Codice Civile art. 45 - Domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto (1).

Luca Stanziola

Domicilio dei coniugi, del minore e dell'interdetto (1).

[I]. Ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi.

[II]. Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive.

[III]. L'interdetto ha il domicilio del tutore.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 1 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Abbiamo già osservato che al domicilio volontario, liberamente «eletto», si affianca il domicilio legale (o necessario), stabilito dalla legge a tutela di soggetti più deboli, incapaci di scegliere consapevolmente un proprio domicilio. Trattasi di ipotesi tassativamente determinate dalla legge (per Candian, 110, «Il domicilio legale, nel suo significato corrente, si giustifica come una eccezione al principio di libertà di scelta del domicilio, per cui il luogo non viene qualificato dalla convergenza degli affari e degli interessi bensì è fissato dalla legge con norma inderogabile»).

Il domicilio dei coniugi

La prima, e più importante, ipotesi considerata dall'art. 45 c.c., è quella riguardante il domicilio dei coniugi. Al riguardo, l'art. 45, comma 1, prescrive che ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi.

La norma è il frutto di un ripensamento del regime tradizionale della famiglia, a seguito della sua totale riscrittura con la riforma del diritto di famiglia del 1975 (in passato, l'art. 45 così recitava: «La moglie ... ha il domicilio del marito»): si ritenne cioè, in sede di riforma, che anche la figura femminile del nucleo familiare dovesse avere libertà di scelta in merito al domicilio familiare, in applicazione del fondamentale principio di parità dei coniugi. Sicché, ad oggi, è nel potere di entrambe i coniugi di fissare il proprio domicilio ove ciascuno ha stabilito la sede principale dei propri affari ed interessi.

Dispone, dunque, l'art. 144 c.c. che entrambe i coniugi fissano il luogo di residenza della famiglia «secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa» (circa la nozione di «residenza familiare», critico Candian, 110, e MazzoniPiccinni, 249, secondo cui si avrebbe, nel caso di specie, «l'introduzione di una nuova relazione di luogo, che consiste nel collegamento di un gruppo (invece che di una persona) con un luogo. Si tratta di una nuova dimensione collettiva del «rapporto di luogo»).

La norma si inscrive in quell'ottica di indirizzo concordato della famiglia, con potenziamento del ruolo della moglie, che è uno dei capisaldi della riforma del 1975, e funge quasi da «contrappeso» all'art. 45: in questo senso, pur potendo i coniugi avere un domicilio differente, in conseguenza dei loro rispettivi affari e interessi (lo si desume dal secondo comma dell'articolo in commento: «o comunque non hanno la stessa residenza» ), per l'art. 144 i coniugi, stabilendo di comune accordo «l'indirizzo della vita familiare», fissano la residenza della famiglia (che, si badi, è unica) tendendo conto, in primis, le esigenze della famiglia, e solo in subordine le esigenze personali (cfr. Mazzoni - Piccinni, 248). Se ne desume, quindi, un'ampia libertà di scelta di domicilio per i coniugi (in conformità con quanto previsto dall'art. 16 Cost.): « ciascuno di essi ha dunque il domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi » (Dogliotti, 434).

A riprova dell'essenzialità di una soluzione concordata in tal senso è previsto, in caso di perdurante disaccordo, l'intervento del giudice (art. 145), il quale adotta quella che ritiene la soluzione «più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia».

Si consideri, poi, che secondo l'art. 1, comma 12, l. 20 maggio 2016, n. 76, in tema di unioni civili, le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

La Cass. I, n. 6810/2023 ha rimarcato che per le cd. famiglia di fatto non trova applicazione la disciplina delineata dagli artt. 143 e ss. c.c. e, segnatamente, per quanto interessa, dall'art. 144 c.c., relativo alla fissazione della residenza della famiglia, da concordare a cura dei coniugi secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia, dall'art. 146 c.c., che sanziona l'allontanamento dalla residenza familiare di uno dei coniugi senza giusta causa e dall'art. 151, comma 1, c.c., perché nella convivenza di fatto more uxorio la scelta di coabitare è libera e non consegue ad un obbligo giuridico, tanto è vero che "In materia di famiglia di fatto non fondata sul matrimonio, non essendo le parti legate da vincolo di coniugio, la cessazione del rapporto avviene ad nutum, ovvero senza necessità per l'autorità giudiziaria di accertare il carattere irreversibile della crisi del rapporto attraverso l'espletamento di tentativo di conciliazione, atteso che l'esame del Tribunale risulta elettivamente diretto alla verifica dell'adeguatezza degli accordi raggiunti per l'interesse della prole minore, alla luce del disposto normativo di cui all'art. 155 comma 2 c.c..

Riguardo la disciplina previgente, la Corte cost. n. 171/1976 - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell' art. 45 del codice civile, primo comma (nel testo anteriore alla sostituzione operata dall' art. 1 della legge 19 maggio 1975, n. 151 ), nella parte in cui, in caso di separazione di fatto dei coniugi ed ai fini della competenza per territorio nel giudizio di separazione, prevede che la moglie, la quale abbia fissato altrove la propria residenza, conservi legalmente il domicilio del marito – ha avuto modo di chiarire che pur potendo il legislatore nella sua discrezionalità «dare rilevanza o meno al domicilio coniugale, ai fini del rafforzamento dell'unità familiare, stabilendo che tale centro debba essere comune al marito e alla moglie quando perdura la loro convivenza», tale discrezionalità trasmoda in arbitrio, e quindi in violazione del generale principio di eguaglianza e dello specifico principio di parità dei coniugi, nel caso di specie, ove «non era stato dato rilievo, nella dizione originale dell' art. 45 del codice civile, allo stato di separazione di fatto tra questi», in quanto soltanto la separazione legale faceva cessare il domicilio, presunto iuris et de iure, della moglie presso il marito.

Le altre ipotesi di domicilio legale

Circa il secondo ed il terzo comma dell' art. 45 c.c., si è provveduto ad individuare, in modo tassativo, il domicilio di soggetti «deboli», e quindi presuntivamente incapaci di provvedere a ciò (minore, inabilitato, interdetto: Candian, 110).

Il secondo comma della disposizione in commento, che ha riguardo al minore ed all'inabilitato, fissa il domicilio del minore nel luogo di residenza della famiglia. D'altra parte, «Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive». Se invece il minore (non emancipato) è sottoposto a tutela, il suo domicilio coinciderà con quello del tutore.

Ovviamente, l'imposizione del domicilio stabilito per legge non ha carattere definitivo, ma perdura al perdurare della situazione di «debolezza» in cui versano questi soggetti. In particolare, tale situazione viene meno, per il minore, con il raggiungimento della maggiore età o con l'emancipazione (vedi Cattaneo, 426), mentre per l'interdetto con la revoca dell'interdizione.

In generale, secondo la Cass., I, n. 6012/2001, il domicilio del minore di fatto viene ad identificarsi con la casa coniugale, da ritenersi, sino a prova contraria, luogo di dimora abituale di tutti i componenti della famiglia.

Peraltro, secondo la Cass. VI, n. 10373/2013, è irrilevante ai sensi dell' art. 45 c.c. la volontà del minore o dell'interdetto diretta a stabilire la sede principale dei propri affari e interessi, tale luogo dovendo coincidere con il domicilio del legale rappresentante.

Pertanto, la residenza del minore coincide con quella della sua famiglia, se unita, o del genitore che con il minore convive negli altri casi, e va intesa non come il luogo ove il minore stesso permane ricevendovi cure materiali, bensì come il luogo di vero e proprio domicilio ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 43 comma 1 c.c., vale a dire il luogo dove il minore custodisce e coltiva i suoi più radicati e rilevanti legami affettivi ed i suoi reali interessi: pertanto, il trasferimento del minore deciso in via unilaterale e senza adeguata giustificazione da uno dei genitori, che abbia a rescindere i legami del minore medesimo con i luoghi e le persone della sua abituale residenza come sopra intesa (c.d. residenza affettiva), allontanandolo anche dall'altro genitore, non fa venir meno la competenza territoriale del giudice di quest'ultima ad emettere i provvedimenti diretti alla tutela dell'interesse minorile (Trib. Minorenni Roma, 16 novembre 1992 ).

La giurisprudenza è solita far rinvio, a questi fini, al concetto di habitat familiare, rilevante soprattutto con riguardo all'eventuale provvedimento di assegnazione della casa coniugale (art. 337 sexies); in questo senso è stato sostenuto che, in tema di «casa coniugale» – intesa come luogo ove prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso da parte del nucleo costituito da genitori e figli, non solo in astratto ma anche in concreto, mediante la loro convivenza nell'immobile ( Cass. I, n. 3331/2016) – l'assegnazione della casa coniugale è finalizzata alla tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico (Cass. VI, n. 24473/2015 ).

Secondo il Trib. Pavia, 21 febbraio 2017, peraltro, mentre nel caso di figli minorenni la casa va preferibilmente assegnata al genitore con il quale viene disposta – sulla base della valutazione giudiziale dell'interesse dei figli stessi – la prevalente collocazione dei minori, nel caso di figli maggiorenni è corretto tener conto del desiderio di questi ultimi rispetto alla convivenza con l'uno o con l'altro genitore, per garantire ai figli stessi un miglior benessere affettivo, nella continuità di habitat domestico.

Mentre, per quanto riguarda l'interdetto, è stabilito al comma 3 che egli abbia il medesimo domicilio del tutore. In tema di interdizione, poi, vale la regola di cui all'art. 343 c.c. , relativamente al luogo di apertura della tutela, in virtù del rinvio operato dall'art. 424.

Per Cass. I, n. 19410/2007, «l' art. 343 c.c. – applicabile anche alla nomina del tutore provvisorio dell'interdicendo in virtù dell'art. 424 c.c. – prevede il domicilio del tutore quale luogo per individuare la competenza del giudice tutelare, dovendo la disposizione essere letta in collegamento con l'art. 45 c.c. , comma 3, secondo cui l'interdetto ha il domicilio del tutore».

La Cass. I, n. 20164/2004, afferma che la disposizione di cui all'art. 343, comma 2, c.c. è, in conformità con il suo tenore letterale, riferita alla sola fattispecie della tutela, non risultando essa contemplata tra le norme (art. 348, ultimo comma, e 350 c.c.) applicabili anche alla curatela in base all'esplicito richiamo operato dagli art. 393 e 424 c.c. Emerge pertanto, a tale stregua, la ragione per la quale l' art. 343, comma 2, c.c. (applicabile anche agli incapaci maggiori di età in virtù dell' art. 424 c.c.) – da leggersi in combinato disposto con l' art. 45, comma 3, c.c. (secondo cui l'interdetto ha il domicilio del tutore) – indica nel domicilio del tutore il luogo volto a radicare la competenza del giudice tutelare, mentre, in mancanza di analogo criterio di collegamento, non può ritenersene consentita l'estensione anche all'inabilitato.

Il concetto di «residenza abituale del minore» assume particolare rilievo in tema di riparto di giurisdizione tra il giudice italiano e quello straniero.

Vale la pena richiamare, sul punto, il Regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, artt. 8 e 9.

La disciplina normativa citata è stata pedissequamente ripresa, con decorrenza dal 1°  agosto 2022, dall'articolo 8 del cd. Regolamento Bruxelles II bis(Regolamento UE 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 2 luglio 2019), secondo cui «in caso di lecito trasferimento della residenza di un minore da uno Stato membro a un altro che diventa la sua residenza abituale, la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza abituale del minore permane, in deroga all'articolo 7, per un periodo di tre mesi dal trasferimento, per modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato membro prima del trasferimento del minore, se la persona cui la decisione ha accordato il diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato membro della precedente residenza abituale del minore» (comma 1) e «il paragrafo 1 non si applica se il titolare del diritto di visita di cui al paragrafo 1 ha accettato la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui risiede abitualmente il minore, partecipando ai procedimenti dinanzi ad esse senza contestarla» (comma 2).

La «residenza abituale del minore», intesa come luogo in cui questi ha stabilito la sede prevalente dei suoi interessi e affetti, costituisce infatti uno degli «affari essenziali» (arg., ex art. 145, comma 2, c.c.) per la vita del fanciullo e, per questo motivo, deve essere deciso dai genitori «di comune accordo» (art. 316, comma 1, c.c. ; art. 337-bis, comma 3, c.c.) trattandosi di una delle questioni di maggiore importanza per la vita del minore.

Orbene, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che la residenza abituale del minore è il luogo del concreto e continuativo svolgimento della sua vita personale che, con il trascorrere del tempo, viene a identificarsi con il luogo dove il minore in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero potrà consolidare una rete di affetti e relazioni, tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico (cfr. Cass. n. 21285/2015 ; Cass. S.U., n. 5438/2016; Cass. n. 30123/2017 ), con la precisazione che non può farsi riferimento, alla data della domanda, ad un dato meramente quantitativo (quale la prossimità temporale del trasferimento; maggior durata del soggiorno, ecc.) essendo a tal uopo necessaria una prognosi sulla possibilità che la nuova dimora diventi l'effettivo stabile e duraturo centro di affetti ed interessi del fanciullo. Il criterio di attribuzione della giurisdizione è dunque fondato sulla c.d. vicinanza, nell'interesse superiore del minore, al luogo in cui il minore si trova stabilmente ed in cui sia pertanto ravvisabile il centro dei suoi affetti ed interessi (cfr. Cass. S.U., n. 13912/2017), «soluzione questa che trova fondamento anche nel più corretto ed agevole sviluppo processuale che ne deriva, essendo incontestabilmente molto più complesso, per un giudice che operi a distanza dal luogo in cui si trova il minore, compiere tutti gli atti istruttori necessari ai fini del decidere» (così Cass. S.U., n. 30646/2011).

Più di recente, Cass. S.U., n. 30903/2022 la quale ha rimarcato il principio di prossimità ha trovato ampio spazio nella giurisprudenza di legittimità in materia di rapporti familiari, e soprattutto in riferimento all'individuazione del giudice competente nell'ordinamento interno o di quello dotato di giurisdizione nei confronti dello straniero in tema di provvedimenti riguardanti i minori, essendosi ritenuto che il giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente sia quello maggiormente idoneo a valutare le sue esigenze, in ragione non solo del suo stretto collegamento con il luogo in cui è stabilmente collocato il centro degli affetti, degl'interessi e delle relazioni del minore, ma anche della possibilità, che egli ha, di procedere in qualsiasi momento all'ascolto di quest'ultimo, adempimento ormai ritenuto imprescindibile in tutti i procedimenti riguardanti i minori, e della capacità dello stesso di verificare più direttamente la situazione del minore e di provvedere più efficacemente a tutela di quest'ultimo, attraverso gli strumenti d'indagine e d'intervento di cui dispone.

Si veda anche Cass. I, n. 22022/2023 secondo cui la residenza abituale del minore, ai fini della valutazione della sussistenza di un'ipotesi di sottrazione, coincide con il luogo del concreto e continuativo svolgimento della sua vita personale che, con il trascorrere del tempo, viene ad identificarsi con quello in cui, in virtù di una durevole e stabile permanenza, si consolida la sua rete di affetti e relazioni, senza che assumano rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei.

Sul punto, il legislatore, con l'introduzione dell'art. 473 bis.11 c.p.c. a seguito del d.lgs. n. 149/2022, si è semplicemente limitato a recepire gli orientamenti di cui si è dato conto in precedenza, prevedendo per i procedimenti che coinvolgono soggetti minori di età un unico criterio territoriale inderogabile, quello appunto della residenza abituale del minore, a meno che non vi sia stato un trasferimento non autorizzato del minore e non sia trascorso già un anno, nel qual caso rimane competente il tribunale del luogo dell'ultima residenza del minore prima del trasferimento illecito (Sapi – Simeone, 12).

A tali ipotesi, va aggiunta quella riguardante il domicilio del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, non presa in considerazione dalla norma in esame. Si consideri, al riguardo, che l' art. 407 c.c., relativamente alle indicazioni contenute nel ricorso per accedere all'amministrazione di sostegno, fa esplicito riferimento alla «dimora abituale» del beneficiario, prescrivendo che il giudice tutelare senta personalmente la persona cui il procedimento si riferisce, recandosi, ove occorra, «nel luogo in cui questa si trova», potendo «in ogni tempo» modificare o integrare, anche d'ufficio, le decisione assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno.

Proprio valorizzando il dato normativo precedentemente enunciato, la Cass. VI, n. 9389/2013, ha ritenuto la disciplina riguardante il trasferimento del tutore non assimilabile al mutamento di residenza o di domicilio dell'amministratore di sostegno, con conseguente impossibilità di applicazione analogica della regola contenuta nell' art. 343 c.c., comma 2. In particolare, la S.C. ha valorizzato «le precipue caratteristiche dell'amministrazione di sostegno, che pongono in evidenza la necessità che il beneficiario interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei bisogni e delle cui richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (artt. 410 e 411 c.c.) ... l'esigenza di interloquire con il beneficiario stesso verrebbe ad essere gravemente frustrata dalla sua permanenza in località estranea al circondario del tribunale» (conforme, Cass. VI, n. 6880/2012).

In ogni caso, per Cass. VI, n. 23772/2017, In tema di amministrazione di sostegno, in caso di mutamento della residenza anagrafica del beneficiario, è competente ad applicare la misura di protezione il giudice tutelare del luogo della dimora effettiva, qualora il beneficiario viva stabilmente in un comune ed ivi mantenga il suo domicilio in assenza di circostanze in forza delle quali possa ritenersi mutata detta dimora effettiva.

Ancora, Cass. VI, n. 19431/2020 ha ritenuto che, in tema di nomina dell'amministratore di sostegno, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente si presume la coincidenza della residenza effettiva e del domicilio con la residenza anagrafica dell'amministrando, salvo che risulti accertato non solo il concreto spostamento della sua dimora abituale o del centro principale dei suoi rapporti economici, morali, sociali e familiari, ma anche la volontarietà di tale spostamento.  

Bibliografia

Candian, voce Domicilio, residenza, dimora, in D. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, 110; De Giorgi, La casa nella geografia familiare, in Eur. dir. priv. 2013, 3, 761; Frezza, La casa (già) familiare, in Dir. fam. 2006, 2, 718; Sapi – Simeone, Gli atti introduttivi, in R. Giordano – A. Simeone (a cura di) La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo, Milano, 2023, 1 ss.; Scarano, La casa familiare, in Familia 2001, 1, 131.

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