confisca ai terzi creditori di buona fede, a determinare le condizioni di accesso al riconoscimento di detti crediti, con soddisfazione concessa nei limiti del 70% del valore dei beni sequestrati o confiscati (risultante dalla stima redatta dall'amministratore o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita, art. 53), a tutelare la par condicio creditorum (art. 57 e ss.) ad estinguere il contenzioso civilistico eventualmente in atto con affidamento esclusivo al giudice della prevenzione del compito di verificare la posizione creditoria sottostante (art. 55 d.lgs. n. 159)» (Cass., I, n. 26527/2014, in motivazione). Con l'art. 373, lett. b) cit. il processo è stato portato a compimento, essendo ora espressamente stabilito che “Ai casi di sequestro e confisca in casi particolari previsti dall'articolo 240-bis si applica l'intero “titolo IV del Libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”. La conseguenza più rilevante è che ai casi di confisca allargata sono ora applicabili i principi generali dettati dall'art. 52 del codice antimafia, secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro, purchè ricorrano le condizioni indicate dalle successive lett. a), b), c) e d) dello stesso articolo 52. Sotto il profilo più squisitamente procedurale, l'art. 57 d.lgs. n. 159/2011 prevede una udienza di verifica in cui il giudice, nel contraddittorio delle parti, ammette ovvero respinge l'istanza del creditore di ammissione al passivo» (Cass., II, n. 7064/2021, in motivazione). Tuttavia, mentre «nella procedura di prevenzione vi è un giudice delegato dal tribunale collegiale (quest'ultimo organo competente ad emettere i provvedimenti definitivi) che procede a tale accertamento, nel caso del sequestro funzionale alla c.d. confisca allargata, mancando la figura del giudice delegato, è lo stesso organo che ha disposto la misura ablativa a dovere procedere alla verifica e cioè, con massima frequenza, il giudice delle indagini preliminari che ha emesso il provvedimento di sequestro preventivo. Con la sostanziale differenza che, mentre nel caso della confisca di prevenzione il giudice delegato "vive" in relazione anche dialettica con il tribunale di prevenzione, il G.i.p., in quanto organo essenzialmente monocratico, manca di un riferimento collegiale diretto» (Cass., cit., in motivazione). In caso di fallimento dell'imputato, il giudice può autorizzare la vendita dei cespiti sottoposti a sequestro ex art. 12-sexies (ora art. 240-bis c.p.) solo se acquisisce la ragionevole certezza che essi non rientreranno nella diretta o indiretta disponibilità del condannato (Cass. I, n. 20216/2013). In tema di revisione, è stato affermato che è inammissibile la relativa richiesta fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma solo alla revoca della confisca disposta ai sensi dell'art. 240-bis c.p., (Cass. II, n. 3854/2022). In motivazione la S.C. ha precisato che l'art. 631 c.p.p., con chiarezza di per sé evidente, stabilisce che “Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530, 531”, sicché l'istanza di revisione deve investire in modo esaustivo la condanna riportata, tanto cioè da comportare rispetto al relativo capo il proscioglimento. Competenza del giudice dell'esecuzioneCon la l. n. 161/2017 il legislatore era intervenuto sull'allora vigente art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, introducendo il comma 4-sexies, con il quale affidava al giudice dell'esecuzione il potere di disporre la confisca sia allargata che per equivalente, ove non si fosse provveduto in sede di cognizione e la sentenza fosse divenuta irrevocabile. Era stato in tal modo recepito un orientamento giurisprudenziale alquanto consolidato (Cass. I, n. 52058/2014). È quindi intervenuto il d.lgs. n. 21/2018, che da un lato ha abrogato formalmente buona parte dell'art. 12-sexies, compreso il comma 4-sexies (v. art. 7 decreto cit.); dall'altra, ha conservato comunque la previsione normativa in parola, che ora è contenuta nell'art. 183-quater disp. att. c.p.p. (v. art. 6 decreto cit.), secondo cui il giudice dell'esecuzione, su richiesta del P.M., provvede alla confisca nelle forme previste dall'art. 667, comma 4, c.p.p. (ossia de plano, senza formalità). Va tuttavia precisato che la competenza del giudice dell'esecuzione è di natura residuale: ed infatti, la S.C. ha più volte affermato che la confisca di cui all'art. 240-bis può essere disposta anche dal giudice dell'esecuzione che provvede de plano, a norma degli artt. 676 e 667, comma, 4 c.p.p., ovvero all'esito di procedura in contraddittorio a norma dell'art. 666 c.p.p., salvo che sulla questione non abbia già provveduto il giudice della cognizione con conseguente preclusione processuale; ha altresì affermato che la semplicità dell'accertamento richiesto nella procedura de plano non è incompatibile con la confisca speciale ogni qual volta i dati da valutare siano già emergenti dagli accertamenti contenuti nei provvedimenti definitivi di merito (Cass., VI, n. 27343/2008); inoltre, la misura può essere disposta dal giudice dell'esecuzione solo in relazione alle disponibilità del condannato già individuate nel giudizio di cognizione, in quanto la sua estensione ai beni acquistati successivamente contrasta con i principi generali che regolano le attribuzioni di tale giudice e vanifica ogni distinzione tra la disciplina di tale tipo di confisca e quella della confisca di prevenzione (Cass., I, n. 22820/2019, in fattispecie in cui il g.i.p., quale giudice dell'esecuzione, aveva rigettato la richiesta di confisca avanzata dal pubblico ministero sulla base di indagini patrimoniali successive alla definizione del giudizio). Infine, il giudice dell'esecuzione non può revocare la confisca c.d. allargata disposta con sentenza definitiva, non essendo tale potere contemplato dall'art. 676 c.p.p. e non potendosi applicare in tale ipotesi la disciplina della revoca prevista per le misure di prevenzione patrimoniale (Cass. I, n. 28525/2019). La S.C. ha recentemente affermato l'applicabilità, anche alla confisca allargata, del principio già espresso dalle Sezioni Unite penali in materia di misure di prevenzione patrimoniali (S.U. n. 29847/2018) secondo cui la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l'ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sé uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest'ultimo dimostrare la propria buona fede. Il creditore cessionario è chiamato tra l'altro a provare, ai fini dell'ammissione del credito, la sussistenza originaria del requisito della buona fede e dell'incolpevole affidamento, oltre alla buona fede propria, sotto il profilo della mancanza di accordi fraudolenti con il soggetto gravato dalla misura. Ne deriva la non opponibilità allo Stato dell'ipoteca iscritta sul bene immobile a garanzia di un credito successivamente ceduto ad un terzo, ove quest'ultimo sia in accordo fraudolento con il destinatario della misura ablativa (Cass. I, n. 37108/2024). Confisca allargata ed estinzione del reato per amnistia o prescrizioneLa l. n. 161/2017, intervenendo sull'allora vigente art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, aveva poi introdotto una importante novità, ovvero la possibilità di disporre la confisca allargata anche nei casi in cui il giudizio si fosse concluso con sentenza di non doversi procedere per amnistia o prescrizione, purchè in precedenza fosse intervenuta una sentenza di condanna nel merito (art. 12-sexies, comma 4-septies). Anche in tal caso si è trattato del recepimento, a livello legislativo, di un importante approdo giurisprudenziale in materia di confisca ex art. 322-ter c.p. (Cass. S.U., n. 31617/2015), secondo cui è confiscabile il prezzo del reato anche nel caso in cui il processo si sia concluso con una sentenza dichiarativa di estinzione per prescrizione, purché tale declaratoria sia stata preceduta da una sentenza di condanna emessa nell'ambito di uno dei gradi del giudizio (per una disamina più approfondita della questione, si rinvia sub art. 240). È quindi intervenuto il d.lgs. n. 21/2018, che da un lato ha abrogato formalmente buona parte dell'art. 12-sexies, compreso il comma 4-septies (v. art. 7 decreto cit.); dall'altra, ha conservato sostanzialmente la previsione normativa in parola, che ora, pur con una diversa formulazione, è contenuta nell'art. 578-bis disp. att. c.p.p. di nuovo conio, secondo cui il giudice dell'impugnazione, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decide nel merito “ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato”. In altri termini, la confisca in esame rimane ferma anche qualora il giudizio si concluda con la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione ad opera del giudice dell'impugnazione, sempre che vi sia stata in precedenza una sentenza di condanna e l'accertamento relativo alla sussistenza del reato ed alla penale responsabilità dell'imputato rimanga inalterato (Cass. V, n. 1012/2018). Ha precisato la S.C. che la norma di cui all’art. 578-bis c.p.p. che poi è stata estesa dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3, a tutte le ipotesi di confisca di cui all'art. 322-ter c.p., costituisce una norma di natura processuale, come tale soggetta al principio tempus regit actum (Cass. III, n. 8785/2020). Disposizione criticatissima dalla dottrina, che contesta anche l'orientamento giurisprudenziale cui essa si ispira: si osserva che viene così a configurarsi un concetto di “condanna in senso sostanziale”, che prescinde da un giudicato formale di condanna, in contrasto con il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27 comma 2 Cost., condanna in senso sostanziale che viene utilizzata come grimaldello per legittimare confische altrimenti impossibili (Giglio , La confisca allargata dopo la riforma del Codice antimafia, in diritto.it, ottobre 2017). Confisca per equivalente. Rinvio.La confisca allargata ex art. 240-bis può essere disposta anche nella forma per equivalente. Prevede infatti il comma secondo della norma in esame che quando non è possibile procedere alla confisca diretta, la misura può essere disposta su altre somme di denaro, beni o utilità per un valore equivalente , delle quali il condannato abbia comunque la disponibilità, anche per interposta persona. Si tratta della c.d. confisca per equivalente, prevista per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione (art. 322-ter c.p.), impiego di beni di provenienza illecita e autoriciclaggio (art. 648 – quater, comma 2 c.p.) e per i delitti tributari (art. 12 – bis, d.lgs. n. 74/2000). Secondo la dottrina, «si tratta di una forma di confisca per equivalente dei beni oggetto della confisca allargata, e cioè dei beni di valore sproporzionato rispetto al reddito o all'attività economica nella disponibilità o titolarità, anche per interposta persona, di un soggetto condannato per determinati delitti, il quale non riesca a giustificare l'origine dei beni» (Maugeri, 288). La norma presenta aspetti di indubbia problematicità: si osserva, infatti, che la confisca per equivalente ha natura pacificamente sanzionatoria, laddove la confisca allargata ha natura di misura di sicurezza, per quanto atipica, sicchè la disposizione di cui all'art. 240-bis, co. 2, c.p., non potrà essere applicata retroattivamente, atteso che la sua natura intrinsecamente sanzionatoria la rende soggetta al principio di irretroattività ex art. 25, co. 2, Cost., come sancito dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 97/2009 e con la sentenza n. 301/2009 (Maugeri, ibidem). CasisticaIn tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per sproporzione, eseguito su conto corrente cointestato all'indagato e a soggetto estraneo al reato, la misura cautelare si estende all'intero importo in giacenza, senza che a tal fine rilevino presunzioni o vincoli posti dal codice civile (artt. 1289 e 1834), regolativi dei rapporti interni tra creditori e debitori solidali, ma è fatta salva la facoltà per il terzo di dimostrare l'esclusiva titolarità di tali somme e la conseguente illegittimità del vincolo. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio il sequestro di un libretto di deposito postale nominativo cointestato con i genitori dell'indagato, alimentato esclusivamente dai ratei pensionistici di questi ultimi, dai proventi della vendita di un immobile privo di alcun collegamento con la condotta criminosa, nonché dagli investimenti rivenienti dalla medesima provvista lecita (Cass. VI, 24432/2019). La confisca di cui all'art. 12-sexies, d.l. n. 306/1992 (ora art. 240-bis), è applicabile anche nei confronti degli eredi a seguito della morte della persona condannata con sentenza irrevocabile per uno dei delitti previsti dalla norma: questi non rientrano nella categoria dei "terzi estranei" ai quali la cosa appartiene di cui all'art. 240, poiché un loro eventuale diritto sul bene oggetto della richiesta di restituzione dovrebbe derivare, jure hereditario da analogo diritto del dante causa, che è, tuttavia, insussistente essendo i beni in discussione già transitati nella sfera patrimoniale dello Stato in conseguenza della applicazione della confisca (Cass. I, n. 12710/2020). In tema di amministrazione dei beni confiscati, il rinvio contenuto nell'art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo, disp. att. c.p.p., al d.lgs. n. 159/2011, va interpretato come riferito alle sole disposizioni del codice antimafia relative alla procedura e non anche a quelle sulla competenza dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che è regolata dall'art. 110, comma 2, del medesimo decreto e che è circoscritta ai beni sequestrati nel corso dei procedimenti penali per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e all'art. 240-bis (Cass. III, n. 40394/2019: in applicazione del principio la Corte ha annullato la decisione che aveva affermato la competenza della predetta Agenzia anche in relazione ai beni confiscati per reati tributari). In caso di sequestro preventivo a fini di confisca allargata disposto dal giudice dell'esecuzione su richiesta del pubblico ministero, l'interessato che intenda chiedere la rivalutazione del provvedimento deve proporre a detto giudice domanda di revoca del sequestro, al cui eventuale rigetto può ulteriormente opporsi attivando la procedura prevista dall'art. 667, comma 4, c.p.p., richiamato dal successivo art. 676 (Cass. I, n. 1412/2020). La confisca ex art. 12-sexies (ora art. 240-bis) prevale su eventuali ipoteche, salva la possibilità, per il creditore ipotecario, di una successiva tutela di tipo risarcitorio (Cass. I, n. 21/2014), e qualora il titolare di crediti ipotecari abbia adempiuto in maniera incompleta all’onere di provare il fondamento e l’ammontare della propria pretesa di ammissione al passivo, compete al giudice dell’esecuzione di indicare alla parte interessata l’esigenza di approfondimento istruttorio, eventualmente assegnandole un termine per provvedervi (Cass. I, n. 36462/2018). BibliografiaGiglio, La confisca allargata dopo la riforma del Codice antimafia, in www.diritto.it, 2017; KELLER, La partecipazione del terzo nel processo di cognizione: persistenti deficit di tutela nelle ipotesi di sequestro e confisca penale, in Arch.Pen., 2020; Maugeri, La sanzione patrimoniale fra garanzie ed efficienza, le « ipotesi particolari » nella recente legislazione, in Riv. trim. dir. pen. econ. 1996; Menditto, La confisca allargata o per sproporzione di cui all'art. 12-sexies d.l. n. 152/92, conv. dalla l. n. 356/92, profili sostanziali e procedimentali (cenni), in questionegiustizia.it, 2014. |