Codice Penale art. 416 bis - Circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose 1

Sergio Beltrani

Associazioni di tipo mafioso anche straniere 1 2 3.

[I]. Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni 4 [3052, 3062, 4162, 416-ter; 2753, 5, 2992, 3721-bis c.p.p.].

[II]. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni 5 [3051, 3, 3061, 3, 4161, 3; 2753, 5, 2992, 380 c.p.p.].

[III]. L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte [6283 n. 3] si avvalgono [629-bis] della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali [416-ter; 2753, 5, 2992 c.p.p.] 6.

[IV]. Se l'associazione è armata [5852-3] si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma 7.

[V]. L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti [5852-3], anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

[VI]. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

[VII]. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca [2402] delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego 8.

[VIII]. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla 'ndrangheta 9 e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere 10, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

 

[1] Articolo aggiunto dall'art. 1, l. 13 settembre 1982, n. 646. Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 71 l. 31 maggio 1965, n. 575. Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, in caso di condanna o applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356).

[2] Rubrica sostituita dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. La rubrica precedente recitava: «Associazione di tipo mafioso».

[3] Vedi l'art. 7, comma 1, d.l. 15 settembre 2023, n. 123, conv., con modif., in l. 13 novembre 2023, n.159 che dispone che: «1. Quando, durante le  indagini  relative  ai  reati  di  cui  agli articoli 416-bis del codice penale e 74 del  decreto  del  Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,  emerge  una  situazione  di pregiudizio che interessa un  minorenne,  il  pubblico  ministero  ne informa il procuratore della Repubblica presso il  Tribunale  per  le persone, per  i  minorenni  e  per  le  famiglie,  per  le  eventuali iniziative di  competenza  ai  sensi  dell'articolo  336  del  codice civile

[4] I limiti edittali previsti dal presente comma, originariamente fissati in tre e sei anni, sono stati innalzati dall'art. 12adella legge 5 dicembre 2005, n. 251 a cinque e dieci anni, successivamente a sette e dodici anni dall'art. 1 del d.l. n. 92, cit., conv., con modif., dalla legge n. 125, cit., e da dieci a quindici anni dall'art. 5, l. 27 maggio 2015, n. 69.

[5] I limiti edittali stabiliti del presente comma, originariamente fissati in quattro e nove anni, sono stati una prima volta innalzati a sette e dodici anni dalla legge n. 251, cit., e successivamente portati a nove e quattordici anni dal d.l. n. 92, cit., conv., con modif. dalla legge n. 125, cit., e da dodici a diciotto anni dall'art. 5, l. n. 69 del 2015, cit.

[6] Comma modificato dall'art. 11-bis d.l. n. 306, cit.

[7] Le parole «sette» e «quindici» sono state sostituite rispettivamente alle parole «quattro» e «dieci» e le parole «dieci» e «ventiquattro» sono state sostituite rispettivamente alle parole «cinque» e «quindici» dall'art. 12c l. n. 251, cit. Successivamente l'art. 1 del d.l. n. 92, cit., conv. con modif. dalla legge n. 125, cit., ha sostituito le parole «da sette» con le parole «da nove» e le parole «da dieci» con le parole «da quindici». Infine l'art. 5, l. n. 69 del 2015, cit. ha sostituito le parole: «da nove a quindici anni» con le parole: «da dodici a venti anni» e le parole: «da dodici a ventiquattro anni» con le parole : «da quindici a ventisei anni».

[8] Comma modificato dall'art. 362l. 19 marzo 1990, n. 55.

[9] Le parole «, alla 'ndrangheta» sono state aggiunte dall'art. 6 del d.l. 4 febbraio 2010, n. 4, conv., con modif. dalla l. 31 marzo 2010, n. 50. Tale articolo 6 del d.l. n. 4 del 2010, risulterebbe abrogato dall'art. 120, comma 1, lett. c, del d.lg. 6 settembre 2011, n. 159.

[10] Le parole «anche straniere» sono state aggiunte dall'art. 1 del d.l. n. 92, cit., conv. con modif. dalla legge n. 125, cit.

 

competenza: Trib. collegiale

arresto: obbligatorio; v: art. 380, secondo comma lett. l bis, c.p.p.

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3 c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

L'art. 1, comma 85, lettera q), della l. n. 103 del 2017, nel delegare al Governo la riforma dell'ordinamento penitenziario, prevedeva, tra i criteri direttivi, <<l'attuazione, sia pure tendenziale del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l'intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il princìpio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell'ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell'integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato>>.

L'art. 1 d.lgs. n. 21/2018, attuando la predetta delega,  ha introdotto nel codice penale l'art. 3-bis che afferma il principio della “riserva di codice “, in virtù del quale <<nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in  leggi che disciplinano in modo organico la materia>>.

In attuazione del principio della riserva di codice, il d.lgs. n. 21 del 2018 ha inserito nel codice penale numerose disposizioni in precedenza collocate nella legislazione speciale, riguardanti diverse materie, ed in particolare, tra i delitti contro l'ordine pubblico, l'art. 416-bis.1, che ripropone, con formulazione pressoché invariata le circostanze aggravanti ed attenuanti in precedenza previste, per i delitti connessi ad attività mafiose, rispettivamente dagli artt. 7 e 8 d.l. n. 152 del 1991 convertito in legge n. 203 del 1991.

Successione di leggi nel tempo

La giurisprudenza (Cass. I, n. 26399/2018 n. 39542/2018) ha  immediatamente  chiarito che l'abrogazione dell'art. 7 d.l.   n. 152/1991, convertito in l. n. 203 del 1991, disposta, in applicazione del principio della c.d. “riserva di codice” (introdotto dal nuovo art. 3-bis c.p.), dall'art. d.lgs. n. 21/2018, entrato in vigore il 6 aprile 2018, non ha eliminato dall'ordinamento la relativa circostanza aggravante, contestualmente inserita dall'art. 5 del medesimo d.lgs. nel nuovo art. 416-bis.1, c.p.: il fenomeno di successione di leggi verificatosi è, pertanto, caratterizzato dalla continuità normativa.

Le circostanze aggravanti: profili generali.

L'art. 416-bis.1, comma 1, come in precedenza l'art. 7 l. n. 203 del 1991, prevede che la pena è aumentata da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo, commessi, alternativamente:

- avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p.;

- al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso.

La disposizione, come in precedenza l'art. 7 cit., configura due distinte circostanze aggravanti:

- la prima, relativa al reato commesso avvalendosi del c.d. metodo mafioso, non richiede la effettiva sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento (Cass. II, n. 17879/2014 e Cass. I, n. 18019/2018);

- la seconda, invece, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente l'esistenza reale, e non semplicemente supposta, di essa e richiede, ai fini della sua integrazione, la prova della oggettiva finalizzazione dell'azione a favorire l'associazione e non un singolo partecipante; non occorre, tuttavia, che la condotta sia posta in essere in favore di una associazione di tipo mafioso la cui esistenza sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, e non rileva se il presunto capo del sodalizio, destinatario della condotta agevolativa, sia stato precedentemente assolto da imputazioni relative al reato di cui all'art. 416-bis c.p., purché l'operatività del sodalizio ed il ruolo svolto dal soggetto agevolato siano desumibili da risultanze acquisite successivamente alla sentenza di assoluzione (Cass. II, n. 13504/2013). In particolare, quando è addebitata la finalità agevolativa, occorre che l'agente abbia lo scopo di contribuire all'attività di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, secondo una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall'art. 416-bis c.p. (Cass. II, n. 17879/2014 e Cass. I, n. 18019/2018); si è anche ritenuto che <<l’aiuto fornito ad un capomafia può considerarsi diretto all’agevolazione dell’associazione solo nella misura in cui questi rivesta una funzione apicale effettiva, riconosciuta, e dunque essenziale per il funzionamento dell’organizzazione criminale: in tal caso, l’agevolazione direttamente fruita dal capo si traduce in modo immediato nel sostegno a tutta l’associazione che si nutre del suo apporto gestionale>> (Cass. II, n. 48608/2019).

Per entrambe:

- vi è incompatibilità con la contestazione del delitto di associazione mafiosa, previsto dall'art. 416-bis c.p., in quanto la condotta tipizzata dalla condotta incriminatrice assorbe la previsione dell'aggravante (Cass. I, n. 26609/2011); la circostanza, in ciascuna delle sue connotazioni, può unicamente aggravare i reati-fine commessi dai soggetti appartenenti al sodalizio (Cass. S.U., n. 10/2001 e Cass. II, n. 20935/2017);

- non si richiede necessariamente l'appartenenza mafiosa dell'autore della condotta, che configura la diversa aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3, c.p. (Cass. II, n. 510/2012); nel medesimo senso Corte cost., n. 48/2015, per la quale «il soggetto che delinque con "metodo mafioso" o per agevolarel'attività di una associazione mafiosa  può, a seconda dei casi, appartenere o meno all'associazione stessa»).

L’art. 416-bis.1 le prevede soltanto per i  delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo: la giurisprudenza ha, peraltro, chiarito che  entrambe sono applicabili anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell'ergastolo e pertanto possono essere validamente contestate anche con riferimento ad essi, ma operano in concreto solo se, di fatto, venga inflitta una pena detentiva diversa dall'ergastolo, mentre, se non escluse all'esito del giudizio di cognizione, esplicano comunque la loro efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena (Cass. S.U., n. 337/2009), ad esempio a fini cautelari od in sede di esecuzione della pena.

Trattasi di circostanze aggravanti comuni (perché inerenti a qualunque tipo di reati, purché puniti con pena diversa dall’ergastolo) ad effetto speciale (poiché comportano un aumento della pena superiore ad un terzo), distinte, e che possono concorrere (con applicazione, in tal caso, della disciplina di cui all'art. 63, comma 4, c.p.).

Ai sensi del comma 2 della disposizione in commento, le predette circostanze aggravanti possono, in caso di concorso con circostanze attenuanti concorrenti, essere “bilanciate”, ex art. 69 c.p., con le sole attenuanti previste dagli artt. 98 e 114 c.p.; le diminuzioni di pena comportate da tutte le altre circostanze attenuanti concorrenti (se del caso, previo “bilanciamento” con le ulteriori circostanze aggravanti concorrenti ordinariamente “bilanciabili”) sono operate sulla pena risultante dall'aumento operato sulla pena base per le aggravanti in oggetto.

Segue . Il “metodo mafioso”

La circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso ha la funzione di reprimere il "metodo delinquenziale mafioso" ed è connessa non alla struttura ed alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso (Cass. V, n. 22554/2018: in applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso degli imputati volto a contestare la sussistenza dell'aggravante citata, ritenendo che il delitto di sequestro di persona commesso dagli stessi fosse un chiaro "messaggio" intimidatorio nei confronti dei familiari della vittima, finalizzato a far cessare comportamenti lesivi del prestigio criminale dell'associazione).

Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante del c.d. “metodo mafioso, è necessario l'effettivo ricorso ad una condotta oggettivamente intimidatoria, dipendente dal manifestato vincolo associativo con una organizzazione criminale di tipo mafioso, non essendo sufficiente la mera suggestione indotta nella vittima dal riferimento da parte dell'autore del reato alla sua provenienza geografica (Cass. VI, n. 31405/2017: fattispecie nella quale gli imputati si erano limitati a specificare di essere “calabresi”, pur senza alludere in alcun modo all'appartenenza ad una organizzazione di tipo mafioso e non adottando comportamenti riferibili a quelli indicati nell'art. 416-bis, comma 3, c.p.); la circostanza è configurabile nel caso di condotte che presentano un nesso eziologico immediato rispetto all'azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole perpetrazione del crimine, non essendo, pertanto, integrata dalla sola connotazione mafiosa dell'azione o dalla mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti di tale organizzazione (Cass. I, n. 26399/2018, per la quale, inoltre, non è sufficiente ad integrare l'aggravante il mero carattere eclatante dell'azione, commessa in pieno giorno, nel centro cittadino di una zona di sicuro radicamento mafioso o la sua efficiente pianificazione).

Come premesso, essa non presuppone necessariamente l'appartenenza dell'imputato ad un'associazione ex art. 416-bis  (Cass. I, n. 4898/2009), né la sussistenza, o la contestazione della sussistenza, di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento (Cass. II, n. 16053/2015; Cass. II, n. 32564/2023), essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano "veste tipicamente mafiosa" (Cass. II, n. 36431/2019), ovvero  il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso (Cass. VI, n. 41771/2017, con la precisazione che l'aggravante è configurabile con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo; Cass. II, n. 322/2014: fattispecie nella quale è stata ritenuta l'aggravante a carico di un soggetto che aveva posto in essere un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore, affermando di essere latore di richiesta per conto di una “famiglia" operante nel territorio che pretendeva una percentuale da tutte le imprese che svolgevano appalti pubblici, prospettando, altresì danneggiamenti agli automezzi in caso di rifiuto; Cass. V, n. 21530/2018, per la quale, in particolare, non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa; la fattispecie esaminata riguardava un caso di violente lesioni inferte ad un giornalista da un personaggio notoriamente malavitoso, che, nel rifiutare di essere intervistato, aggrediva il cronista con una testata sul volto, si avvaleva di un guardaspalla, pronunciava frasi intimidatorie che evocavano l'intervento di altri soggetti al fine di danneggiare la vettura dello stesso, in contesto omertoso caratterizzato non solo dal disinteresse dei passanti, ma anche dal compiacimento per l'accaduto da parte di alcuni presenti all'aggressione).

La circostanza aggravante de qua non consiste, a differenza di quella prevista dall'art. 628, comma 3, n. 3, c.p., nell'appartenenza ad organizzazioni criminose di tipo mafioso, bensì nel solo fatto che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, quella cioè ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti (Cass. II, n. 2204/1998).

Si è ritenuto sufficiente - in un territorio in cui è radicata un'organizzazione mafiosa storica - che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell'associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività (Cass. II, n. 19245/2017: nella fattispecie, relativa ad un'estorsione commessa in territorio calabrese, la S.C. ha ritenuto che i toni percepiti come "mafiosi" dalla vittima - destinataria della richiesta di uno dei due imputati, pregiudicato per reati gravi, di non eseguire lavori ottenuti in appalto, in modo da favorire l'altro imputato - consentissero di ritenere integrato il “metodo mafioso" di cui alla predetta aggravante, essendo tali toni ben conosciuti dall'imprenditoria del luogo, ove la 'ndrangheta agisce, nella gestione delle attività economiche, in modo seriale, con modalità “tipiche" immediatamente distinguibili dalle vittime).

Si è successivamente ritenuto che per la configurabilità dell'aggravante in oggetto è sufficiente che la condotta sia stata posta in essere avvalendosi di una delle modalità caratterizzanti l'associazione mafiosa, poiché l'espressione normativa “avvalersi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis”  significa utilizzare le condizioni previste dalla predetta disposizione, ossia ricorrere alla forza d'intimidazione promanante dal sodalizio ed alla condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva. L'aggravante può costituire specifica modalità di qualsiasi condotta penalmente rilevante, ed è stata prevista per  contrastare le più diversificate forme di criminalità in quanto promananti da soggetti  in grado d'intimidire e coartare le vittime per il “valore aggiunto”  che proviene loro dal contesto delinquenziale evocato; essa non presuppone necessariamente l'effettiva esistenza di un sodalizio ex art. 416-bis, né che l'agente ne faccia parte, ma soltanto che quest'ultimo abbia fatto ricorso a modalità di condotta evocanti la forza d'intimidazione tipica dell'agire mafioso, che è sufficiente a spingere la vittima ad adeguarsi più docilmente al volere dell'aggressore e ad abbandonare ogni possibile velleità di difesa, per timore di più gravi conseguenze (Cass. V, n. 15041/2019).   

Un orientamento  ritiene che l'aggravante sia configurabile in ordine ai  reati-fine posti in essere da soggetti appartenenti ad un'associazione per delinquere comune,  ex  art. 416 c.p. (Cass. V, n. 39795/2017; Cass. VI, n. 41772/2017 );  altro orientamento, a nostro avviso condivisibile,  ritiene  che,  in relazione al reato di associazione per delinquere “comune" di cui all'art. 416 c.p. essa sia ipotizzabile esclusivamente sotto lo specifico profilo della finalità di agevolare l'attività di un'associazione mafiosa, non anche sotto quello dell'utilizzo del metodo mafioso, dovendosi necessariamente configurare, in quest'ultima ipotesi, il diverso reato di cui all'art. 416-bis c.p. (Cass. II, n. 24802/2016; Cass. VI, n. 25510/2017).

L'aggravante ha natura oggettiva (giurisprudenza pacifica: così da ultimo Cass. V, n. 15041/2019): una volta accertato che il metodo “mafioso" è stato utilizzato, essa si applica necessariamente a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (Cass. II, n. 32564/2023; Cass. II, n. 2204/1998).

E' stata configurata l'aggravante del c.d. “metodo mafioso”:

- quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia risultata funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Cass. II, n. 39424/2019: fattispecie in cui la S.C. ha configurato l'aggravante in presenza della minaccia rivolta all'avente titolo a rinunciare all'assegnazione di un'abitazione popolare, attuata prospettando che essa serviva alla figlia di un esponente apicale di un sodalizio mafioso; conforme, Cass. V, n. 14867/2021: fattispecie in cui la S.C. ha configurato l'aggravante in relazione alle minacce profferite in udienza da un soggetto imputato per il reato di associazione mafiosa, valorizzando il grave turbamento indotto nella persona offesa dal timore di trovarsi a fronteggiare possibili azioni punitive dei complici e dei parenti dell'imputato);

- in presenza dell'utilizzo di un messaggio intimidatorio "silente", cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Cass. III, n. 44298/2019: fattispecie in cui l'aggravante è stata configurata con riferimento al reato di corruzione elettorale).

Un orientamento (Cass. I, n. 39836/2023) ha ritenuto che i delitti commessi con minaccia silente da soggetti appartenenti ad associazione di tipo mafioso sono aggravati ex art. 628, comma terzo, n. 3, c.p. (richiamato dall’art. 629, comma secondo, c.p.), la cui configurabilità è correlata alla sola provenienza qualificata della condotta intimidatoria, ma non anche ex art. 416-bis.1, sotto il profilo dell’utilizzo del c.d. metodo mafioso, che postulerebbe un’ulteriore esternazione, funzionale alla semplificazione delle modalità di commissione del reato.   

La decisione è rimasta, allo stato, isolata; risulta, infatti, certamente maggioritario il contrario orientamento a parere del quale è configurabile l'aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio "silente", in quanto privo di un'esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi (Cass. II, n. 51324/2023, in tema di estorsione; conformi, Cass. V, n. 38964/2013; Cass. II, n. 20187/2015; Cass. III, n. 44298/2019); e si è chiarito, sempre in riferimento al reato di estorsione, che l'aggravante, soggettiva, di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3), c.p. può concorrere con quella, oggettiva, dell'utilizzo di metodo mafioso, di cui all'art. 416 bis.1., nel caso in cui il delitto sia commesso, con minaccia "silente", da soggetto appartenente ad associazione di tipo mafioso, posto che la prima circostanza è funzionale a sanzionare la maggiore pericolosità individuale dimostrata dall'associato che abbia consumato l'ulteriore delitto, mentre la seconda è volta a punire la maggior capacità intimidatoria di condotte realizzate attraverso l'evocazione della capacità criminale dell'associazione mafiosa, potendo essere agita anche da chi non è associato (Cass. II, n. 15429/2024).

L’utilizzo del c.d. metodo mafioso nella riscossione di un preteso credito (diversamente dall’agevolazione mafiosa) non è in assoluto incompatibile con il delitto di esercizio arbitrario dele proprie ragioni con violenza alle persone, non comportando di per sé il raggiungimento di una finalità ulteriore rispetto alla riscossione; resta, peraltro, possibile valorizzare tale aggravante, in uno ad altri elementi, quale dato sintomatico del dolo di estorsione (Cass. II, n. 2331/2024).

Segue . La “agevolazione mafiosa”

La circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa è connotata dal profilo del dolo specifico, che risulta assorbente rispetto a quello attinente alle modalità di esecuzione dell'azione che denota la diversa fattispecie aggravatrice correlata all'utilizzo del metodo mafioso; ne consegue che questo fine di agevolazione deve costituire l'obiettivo “diretto" della condotta, non rilevando possibili vantaggi indiretti, né il semplice scopo di favorire un esponente di vertice della cosca, indipendentemente da ogni verifica in merito all'effettiva ed immediata coincidenza degli interessi di un esponente del capomafia con quelli dell'organizzazione (Cass. VI, n. 31874/2017 e n. 54481/2017).

L'aggravante, secondo l'orientamento ormai assolutamente dominante, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere, desumibile anche dalle modalità dell'azione, rilevanti quali parametri rivelatori del substrato psicologico di detta aggravante, e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta; tuttavia, ai fini della sua configurabilità, occorre valutare l'oggettiva idoneità del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l'attività dell'associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima (Cass. VI, 28212/2018; Cass. I, n. 53142/2018; Cass. V, n. 15041/2019).; ne consegue che, nel caso di concorso di persone nel reato, ai sensi dell'art. 118 c.p., detta circostanza è applicabile solo ai concorrenti nel delitto, anche a partecipazione necessaria, che abbiano agito con lo scopo di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, o, comunque, abbiano agito in base a tale finalità ovvero l'abbiano, comunque, condivisa e fatta propria (Cass. II, n. 6021/2018; Cass. n. 25510/2017, che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio l'ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva ritenuto applicabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa in considerazione della sola situazione di ignoranza colpevole in cui versava il ricorrente, indagato per il reato di cui all'art. 416, quale promotore ed organizzatore di un'associazione per delinquere finalizzata alla gestione illecita di imprese operanti nel settore delle scommesse a distanza; conforme, Cass. VI, n. 8891/2018, con la precisazione che detta circostanza non è imputabile ai concorrenti a titolo di colpa in quanto, riferendosi ai motivi a delinquere, la disciplina speciale, prevista dall'art. 118 c.p., prevale su quella generale prevista dall'art. 59, comma 2, c.p.).

Altro orientamento, ormai minoritario, ritiene, peraltro, che si tratti di circostanza di natura oggettiva, perché riguarda una modalità dell'azione rivolta ad agevolare un'associazione di tipo mafioso, e si trasmette, quindi, a tutti i concorrenti nel reato, compreso il soggetto affiliato all'organizzazione criminale favorito dalla condotta agevolatrice (Cass. VI, n. 19802/2009; Cass. II, n. 24046/2017).

Una decisione isolata, ha, infine, ritenuto che la natura, soggettiva o oggettiva, della circostanza aggravante in oggetto dipende dalle sue connotazioni nel caso concreto e dalla natura del reato in relazione al quale viene contestata (Cass. VI, n. 53646/2017: fattispecie nella quale è stata ritenuta l'applicabilità dell'aggravante anche ai reati associativi - nella specie, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – caso nel quale essa assume natura oggettiva in quanto, più che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente nel reato plurisoggettivo necessario, è direttamente connessa alla struttura organizzativa dell'associazione).

Investire della risoluzione del contrasto, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, (Cass. SU, n. 8545/2020), hanno – allo stato conclusivamente - stabilito che <<L’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis.1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità>>.

Rapporti con la circostanza aggravante dei motivi abietti o futili

Allorché siano contestate, in relazione al medesimo reato, le circostanze aggravanti di aver agito sia al fine di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, sia per motivi abietti (art. 61, comma 1, n. 1, c.p.), le due circostanze concorrono se quella comune, nei termini fattuali della contestazione e dell'accertamento giudiziale, risulti autonomamente caratterizzata da un quid pluris rispetto alla finalità di consolidamento del prestigio e del predominio sul territorio del gruppo malavitoso (Cass. S.U., n. 337/2009: fattispecie nella quale la circostanza del motivo abietto era consistita nell'intento punitivo dell'autore di un omicidio, dettato da spirito di mera sopraffazione, e quella dell'agevolazione mafiosa nella volontà di riaffermare, attraverso il delitto così connotato, la persistente supremazia del sodalizio criminale; conforme, Cass. VI, n. 9956/2017).

Casistica

Nel reato di estorsione (art. 629 c.p.):

- la circostanza aggravante de qua è configurabile se si riscontra che la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, sia espressione di capacità persuasiva in ragione del vincolo dell'associazione mafiosa e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d'assoggettamento e di omertà (Cass. II, n. 35428/2018: fattispecie nella quale l'ostentazione di sicurezza d'impunità degli imputati induceva la persona offesa a non rivolgersi alle forze dell'ordine quanto all'estorsione subita);

- , integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Cass. II, n. 26002/2018).

L'aggravante del metodo mafioso è legittimamente desumibile laddove la richiesta economica di natura estorsiva, seppure formulata in maniera implicita, provenga da un soggetto ben noto alla vittima quale associato alla locale malavita organizzata e dedito all'attività estorsiva, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilità della indebita richiesta economica ad altri contesti (Cass. II, n. 36115/2017: in applicazione del principio, la S.C. confermato la sentenza che aveva ritenuto sussistente l'aggravante del metodo mafioso in relazione all'indebita richiesta economica di dare "una mano", proveniente da un criminale che la vittima ben conosceva essere inserito all'interno della locale cosca mafiosa).

L'aggravante, nelle due differenti forme dell'impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare – con il delitto posto in essere - l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati-fine, in materia di armi, commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso (Cass. VI, n. 9956/2017).

L'aggravante è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Cass. VI, n. 9956/2017: nella specie, la S.C. ha ravvisato l'esercizio del metodo mafioso da parte dei membri dell'associazione dedita alla cessione di stupefacenti, nell'acquisizione delle "piazze di spaccio", nelle modalità del controllo della gestione del traffico della droga, nella finalità di avvantaggiare l'associazione camorristica egemone nella costituzione di un monopolio dello spaccio nonché nella partecipazione ai relativi utili di detto gruppo criminale, che assicurava protezione dalle pretese di organizzazioni contrapposte).

Estorsione

Nel reato di estorsione (art. 629 c.p.):

- la circostanza aggravante de qua è configurabile se si riscontra che la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, sia espressione di capacità persuasiva in ragione del vincolo dell'associazione mafiosa e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d'assoggettamento e di omertà (Cass. II, n. 35428/2018: fattispecie nella quale l'ostentazione di sicurezza d'impunità degli imputati induceva la persona offesa a non rivolgersi alle forze dell'ordine quanto all'estorsione subita);

- , integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l'utilizzo di un messaggio intimidatorio anche "silente", cioè privo di una esplicita richiesta, qualora l'associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l'avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Cass. II, n. 26002/2018).

L'aggravante del metodo mafioso è legittimamente desumibile laddove la richiesta economica di natura estorsiva, seppure formulata in maniera implicita, provenga da un soggetto ben noto alla vittima quale associato alla locale malavita organizzata e dedito all'attività estorsiva, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilità della indebita richiesta economica ad altri contesti (Cass. II, n. 36115/2017: in applicazione del principio, la S.C. confermato la sentenza che aveva ritenuto sussistente l'aggravante del metodo mafioso in relazione all'indebita richiesta economica di dare "una mano", proveniente da un criminale che la vittima ben conosceva essere inserito all'interno della locale cosca mafiosa).

L'aggravante, nelle due differenti forme dell'impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare – con il delitto posto in essere - l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati-fine, in materia di armi, commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso (Cass. VI, n. 9956/2017).

L'aggravante è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Cass. VI, n. 9956/2017: nella specie, la S.C. ha ravvisato l'esercizio del metodo mafioso da parte dei membri dell'associazione dedita alla cessione di stupefacenti, nell'acquisizione delle "piazze di spaccio", nelle modalità del controllo della gestione del traffico della droga, nella finalità di avvantaggiare l'associazione camorristica egemone nella costituzione di un monopolio dello spaccio nonché nella partecipazione ai relativi utili di detto gruppo criminale, che assicurava protezione dalle pretese di organizzazioni contrapposte).

Cfr. anche Cass. II, n. 51324/2023 Cass. II, n. 15429/2024 sub § 4.

Altre applicazioni

'L'aggravante, nelle due differenti forme dell'impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e della finalità di agevolare – con il delitto posto in essere - l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con riferimento ai reati-fine, in materia di armi, commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso (Cass. VI, n. 9956/2017).

L'aggravante è configurabile anche con riferimento al reato associativo di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Cass. VI, n. 9956/2017: nella specie, la S.C. ha ravvisato l'esercizio del metodo mafioso da parte dei membri dell'associazione dedita alla cessione di stupefacenti, nell'acquisizione delle “piazze di spaccio”, nelle modalità del controllo della gestione del traffico della droga, nella finalità di avvantaggiare l'associazione camorristica egemone nella costituzione di un monopolio dello spaccio nonché nella partecipazione ai relativi utili di detto gruppo criminale, che assicurava protezione dalle pretese di organizzazioni contrapposte).

Con riferimento al reato di tentata violenza privata realizzata dall'imputato collegandosi attraverso il social network FB al sito internet della testata online e inviando dai propri profili ripetuti post, è stata configurata l'aggravante dell'agevolazione del sodalizio mafioso perché le minacce erano state rivolte ad un giornalista con il fine di ottenere il cd. "silenzio giornalistico", per consentire al clan mafioso di continuare ad agire secondo logiche criminali in maniera indisturbata (Cass., V, n. 2725/2022).

L'aggravante è stata configurata anche in relazione al reato previsto dall'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in un caso nel quale la commissione di quest'ultimo era finalizzata a procurare, in modo occulto, ad un imprenditore la provvista necessaria ad assicurare una continuativa erogazione di danaro a una consorteria di tipo mafioso, come contropartita della "protezione" e del “sostegno nell'acquisizione di commesse economiche” (Cass. III, n. 23335/2021).

La disciplina

Nell'ipotesi di concorso tra più circostanze aggravanti ad effetto speciale, l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 deve essere esclusa dal giudizio di bilanciamento, in quanto, ai fini del calcolo degli aumenti di pena irrogabili, ad essa non si applica la regola generale prevista dall'art. 63, comma 4, c.p., ma l'autonoma disciplina derogatoria di cui al citato art. 416-bis.1 cod. pen., ove è previsto l'inasprimento della sanzione da un terzo alla metà (Cass. II, n. 2526/2022: fattispecie in cui la S.C. ha confermato la decisione con la quale, una volta effettuato l'aumento di pena previsto dall'art. 628, comma 3, n. 3, c.p., era stato applicato l'aumento per l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1).

In argomento, si rinvia amplius sub art. 69.

Cause di estinzione del reato e della pena

 

Rilevanza in tema di prescrizione del reato

Ai sensi dell'art. 160, comma 3, c.p., per i reati aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991 (che rientrano tra quelli di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.), non è previsto un termine massimo di prescrizione; ne consegue che, in questi casi, la prescrizione matura soltanto se, da ciascun atto interruttivo, sia decorso il termine (minimo) di prescrizione fissato dall'art. 157 c.p., e, pertanto, in presenza di plurimi atti interruttivi, è potenzialmente suscettibile di ricominciare a decorrere all'infinito (Cass. II, n. 40855/2017).

Indulto

In tema di applicazione dell'indulto, di cui alla l. n. 241 del 2006, il divieto di concessione del beneficio in ordine ai reati aggravati dalla circostanza prevista dall'art. 416-bis.1, comma 1, non può estendersi a reati concorrenti, in relazione ai quali la medesima aggravante non sia stata formalmente contestata, ritenendone l'esistenza sulla base di una interpretazione contenutistica della sentenza (Cass. V, n. 10717/2022: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato l'ordinanza di rigetto della richiesta di applicare l'indulto ad una condanna per omicidio, nella quale il giudice dell'esecuzione aveva valorizzato la formale contestazione dell'aggravante del metodo mafioso in relazione ai concorrenti reati di detenzione delle armi e di furto dell'autovettura utilizzate per commettere l'omicidio, ed aveva altresì ritenuto che la predetta circostanza fosse comunque contenuta nell'aggravante - formalmente contestata - dei motivi abietti).

Segue. Profili processuali

 

Le misure cautelari

È stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p. come modificato dall'art. 2, comma 1, d.l. n. 11 del 2009 nella parte in cui - nel precedere che, quando sussistono gravi indizio di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì l'ipotesi in cui siano stati acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure (Corte cost., n. 57/2013). Ne consegue, secondo la giurisprudenza, che, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l'emissione della misura ed i fatti contestati in via provvisoria all'indagato e si tratti, in particolare, di un reato non permanente, aggravato ex art. 416-bis.1, il giudice ha l'obbligo di motivare puntualmente in ordine all'attualità delle esigenze cautelari (Cass. V, n. 25670/2018).

La doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, prevista per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., deve intendersi riferita anche ai delitti tentati, aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, atteso che il generico riferimento ai «delitti» in tal guisa aggravati, indipendentemente dallo specifico titolo di reato, è comprensivo di ogni fattispecie delittuosa, sia consumata che tentata (Cass. II, n. 22096/2020 n. 23935/2022).

La contestazione

Il giudice, anche in assenza di formale contestazione, nell'ambito del procedimento, del delitto di cui all'art. 416-bis c.p., può effettuare una valutazione incidentale, allo stato degli atti, quanto alla sussistenza di una compagine associativa; tuttavia, tale accertamento non può essere compiuto sulla sola base dell'emissione, in un diverso procedimento penale, di una misura cautelare per il predetto reato associativo, ma necessita della contestuale acquisizione degli elementi di prova posti a fondamento di tale misura (Cass. III, n. 8505/2021).

La nuova causa di improcedibilità ex art. 344- bis c.p.p.

Il nuovo art. 344-bis c.p.p., che inserisce la previsione di termini da rispettare per la definizione dei giudizi di impugnazione a pena di improcedibilità, prorogabili per una sola volta per tutti i reati, per la particolare complessità dell'impugnazione,  consente per i delitti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1, primo comma, ulteriori proroghe, che non possono superare, nel complesso, tre anni nel giudizio di appello ed un anno e sei mesi nel giudizio di cassazione.

L’interesse all’impugnazione della parte civile

Secondo la giurisprudenza, la parte civile ha interesse ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che non abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall'art. 416 bis.1, potendo da quest'ultima derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del patema d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare più intensamente intimidita da una condotta posta in essere con l'utilizzo del metodo mafioso o con finalità di agevolazione mafiosa (Cass. II, n. 49038/2014 e n. 23970/2022; contra, Cass. I, n. 38701/2013).

Intercettazioni

La legge n. 137 del 2023 ha convertito il d.l. n. 105 del 2023, intervenuto, tra l’altro, per ribadire, sulla scia dell’orientamento delle Sezioni unite, sentenza “Scurato” (Cass. SU, n. 26889/2016), che il regime speciale previsto dall’art. 13 della l. n. 203 del 1991 (di conversione del d.l. n. 152 del 1991) per i delitti “di criminalità organizzata” si applica anche alle intercettazioni disposte in procedimenti aventi ad oggetto delitti aggravati ex art. 416-bis.1 c.p., cioè commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. oppure al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ed anche ai procedimenti in corso, con conseguente previsione di utilizzabilità delle intercettazioni già autorizzate ai sensi della citata disposizione speciale.

La giurisprudenza (Cass. II, n. 47643/2023) ha immediatamente chiarito che l’art. 1 d.l. n. 105/2023, conv. - in parte qua senza modifiche – in l. n. 137/2023, che ha definito l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’art. 13 d.l. n. 152/1991, conv., con modd., in l. n. 203/1991, in materia di presupposti e modalità esecutive delle operazioni d’intercettazione nei procedimenti per reati di criminalità organizzata in riferimento, tra gli altri, ai procedimenti per i delitti, consumati o tentati, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ha natura di norma interpretativa e, come tale, si applica anche in relazione alle attività d’intercettazione già compiute nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della norma.

La confisca

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dell'art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992, convertito dalla l. n. 356 del 1992, ora trasfuso, in attuazione del principio della riserva di codice, nell'art. 240-bis c.p., può essere disposto per uno dei reati-presupposto anche nella forma del tentativo, purchè aggravato dall'art. 416-bis.1 (Cass. S.U., n. 40985/2018).

La circostanza attenuante della c.d. “dissociazione attuosa”

L'art. 416-bis.1, comma 3, come in precedenza l'art. 8 l. n. 203 del 1991, prevede che per i delitti previsti e puniti dall'art. 416-bis c.p., e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. e/o al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso, la pena è diminuita da un terzo alla metà (e l'ergastolo è sostituito dalla reclusione da dodici a vent'anni), nei confronti dell'imputato che, dissociandosi dagli altri, si adoperi per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati.

Trattasi di circostanza attenuante speciale (perché inerente soltanto a determinati reati) ad effetto speciale (poiché comporta una riduzione della pena superiore ad un terzo).

Tale attenuante speciale può essere configurata soltanto in favore di soggetto ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione di tipo mafioso ovvero di un delitto aggravato dall'essere stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare le attività mafiose. Quanto a quest'ultimo presupposto, non è necessaria la formale contestazione delle predette circostanze aggravanti, ma è sufficiente che di queste ricorrano i presupposti, anche se non contestati, vale a dire che il reato sia stato commesso in presenza dei presupposti della norma avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso (Cass. I, n. 21783/2017;  Cass. IV, n. 32519/2019); l'attenuante non può, invece, trovare applicazione nei casi in cui la formale contestazione delle predette aggravanti non trovi positivo riscontro in sentenza (Cass. VI, n. 31874/2017).

La circostanza attenuante della dissociazione si fonda sul mero presupposto dell'utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all'associazione di tipo mafioso e presuppone, quindi, congiuntamente:

— la dissociazione;

— l'utilità del contributo dichiarativo prestato dall'imputato (prescindendo dalla qualità degli elementi probatori già emersi);

non anche la spontaneità della collaborazione, la resipiscenza o comunque  o la revisione critica del proprio precedente operato da parte del collaboratore (Cass. I, n. 48646/2015; Cass. VI, n. 36570/2012, con la precisazione che non sono sufficienti la sola confessione delle proprie responsabilità né la rivelazione di circostanze di rilievo marginale).

Essa non può essere, pertanto, disconosciuta o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato né alle ragioni che hanno determinato quest'ultimo alla collaborazione (Cass. II, n. 18875/2021; Cass. I, n. 31413/2015: fattispecie in cui la riduzione per l'attenuante non è stata operata nel massimo soltanto perché la collaborazione era iniziata solo dopo che il soggetto era stato raggiunto da ordinanza cautelare).

La confessione può giustificare la concessione della circostanza attenuante in esame, a condizione che il giudice apprezzi favorevolmente la veridicità, la genuinità e l'attendibilità del narrato, dando conto, con motivazione logica, degli elementi di conferma eventualmente acquisiti e dei motivi per i quali debba escludersi il sospetto di un intento autocalunniatorio (Cass. V, n. 18438/2022).

L'esame del giudice sul ricorrere dei presupposti per ritenere integrata l'attenuante in esame non può che essere limitato a quanto riferito dall'imputato nel singolo procedimento in ordine ai reati oggetto dello stesso, solo in relazione ai quali vengono in rilievo decisività e concretezza dell'apporto fornito, restando estraneo a tale esame il contributo offerto in altri procedimenti per vicende delittuose diverse (Cass. II, n. 46385/2021).

Rapporti con la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p.

L'attenuante prevista dall'art. 62, comma 1, n. 6, c.p. per l'ipotesi che l'imputato si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato non può concorrere con quella della cosiddetta ‘dissociazione attuosa', poiché, benché entrambe facciano riferimento a un comportamento dell'imputato idoneo a evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, la seconda presenta elementi di specialità ravvisabili nel contesto criminale di riferimento, nelle modalità concrete attraverso le quali l'imputato perviene all'interruzione degli effetti dannosi del reato e negli effetti dispiegati sul trattamento sanzionatorio (Cass. II, n. 2833/2012).

Rapporti con le circostanze attenuanti generiche

La giurisprudenza ritiene che gli elementi posti a fondamento della concessione della circostanza attenuante della c.d. "dissociazione attuosa" non possono essere utilizzati per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Cass. VI, n. 43890/2017).

Rapporti con la circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990

La circostanza attenuante in esame non concorre con l'attenuante di cui all'art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, che si applica solo a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato previsto dall'art. 74 stesso d.P.R., o per sottrarre al traffico illecito di sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti; le due attenuanti possono trovare simultanea applicazione soltanto nell'ipotesi in cui il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso concorra con quello di associazione finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico di stupefacenti (Cass. VI, n. 27784/2017).

Concorso con altre circostanze

La circostanza attenuante della c.d. “dissociazione attuosa" non è soggetta al “bilanciamento” con le eventuali circostanze aggravanti concorrenti (Cass. S.U., n. 10713/2010; Cass. VI, n. 8740/2017); nei casi in cui essa sia configurata, e concorrano altre circostanze attenuanti a loro volta in concorso con circostanze aggravanti, soggette al “bilanciamento” ex art. 69 c.p., va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l'attenuante ad effetto speciale (Cass. S.U., n. 10713/2010; Cass. VI, n. 31983/2017).

Segue . Profili processuali

 

Le misure cautelari

La giurisprudenza, in tema di revoca o di sostituzione delle misure cautelari, ritiene che il riconoscimento nel giudizio di merito dell'attenuante della dissociazione attuosa non determina automaticamente l'affievolimento delle esigenze cautelari, restando pur sempre demandata al giudice che procede l'autonoma verifica in concreto della valenza positiva del comportamento collaborativo dell'imputato ai fini della esclusione della attualità dei legami con la criminalità organizzata, sulla base di tutti gli elementi raccolti, ivi inclusi quelli forniti dall'accusa, su cui grava l'onere di dimostrare che, nonostante la collaborazione, non vi sia stato allontanamento dal sodalizio mafioso (Cass. IV, n. 33806/2017).

Sospensione dei termini processuali in periodo feriale. Rinvio

Cfr. sub art. 416-bis, § 14.8.

Bibliografia

Leopizzi, L’attuazione del principio della “riserva di codice” in materia penale (d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21), in www.ilpenalista.it

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